ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 30 maggio 2018

Il fine per i quale Dio ci ha pensati

GRAZIA E VITA DIVINA



Con la Grazia, l’uomo partecipa alla vita divina. La nostra "vera libertà" è realizzare il fine per i quale Dio ci ha pensati e per il quale Lui stesso si è fatto uomo: "la propria rinascita" sotto forma di "uomo spirituale" 
di Francesco Lamendola  
  
 0 maria croce

Il cristianesimo ha un fine ben preciso: santificare l’uomo; il che è come dire spiritualizzarlo. Da una creatura animale, il Vangelo vuol farne una creatura spirituale: vuole destarlo alla sua vera vita, la vita soprannaturale, cui è destinato fin da prima che il mondo cominciasse ad esistere. Nella mente di Dio, l’uomo è sempre stato pensato ed amato come un essere spirituale; nondimeno, gli è stato dato un corpo, per realizzare tale ascesa, oppure, se lo vuole, per scendere e ritornare verso i livelli più bassi dell’animalità. È il mistero della libertà. Libertà che, se intesa in senso puramente immanente, non può essere altro che una porta per l’inferno. La vera libertà, per l’uomo, è realizzare il fine per i quale Dio lo ha pensato, lo ha voluto, lo ha amato, e per il quale si è Lui stesso fatto uomo, è morto ed è risorto: la propria rinascita sotto forma di uomo spirituale. Il cristiano è colui che muore al mondo e rinasce alla realtà divina; e che, con l’aiuto della Grazia, partecipa alla stessa vita del suo Creatore. Mistero ineffabile, grandioso, che nessuna mente mai riuscirà a penetrare: l’amore di Dio che chiama l’uomo ad essere ciò che deve essere; e, dall’altra parte, l’amore di sé, che chiama l’uomo a degradarsi, a perdere di vista il proprio fine, a inseguire la propria infelicità e la propria rovina, convinto, però, di cercare la propria legittima realizzazione e il proprio legittimo appagamento.

