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domenica 15 luglio 2018

Errore chiama errore

Intervista completa a Monsignor Antonio Livi SU Bergoglio e concilio vaticano II


39:36

Intervista completa a Monsignor Antonio Livi su Bergoglio e concilio vaticano II
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Se Francesco approva automaticamente la contraccezione, cadrà ancora in eresia

Per il filosofo austriaco Josef Seifert è "del tutto inammissibile e una rottura radicale con l'insegnamento della Chiesa" affermare che l'uso della contraccezione sia un presunto atto di responsabilità".

Seifert si riferiva a una affermazione fatta dal radicale don Maurizio Chiodi, membro della Pontificia accademia per la vita .

Parlando con Edward Pentin (13 luglio), Seifert ha detto che se papa Francesco dovesse approvare in automatico tali cambiamenti "accetterebbe un completo errore etico e una enorme eresia".

Seifert ha aggiunto che l'eresia di Chiodi non è "altro che un vecchio errore etico" che implica "la totale distruzione dell'insegnamento morale della Chiesa."

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Elogio dell'agnosticismo negli scritti di Benedetto XVI

Il 1º gennaio 2011, dopo la recita dell'Angelus, Benedetto XVI manifestò la sua intenzione di commemorare nell'anno appena iniziato, la riunione d'Assisi promossa venticinque anni prima dal «venerabile» (poi da lui proclamato «beato» il 1º maggio dello stesso anno) Giovanni Paolo II (1920-2005):

«Cari fratelli e sorelle, nel Messaggio per l'odierna Giornata della Pace ho avuto modo di sottolineare come le grandi religioni possano costituire un importante fattore di unità e di pace per la famiglia umana, ed ho ricordato, a tal proposito, che in questo anno 2011 ricorrerà il 25° anniversario della Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace che il Venerabile Giovanni Paolo II convocò ad Assisi nel 1986. Per questo, nel prossimo mese di ottobre, mi recherò pellegrino nella città di San Francesco, invitando ad unirsi a questo cammino i fratelli cristiani delle diverse confessioni, gli esponenti delle tradizioni religiose del mondo e, idealmente, tutti gli uomini di buona volontà, allo scopo di fare memoria di quel gesto storico voluto dal mio Predecessore e di rinnovare solennemente l'impegno dei credenti di ogni religione a vivere la propria fede religiosa come servizio per la causa della pace. Chi è in cammino verso Dio non può non trasmettere pace, chi costruisce pace non può non avvicinarsi a Dio».

Le voci che volevano il Cardinale Ratzinger più o meno contrario - nel 1986 - alla prima riunione interreligiosa di Assisi promossa dalla Comunità di Sant'Egidio e fatta propria da Giovanni Paolo II, vennero così clamorosamente smentite: il programma del Vaticano II (ecumenismo, dialogo interreligioso, dialogo coi «non credenti» e con il mondo) venne nuovamente e autorevolmente confermato. Così, come annunciato, il 27 ottobre seguente si tenne, ad Assisi, la Giornata di riflessione, dialogo e preghiera per la pace e la giustizia nel mondo. "Pellegrini della verità, pellegrini della pace"», presieduta da Benedetto XVI. Bisogna dire che l'avvenimento non ebbe lo stesso clamore di quello di venticinque anni prima. Nel 1986, Wojtyla per la prima volta realizzava un incontro altamente simbolico tra tutte le religioni; la comune preghiera e i riti pagani compiuti in alcune chiese cattoliche di Assisi suscitarono lo stupore di tutti e la dura condanna di Mons. Marcel Lefebvre(1905-1991) e Mons. Antonio de Castro Mayer (1904-1991).

Sopra: Mons. Marcel Lefebvre e Mons. Antonio de Castro Mayer.

Venticinque anni dopo il mondo si era ormai abituato a questi incontri, che si ripetono seppur meno solennemente ogni anno in varie parti del mondo (questa era la terza riunione tenuta ad Assisi), e persino i tradizionalisti cattolici sembrano essersi assuefatti ad un avvenimento divenuto «tradizione»: timide proteste da parte degli eredi di Mons. Lefebvre, impegnati in durevoli incontri ecumenici con i rappresentanti di Benedetto XVI in vista di un riconoscimento canonico, mentre da parte dei movimenti Ecclesia Dei o Summorum Pontificum, persino una convinta adesione all'iniziativa del «Santo Padre» 2, dichiarandosi anch'essi «pellegrini della verità verso Assisi».

