La lunga marcia verso Lutero parte da Wojtyla. Il discorso di Paderborn del 1996. La ferita della divisione fra cattolici e protestanti è così grave che deve essere a ogni costo risanata anche a costo di profanare l’Eucaristia?
di Francesco Lamendola
Molti cattolici, senza dubbio, rimanendo gravemente sconcertati dall’enfasi e dal compiacimento, ai limiti del servilismo, con cui il vertice della neochiesa bergogliana ha celebrato la ricorrenza dei cinquecento anni dall’inizio della cosiddetta Riforma protestante – in realtà, uno scisma, generato a sua volta da una serie di gravissime eresie del monaco ribelle, Martin Lutero – si saranno chiesti dove il signor Bergoglio abbia trovato l’ardire per una cosa del genere, con tanto di emissione di un blasfemo francobollo da pare delle Poste Vaticane, con una Crocifissione nello stile di Albrecht Dürer, ma con Lutero e Melantone, soli, ai piedi della croce, al posto della santa Vergine Maria e dell’apostolo san Giovanni. Ebbene, non si è trattato affatto di una improvvisazione, quasi di un colpo di testa; il viaggio a Lund, in Svezia, e la celebrazione di strane liturgie “interconfessionali”, con una Messa cattolica celebrata di malavoglia, all’ultimo momento, su richiesta dei cattolici residenti in quel Paese e non prevista dal programma iniziale, è stato solo il momento culminante di una lenta, abile e metodica marcia di avvicinamento della Chiesa post-conciliare verso le posizioni luterane, iniziata con l’avvento del cosiddetto “ecumenismo”. Un termine che, fino al 21 novembre del 1964, data del decreto Unitatis Redintegratio, aveva un significato pienamente negativo e anzi equivaleva ad una vera e propria eresia, condannata formalmente da Pio XI con l’enciclica Mortalium animos di Pio XI, del 6 gennaio 1928.
Il francobollo "blasfemo"
Nel corso del suo viaggio di “riconciliazione” in Svezia, il 31 ottobre 2016, Bergoglio e il presidente della Federazione mondiale luterana, il vescovo Munib Younan, hanno firmato una dichiarazione congiunta, che suona così:
Molti membri delle nostre comunità aspirano a ricevere l’Eucaristia ad un’unica mensa, come concreta espressione della piena unità. Desideriamo ardentemente che questa ferita nel Corpo di Cristo sia sanata (…) Questo è l’obiettivo dei nostri sforzi ecumenici, che vogliamo far progredire, anche rinnovando il nostro impegno per il dialogo teologico”.
Proprio così: ricevere l’Eucarestia ad un’unica mensa. Senza minimamente accennare al fatto che le divergenze fra cattolici e luterani su che cosa sia l’Eucarestia sono gravissime; e che, essendo l‘Eucarestia l’atto centrale della Chiesa cattolica, in ragione della quale essa esiste e continua ad evangelizzare da duemila anni, ma che viene solo amministrato dalla Chiesa, essendone l’autore Gesù Cristo e Lui soltanto, l’intera dichiarazione assume una connotazione ambigua e inquietante. Sottigliezze della diplomazia, dirà qualcuno: bisognava pur trovare la quadra per mettere d’accordo cattolici e protestanti. Ma chi lo dice che l’unità viene prima della verità? E si trattasse solo di una questione teorica, di un dogma puramente dottrinale: no; stiamo parlando della cosa più sacra e più preziosa che esista nella pratica della religione cattolica: l’incontro diretto, immediato, personale, dell’uomo con Dio attraverso il Corpo e il Sangue di Cristo, in riparazione dei nostri peccati. E si profila chiaramente il ricatto psicologico e morale: la ferita della divisione fra cattolici e protestanti è così grave che deve essere a ogni costo risanata. Anche a costo di profanare l’Eucaristia?
