"Curare Alfie è faticoso, ma l'arroganza è satanica"
Si può faticare come medici, si può provare angoscia, ma l’arroganza davanti a questioni delicatissime, sul limite misterioso fra vita o morte, ha tutta l’aria di una mentalità priva di umiltà che si considera divina e onnisciente, motivo per cui mi sembra satanica. Ma satana non vince su Cristo. Ecco perché.
Essendo amico di alcune delle persone che lavorano per La Nuova Bussala Quotidiana, sono ormai da molto tempo al corrente della vicenda, ora nota, legata alla vita di Alfie Evans, il bambino di Liverpool, affetto da una malattia non diagnosticata e la cui esistenza è stata ufficialmente giudicata non degna di essere difesa e sostenuta dalle autorità dell’Alder Hey Hospital e dal sistema giudiziario della Gran Bretagna.
Come sempre in questi casi, ad esempio quello che l’anno scorso coinvolse Charlie Gard a Londra, mi viene naturale nutrire una simpatia per l’equipe medica incaricata di curare una persona in queste condizioni. Come cappellano ospedaliero da molti anni, ho visto da vicino il prezzo umano pagato da chi porta questo tipo di responsabilità e ho visto che cosa succede quando agli operatori sanitari sembra che i propri sforzi servano più a prolungare un’agonia tormentata piuttosto che aiutare una vita sofferente. Non mi sembra impossibile né sempre del tutto sbagliato che, in generale, un ospedale possa arrivare alla dolorosa decisione di non voler continuare le cure quando queste possono apparire inutili.
Rimango invece veramente sconcertato, se non sdegnato, dalla sete di potere e dell’illimitato senso di sovranità infallibile sulla vita umana che emerge quando questo giudizio è usato come pretesto per bloccare i sostegni vitali e qualunque altra alternativa richieste dai genitori, che non hanno ancora perso né la speranze né il senso del valore della vita di loro figlio. A maggior ragione quando le istituzioni che presentano delle alternative, senza alcun costo per il sistema britannico, sono ineccepibili; L’anno scorso, ad offrire un’alternativa a Charlie Gard era un’equipe di medici dell’Harvard University negli Stati Uniti, ora ad offrirla ad Alfie Evans è l'Ospedale Bambino Gesù a Roma.
Sia l’anno scorso sia quest’anno, le alternative ragionevoli offerte da personalità mediche di primo ordine, insieme alla richiesta coraggiosa dei genitori, vengono respinte solo perché accettarle potrebbe in qualche modo mettere un punto interrogativo sul giudizio inappellabile del sistema medico/giudiziario dello Stato britannico. Perciò l’autorità della famiglia alla custodia del “best interest” dei figli viene soppressa, solo perché il loro giudizio non concorda con quello dell’équipe medica. L’arroganza davanti a questioni delicatissime, sul limite misterioso fra vita o morte, ha tutta l’aria di una mentalità priva di umiltà che si considera divina e onnisciente, motivo per cui mi sembra satanica.
Ma satana non vince sul nostro Cristo. La settimana scorsa io ed alcuni amici abbiamo ascoltato il racconto improvvisato di un’amica che ha seguito la vicenda di Alfie Evans sin dall’inizio. Quando parlava del silenzio delle autorità ecclesiastiche inglesi bruciavo dal senso di imbarazzo e di frustrazione. Ma quando ha spiegato che l’Ospedale legato alla Santa Sede, il Bambin Gesù, aveva offerto accoglienza ad Alfie, mi sono sentito molto sollevato e provocato. Ho capito che questa vicenda mi interroga rispetto a come sto accogliendo le vite scomode nelle circostanze della mia vita, se sto facendo spazio alle persone che di primo impatto possono apparirmi di sconforto, inutili o che mi provocano angoscia. Inoltre, il gesto generoso e coraggioso di papa Francesco nel ricevere mercoledì scorso Thomas Evans, il padre del piccolo Alfie, e di difendere la dignità del bambino davanti a tutto il mondo durante l’udienza generale, mi ha pervaso di un senso di gratitudine e di necessità di missione.