Sopra: il primo incontro di preghiera per la pace di Assisi tenutosi il 27 ottobre 1986.

Alcuni sostenitori della tesi: «Benedetto XVI difensore della Tradizione», non potendo negare il convinto suo sostegno allo «Spirito di Assisi», hanno cercato di trovare delle differenze tra la cerimonia commemorata e quella commemorante. Benedetto XVI, spiegano, ha evitato il ripetersi di riti pagani nelle chiese cattoliche; anzi: ha escluso dal programma della giornata (che pur si dice «di preghiera») la preghiera.

D'altra parte, Benedetto XVI ha esteso il suo invito non solo ai rappresentanti delle confessioni cristiane e delle religioni non cristiane, ma a tutti gli «uomini di buona volontà» (secondo l'espressione giovannèa), ovvero anche ai non credenti, dimostrando così che nelle sue intenzioni l'incontro di Assisi doveva evitare ogni sincretismo religioso, per porsi esclusivamente sul piano del diritto naturale e della retta ragione, diritto naturale e retta ragione che sono punto d'incontro per tutti gli uomini – per l'appunto – di buona volontà.

Sopra: il terzo incontro di preghiera per la pace tenutosi ad Assisi il 17 ottobre 2011.

Una «giornata di preghiera» senza preghiera

Consultando il programma della giornata presentato dalla sala stampa vaticana il 18 ottobre, in effetti, non si trova traccia di riti o preghiere non cattolici, ma neppure cattolici, per il semplice fatto che la «giornata di preghiera» non prevedeva preghiera alcuna. Nel programma dell'incontro di preghiera, la giornata inizia infatti alle ore sette del mattino, con la partenza dei delegati dalle proprie residenze per prendere il treno Frecciargento per Assisi, e termina alle ore 20,30 con l'arrivo del viaggio di ritorno alla Stazione ferroviaria della Città del Vaticano.

Tra i due viaggi in treno, e numerosi spostamenti in mini-bus, il programma prevede la proiezione di un video commemorativo dell'incontro del 1986, undici interventi il mattino separati da brani d'organo, un «pranzo frugale», e quindici interventi il pomeriggio, con sottofondo d'organo, seguiti da un momento di silenzio. Il tempo ufficialmente consacrato alla preghiera facoltativa è quello «post-prandiale» ovvero della «siesta»: dopo il «frugale pranzo» i delegati si ritirano nei propri alloggi per un (ancora) «tempo di silenzio» dedicato alla «riflessione e/o la preghiera personale».

Sopra: Joseph Ratzinger insieme ai rappresentanti delle altre religioni.

Dall'incontro è quindi totalmente assente non solo la Santa Messa o l'Ufficio divino, ma persino qualsiasi tipo di preghiera (ammessa solo come personale e facoltativa durante il pisolino), sostituiti dai brani d'organo, dal silenzio e dalla riflessione. La cosa ha la sua logica, pur nel paradosso di una giornata di preghiera senza preghiera: ogni preghiera non può che dividere uomini di diversa religione o persino estranei alla religione (i quattro «non credenti» invitati da Ratzinger), per cui l'unico modo di accomunare tante credenze e non credenze diverse in una «esperienza di fraternità» senza urtare gli uni e gli altri e senza cadere nel sincretismo, è paradossalmente quella di escludere la religione dall'incontro interreligioso e la preghiera da un incontro di preghiera.

Ma è proprio questa la soluzione adottata dalle Logge massoniche nelle quali, per statuto, è vietato parlare di religione proprio perché devono riunirsi in esse come Fratelli uomini di tutte le (ir)religioni. L'assenza pertanto di culti idolatrici celebrati su altari cattolici, come avvenne nel 1986, evita senza dubbio quel tipo di sacrilegio e il facile scandalo dei fedeli, ma al prezzo di sostituire alla preghiera il «silenzio» e la «riflessione» come in un qualunque tempio massonico.

Sopra: «Fratelli» riuniti in Loggia, al di là del proprio credo religioso.

