Siria, tanti i dubbi sull'attacco chimico a Douma
Nel conflitto siriano tornano protagoniste le “armi chimiche” dopo l’accusa al governo di Assad di aver ucciso a Douma, ultima sacca di resistenza dei ribelli jihadisti intorno Damasco, "ben oltre 100" persone. Le prove non ci sono, i dubbi sono molti.
Nell’infinito conflitto siriano tornano protagoniste le “armi chimiche” dopo l’ennesima accusa al governo di Bashar Assad di aver ucciso a Douma, ultima sacca di resistenza dei ribelli jihadisti nei dintorni di Damasco, "ben oltre 100" persone, come ha riferito l'Unione di beneficenza delle organizzazioni di assistenza medica e di soccorso (UOSSM).
"Molte delle vittime erano donne e bambini e presentavano sintomi consistenti con l'inalazione di gas tossico", si legge in una nota dell’Ong presente a Douma e vicina ai ribelli di Jaysh al-Islam, milizia jihadista filo-saudita che presidia l’ultima ridotta delle forze antigovernative nella regione della capitale. "Alcune delle vittime hanno presentato i seguenti sintomi: cianosi, schiuma della bocca, irritazione della cornea e l'odore forte di una sostanza simile al cloro". Già in passato i ribelli hanno lanciato accuse simili, basti ricordare il caso di Ghouta nel 2013 che vide anche all’epoca protagonisti i ribelli filo-sauditi, fino a Khan Sheykoun l’anno scorso, nella sacca di Idlib presidiata dai qaedisti del Fronte al-Nusra oggi noto come Jabhat Fateh al-Sham. Denunce mai provate, né circostanziate, ma comunque cavalcate da Occidente e mondo arabo schierati con i ribelli jihadisti e spesso divulgate con disinvoltura dai media europei e americani, spesso senza evidenziare che le uniche fonti accessibili su questi come su altre vicende di quel conflitto sono solo quelle legate agli insorti.
Del resto le accuse a Damasco appaiono poco credibili anche dalle immagini diffuse dagli uffici di propaganda delle milizie jihadtste che spesso riprendevano soccorritori in maniche di camicia e privi di protezione che si occupavano delle vittime del gas nervino. Immagini improbabili poiché gli agenti nervini vengono assorbiti anche dalla pelle e soccorritori privi di equipaggiamenti adeguati morirebbero in poche decine di secondi. Nel caso di Douma non bastano certo le immagini crude di bambini morti, presunte vittime del cloro, o di sopravvissuti attaccati a simil bombole ad ossigeno per dimostrare le responsabilità di Damasco. Anche perchè il cloro non è letteralmente un’arma chimica, ma un prodotto chimico reperibile facilmente che risulta tossico e anche mortale in elevate concentrazioni.
Non si tratta degli arsenali di gas Sarin,Tabun e VX che Damasco ha consegnato alla comunità internazionale nel 2014 ma di un aggressivo chimico non solo alla portata di tutti ma già impiegato nella guerra civile siriana da diverse milizie incluso Stato Islamico, qaedisti di al-Nusra e dallo stesso Jaish al-Islam che lo utilizzò esattamente due anni or sono nei combattimenti contro le milizie curde. La stessa milizia si è già resa responsabile dell’utilizzo dei civili come scudi umani o, per meglio dire, come carne da cannone da colpire per attribuire poi la responsabilità ai governativi, come hanno raccontato anche molti civili evacuati dai governativi dalla regione di Ghouta Orientale. Come già in passato Damasco e i suoi alleati russi e iraniani hanno negato vi sia stato l’impiego di armi chimiche, mentre Israele sostiene le accuse e Washington incolpa anche Mosca e Teheran.