Alfie è molto malato. E le autorità britanniche sembrano decise a difendere la loro infallibilità sulle questioni relative alla vita e alla dignità dei loro sudditi, in particolare del piccolo Alfie (nella foto in alto il presidio della polizia per impedire il trasferimento di Alfie). Però la sua vicenda e la fedeltà semplice ed implacabile dei suoi giovanissimi genitori sta provocando le coscienze di tanti, compreso me. Non giudico la questione medica. Non sono un medico. Non giudico l’ospedale che non vuole continuare a curare Alfie. Ma respingo l’arroganza del potere che rifiuta la categoria della possibilità, sopratutto quando non è a loro che viene chiesto di portare avanti una cura e la ricerca di una diagnosi. Infine, sono grato con tutto il cuore a chi vuole valorizzare questa vita, alle persone che accompagnano con le opere e con la preghiera questa povera famiglia e di vedere che in questa storia c’è più che l’uomo all’opera.
Vincent Nagle
http://www.lanuovabq.it/it/curare-alfie-e-faticoso-ma-larroganza-e-satanica
La Pasqua di Alfie Evans. Giorno dopo giorno, una cronologia
Prima della Pasqua c'è stata la Quaresima. A cominciare da quel 20 febbraio in cui l'alta corte di giustizia di Londra sentenzia che il piccolo Alfie Evans, di 22 mesi, colpito da una malattia neurologica sconosciuta, inguaribile, e ricoverato all'Alder Hey Children's Hospital di Liverpool, deve essere fatto morire, sospendendo la ventilazione.
Nella sentenza, il giudice Anthony Hayden include, a sua giustificazione, un passo del messaggio sul fine vita che papa Francesco ha inviato il 7 novembre 2017 a monsignor Vincenzo Paglia, presidente della pontificia accademia per la vita.
Da Roma nessuna protesta per questo utilizzo strumentale delle parole del papa. Bisogna aspettare l'8 marzo perché una voce forte si levi ai gradi alti della Chiesa, quella del cardinale Elio Sgreccia, 90 anni, bioeticista di fama internazionale e presidente della pontificia accademia per la vita dal 2005 al 2008.
Ma, il 9 marzo, in un'intervista a "Tempi", monsignor Paglia dà ragione al giudice londinese in tutto.
Passano i giorni e cresce la mobilitazione in difesa della vita di Alfie, animata dai suoi genitori, Tom Evans e Kate James, poco più che ventenni, lei anglicana, lui cattolicoi.
Arriva Pasqua e il 4 aprile, mercoledì della settimana "in albis", papa Francesco rompe per la prima volta il suo silenzio con un tweet: "È la mia sincera speranza che possa essere fatto tutto il necessario per continuare ad accompagnare con compassione il piccolo Alfie Evans…".
Il 13 aprile, venerdì della seconda settimana di Pasqua, anche l'arcidiocesi di Liverpool parla, con un comunicato del portavoce. Ma con tutt'atro tono. Lamenta che i genitori di Alfie e le autorità dell'ospedale "non sono stati in grado di concordare un programma" per interrompere la respirazione del bambino. Registra con disappunto le manifestazioni di sostegno ad Alfie attorno all'ospedale. Notifica l'impegno del vescovo ausiliare di Liverpool, Tom Williams, a "supporto dei medici", senza però incontrare i genitori del piccolo, "che non sono cattolici". Prende atto che si continua a "pregare per Alfie, la sua famiglia e coloro che lo accompagnano in questo viaggio".
Il giorno dopo Tom Evans scrive all'arcivescovo di Liverpool, Malcolm Patrick McMahon, per esprimergli la sua tristezza per il comunicato, per ricordargli che sia lui che Alfie sono battezzati nella Chiesa cattolica e per chiedergli aiuto per "portare nostro figlio fuori dalla Gran Bretagna per essere curato fino alla fine naturale della sua esistenza terrena". L'ospedale pediatrico nel quale i genitori vorrebbero trasferire Alfie è quello del Bambino Gesù di Roma, che ha già espresso la sua disponibilità fin dalla scorsa estate e ha inviato suoi medici a Liverpool.
Ma dall'arcidiocesi nessuna risposta. Anche il cappellano dell'Alder Hey Children's Hospital si rende irreperibile alle richieste dei genitori di Alfie.