Gli atei ad Assisi

Anche la presenza degli atei (o, come si dice adesso: «non credenti»), hanno sostenuto alcuni difensori dell'incontro di Assisi, confermerebbe l'assoluta ortodossia della linea-guida del pontificato ratzingeriano: una risposta all'Illuminismo mediante il lume della ragione, comune a tutti gli uomini, credenti o non credenti, religiosi o irreligiosi. Al massimo, concedono alcuni difensori d'officio di Benedetto XVI – come Francesco Agnoli su Il Foglio – ci si può rammaricare per la scelta di coloro che dovevano rappresentare i non credenti: invece di invitare degli «atei devoti», rispettosi del valore civile e culturale della Chiesa, e del diritto naturale alla vita dal concepimento fino alla sua fine naturale, come ad esempio il direttore stesso del Foglio, Giuliano Ferrara, e molti foglianti divenuti collaboratori dell'Osservatore Romano sotto la direzione Vian, si è preferito invitare atei assai meno «devoti» (nella fattispecie, si tratta della psicanalista Julia Kristeva, dell'italiano Remo Bodei, del messicano Guillermo Hurtado e dell'economista Walter Baier, membro del Partito Comunista Austriaco). La colpa di queste improvvide scelte ricadrebbe così sul Cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e responsabile dell'iniziativa del Cortile dei Gentili.

Ma chi ha deciso di creare Cardinale Mons. Ravasi e di elevarlo alla dignità episcopale (almeno nelle intenzioni)? Chi lo ha nominato Prefetto del Pontificio Consiglio per la Cultura, erede del Segretariato per i non-credenti fondato da Paolo VI (1897-1978) in applicazione alla Costituzione conciliare Gaudium et spes? 3. Chi ha per primo lanciato l'iniziativa di un Cortile dei Gentili il 18 marzo 2011? La risposta a tutte queste domande è sempre la stessa: Benedetto XVI. Cerchiamo quindi di meglio conoscere il pensiero ratzingeriano al proposito.

Il discorso di Benedetto XVI ad Assisi. Un falso concetto di pace

L'intervento di Benedetto XVI ad Assisi seguì quello della rappresentante degli atei, Julia Kristeva. Il discorso ratzingeriano inizia parlando della pace, invocata dalle giornate di preghiera come quelle di Assisi; ma ci rendiamo subito conto che la pace di cui si parla è, di fatto, l'assenza di guerre, e non la «tranquillità dell'ordine» che solo Cristo può dare: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi» (Gv 14, 27); queste parole di Cristo all'ultima Cena seguono logicamente queste altre: «Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me» (Gv 14, 6), quel Padre che manderà «lo Spirito di verità che il mondo non può ricevere» (Gv 14, 17). Relegando la pace ad un concetto mondano e riduttivo, non stupisce che Benedetto XVI si trovi in difficoltà di fronte all'obiezione illuminista (ma già risalente agli scettici durante le guerre di religione) sulla religione come causa non di pace, ma di guerra:

«La critica della religione, a partire dall'Illuminismo, ha ripetutamente sostenuto che la religione fosse causa di violenza e con ciò ha fomentato l'ostilità contro le religioni. Che qui la religione motivi di fatto la violenza è cosa che, in quanto persone religiose, ci deve preoccupare profondamente».

Sopra: Benedetto XVI incontra l'atea Julia Kristeva sotto
lo sguardo compiaciuto del Cardinale Gianfranco Ravasi.

Ma come il concetto di «pace» preso in esame da Benedetto XVI è riduttivo, incompleto, e pertanto falso, così quello di «violenza» in nome della religione. Non si distingue infatti la religione rivelata dalle false religioni, né l'uso della violenza dall'uso della forza, quest'ultimo per legittima difesa o per ristabilimento del diritto. Ne segue che Benedetto XVI condanna con vergogna – proprio per mancanza di doverosa distinzione - l'uso della «violenza» da parte dei cristiani e - implicitamente – da parte della Chiesa stessa, per un ennesimo, wojtyliano mea culpa:

«Come cristiano, vorrei dire a questo punto: sì, nella Storia anche in nome della fede cristiana si è fatto ricorso alla violenza. Lo riconosciamo, pieni di vergogna. Ma è assolutamente chiaro che questo è stato un utilizzo abusivo della fede cristiana, in evidente contrasto con la sua vera natura».

Ora, è indubbio che – nel corso della Storia – alcune volte si è fatto uso di ingiusta violenza col pretesto della fede cristiana, ma è altrettanto indubbio che si è fatto anche un legittimo uso della forza in nome della fede cristiana (come nelle pagine dell'Antico Testamento lo si fece in nome della fede mosaica) che qui sembra condannato in toto senza le necessarie distinzioni in nome di un pacifismo non cristiano, ma gandhiano.