In realtà appare improbabile che i governativi impieghino armi chimiche innanzitutto perché stanno vincendo la guerra e non hanno alcuna ragione valida per dover compiere azioni che li esporrebbero alla riprovazione internazionale. Sul piano strettamente militare le armi chimiche servono a uccidere migliaia di persone, non poche decine o un centinaio, facilmente eliminabili utilizzando l’artiglieria o bombe d’aereo convenzionali. L’obiettivo della propaganda di Jaish al Islam (non vi sono fonti neutrali a Douma) è ancora una volta quello di creare indignazione internazionale contro Assad incoraggiando un intervento militare internazionale che venne indicato già nel 2013 da Barack Obama, quando definì l’uso di armi chimiche da parte del regime siriano la "linea rossa" oltrepassata la quale Washington avrebbe dato il via ad attacchi militari contro Damasco. Un intervento Usa chiesto ieri dal ministro israeliano degli affari strategici e della pubblica sicurezza Gilad Erdan mentre Donald Trump ha accusato su Twitter il suo predecessore di non aver rispettato la sua promessa di intervenire contro Assad se avesse usato le armi chimiche. "Se il presidente Obama avesse varcato la sua dichiarata linea rossa, il disastro siriano sarebbe finito molto tempo fa! L'animale Assad sarebbe stato storia!"
Le vittime di Douma sembrano quindi funzionali a interessi ben più complessi dell’impiego di cloro nella guerra civile siriana. Trump vorrebbe ritirare al più presto i 2mila militari schierati in Siria, o almeno così dice. Israele e monarchie sunnite del Gofo, sauditi in testa, sono contrari perchè consapevoli che senza quelle truppe Assad riprenderebbe il controllo di tutto l’Est del Paese e i turchi alleati del Qatar (odiato nemico di Riad) si consoliderebbero nel nord. Anche il Pentagono e gran parte dell’amministrazione Usa si oppongono al ritiro dalla Siria di una missione militare che da tempo la Casa Bianca vorrebbe venisse finanziata dai sauditi. Riad finora ha risposto picche, anche se nella grande alleanza stipulata dal principe bin Salman con Trump un punto d’intesa potrebbe forse emergere. Nulla di meglio di un po’ di immagini di bimbi uccisi dal cloro di “quell’animale” di Assad per giustificare agli occhi dell’opinione pubblica americana la decisione di mantenere ancora a lungo le truppe in Siria.
Gianandrea Gaiani
http://www.lanuovabq.it/it/siria-tanti-i-dubbi-sullattacco-chimico-a-douma
Siria: l’attacco chimico, tragico pretesto
Un altro attacco chimico in Siria scatena la reazione internazionale. “Ora l’America di Trump dovrà colpire. Dovrà rispondere alle immagini spaventose che giungono dalla Siria”, scrive Franco Venturini sul Corriere della Sera di oggi. Si potrebbe concordare. Ma difficilmente Washington bombarderà Ryad, che sostiene i jihadisti di Jaysh al-Islam, l’organizzazione jihadista che ha lanciato l’attacco.
Perché, con ritornello ripetitivo quanto stantio, i politici e i media dell’Occidente accusano Damasco e Putin. E si preparano a colpire la Siria.
Un attacco chimico annunciato
Solo che stavolta Mosca non starà a guardare. Ha allertato le difese schierate in Siria, e sono tante. Sarà la terza guerra mondiale? Washington dovrebbe riflettere prima di compiere passi fatali. L’escalation è una possibilità, anche se ad oggi remota.
Sull’attacco chimico è inutile spiegare che Assad non ha alcun interesse a usare i gas contro i suoi nemici, anzi, sui quali sta avendo la meglio usando armi convenzionali.
Per un beffardo incrocio di destini, proprio oggi sembra si sia chiuso l’accordo con gli assassini di Jaish al islam che controllano Douma, il quartiere nel quale sono stati sganciati i gas. Dovrebbero andarsene altrove, liberando l’area dalla loro nefasta occupazione.
Ma al di là, degli sviluppi, resta che non interessa a nessuno accertare i fatti. La responsabilità di Assad è dogma inderogabile. Come furono le armi di distruzione di massa di Saddam. E anche se gli interventisti palesano qualche dubbio, restano fermi nell’asserire che Assad va colpito.