Il 15 aprile, terza domenica di Pasqua, è però papa Francesco che parla, e questa volta a voce alta, al Regina Caeli, associando ad Alfie il caso analogo di un francese di 42 anni:
"Affido alla vostra preghiera le persone, come Vincent Lambert, in Francia, il piccolo Alfie Evans, in Inghilterra, e altre in diversi Paesi, che vivono, a volte da lungo tempo, in stato di grave infermità, assistite medicalmente per i bisogni primari. Sono situazioni delicate, molto dolorose e complesse. Preghiamo perché ogni malato sia sempre rispettato nella sua dignità e curato in modo adatto alla sua condizione, con l’apporto concorde dei familiari, dei medici e degli altri operatori sanitari, con grande rispetto per la vita".
Lo stesso giorno, anche il presidente della pontificia accademia per la vita, monsignor Paglia, emette un comunicato in linea con quanto detto dal papa e a correzione di quanto affermato da lui in precedenza.
Ma il giorno dopo, lunedì 16 aprile, la situazione precipita. La corte d'appello respinge il ricorso dei genitori di Alfie contro la sentenza di morte del figlioletto. Tom e Kate decidono allora di fare un estremo ricorso alla corte suprema del Regno Unito. E pensano di ottenere un incontro con papa Francesco. Con loro, a Liverpool, c'è una collaboratrice del sito cattolico italiano La Nuova Bussola Quotidiana, Benedetta Frigerio, che prende contatto con la persona giusta per inoltrare la richiesta a Roma: monsignor Francesco Cavina, che ha lavorato per molti anni in segreteria di Stato prima di divenire, dal 2011, vescovo di Carpi.
E infatti, con rapidità fulminea, la mattina di martedì 17 aprile arriva la risposta di Francesco, che dà appuntamento a Tom per la mattina seguente, prima dell'udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro.
Nel pomeriggio del 17 aprile Tom parte da Liverpool e facendo uno scalo notturno ad Atene riesce ad arrivare a Roma giusto in tempo per l'incontro col papa.
L'incontro avviene a Santa Marta alle 9 di mattina del 18 aprile, mercoledì della terza settimana di Pasqua, e dura 20 minuti. Tom Evans consegna a Francesco un messaggio scritto e gli racconta la battaglia in corso per la vita di Alfie. Il papa lo incoraggia e benedice: "Dici bene, Thomas, tu difendi tuo figlio con coraggio, lo stesso coraggio con cui Dio difende i suoi figli".
Un'ora dopo, al termine dell'udienza generale in piazza San Pietro, il papa lancia un nuovo appello pubblico. Invita alla preghiera per Alfie e per altri come lui e insiste su ciò che si era detto nell'incontro di poco prima: "L'unico padrone della vita dall'inizio alla fine naturale è Dio e il nostro dovere è fare tutto per custodire la vita".
All'incontro a Santa Marta era presente anche il vescovo Cavina, al quale papa Francesco ordina di mettersi immediatamente all'opera con la segreteria di Stato per assicurare il trasferimento di Alfie nell'ospedale del Bambino di Gesù, che è di proprietà della Santa Sede.
Non solo. Il papa fa arrivare alla presidente dell'ospedale, Mariella Enoc, il suo personale incoraggiamento a "fare il possibile e l'impossibile". Nello stesso giorno Mariella Enoc incontra Tom Evans e concorda con la segreteria di Stato la stesura di due lettere ai dirigenti e ai legali dell'ospedale di Liverpool, finalizzate a stabilire una collaborazione stretta in vista del trasferimento di Alfie a Roma e dell'avvio di nuove ricerche scientifiche sulla sua malattia.
Nel pomeriggio, però, di questo stesso mercoledì 18 aprile, la conferenza episcopale dell'Inghilterra e del Galles pubblica una dichiarazione di segno del tutto opposto.
In essa, i vescovi inglesi respingono come "infondate" le critiche alle decisioni dei tribunali e dell'ospedale di Liverpool riguardo alle sorti del piccolo Alfie. Prendono nota della "offerta" dell'ospedale romano del Bambino Gesù di averlo in cura ma fanno capire che loro, i vescovi, non se ne vogliono occupare, perché "spetta a quell’ospedale [del Bambino Gesù - ndr] presentare ai tribunali britannici, dove vengono prese decisioni cruciali tra opinioni in conflitto, le ragioni mediche per un’eccezione da fare in questo tragico caso".