D’altra parte, quando si dice che il fine del Vangelo è la santificazione della vita umana, bisogna specificare che tale fine l’uomo non può assolutamente raggiungerlo da sé. Non è l’uomo che si fa santo, e sia pure con l’aiuto di Dio; è Dio che scende in Lui e opera in Lui, ma solo quando l’uomo è pronto ad accoglierlo, cioè ad accoglierlo senza riserve: perché Dio è un padrone geloso, che non vuol regnare a metà sui suoi fedeli, ma che pretende dedizione assoluta, dopo di che scende nei suoi figli adottivi in maniera assoluta. L’esortazione di Gesù (Matteo, 26, 41): Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole, si presta facilmente ad essere fraintesa. Gesù, secondo l’interpretazione di Sant’Ireneo di Lione, uno dei Padri della Chiesa dei primi secoli, che ci sembra quanto mai convincente, non si riferisce allo spirito umano, ma allo Spirito divino, che abita in Lui e che abita anche nei suoi seguaci, se essi si abbandonano al suo abisso d’amore. Pertanto, è lo Spirito di Dio che accende negli uomini la fiamma della vita divina e che li fa partecipare alla sua stessa esistenza; mentre la carne, quanto a se stessa, è come morta, e infatti gli uomini che rifiutano Dio si possono considerare, alla lettera, come dei morti viventi. Vivono, ma di una vita puramente fisica  e animalesca; il loro spirito è morto, perché lo Spirito di Dio ha trovato chiuse e sprangate le porte della loro anima, e nulla Egli può operare contro la loro volontà, perché, nel suo amore infinito, non intende abolire la libertà di cui ci ha fatto dono – il nostro dono più prezioso, invero, nonostante che gli esistenzialisti alla Sartre lo considerino come la nostra peggiore maledizione. Ecco, allora, che tutto diventa più chiaro: nessuno chiede agli uomini di compiere un’impresa impossibile; perché la santificazione, umanamente parlando, è una cosa impossibile. Si chiede loro, semplicemente, di lasciarsi amare e di lasciarsi abitare dallo Spirito di Dio, al quale nulla è impossibile.
Questi concetti sono stati bene espressi nella vasta opera, oggi alquanto trascurata, di un teologo domenicano, Benoit Pruche(1914-1984), che ebbe forse il “torto”, o piuttosto, a nostro avviso, il merito, di essere scritta e vedere la luce un po’ prima del Concilio, e che, favorevolmente recensita dalla Nouvelle Revue Théologique nel 1963, avrebbe meritato più ampia diffusione, perché in essa si respira il profumo della autentica spiritualità cristiana, poi in qualche modo soffocata dal conformismo dei teologi alla Karl Rahner, con la loro sciagurata “svolta antropologica”; opera della quale vogliamo riportare almeno questa pagina esemplare (da: B. Pruche, Storia dell’uomo e mistero di Dio. Una teologia per laici; titolo originale: Histoire de l’homme, mystere de Dieu, Paris, Ed. Desclée De Brouwer, 1961; traduzione dal francese delle Benedettine di Rosano, Roma, Edizioni Paoline, 1965, pp. 353-357):
“Quando risuscita sotto l’azione dello Spirito, il corpo, da animale, diviene spirituale perché possiede, mediante lo Spirito, la vita indefettibile: adesso dice san Paolo, noi non conosciamo che in parte e non profetiamo che parzialmente; allora sarà a faccia a faccia (1 Cor 13,9 e 12). Lo stesso dice san Pietro: il Cristo voi l’amate senza averlo visto, in lui voi credete senza vederlo ancora, esultando di una gioia ineffabile e gloriosa (1 Pt 1,8). La nostra faccia, infatti, vedrà la faccia del Dio vivente; si rallegrerà d’una gioia indicibile, quando vedrà la sua gloria. […]
È assumendo lo Spirito di Dio, appropriandoselo, che si diviene spirituali. Avvolti nello Spirito, si grida in lui: Abba, Padre! Senza ancora vederlo, ma già ci è conferito il principio della somiglianza divina, destinato a svilupparsi fino al giorno in cui la nostra faccia vedrà la faccia del Dio vivente. Assumere lo Spirito, il Pneuma divino, somigliare allo Spirito per divenire spirituale, pneumatico, come lui; questo è il segreto della vita cristiana, partecipe della vita divina. “Quelli che hanno la caparra dello Spirito, che non servono le loro cupidigie carnali, ma si sottomettono allo Spirito e si comportano ragionevolmente in ogni occasione, a giusto titolo sono chiamati spirituali dall’Apostolo poiché lo Spirito di Dio abita in loro. Non che l’uomo spirituale sia spirito incorporeo; no. Ma la nostra sostanza, cioè l’unione di anima e di carne, appropriandosi lo Spirito di Dio, rende l’uomo spirituale” (S. Ireneo, “Contro le eresie”, V, 8, 2; PG, 7, 1142).
Così divenuto spirituale mediante la comunicazione dello Spirito di Dio, l’uomo è come sollevato da lui, trasportato nella vita di Dio. Egli ha assunto la qualità dello Spirito: questi a sua volta, lo rende conforme al Verbo di Dio, imprimendo nel suo essere umano l’immagine vivente che assimila a Dio: “Tutti quelli che temono Dio, che credono nella venuta di Suo Figlio e mediante la fede stabiliscono nel loro cuore lo Spirito di Dio, questi son chiamati a giusto titolo uomini puri, spirituali, vivono per Dio, perché essi possiedono lo Spirito del Padre, lo Spirito che purifica l’uomo e lo eleva nella vita di Dio. Allo steso modo che il Signore ha reso alla carne la testimonianza che essa è debole, così ha testimoniato dello Spirito che è pronto. Egli può perfezionare chiunque lo tiene accanto a sé. Se dunque qualcuno mescola questo Spirito, che è pronto, come uno stimolante alla debolezza della sua carne, quel che è forte vincerà necessariamente ciò che è debole, a tal punto che l’infermità della carne sarà assorbita dalla forza dello Spirito e quest’uomo non sarà più carnale, ma spirituale, per la comunicazione dello Spirito. È così che i martiri hanno reso testimonianza, che hanno disprezzato la morte: non secondo la debolezza della carne, ma secondo la prontezza dello Spirito.  Perché la debolezza della carne, per il fatto che è assorbita, dimostra la potenza dello Spirito. Invece lo Spirito, assorbendo la debolezza, possiede la carne in sé per diritto di eredità e l’uomo vivente è fatto delle due cose. Egli vive per la partecipazione dello Spirito; è uomo per la sostanza della carne. La carne, sena lo Spirito di Dio, è dunque morta. Non avendo la vita, non può ereditare il regno di Dio: non è che un sangue irrazionale, come dell’acqua sparsa al suolo. […]
Avendo ricevuto lo Spirito Santo, divenuto spirituale, l’uomo è condotto al Verbo di Dio. Assimilato al Verbo, di cui porta in sé la somiglianza, dono dello Spirito Santo, egli attraverso il Figlio raggiunge il Padre, partecipando così alla vita stessa di Dio: “È allora che il Verbo di Dio si è mostrato, quando si è fatto uomo, assimilando se stesso all’uomo e l’uomo a sé, perché, attraverso questa somiglianza col Figlio, l’uomo divenisse caro al Padre. Nel tempo passato si diceva, sì, che l’uomo era stato fatto ad immagine di Dio, ma non era ancora manifesto perché il Verbo, ad immagine del quale l’uomo era stato fatto, era ancora invisibile. È anche per questo che perdette facilmente la somiglianza. Ma quando il Verbo di Dio si è fatto carne, ha rafforzato l’una e l’altra: sia l’immagine, che dimostrò vera divenendo lui stesso ciò che era sua immagine, sia la somiglianza, che ha ristabilito solidamente, facendo l’uomo simile al Padre invisibile, mediante il Verbo visibile” (S. Ireneo, “Contro le eresie”, V, 16,2; PG, 7. 1167-1168). Appropriarsi mediante la fede della qualità dello Spirito; poi, restando nello Spirito, penetrare sempre più avanti nel segreti della vita divina: ricevere l’immagine del Verbo, attraverso la quale si è assimilati al Figlio, e attraverso il Figlio al Padre, tale è l’idea fondamentale che un S. Ireneo si fa della vocazione cristiana, vita di intimità con le Divine Persone, partecipazione effettiva alla vita trinitaria del nostro Dio. Lo Spirito Santo, mediante il quale e nel quale tutto comincia, tutto progredisce e tutti giunge a compimento, è veramente, in tutta la forza del termine, colui che ci introduce nella vita divina.

0 PREGA
Il cristiano è colui che muore al mondo e rinasce alla realtà divina; e che, con l’aiuto della Grazia, partecipa alla stessa vita del suo Creatore.


Con la Grazia, l’uomo partecipa alla vita divina

di Francesco Lamendola 


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