Come fa Venturini con quel cenno col quale abbiamo iniziato questa nota. Nel proseguo dell’articolo, infatti, ammette che la responsabilità del governo siriano è dubbia…
A fine marzo avevamo riportato che “i ribelli siriani che combattono nel Ghouta avrebbero simulato un attacco chimico contro i civili come pretesto per un attacco americano“. Una constatazione non nostra, ma del sito Debkafile, collegato ai più che informati servizi segreti israeliani, che pure non hanno in grande simpatia Assad, anzi.
E da giorni media russi e iraniani avevano allertato su un attacco chimico imminente ad opera dei cosiddetti ribelli per incolpare i siriani.
Sempre Debkafile, oggi riporta: “Alcune fonti a Washington sospettano che alcuni gruppi dell’opposizione siriana stiano innescando l’escalation nella speranza di provocare un’azione militare USA in Siria, ribaltando l’intenzione annunciata dal presidente Trump di riportare a casa le truppe statunitensi“.
Trump e il ritiro dalla Siria
Trump, obnubilato dai fumi dell’incendio che ieri è divampato alla Trump Tower, (funesto presagio), si è scagliato lancia in resta per un’azione militare. La sua idea di ritirare le truppe dalla Siria sembra dunque appartenere al passato.
Oggi le difese siriane danno notizia di aver abbattuto alcuni missili Tomahawk lanciati contro una loro base aerea, un attacco che Mosca attribuisce a Israele.
Gli autori della strage di Douma sembrano dunque aver conseguito i risultati sperati.
Resta la perplessità per un complesso mediatico unidirezionale, come riscontrato durante la guerra in Iraq e quella in Libia. L’Unione sovietica aveva la Pravda, parola russa che significa verità.
Ai media occidentali è consentita certa libertà su temi secondari, ma, quando il sistema si compatta su una decisione che riguarda il suo stesso destino, hanno anche loro una Pravda alla quale attenersi, pena l’esclusione dal sistema stesso.
Una Pravda più sofisticata, certo, ma non meno perniciosa. Pericolosa deriva. Totalitaria.
http://piccolenote.ilgiornale.it/35750/35750
La guerra Usa-Russia pronta a far nuove vittime
di Mauro Bottarelli - 07/04/2018
Fonte: Il Sussidiario
«I test non hanno potuto verificare la precisa fonte della sostanza. Non abbiamo identificato la precisa fonte, ma abbiamo fornito l'informazione scientifica al governo, che ha poi usato varie altre fonti per arrivare alla conclusione», ha affermato Gary Aitkenhead, direttore del laboratorio militare britannico di Porton Down. E a cosa si riferisce? Al gas nervino, il Novichok, utilizzato per avvelenare l'ex spia russa doppiogiochista, Sergei Skripal e la figlia Yulia, la quale a detta della autorità britannica non solo è fuori pericolo, sta meglio ma si alimenta da sola.
Contenti? E cosa significa tutto questo? Semplice, che il governo britannico per nascondere il disastro che sta compiendo relativamente al Brexit e obbedire ai desiderata dei compari d'Oltreoceano del Deep State ha dato il via a una guerra diplomatica senza precedenti dopo la Guerra Fredda, basandola sul nulla. Parliamo di una campagna anti-russa a livello globale, la quale ha visto in prima fila Stati Uniti, Ue, Nato, tutti pronti a puntare l'indice accusatore contro il Cremlino: prove? Zero. Eppure, si sono ritirati ambasciatori, diplomatici e incaricati d'affari da una parte e dall'altra, chiusi consolati, minacciate nuove sanzioni economiche contro Mosca, operato con una modalità che nemmeno il maccartismo più bieco aveva conosciuto durante gli anni del Muro.