Sembra di leggere, in questa gelida dichiarazione dei vescovi inglesi, le stesse cose che monsignor Paglia sosteneva fino a poche settimana prima. E in effetti egli si è recato in Gran Bretagna alla fine del 2017, incontrando i vertici della conferenza episcopale inglese e trattando con loro i casi di Charlie Gard, di Alfie Evans e di altri bambini in condizioni simili.
Intanto però è sceso in campo sul fronte opposto, di fattivo sostegno al mantenimento in vita di Alfie, papa Francesco in persona.
È difficile prevedere che cosa deciderà la corte suprema del Regno Unito, se consentirà il trasferimento di Alfie a Roma o darà corso alla precedente sentenza di morte.
Ma è difficile anche prevedere che cosa ne sarà di questa impressionante divaricazione tra il papa e i vescovi inglesi. Con in gioco nientemeno che la vita di un bambino.
PREMESSA A PROPOSITO DEL CASO DI ALFIE EVANS
Tra poche ore il destino terreno del piccolo Alfie Evans sarà compiuto, se la Corte europea dei diritti umani di Strasburgo dovesse rifiutare il ricorso d’urgenza presentato contro le sentenze dei giudici inglesi che hanno decretato la morte del bambino, “nel suo miglior interesse”. E’ una vicenda questa di una gravità estrema per la pretesa cinica e feroce dello Stato – in tal senso totalitario - di decidere quando porre termine alla vita di un suo cittadino. Accade già in Belgio, in Olanda e ora si ripete in Gran Bretagna (qualche tempo dopo la tragica conclusione imposta da medici e giudici alla vita di un altro piccolo, Charlie Gard).
Tutto lascia presumere che decisioni del genere stroncheranno presto vite umane, ritenute “inutili”, anche in altri Stati occidentali (pur se dalla Francia è giunta l’altro ieri notizia della decisione di un giudice contrario a staccare la spina al tetraplegico Vincent Lambert): non saranno più casi eccezionali, ma normalità atroce. Ciò accadrà se non ci sarà una reazione popolare forte, sostenuta anche dalla politica. Lasciano ben sperare per l’Italia gli insistiti interventi pubblici di leaders politici nazionali come Matteo Salvini (Lega) e Giorgia Meloni (Fratelli d’Italia). Il primo ha evidenziato tra l’altro che “il pensiero unico condanna a morte Alfie Evans. In Inghilterra vogliono staccare la spina a questo angioletto, contro il volere dei genitori, che ieri hanno incontrato papa Francesco”. La seconda ha rilevato che “un bimbo innocente sarà lasciato morire soffocato perché un giudice ha ritenuto che è nel suo interesse e si è arrogato il potere di stabilire che la sua esistenza non è più degna di essere vissuta. Non ho parole. E lascia senza fiato la complice indifferenza con la quale la sedicente ‘Europa dei diritti sociali, della solidarietà e dell’inclusione’ ha accolto questa barbara sentenza”.
L’evoluzione della vicenda, comunque essa si concluda, è stata caratterizzata da comportamenti non univoci in ambito cattolico. Veramente inaccettabile l’atteggiamento dei vertici della Chiesa inglese – guidati dal cardinale Vincent Nichols - che, quando non hanno taciuto, hanno emesso comunicati grondanti ipocrisia. Per non parlare poi del vescovo di Liverpool, tale Malcolm Mcmahon, che, richiesto di un intervento, non si è fatto trovare: in cambio dagli uffici dell’arcidiocesi è stata inviata ai genitori di Alfie una lettera – pure grondante ipocrisia dalla prima all’ultima parola - in cui li si definiva con grave errore “non cattolici”.
Una vera testimonianza di fede è invece stata offerta dagli eroici genitori Tom e Kate, da migliaia di persone a Liverpool (da notare l’aiuto pervenuto dal presidente e dai tifosi dell’Everton, l’altra grande squadra di calcio della città) e da centinaia di migliaia nel resto del mondo. Tante anche in Italia, mobilitate in queste ore un po’ dappertutto in veglie, rosari e adorazioni eucaristiche (partecipa spesso anche il movimento delle “Sentinelle in piedi”, derivato dalla Manif pour tous ).