Il passo decisivo vero la piena riabilitazione di Lutero, mossa obbligatoria per giungere al vero obiettivo dell’ecumenismo, la messa “interconfessionale”, risale, comunque, al terzo viaggio di Giovanni Paolo II in Germania, nel 1996: venti anni prima del viaggio in Svezia di Francesco. In quella occasione, nel duomo di Paderborn, il 22 giugno, papa Wojtyla tenne un discorso intitolatoCelebrazione ecumenica della Parola, nel quale, a un certo punto (§§ 4, 6 e 7) diceva testualmente:
4. Saluto di cuore tutti i partecipanti alla Giornata della Chiesa di Eisleben, alla cui preparazione hanno collaborato i cristiani cattolici ed evangelici. Essi si sono riuniti in occasione del 450 anniversario della morte di Martin Lutero. Che la loro riflessione comune contribuisca ad avvicinarci!
6. Il nostro impegno odierno per una testimonianza comune a favore dell’unità non può rinunciare a occuparsi di Martin Lutero. Oggi, 450 anni dopo la sua morte, il tempo che è passato permette di comprendere meglio la persona e l’opera del riformatore tedesco e di essere più equi con lui. Non sono state solo le ricerche di importanti studiosi evangelici e cattolici a contribuire alla creazione di una immagine più completa e differenziata della personalità di Martin Lutero. Anche il dialogo tra luterani e cattolici ha dato un importante contributo al superamento delle antiche polemiche e all’avvicinamento a una visione comune.
Il pensiero di Lutero era caratterizzato da una notevole enfasi posta sull’individuo che indeboliva la consapevolezza delle esigenze della comunità. La richiesta di riforma della Chiesa fatta da Lutero, nel suo intento originario, era un appello alla penitenza e al rinnovamento che devono cominciare nella vita di ogni singola persona. Molti sono i motivi per i quali da quell’inizio si è poi arrivati a questa scissione. Tra questi vi sono la non corrispondenza della Chiesa cattolica, di cui già si era rattristato Papa Adriano VI con parole commoventi, il subentrare di interessi politici ed economici, e anche la stessa passione di Lutero, che lo trascinò ben oltre le sue intenzioni iniziali, fino a una critica radicale della Chiesa cattolica, della sua struttura e della sua dottrina. Tutti abbiamo delle colpe. Per questo tutti siamo sollecitati alla penitenza e tutti abbiamo bisogno di essere sempre di nuovo purificati dal Signore.
7. "Passa da qui e aiutaci!". Oggi è più importante che mai che tutti i cristiani portino nella vita spirituale dell’Europa i loro doni e carismi particolari, cosicché l’uno possa imparare dalla ricchezza dell’altro. La cristianità protestante ha arricchito tutta la cristianità con i suoi canti religiosi, la sua grande musica religiosa e le sue costanti riflessioni teologiche.
Due papi "Post-conciliari": non è un caso che al Concilio Vaticano II vi parteciparono anche i futuri pontefici Giovanni Paolo II e Benedetto XVI
Sembra un’anticipazione del discorso di Francesco I a Lund, vent’anni dopo e con la medesima finalità: gettare un ponte verso i luterani, abbastanza ampio da consentire il trionfo definitivo dell’ecumenismo. Vale a dire di quella eresia che i papi avevano più volte condannato, da Pio IX in poi, e specialmente Pio XI, con l’enciclica Mortalium animos del 1928. E l’avevano condannata a ragion veduta: dietro le lodevoli apparenze di una sincera volontà di riunificazione per sanare la “ferita” della divisione dei cristiani, si profilavano minacciose le ombre di tutta una serie di concetti non cattolici e anticattolici, che si volevano, però, sdoganare, a rimorchio della riabilitazione della figura e dell’opera di Lutero: la libertà di coscienza, la libertà religiosa, l’indifferentismo religioso, e il concetto fondamentale della Chiesa come una, santa, cattolica e apostolica, con il suo logico corollario: nulla salus extra ecclesiam (cfr. su ciò anche l’ottimo articolo, o per meglio dire saggio, di Carlo Di Pietro, Condanne della Chiesa all’eresia chiamata “ecumenismo”, pubblicato sul sito Sursum corda, e