Di più, un capo di governo ha accusato direttamente un suo omologo di essere il mandante di un avvelenamento con sostanze chimiche su territorio di fatto non solo estero ma nemico (Nato), mentre il ministro degli Esteri dello stesso esecutivo ha rincarato la dose, affermando che Vladimir Putin intende utilizzare i prossimi mondiali di calcio come vetrina propagandistica, esattamente come fece a suo tempo Adolf Hitler. Accuse di una durezza senza precedenti, cui gli alleati hanno prestato il fianco, applaudendo come beoti. O, come temo, come complici di un'operazione di disinformazione e destabilizzazione, destinata a oscurare il risultato delle elezioni presidenziali del 18 marzo scorso, quando Vladimir Putin è stato rieletto con il 76% dei consensi e con l'Osce che, pur attaccandosi a tutti (hanno trasformato un singolo seggio siberiano nell'epicentro politico del mondo, visto che si sarebbero riscontrati alcuni brogli, immagino simili ai cinesi in coda per le primarie del Pd a Milano o ai 10 euro per ogni scheda elettorale pagata in Campania alle amministrative), non è riuscita a screditare il risultato: «L'assenza di competitori reali ha comunque reso la tornata elettorale non credibile», è stata l'accusa. Quasi a voler sottolineare che i competitor veri, tipo quel pagliaccio manovrato dal Dipartimento di Stato di Aleksey Navalny (accreditato prima del voto addirittura di un fenomenale 8% a livello nazionale), o vengono fatti fuori dalla magistratura o dai sicari del Cremlino. Proprio come avrebbe dovuto capitare a Skripal: del quale, però, non si sa nulla. Mentre la figlia Yulia, presumibilmente, si ingozza di bacon alimentandosi da sola, di lui nessuna notizia. Non una fotografia, un bollettino medico in favore di telecamere. Nulla.
Forse perché non è mai accaduto davvero nulla di quanto ci hanno raccontato? Sarebbe da sperarlo, perché altrimenti saremmo di fronte a un fatto politico non solo di prima grandezza, ma di una gravità inusitata, un qualcosa che trasforma la denuncia di Colin Powell delle armi chimiche di Saddam Hussein, agitando fialette piene presumibilmente di Buscopan, in uno scherzo da 1 di aprile. Si è scatenata una guerra diplomatica con la Russia basandola sul nulla, nella migliore delle ipotesi o su una bugia, nella più probabile: ci rendiamo conto che stiamo parlando di Mosca e non di uno staterello centroafricano che si può trattare come una confraternita universitaria? Ma siamo impazziti? E nessuno, dico nessuno, che chieda le dimissioni di Theresa May e Boris Johnson: nessuno.
Ma c'è di peggio. Perché l'altro giorno, la stessa Ue che ha visto i suoi Stati membri condannare aprioristicamente la Russia per l'accaduto (sempre che sia accaduto) ed espellere personale diplomatico dal proprio suolo, ha presentato il piano anti-fake news in vista delle elezioni europee del maggio 2019! Verrebbe da ridire, se la cosa non fosse tremendamente seria. Le regole da imporre ai social network, casualmente dopo l'esplosione a orologeria del caso Facebook-Cambridge Analytica? Maggiore trasparenza sugli algoritmi, limiti sulla raccolta di informazioni personali per scopi politici e trasparenza di chi finanzia contenuti sponsorizzati. E chi ha presentato in pompa magna l'iniziativa, dopo le denunce in tal senso di Jean-Claude Juncker in persona e del Garante della privacy Ue, l'italiano Giovanni Buttarelli? Il Commissario europeo per la sicurezza. E di chi si tratta? Di Julian King. Britannico. A detta del quale, «gli scandali come quelli di Facebook e Cambridge Analytica rischiano di sovvertire i nostri sistemi democratici». Invece le bugie dei governi come quello del suo Paese rischiano di far precipitare la situazione con una potenza atomica, contro la quale non solo si è messa in campo da oltre un anno un'operazione di disinformazione e destabilizzazione globale senza precedenti (basti su tutto la pantomima Usa sul cosiddetto Russiagate, il quale a oggi non ha portato alla luce e alla conoscenza dell'opinione pubblica una sola prova degna di tal nome dell'intervento del Cremlino a favore di Donald Trump e contro Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali del novembre 2016), ma che, di fatto, è schierata sul confine Est dell'Ue, con il Baltico tramutato ormai da mesi in una sorta di fortino.