Grande e meritoria tra i media l’attenzione partecipe e appassionata con cui La Nuova Bussola Quotidiana (LNBQ) ha seguito e contribuito a far crescere la consapevolezza della gravità della vicenda nel mondo cattolico. La LNBQ ha inviato a Liverpool una giornalista, Benedetta Frigerio, che ha riferito puntualmente e dettagliatamente di quanto stava accadendo, dandosi molto da fare ed entrando in stretto contatto con Tom Evans, padre di Alfie. Quando, un paio di settimane fa, si prospettò l’eventualità che il Vaticano ospitasse Alfie e la sua famiglia, LNBQ contattò monsignor Francesco Cavina, per quindici anni in servizio presso la Segreteria di Stato e dal 2011 vescovo di Carpi. La collega Frigerio si incaricò di consegnare le lettere di Tom Evans e di Francesco Cavina all’indirizzo della stessa Segreteria di Stato e del Papa a proposito dell’auspicato ‘asilo politico’. Domenica 15 aprile il padre di Alfie ha espresso a Benedetta Frigerio il grande desiderio di incontrare il Papa. Martedì a pomeriggio inoltrato monsignor Cavina ha informato che Francesco avrebbe ricevuto Evans alle nove del giorno successivo. Unico volo disponibile, quello da Manchester a Roma via Atene. Ad organizzare il viaggio e ad accompagnare Evans c’era Benedetta Frigerio. E mercoledì mattina il Papa ha effettivamente incontrato (incoraggiato, assicurato che avrebbe chiesto personalmente l’asilo per Alfie) Tom Evans: erano presenti monsignor Cavina, Benedetta Frigerio (“Santo Padre, se Lei difende Alfie, difende tutti i bambini che sono in condizioni simili”), l’interprete. All’incontro con il Papa è seguito quello con Mariella Enoc, presidente dell’ospedale Bambin Gesù. La situazione resta molto complicata anche dal punto di vista diplomatico, ma la Segreteria di Stato è in piena attività e…la speranza è l’ultima a morire. Anche se Strasburgo potrebbe sancire la morte terrena di Alfie.
Altri media hanno dato ampio spazio alla vicenda, dalla Verità a Avvenire (anche se quest’ultimo si è ben guardato dal citare, come sarebbe stato corretto, il gran lavoro de La Nuova Bussola Quotidiana …meschinità catto-fluide…), a diversi siti e blog cattolici.
Gratitudine – anche per l’esempio concreto, incontrovertibile, ben visibile, dato a tutti i cattolici e alle persone di buona volontà - va certo, oltre che a monsignor Cavina e alla Segreteria di Stato, a papa Francesco, che in occasione del caso riguardante Charlie Gard si era espresso con un tweet, un paio di dichiarazioni della Sala Stampa della Santa Sede e aveva lasciato trapelare la disponibilità a conferire la cittadinanza vaticana al bambino. Questa volta ha fatto di più: dapprima un tweet il 4 aprile, poi un’invocazione al termine del Regina Coeli di domenica 15 aprile. Mercoledì mattina 18 aprile l’incontro a Santa Marta e un forte richiamo durante l’udienza generale successiva: “Attiro l’attenzione di nuovo su Vincent Lambert e sul piccolo Alfie Evans. Vorrei ribadire e fortemente confermare che l’unico padrone della vita dall’inizio alla fine naturale è Dio, e che il nostro dovere è fare del tutto per custodire la vita. Pensiamo in silenzio e preghiamo perché sia rispettata la vita di tutte le persone, specialmente di questi due fratelli nostri". Così parla e agisce un Papa cattolico.
