ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 3 aprile 2018

Quanto diverse queste da quelle!

QUALES ERANT, QUANTUM ISTAE MUTATAE AB ILLIS!
Quali erano, e quanto queste mutate da quelle!
   

Il titolo di questo nostro intervento – parafrasi di En. II, 275 - ci è di sùbito venuto in mente dopo la lettura di un servizio giornalistico (Il Giornale, 27-3-2018) in cui l’autore, con prosa oscillante tra l’approvazione e la critica, ci narra di alcune particolari figure femminili, di alcune suore cioè, che, varcato il limite del sacro recinto monastico, si sono inoltrate negli ariosi e micanti labirinti della mondanità col mutuarne e viverne comportamenti, attività, forme e fogge che contrastano in modo assoluto con l’impegno assunto nel momento in cui pronunciarono il loro ‘sì’ al Signore, a Lui legandosi “perché fino al morir si vegghi e dormacon quello Sposo ch’ogni vóto accetta” (Par. III, 100/101).

Il verso virgiliano descrive lo stupore doloroso di Enea che ha la visione di Ettore, l’eroe troiano ucciso da Achille, apparso assai diverso da quello che era al tempo del suo fulgore, un Ettore mesto, misero, dimesso, stravolto. E tale verso rampollò quando, come appunto dicemmo, ci venne sotto gli occhi la storia di alcune – fra le numerosissime - suore moderne di connotazione opposta a quella di altre monache che illuminano tuttora il cielo della Cattolicità.

Ed allora abbiam sentito l’urgenza di rammentare, e porre a fronte, due modelli di vita consacrata onde dare, con consapevole nota critica, un efficace ed educativo avvertimento al lettore distratto che, osservata al volo la notizia, non avesse còlto la sciatta disinvoltura con cui le Congregazioni e gli Ordini religiosi, nella sequela della teologìa postconciliare, lacerano la santità del voto e stravolgono lo scopo della loro vocazione.

La cronaca, questa volta, ci presenta cinque modelli di suore che, secondando l’esortazione conciliare e bergogliana ad uscire dalla anacronistica autoreferenzialità claustrale, ad essere madri e non zitelle (8 maggio 2013), si son date anima e corpo a una ‘pastorale’ che, diciamolo con chiarezza, tutto è meno che ‘evangelica’.

Ed ecco, per l’appunto, le cinque magnifiche:


- sister Madonna Buder, detta ‘Iron nun’ – suora di ferro - di anni 87, acclamata maratoneta che quotidianamente si esibisce in allenamenti per massacranti gare di fondo;



- sister Jane Dolores-Schmidt che, all’età di 98 anni, dirige ed allena la squadra di pallacanestro ‘Loyola Ramblers Chicago”;



- sister Angela Chandler, suora ‘cowboy’ del monastero di Brenham, diventato luogo di culto per masse di turisti;



- sister Caroline Killeen, convinta predicatrice pro-marijuana e più volte candidata alla Casa Bianca;


 
- suor Cristina Scuccia, vincitrice del programma ‘The Voice’, che calamitò 47 milioni di visualizzazioni su ‘YouTube’.

A noi non piace, sia detto senza reticenze e litoti, siffatto stile di vita che palesemente sovrasta ed offusca il primario scopo che le suddette similsuore si impegnarono a perseguire allorquando, pronunciando il sì al Signore, si legarono con voto solenne alla preghiera e al nascondimento spirituale.

Qualcuno osserverà che anche in ruoli mondani è possibile svolgere opera evangelizzatrice. Sarà così, ma a noi riesce difficile crederlo così come difficile è ritenere lecito e ‘pastorale’ il costume in due pezzi che, seppur in spiagge private ma esposte a sguardi indiscreti, talune monache esibiscono nei mesi estivi.

O tempora, o mores!  Quale mutazione genetica s’è prodotta dal 1965 ad oggi!

Il nostro pensiero corre a ben altri modelli che, pregando, soffrendo e offrendosi vittime in espiazione, adempirono il vóto di appartenere totalmente a Cristo e di spargere il buon seme nel campo del Signore.




Santa Caterina da Siena, Santa Rita da Cascia, Santa Teresa d’Avila, Santa Bernadette Soubirous, Santa Teresina del B. G.: ecco cinque luminose figure che, ciascuna secondo il proprio carisma e la finalità della propria vocazione (I Cor. 12, 4) furono nel mondo, non gli appartennero, ma lo misero “nel buon filo” (Par. XXV, 63), dedite all’evangelizzazione, alla diffusione del messaggio di Cristo e alla conversione delle coscienze.

Il serio loro sorriso, la preghiera, la meditazione silenziosa, la composta ma efficace loro parola fanno, e sono, il ritratto di una Chiesa trionfante, diversamente dalla risata, dalla logorrea e dal frenetico dinamismo esteriore delle cinque ‘impegnate’ che, nei volteggi di un vero avanspettacolo, disegnano una Chiesa scolorita, perdente, convinta di convertire il mondo non accorgendosi d’essere, invece, da questo deglutita ed assimilata.

Quanto diverse queste da quelle!

di L. P. 

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