C'è qualcosa che non torna. Perché o siamo di fronte a dei veri e propri Dottor Stranamore, così pazzi e invasati di russofobia da sfidare anche il rischio di un confronto militare o quanto sta accedendo è l'ennesima cortina fumogena per mascherare altro, per mascherare l'inconfessabile o l'ingestibile a livello di politiche interne. Ad esempio, i reali costi e le reali condizioni del Brexit per la Gran Bretagna? O, peggio, il fatto che chi di dovere abbia già deciso che quell'addio non s'ha da fare e ora si necessità di un casus belli di quelli seri per bloccare tutto o dar vita al secondo referendum, non a caso auspicato dal più atlantista dei britannici, l'ex premier Tony Blair? E che dire della crisi finanziaria che verrà e del reale stato di salute dell'economia Usa? O magari una bella crisi internazionale, con la tensione alle stelle e la campagna ansiogena di istituzioni e media a garantire altro tempo alla Bce e alla sua monetizzazione dei fallimentari debiti sovrani e corporate di alcuni Stati?
Qualcosa sotto c'è, perché non si arriva a una quasi dichiarazione di guerra totale - a livello diplomatico - con la Russia, se la posta in palio non è di quelle davvero serie. E condivise da più di un protagonista. Prendete poi la Svezia, Paese non membro Nato, ma ritenuta sulla linea del fronte russo anche a causa della militarizzazione russa di Kaliningrad, meno di 300 chilometri dal Paese scandinavo, come mostra la cartina qui sotto. Sapete quanto ha stanziato in spese per la difesa dalla minaccia russa Stoccolma per il periodo 2012-2025? Qualcosa come 4,2 miliardi di corone, ovvero 510 milioni di dollari circa: una cifra ridicola se messa a paragone con il budget Usa, ma decisamente seria per un Paese così piccolo e, formalmente, neutrale.
Per il triennio in corso - quello 2018-2020 - sono 400 i milioni di corone già messi a budget per investimenti nella difesa, con tanto di mega-esercitazione congiunta anti-russa da tenersi fra due anni: scommettete che uno degli effetti collaterali di quanto accaduto sarà l'ingresso ufficiale della Svezia nella Nato, geo-strategicamente e storicamente un colpo enorme? E sapete parte dei fondi per cosa saranno stanziati? «Addestramento e preparazione dei cittadini a resistere contro gli sforzi della propaganda russa e le sue fake news diffuse attraverso i social media», ha dichiarato la scorsa settimana il presidente della Commissione difesa svedese, Bjorn von Sydow, a detta del quale «difendere i principi democratici è vitale per la nazione».
E chi venderà armamenti e tecnologia alla Svezia, a vostro parere? E pensate che le pressioni statunitensi rispetto alla quota 2% delle spese militari sul Pil da parte dei Paesi membri Nato non torneranno a farsi pesanti, stante il clima? Non siamo all'attivazione in grande stile - e senza aver sparato nemmeno un mortaretto, anzi con la Casa Bianca che annuncia il possibile ritiro delle truppe statunitensi dalla Siria - del warfare, il moltiplicatore bellico-industriale del Pil, ancora di salvezza di ogni economia in procinto di precipitare in recessione? E non saremmo di fronte a uno di quei famosi shock esterni tanto comodi per la Banche centrali, poiché garantiscono la prosecuzione senza spiegazioni delle politiche espansive, dando oltretutto la colpa per il cambio di strategia a fattori esterni, mantenendo quindi viva la narrativa dell'economia interna che invece scoppia di salute? Siamo in piena realtà distopica. E la cosa buffa è che il tutto si basa sull'assunto del pericolo rappresentato per il mondo dalle fake news russe!