Concludiamo questa “Premessa” riproducendo l’appello di poche ore fa di mons. Cavina, delegato dal Papa a tenere i rapporti tra la Segreteria di Stato, la famiglia Evans e l’ospedale Bambin Gesù: "Il piccolo Alfie Evans è condannato a morte da una sentenza di secondo grado dell’Alta Corte Inglese. I genitori stanno lottando per la vita del loro bambino. Il Papa ha ricevuto in udienza il padre. Gli ospedali Bambino Gesù e Gaslini sono pronti a prendersi cura del piccolo paziente al quale però è proibito lasciare il Paese. È la sua ultima speranza. Solo la forza della preghiera potrà sciogliere i cuori e sbriciolare muri che ora sembrano insormontabili”.estratto da :
https://www.rossoporpora.org/rubriche/vaticano/776-polonia-memoria-la-franchezza-di-noemi-di-segni-con-premessa-su-alfie.html
SULLA VITA E IL SUO CREATORE
"Ecco perchè la battaglia di Alfie è anche la nostra"
Manuela è la mamma di Anna e Giulia, due giovani gemelle entrambe nate con la sindrome di Rett e colpite da severi handicap fisici e mentali. A La Nuova Bqracconta la storia della sua famiglia, tanto diversa e tanto simile a quella degli Evans: «Dietro al volto di Alfie c'è quello delle mie figlie e di tutti i bambini nati con gravi patologie. Gli Evans gridano al mondo il valore immenso di queste creature. Per questo noi lottiamo al loro fianco!».
- LE FOTO DI ALFIE: «ALTRO CHE BEST INTEREST» , di Benedetta Frigerio
- SENTENZA CHE ANNULLA IL DIRITTO PER IL MALE DI ALFIE, di T. Scandroglio
«E’ proprio così: la forza ce la danno i nostri figli! Sono loro che combattono in modo sorprendente e meraviglioso per la vita! Sono loro che insegnano a noi genitori a combattere, a vivere, ad amare!». Quando Manuela ci raggiunge al telefono, siamo come investiti da un fiume in piena: «E pensare che prima che arrivassero le gemelle ero timida e chiusa», sorride lei. Manuela ha seguito sul nostro giornale tutta la vicenda di Alfie Evans e vuole faci capire quanto il destino del piccolo paziente inglese c’entri anche con la sua famiglia e, per riflesso, con tutte le famiglie che custodiscono figli con gravi o gravissime disabilità. «Quando ho visto Thomas (il papà di Alfie, ndr) muovere mari e monti per il suo bambino malato, quando gli ho sentito dire che suo figlio è un vero guerriero e che vuole vivere, io non posso spiegare quanto mi sono sentita vicina a lui! Ho rivisto la mia storia, la storia della nostra famiglia: credetemi è vero quello che dice!».
Manuela è mamma di tre figlie, che ormai sono giovani donne. Due di loro – Anna e Giulia – sono gemelle e sono entrambe affette dalla sindrome di Rett. Si tratta di una rara patologia neurologica dello sviluppo, che colpisce quasi esclusivamente le femmine, con esordio “cinico e violento” intorno ai due anni: in poche parole, le bambine affette da Rett nascono apparentemente sane per poi perdere progressivamente tutte le abilità acquisite, guadagnando al contempo handicap gravissimi. «Nel nostro caso- spiega Manuela - l’esordio e la diagnosi della malattia furono anche più difficili poiché Anna e Giulia sono nate premature, a 7 mesi di gestazione, e per di più gemelle. Tutti questi fattori rendevano la situazione ancora più rara e complicavano il quadro clinico». E’ come se più elementi insieme si fossero accaniti contro queste piccolette: «E’ stata la Provvidenza a ritardare la diagnosi – ci spiega invece Manuela - permettendo a me di entrare in questa realtà a piccoli passi e di poterla così accettare».
Anna e Giulia oggi hanno 21 anni, a maggio 22, sono completamente inibite nei movimenti, costrette in sedia a rotelle e non dicono una parola, oltre ad avere gravissimi ritardi intellettivi. «Ma possono comunicare muovendo gli occhi”, assicura mamma Manuela che non ha dubbi:«Quando vogliono qualcosa, sanno farsi capire bene e noi abbiamo imparato il loro linguaggio che è diverso, ma non per questo assente”. Manco a farlo apposta, proprio mentre Manuela ci spiega queste cose, è costretta ad interrompere per qualche minuto la telefonata: «Anna dice che è scomoda e vuole essere spostata». Appunto.
Il tempo necessario per le manovre e riprendiamo. Riprendiamo proprio da quel punto che tanto preme a Manuela, quello che unisce le storia di Alfie a quella di Anna e Giulia: «Voglio ringraziare con tutto il cuore questo giovane e coraggiosissimo papà” continua lei riferendosi a Thomas Evans «perché lui ha capito da subito e con tanta semplicità quello che io ho impiegato anni ed anni a comprendere e accettare: la forza di combattere ce la danno i nostri figli! Anche le mie figlie, come Alfie, vogliono accanto a loro una famiglia che le ama incondizionatamente e persone esperte che sappiano colpire il male che le affligge. Anche Anna e Giulia, come Alfie, vogliono essere difese da una umanità che, affrancata dal suo Creatore, sembra smarrire sempre di più la sua dignità!».