Benedetto XVI ricorda poi che non solo la religione (mal interpretata, a suo parere, anzi travisata e snaturata) può essere stata causa o giustificazione di violenza, ma anche la perdita di Dio, la sua «assenza», ovvero l'ateismo; e già questo fatto basterebbe per mettere a tacere con vergogna, meritata questa volta, gli illuministi di cui sopra: basti pensare agli immani crimini compiuti in nome della «dea ragione» durante la Rivoluzione Francese e in seguito, e fino ad oggi dal comunismo ateo. Ma ecco che nel discorso di Benedetto XVI, tra religiosi «fondamentalisti» e «atei militanti», fanno capolino gli «agnostici», i quali, invitati alla riunione di Assisi proprio da Benedetto XVI, sono i protagonisti positivi del discorso ratzingeriano.

Il discorso di Benedetto XVI ad Assisi. L'elogio dell'agnosticismo

Religiosi «fondamentalisti» da un lato, «atei militanti» dall’altro, come nemici della pace. Gli agnostici, invece, saranno, lo vedremo, «pellegrini della pace» perché «pellegrini della verità». Ecco con quali parole Benedetto XVI introduce l'argomento:

«Accanto alle due realtà di religione e anti-religione esiste, nel mondo in espansione dell'agnosticismo, anche un altro orientamento di fondo: persone alle quali non è stato dato il dono del poter credere e che tuttavia cercano la verità, sono alla ricerca di Dio. Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della pace"».


Ratzinger parla qui degli agnostici, almeno di coloro che sono «in ricerca». Essi non non credono: «Non è stato dato il dono di poter credere»; sono non-credenti. Ma non escludono Dio come possibilità: sono agnostici. Questa non-esclusione per Ratzinger è una ricerca, la ricerca è pellegrinaggio verso la verità, e il pellegrinaggio verso la verità, senza averla raggiunta, è come vedremo, per Ratzinger, la condizione esistenziale di ogni uomo, anche del credente: non sono forse gli stessi pellegrini di Assisi, tutti, capeggiati da Benedetto XVI, «pellegrini della verità, pellegrini della pace»?

Dio è l'autore dell'agnosticismo?

Ma, prima di proseguire nel commento delle parole del «raffinato teologo» tedesco, soffermiamoci su di una grave affermazione relativa alla causa dell'agnosticismo. Il Concilo Vaticano II (1962-1965) attribuisce (anche) ai credenti, colpevoli di presentare un'immagine deformata di Dio, la causa o concausa dell'ateismo, per cui molti atei non negherebbero il vero Dio, ma un falso o deformato concetto di Dio loro presentato dai credenti:

«Senza dubbio coloro che volontariamente cercano di tenere lontano Dio dal proprio cuore e di evitare i problemi religiosi, non seguendo l'imperativo della loro coscienza, non sono esenti da colpa (quindi gli altri atei lo sarebbero; N.d.A.); tuttavia, in questo campo anche i credenti spesso hanno una certa responsabilità. Infatti, l'ateismo considerato nella sua interezza non è qualcosa di originario, bensì deriva da cause diverse, e tra queste va annoverata anche una reazione critica contro le religioni e, in alcune regioni, proprio anzitutto contro la religione cristiana. Per questo nella genesi dell'ateismo possono contribuire non poco i credenti, in quanto per aver trascurato di educare la propria fede, o per una presentazione fallace della dottrina, o anche per i difetti della propria vita religiosa, morale e sociale, si deve dire piuttosto che nascondono e non che manifestano il genuino volto di Dio e della religione» 4.

(Ma questo, obietto, mai fino al punto di scusare l'ateismo; N.d.A.). Ratzinger ribadisce questa dottrina conciliare, e - come vedremo - va oltre. La causa dell'agnosticismo e del non credere è spesso da attribuire ai «credenti» (si noti come con questo termine Ratzinger inglobi, a torto, sia i credenti alla vera religione, sia gli aderenti di quelle false):

«Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio».

Sopra: durante una manifestazione degli atei americani un partecipante
mostra un cartello su cui è scritto: «Se Gesù ritorna uccidiamolo ancora».