Avete dato un'occhiata a una delle tante rassegne stampa televisive ieri? Non un singolo quotidiano italiano aveva la notizia della smentita degli esperti britannici in prima pagina, nemmeno in un boxino di richiamo al servizio interno: quando Skripal fu ricoverato e nei giorni seguenti, quelli dell'escalation diplomatica contro Mosca, la propaganda anti-russa è mai sparita dalla prima pagina? Mai, sempre in prima fila. Tutti dovevano vedere la notizia, leggere anche soltanto il titolo, vedere la foto della May furente e di Johnson nei panni di Churchill 2.0 contro il Reich russo di zar Putin. Cos'è, troppo spazio da dedicare a quella pantomima istituzionale delle consultazioni al Quirinale, dove di fatto è tutto già deciso? Oppure la scelta dei direttori è caduta sulla fenomenale rovesciata di Cristiano Ronaldo, più che sul rovesciamento della realtà riguardo i rapporti fra Stati con dotazioni atomiche basato su false accuse?
Ma tranquilli, perché il parere degli esperti britannici sul caso Skripal non è stato l'unico a essere oscurato dalla stampa autorevole. Non ha infatti incontrato molto favore mediatico nemmeno il report To truly fight terror, counter salafist jihadist ideology first redatto dal docente di antiterrorismo dell'americanissima università di Georgetown, il professor Ahmet Yayla, non a caso ripreso da una rivista on-line non certo tacciabile di simpatie filo-russe come Homeland Security Today. E cosa dimostra lo studio? Nulla di strano, se non la sponsorizzazione statale dell'Isis compiuta per anni e negli anni dall'Arabia Saudita, straordinario alleato dell'Occidente nella lotta al terrorismo e munifico acquirente di armamenti con cui sterminare civili in Yemen. Ma si sa, l'America è come il Senato dell'antica Roma: al suo interno di dibatte, l'importante è che dopo esca un messaggio univoco da spacciare alle colonie. E, infatti, se proprio il principe saudita Mohammed bin Salman, non più tardi della scorsa settimana, ha ammesso le responsabilità di Ryad nel finanziamento di gruppi terroristici, parlando con Jeffrey Goldberg di The Atlantic, questo altro studio è meglio che passi sotto silenzio. Anche perché mette in evidenza quello che è il cavallo di Troia saudita per le sue operazioni di destabilizzazione: l'utilizzo di imam salafiti e il finanziamento di moschee e centri islamici all'estero, pratica iniziata - corsi e ricorsi storici - durante la Guerra Fredda in chiave anti-sovietica e con la benedizione di Washington.
Parliamo della stessa Arabia Saudita che centinaia di americani onesti vorrebbero alla sbarra per le sue responsabilità nell'11 settembre e che invece non ci finirà mai: per lei, anzi, un bel ruolo da presidente della Commissione diritti umani dell'Onu. E non siamo in piena distopia? Attenzione, perché qui si sta scherzando con il fuoco. O siamo di fronte a una sciarada generale, di cui è consapevole protagonista anche il Cremlino oppure qualcuno ha troppo da perdere. Ed è pronto a tutto. In un caso e nell'altro, una cosa è certa: il lavaggio del cervello collettivo che doveva portarci alla società orwelliana e al panopticon globale ha funzionato alla perfezione. Sarà guerra, occorre solo capire con quali armi verrà combattuta.
Attenti alla curva dei rendimenti delle obbligazioni Usa: se continuerà a flettere come sta facendo ormai da troppi giorni, alle minacce e alla fake news di Stato come quelle britanniche, seguiranno i fatti. Come l'attacco a Carcassone o l'allarme terrorismo per Pasqua in Italia, magari questa volta prendendo di mira la Germania. Dove sul finire della scorsa settimana il governo di coalizione ha rilasciato tutti i permessi per la costruzione dell'infrastruttura all'operatore del gasdotto Nord Stream 2 AG, nonostante le minacce nemmeno troppo velate del Dipartimento di Stato Usa al riguardo. Lupo solitario in arrivo, ovviamente noto ai servizi e con turbe psichiche per riportare frau Angela e soci a più miti consigli? Non provate a darmi del dietrologo, perché il caso Skripal giustifica ben di peggio del mio complottismo. Prendetene atto, una volta per tutte. E aprite gli occhi.
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