ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 17 giugno 2018

Le tenebre chiamano le tenebre

IL GIUDIZIO DI QUESTO MONDO


La storia è il luogo di un "dramma cosmico", nel quale si affrontano le forze del bene e quelle del male: "la venuta di Cristo" ne rappresenta il momento culminante con la conseguente rabbiosa reazione delle "potenze infernali" 
di Francesco Lamendola  

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 Nell’imminenza dell’ultima Pasqua celebrata da Gesù Cristo nella sua vita mortale, preannunciando il suo imminente sacrifico, Egli disse (Gv. 12, 31-32):

Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. E io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me, alludendo alla sua morre sulla Croce. E poi, sempre rivolto alla folla (id., 35-36): Ancora per poco tempo la luce è tra voi. Camminate mentre avete la luce, perché le tenebre non vi sorprendano; chi cammina nelle tenebre non sa dove va. Mentre avete la luce, credete nella luce, per diventare figli della luce.

E infine, dopo aver osservato che molti, pur credendo in Lui, tenevano nascosta la loro fede, perché temevano i capi dei farisei e “amavano la gloria degli uomini più che la gloria di Dio” (id., 44-50):
Chi crede in me, non crede in me ma in colui che mi ha mandato; chi vede me, vede colui che mi ha mandato. Io sono venuto nel mondo come luce, perché chiunque crede in me non rimanga nelle tenebre. Se qualcuno ascolta le mie parole e non le osserva, io non lo condanno; perché non sono venuto per condannare il mondo, ma per salvare il mondo. Chi mi rifiuta e non accoglie le mie parole, ha chi lo condanna: la parola che ho detto lo condannerà nell'ultimo giorno. Perché io non ho parlato da me stesso, ma il Padre, che mi ha mandato, mi ha ordinato lui di che cosa parlare e che cosa devo dire. E io so che il suo comandamento è vita eterna. Le cose dunque che io dico, le dico così come il Padre le ha dette a me.