La causa del non credere è da ricercarsi dunque nelle religioni (non esclusa la vera) e nei credenti (non esclusi quelli autentici). Ma c'è di più: la causa dell'agnosticismo sarebbe in fondo Dio stesso che non darebbe ai non credenti «il dono del poter credere». Ora, al di là delle discussioni tra le diverse scuole teologiche sull'efficacia della grazia attuale, è certo che:
L'esistenza di Dio – in quanto tale – è dimostrata dalla ragione, per cui colui che nega detta esistenza o non la riconosce è un «insensato» e non ha giustificazione alcuna (Sl 13, 1 e 52, 1; Sap13, 1 ss.; Rm 1, 19 ss.; Concilio Vaticano I, Costituzione Dogmatica Dei
Filius, in Denz. Sch. § 3026; giuramento antimodernista in Denz. Sch. § 3538); abbiamo già visto che per Benedetto XVI l'esistenza di Dio è solo una «ottima opzione» non rigorosamente dimostrata 5.
Le verità sovrannaturali rivelate da Dio non sono dimostrate dalla ragione, ma sono credute per Fede, e tuttavia «perché l'ossequio della nostra fede fosse conforme alla ragione (Rm 12, 1), Dio ha voluto che agli interiori aiuti dello Spirito Santo si accompagnassero anche delle prove esteriori della sua rivelazione», i miracoli e le profezie, i quali «sono segni certissimi della divina rivelazione adatti ad ogni intelligenza» (Denz. Sch. § 3009) anche di oggi (Denz. Sch. § 3539), per cui anche la Rivelazione divina è «credibile» (Denz. Sch. § 3033) poiché questi argomenti di credibilità possono «provare efficacemente l'origine divina della religione cristiana» (Denz. Sch. § 3034).
L'atto di fede in Dio come autore della Rivelazione è certamente un dono della grazia (Denz. Sch. § 3035), che Dio non dà a tutti, e tuttavia Dio dà a tutti, con la grazia sufficiente, la possibilità del credere (Denz. Sch. § 2305 con Denz. Sch. § 3802) come del salvarsi (impossibile senza il credere: Eb 11, 6; Mc 16, 16), grazia che contiene l'offerta del dono di credere, e che è colpevolmente rifiutata da chi non crede.
Sopra: i martiri cristiani dei primi secoli non hanno dubitato e hanno
preferito essere sbranati dalle belve che rinnegare la loro fede.

Si deve concludere che Dio non dà a tutti il dono di credere, ma dà a tutti il dono di «poter credere», e che coloro che non credono lo fanno perché rifiutano questo dono, e parimenti rifiutano i «segni certissimi della divina rivelazione adatti ad ogni intelligenza» che sono prova efficace «dell'origine divina della religione cristiana» (se sono stati loro sufficientemente proposti) e le prove dell'esistenza di un unico Dio, creatore e rimuneratore del genere umano (Eb 11, 6). Se così non fosse Dio sarebbe la causa dell'incredulità e del peccato e dell'eterna dannazione degli uomini, poiché non darebbe ad alcuni la possibilità di salvarsi, a meno di sostenere – come sembra dire Ratzinger – che l'incredulità non è peccato, né causa di perdizione, poiché, appunto, viene da Dio e porta a Lui.

L'agnostico che non crede in Dio, essendo agnostico, in un certo senso lo ha già trovato, ed è, come il credente, pellegrino della verità

L'agnostico non crede, non ha trovato Dio, Dio è, per lui, assente. Se non lo ha trovato è perché il credente, spesso, rende Dio non accessibile, e comunque perché Dio non gli ha dato il dono di poter credere. Così Ratzinger. E tuttavia, l'agnostico che non crede ha già Dio, in quanto non esclude la possibilità di Dio:

«Persone del genere non affermano semplicemente: "Non esiste alcun Dio". Esse soffrono a motivo della sua assenza e, cercando il vero e il buono, sono interiormente in cammino verso di Lui. Sono "pellegrini della verità, pellegrini della pace"».

Come si possa, non credendo in Dio, essere interiormente in cammino verso di Lui? Forse perché, alla fine, si giungerà alla fede? Non necessariamente. Semplicemente, per il fatto che credenti e non credenti sarebbero accomunati in questo cammino interiore verso Dio:

«Si tratta piuttosto del ritrovarsi insieme in questo essere in cammino verso la verità, dell'impegno deciso per la dignità dell'uomo e del farsi carico insieme della causa della pace contro ogni specie di violenza distruttrice del diritto [...]. Siamo animati dal comune desiderio di essere "pellegrini della verità, pellegrini della pace"».

Sopra: Benedetto XVI e la psicanalista Julia Kristeva ad Assisi.