Manuela infatti non ci nasconde tutte le difficoltà e le grandi sofferenze attraverso cui è dovuta passare, lei per prima. «Ho sempre saputo che nella mia vitanon avrei mai abortito: sono una persona razionale e nella mia razionalità l’aborto mi è sempre sembrato anzitutto un atto contrario alla ragione. Perciò in gravidanza non volli nemmeno fare alcun esame che avesse un fine esclusivamente “selettivo”. Quando però nacquero le gemelle ed ebbi l’infausta diagnosi, caddi in un buio profondo. Non tanto perché la mia ragione vacillasse - ero e rimanevo fermamente convinta della mia scelta - , ma perché capii subito che il mio cuore non c’era, era come se non fosse ancora sintonizzato con la mia ragione». Imparare ad amare totalmente e incondizionatamente le sue figlie, è stato per Manuela il frutto di un lungo e paziente cammino, in cui sono stati indispensabili tre elementi: «Prima di tutto ho avuto la Grazia della fede in Gesù Cristo che non mi ha mai abbandonato. Insieme, ho la Grazia della compagnia di mio marito Giorgio, che nella sua semplicità e concretezza ha abbracciato subito e totalmente le nostre figlie. E, infine, la Grazia stessa delle nostre figlie: i loro sorrisi, i loro sguardi, il loro modo tutto particolare e fantastico di comunicare. Anna e Giulia pur non potendo parlare e pur avendo ritardi intellettivi gravissimi, hanno sempre e dico sempre avuto la capacità di coprirmi di amore e di emozioni. Loro sono felici e mi hanno insegnato cos’è la felicità!».
Una felicità vera, contagiosa, perciò capace di abbattere qualsiasi posizione ideologica sulla vita: «Abbiamo diversi amici o conoscenti che si dicono favorevoli all’aborto, che sostengono che sia giusto la libertà di scelta sull’aborto, soprattutto di fronte a casi di gravi malattie o handicap. Poi però sa cosa succede? Che queste persone sono le stesse che non vedono l’ora di passare del tempo in casa nostra, che amano stare con Anna e Giulia, che vogliono loro un bene sincero». Come a dire che di fronte alla realtà, se solo le si lascia spazio, i pregiudizi e le paure si infrangono, mentre la verità guadagna spazio. Quello che invece fa più soffrire Manuela è l’atteggiamento di chi dovrebbe conoscere e supportare la situazione: «Non è raro trovare medici, infermieri o fisioterapisti che trattano i nostri figli come casi disperati. Sa quante volte mi sono sentita dire: "Ma Signora cosa pretende?" Come se le mie figlie fossero un caso perso e disperato. Si demoralizzano perché non vedono in loro i risultati: ma fatemi capire - dico io - le mie figlie valgono per i loro risultati? Il vostro stesso lavoro, voi stessi valete semplicemente per i risultati che riuscite ad ottenere? Io credo davvero che si è capovolto l’ordine di ciò che vale nella vita e, soprattutto, non si vive più la vita in rapporto con il Suo Creatore».
Ecco perché Manuela insiste nel dire che Thomas e Kate, i genitori del piccolo Alfie, hanno un grandissimo coraggio: «Perché contro tutto e contro tutti, ricordano al mondo intero l’inestimabile valore di Alfie e, con lui, di tutte le vite come le sue!». Manuela ci fa capire che in verità la battaglia degli Evans va ben oltre la battaglia per Alfie, per le cure, per l’assistenza, per la libertà di scelta dei genitori; la loro battaglia è una battaglia per la vita nel suo inscindibile legame con il Creatore. «Dietro al volto di Alfie ci sono i volti delle mie figlie e di tutte queste meravigliose creature!» che sono tutto il contrario della perfezione e dell’efficienza, che sono tutto il contrario dell’autonomia e dell’autodeterminazione. Ma sono vite che più di tutte ci insegnano la Verità sulla vita: lottare, amare, dipendere.
Costanza Signorelli
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