«Una grande impresa in perdita». Così – tra altre vane e vuote circonlocuzioni e perifrasi sulla retorica del camminare insieme – Checco I ha definito l’ecumenismo nella sua visita alla Roma protestante, alla città di Calvino, a Ginevra.
I fan più sfegatati della rockstar in abito bianco si sono limitati alla lettura evangelica del messaggio, dell’evento celebrato ovviamente a piene pagine dalla Tribune de Genève (che qualche foglio più in là ospita però laicamente, bisogna pure rilevarlo, gli annunci piccanti di Ana, Jenny, Lisa, Nadia, una belle brésilienne, una belle chinoise, una petite indienne e altre camerierine e infermierine sexy variamente assortite). Ma è su altro che si è invece concentrata l’attenzione dei cronisti praticoni, sempre concreti e attenti alle cose di quaggiù più che a quelle di lassù. Perché l’oikoumene, proprio come i viaggi papali, ha i suoi costi. E i conti non tornano.
«Le ingenti spese causate dalla visita di Papa Francesco a Ginevra peseranno parecchio sulle casse della diocesi ospitante» ha sottolineato perfino l’autorevole, composta, equilibrata Agenzia Telegrafica Svizzera, sorta di Ansa rossocrociata. Addirittura il vescovo Charles Morerod (alla guida di un’unica diocesi ribattezzata LGF non per richiamare in qualche modo la sigla LGBT ma soltanto perché riunisce le città di Losanna, Ginevra e Friburgo) ha dovuto ammettere, intervistato dal quotidiano friburghese in lingua francese La Liberté, che sì, il viaggio di Bergoglio fa sussistere «la possibilità di un fallimento». «Bistum droht wegen Papstbesuch der Konkurs» («La diocesi a rischio bancarotta a causa della visita del Papa») ha del resto titolato il tabloid elvetico in lingua tedesca Blick, certo sempre un po’ incline ai toni forti, eccessivi, apocalittici e scandalistici. Ma la conclusione è razionale.
Il bilancio annuale diocesano si attesta intorno ai due milioni di franchi (circa un milione e settecentomila euro). La capatina pontificia di un solo giorno è costata, tutto sommato, 2,2 milioni, sempre in franchi svizzeri: una cifra immensa, inusitata, spropositata per le casse del cattolicesimo locale, anche sorvolando sull’inevitabile, scontata battuta: «E i poveri, niente?».
Il presule ha dovuto spiegare: «Non immaginavamo che si sarebbero dovuti affittare una cinquantina di varchi di sicurezza», con i metal detector per controllare l’ingresso dei partecipanti, «per la maggioranza provenienti da Germania, Gran Bretagna e Norvegia». La Curia neppure poteva prevedere che sarebbero mancate le sedie, a causa della Festa della musica e delle feste di promozione nelle scuole ginevrine in programma lo stesso giorno dell’arrivo del Pontefice. Si sono così dovuti far arrivare dalla Francia «22 camion carichi di sedie» per accomodare le oltre quarantamila persone della Messa al Palexpo (un successone pazzesco, va detto; nello stesso locale i concerti dei Metallica, di Mylène Farmer e dei Depeche Mode hanno richiamato al massimo ventiquattromila spettatori). Inoltre, ha riferito sempre monsignor Morerod, «abbiamo dovuto noleggiare non meno di 105 bus» e la fattura per il trasporto potrebbe raggiungere i 300 mila franchi (circa 260 mila euro).
D’accordo, il vescovo esprime ottimismo. «Ho buone ragioni di pensare che non resteremo con un debito sul groppone. A costo di dover pregare San Giuseppe». E ancora: «Ho già potuto constatare molta generosità e comprensione. Non abbiamo trovato grandi sponsor, ma donatori di vario genere. Le corporazioni di tutta la Svizzera ci sostengono. Una copertura parziale del deficit è prevista». Ma non tutti, anche tra i suoi collaboratori, sono così sicuri su un recupero del rosso, che questa volta non è il colore di un cardinale di Santa Romana Chiesa ma quello del passivo in bilancio. E, in fondo, la domanda resta una soltanto: ne valeva davvero la pena?
– di Léon Bertoletti
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