Credenti e non credenti sono quindi accomunati dall'essere alla ricerca della verità: quindi, il non credente non è nell'errore, e il credente non è nella verità, ma l'uno e l'altro sono in cammino verso la verità; Assisi 2011 è un raduno di uomini che senza essere nella verità e nell'errore sono alla ricerca della verità. Come può il (vero) credente non essere nella verità, giacché crede in Cristo che è la Verità (Gv 14, 16) che rende liberi (Gv 8, 32) e nello Spirito di verità che guida alla «verità tutta intera» (Gv 16, 13)? L'argomento sofistico è così esposto dal Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson nella conferenza stampa tenuta in preparazione alla riunione di Assisi il 18 ottobre 2011:

«La ricerca della verità è premessa per conoscersi meglio, per vincere ogni forma di pregiudizio, ma anche di sincretismo, che offusca le identità. Essere tutti partecipi di un comune cammino di ricerca della verità significa riconoscere la propria specificità, sulla base di ciò che ci fa uguali – tutti siamo capaci di verità – e diversi insieme. Non tutti, infatti, possediamo la verità allo stesso modo; l'averla, poi, ricevuta in dono non impedisce di approfondirla e di sentirsi compagni di viaggio di ogni uomo e donna, perché essa non è mai esauribile».

Il Cardinale Peter Kodwo Appiah Turkson.

Non c'è più verità ed errore, nelle parole del Cardinale, ma solo una differenza di modalità nel possesso della verità, e la comune ricerca della verità; anche chi l'ha ricevuta in dono (fede nella verità divinamente rivelata) non è al termine della ricerca, argomenta il Cardinale, poiché la verità è inesauribile. Ora, è certamente vero che Dio Verità è infinito, e in quanto tale non ne è possibile la comprehensio (conoscenza perfetta dell'oggetto conosciuto tanto quanto esso è conoscibile), neppure dai Beati in Cielo, che godendo della visione beatifica vedono Dio faccia a faccia come Egli è.

Ciononostante, nella divina Rivelazione – chiusa definitivamente alla morte degli Apostoli – è contenuta la «verità tutta intera», verità tutta intera alla quale aderisce il fedele cattolico, e che è invece ignorata (infedeltà materiale) o negata (infedeltà formale) dal non cattolico. Il credente cattolico non è alla ricerca della verità, crede nella verità; il non cattolico invece, non credente, è nell'errore. Trasformare i credenti e i non credenti, inclusi gli atei, in «pellegrini della verità» (seppur ciascuno a modo suo) è una deformazione ingannevole, e pertanto satanica (essendo Satana il padre della menzogna), di puro stampo massonico.

La fede del credente deve essere purificata dall'incredulità dell'agnostico

Nel suo discorso, Benedetto XVI non si limita ad accomunare credenti e non credenti nella categoria «pellegrini della verità», fa di più: l'agnostico deve purificare la fede del credente! Per Benedetto XVI l'agnostico è il «terzo orientamento» dopo quello dell'«ateo combattivo» e quello del «credente» (di tutte le religioni). Ora, gli agnostici hanno un ruolo di purificazione dei due altri orientamenti: essi,

«pongono domande sia all'una che all'altra parte. Tolgono agli atei combattivi la loro falsa certezza, con la quale pretendono di sapere che non c'è un Dio, e li invitano a diventare, invece che polemici, persone in ricerca, che non perdono la speranza che la verità esista e che noi possiamo e dobbiamo vivere in funzione di essa. Ma chiamano in causa anche gli aderenti alle religioni, perché non considerino Dio come una proprietà che appartiene a loro così da sentirsi autorizzati alla violenza nei confronti degli altri. Queste persone cercano la verità, cercano il vero Dio, la cui immagine nelle religioni, a causa del modo nel quale non di rado sono praticate, è non raramente nascosta. Che essi non riescano a trovare Dio dipende anche dai credenti con la loro immagine ridotta o anche travisata di Dio. Così la loro lotta interiore e il loro interrogarsi è anche un richiamo a noi credenti, a tutti i credenti a purificare la propria fede, affinché Dio – il vero Dio – diventi accessibile».