Sono parole chiarissime e drammaticamente attuali. Gesù non è venuto per condannare il mondo, ma per salvarlo; non lo può salvare contro sua voglia, tuttavia: per essere salvato, il mondo deve credere in Lui; se il mondo non vuol credere, se resiste, se rifiuta di riconoscere la verità delle Parole di Cristo, allora il mondo è già condannato, non da Dio, ma da se stesso. Rifiutando ed impugnando la verità che gli viene offerta, il mondo sottoscrive la propria condanna. Alle parole di Gesù fanno riscontro le parole, non meno inquietanti, pronunciate dai giudei allorché pretendevano la crocefissione di Cristo da Ponzio Pilato, il quale esitava, dichiarando di non voler condannare un innocente (Mt. 27,25): Il suo sangue ricada sopra di noi e sopra i nostri figli.
La storia è pertanto il luogo di un dramma cosmico, nel quale si affrontano le forze del bene e quelle del male; e la venuta di Cristo rappresenta il momento culminante di esso, perché provoca un radicale assestamento delle due schiere, e, per reazione, un rabbioso assalto delle potenze infernali. Gesù è venuto a portare la luce, la luce della Verità; ma non la vuole imporre, la vuole solo offrire; e il diavolo, da parte sua, fa di tutto perché quella luce non possa risplendere, affinché gli uomini si chiudano al suo splendore e preferiscano restare nelle tenebre più fitte, le tenebre dell’idolatria, dell’egoismo, delle passioni disordinate, che rendono l’anima schiava dei suoi stessi vizi e che abbassano la dignità dell’uomo al di sotto delle bestie. Chi accoglie la Parola di Cristo diviene figlio della luce, ma chi la respinge diventa un figlio delle tenebre. Così, anche se Gesù non è venuto per condannare il mondo, la sua venuta provoca comunque un giudizio, portando a maturazione il grandioso disegno che Dio aveva in serbo per la sua creazione: fare in modo che le creature scelgano liberamente se accettare o no di essere suoi figli adottivi, legate a Lui da un indistruttibile vincolo di amore. I cristiani, specialmente nei tempi moderni, sembrano aver perso, insieme con la consuetudine della lettura e della mediazione del Libro Sacro, anche la consapevolezza che la storia umana è solo la parte visibile, limitata e miope, se non addirittura cieca, di una storia infinitamente più vasta, la storia dell’amore di Dio per la sua creazione e della salvezza che viene portata dal suo Figlio Unigenito fra gli uomini. Inoltre, la visione che hanno molti cristiani della storia pare che sia essenzialmente statica, mentre dovrebbe essere quanto mai dinamica, aperta e imprevedibile. Il finale non è stato scritto in anticipo e la libertà dell’uomo, il dono più prezioso che Dio ha fatto alla sua creatura prediletta, fa sì che l’esito della lotta cosmica fra il bene e il male rimanga sospeso fino all’ultimo giorno, fino all’ultima ora; e, sebbene la vittoria del bene sia certa, perché garantita da Dio stesso, non è per niente scontato in che modo ciascun essere umano risponderà alla prova degli ultimi tempi, che fungerà da discrimine fra il buon grano e il loglio, fra l’erba fruttifera e l’erba infestante, destinata a venire strappata e gettata nel fuoco, a bruciare.
Dunque, dice Gesù, poco dopo il suo ingresso a Gerusalemme per la celebrazione pasquale: Ora è il giudizio di questo mondo; ora il principe di questo mondo sarà gettato fuori. Sono parole austere, in parte chiare e in parte misteriose, che andrebbero meditate giorno e notte, perché furono pronunciate nel momento dell’intersezione fra la storia del mondo, dominata dal suo principe tenebroso, e la storia soprannaturale, che è storia di salvezza, incarnata nel Verbo disceso dal Cielo per mostrare agli uomini la via del ritorno al Padre. Ora, non solo i cristiani, parlando in generale, sembrano ormai incapaci di “leggere” la storia nella giusta maniera, cioè come parte del piano di salvezza universale voluto dal Creatore; ma proprio il clero, a cominciare dai più alti livelli, mostra di aver completamente introiettato le filosofie della storia proprie della cultura materialista, laicista e immanentista. L’altro giorno, commentando, a modo suo – e cioè in modo non cristiano e non cattolico – la vicenda della nave Aquarius, che è valsa a scoperchiare molte e radicate ipocrisie, non solo nel mondo della politica, ma anche nella Chiesa, monsignor Francesco Montenegro ha affermato, fra le altre cose, che quelli che lui chiama “fenomeni migratori”, ma che avrebbe dovuto chiamare, più giustamente, invasione ed islamizzazione forzata dell’Italia e dell’Europa, sono parte di una realtà “ineluttabile”. Ma di ineluttabile, nella storia umana, non c’è nulla, almeno per il cristiano, dal momento che il signore della storia è Dio, e Dio solo; e dal momento che nulla è impossibile a Lui, e nulla accade che Egli non consenta, purché lo consenta. Considerare questo o quel fatto della storia come “ineluttabile” tradisce, come ha prontamente osservato Roberto De Mattei, una concezione storicista, cioè una concezione secondo la quale la spiegazione della storia è nella storia stessa, e non  al di fuori e al di sopra di essa, come deve essere ben chiaro a chiunque si dica cristiano, per non parlare di un alto prelato. Francesco Montenegro è un cardinale e un arcivescovo, dunque è un pezzo grosso nella gerarchia cattolica, uno dei consiglieri del pontefice romano; non solo: è anche il presidente della Caritas, la quale, con il contributo - anche finanziario – della Conferenza Episcopale Italiana, nonché dello Stato italiano, gestisce, in larga misura, il fenomeno della migrazione/invasione africana ed islamica. Perciò le sue parole risultano non solo sbagliate nel metodo, perché portano il discorso di un esponente della Chiesa sul piano squisitamente politico, come se i diritti del popolo italiano non esistessero ma dovessero inchinarsi e sacrificarsi davanti a un non meglio precisato diritto degli stranieri; non solo inopportune e contestabili nel merito, perché danno per scontato il destino della islamizzazione dell’Italia e dell’Europa, contraddicendo il preciso mandato di Gesù Cristo ai suoi Apostoli: Andate in tutto il mondo a battezzare e predicare il Vangelo (non il Corano, né alcun altro libro sacro all’infuori del Vangelo e della Bibbia, di cui il Vangelo è parte essenziale); ma risultano, soprattutto, in contrasto insanabile con la filosofia della storia che appartiene al cristianesimo: laddove la storia è fatta, sì, dagli uomini, ma secondo un piano voluto da Dio, predisposto da Dio e orientato da Dio, e del quale Dio solo è il padrone e il conoscitore, e che nessuno all’infuori di Lui, pertanto, può pretendere di sapere come si concluderà. Il cristiano, proprio perché non assolutizza la storia, proprio perché non cerca il suo significato ultimo restando all’interno di essa, tuttavia nemmeno la sottovaluta, nel senso che è ben conscio della responsabilità umana e sa che nulla, neppure l’Incarnazione e la Redenzione di Cristo, assicura una sorta di paracadute garantito, nulla ha il potere di scongiurare le conseguenze deleterie dei suoi errori, delle sue colpe, se egli non si ravvede e se non si lascia guida da una forza superiore, quella dello Spirito, la sola che può sostenerlo nelle sue debolezze e consigliarlo nella sua sconsideratezza. Perché l’uomo, da solo, abbandonato alle sue sole risorse, non è capace di andar lontano: tutto quel che riesce a fare è procurarsi un biglietto per l’inferno.

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di Francesco Lamendola
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