ripreso anche da diversi altri siti cattolici). Sì: bisogna dirlo e ricordarlo, anche se non dovrebbe essere affatto necessario: né il concetto della libertà di coscienza, né quello della libertà religiosa, fanno parte della vera dottrina cattolica; anche se le cose sono ormai arrivate a un punto tale, dopo il Concilio Vaticano II, che gran parte dei cattolici, probabilmente, non se lo immagina neppure, non ne ha mai sentito parlare e rimarrebbe sinceramente stupita, sentendo dire una cosa del genere. Al contrario: con la mente imbottita di concetti laici e secolari, con una prospettiva pienamente “moderna”, e quindi non cristiana, codesti ”cattolici” dei nostri giorni pensano e credono che sia cosa giusta e ottima che ciascuno disponga liberamente della propria coscienza e che scelga liberamente di aderire a una fede religiosa piuttosto che a un’altra. E non sa che, per millenovecento anni, la Chiesa ha insegnato, e a ragione, esattamente il contrario; e non vede l’incongruenza, o meglio, l’assurdità, logica e morale, di un simile concetto. Non è questa la sede per approfondire la questione; ci limitiamo a un rapidissimo accenno, solo per far capire quale sia la reale posta in gioco quando si parla, quasi sempre in maniera avventata e inconsapevole, cioè colpevolmente ingenua – perché nessuno è giustificato della propria ignoranza di fronte alla legge - di ecumenismo. La posta in gioco è, da un lato, la Messa interconfessionale e la relativa Eucaristia interconfessionale, che Dio solo sa cosa sarà, alla fine; e, dall’altro lato, la piena e definitiva affermazione dell’indifferentismo religioso, ossia del principio che chiunque, in coscienza, è libero di scegliere se accettare il cristianesimo, e di ricevere i Sacramenti della Chiesa cattolica, oppure se aderire a un’altra confessione, o a un’altra fede religiosa, oppure anche a nessuna, e divenire un ateo militante, nemico di ogni fede in Dio. Di tutte queste cose aveva già parlato, chiarendole in maniera esemplare, Pio IX, specialmente con il Sillabo: ma, come è noto, quel documento è stato archiviato e rimosso, come imbarazzante e inaccettabile, da tutti i cattolici progressisti e anche da quasi tutti i cattolici che, pur non considerandosi progressisti, non sono però disposti ad andare sino in fondo, con coerenza, sulla linea di una irreconciliabile contrapposizione tra ciò che è gradito a Dio e ciò che piace al mondo, ma vorrebbero tenere, per quanto possibile, il piede in due scarpe (cfr., a questo proposito, il nostro articolo: Ma l’idea di fondo del “Sillabo” è proprio così errata come da sempre si ripete?, pubblicato sul Corriere delle Regioni in data 08/03/2016 e ripubblicato sul sito dell’Accademia Nuova Italia il 31/01/18). E l’idea di fondo, il concetto chiave, è questo: non è mai lecito, dopo aver conosciuto la verità, respingerla; non è mai cosa legittima scegliere in modo difforme da ciò che è vero; la libertà non consiste nel fare quel che si preferisce, ma quello che è giusto, e la sola cosa giusta, per colui che è stato battezzato e ha conosciuto il Vangelo, è rimanere unito a quella verità che Dio stesso, facendosi uomo, è venuto in terra ad annunciare e a testimoniare con la sua vita e con la sua Passione, Morte e Resurrezione.
Ora, con il discorso di Paderborn del 1996, un po’ patetico, un po’ lacrimoso, e pieno di richieste di perdono (cfr. Domenico Del Rio, Karol il Grande, Milano, Edizioni Paoline, 2003, pp. 255-256), come già molte altre volte era stato nel suo stile, Giovanni Paolo II sdoganava definitivamente la figura di Lutero, liberandola da ogni valenza negativa e presentando il “riformatore” tedesco non tanto come un ribelle, un eretico, un collerico, un probabile omicida, un lussurioso, un beone, un fomentatore del massacro dei contadini e un cieco antisemita, infine un suicida, ma come un onesto e zelante teologo, trascinato forse un po’ oltre le sue intenzioni iniziali, che erano fondamentalmente buone.
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