Qual'è il problema per l'umanità, sembra dire Ratzinger? La violenza, la mancata fraternità tra gli uomini. Quale la causa di questa «violenza»? La certezza di essere nella ragione, sia essa degli «atei combattivi» con la loro «falsa certezza» che Dio non esista, sia quella dei «credenti» fondamentalisti o integristi, che considerano «Dio come una proprietà che appartiene a loro» (si tratta chiaramente di una caricatura del loro pensiero, giacché nessun «credente» crede che Dio gli appartenga; e come quando si accusa il «credente» di pensare di «avere la verità in tasca»).

L'agnostico, l'uomo del dubbio, che sempre si interroga, inquietato da una lotta interiore, trasforma l'ateo combattivo in un agnostico come lui, e il credente...? Verrebbe da dire: lo stesso! Perché il mondo sia libero dalla violenza e trovi la pace, occorre – sembra dire Benedetto XVI – che le tre opzioni (credenti, atei, agnostici) si riducano a due (agnostici credenti e agnostici non credenti) che si ritrovano nell'unica categoria dei «pellegrini della verità», verità sempre cercata (e da cercare) e mai (pienamente) trovata.

Il discorso di Benedetto XVI alla luce di Introduzione al cristianesimo del prof. Ratzinger

Quanto detto da Benedetto XVI nel discorso tenuto ad Assisi, è in perfetta continuità con quello che il professor Joseph Ratzinger insegnava ai suoi studenti di Tubinga in un burrascoso '68 post-conciliare 6. Le sue lezioni sono state raccolte nel volume Introduzione al cristianesimo 7, nel quale l'Autore commenta uno per uno gli articoli del Credo. Più importante ancora del commento ai singoli articoli, risulta la parte iniziale dell'opera, nella quale l'Autore spiega cosa si debba intendere con le parole «io credo» oggi. È questo «oggi» dal quale parte tutta la riflessione di Ratzinger, e difatti il primo capitolo si intitola: «É ancora possibile credere nel mondo attuale»? Riprendendo il «noto apologo del clown e del villaggio in fiamme narrato da Kierkegaard» 8,

Sopra: il professor Ratzinger e il suo libro Introduzione al cristianesimo.

Ratzinger paragona il teologo a quel clown che deve avvisare gli abitanti di un villaggio che sono minacciati da un incendio, e che non viene creduto; anzi: suscita l'ilarità generale – perché vestito da pagliaccio. Abiti da pagliaccio «tramandatigli dal Medioevo o chissà da quale passato» che gli impediscono di essere preso sul serio. Ma non basta cambiarsi il costume da pagliaccio e ripulirsi la faccia 9 per diventare credibile, e rendere credibile la fede all'uomo moderno.

Notiamo anzitutto come, fin dall'impostazione della sua opera, Ratzinger sia dominato dallo sgomento e come da una sorta di complesso di inferiorità di fronte al mondo moderno così come è uscito dall'Illumunismo. Il cattolicesimo deve certamente abbandonare gli abiti da pagliaccio del passato, e rinnovarsi profondamente, ma questo non è ancora sufficiente in questa nuova apologetica. Di fronte al mondo incredulo, il credente deve innanzitutto ammettere che il confine tra lui e il non-credente è ben labile:

«Dovrà imparar ad ammettere di non essere soltanto una persona travestita, cui basti solo cambiar gabbana per essere subito in grado di istruire con successo gli altri. Dovrà invece convenire che la sua stessa situazione non si distingue poi da quella degli altri in maniera così radicale, come gli era parso di poter pensare all'inizio. Si accorgerà insomma che in entrambi i gruppi – credenti e non credenti – sono presenti le stesse forze eversive, sia pur estrinsecantisi in modalità assai differenti a seconda del campo. Rileviamo anzitutto questo: nel credente sussiste la minaccia dell'incertezza...» 10.

Di quale minaccia si parla? Solo delle tentazioni contro la fede, con l'esempio della tentazione di Santa Teresa di Lisieux (1873-1897)? 11. La tentazione contro la fede non intacca minimamente la certezza della fede, di cui parlerò in seguito. Ma non sembra essere questo il pensiero di Ratzinger. Egli infatti soggiunge:

«Se è vero che il credente può realizzare la sua fede unicamente e sempre librandosi sull'oceano del nulla, della tentazione e del dubbio, trovandosi assegnato il mare dell'incertezza come unica ambientazione possibile per la sua fede, è però altrettanto vero, reciprocamente, che nemmeno l'incredulo va immaginato immune dal processo dialettico, ovvero come un uomo assolutamente privo di fede [...]. La segreta incertezza se il positivismo abbia davvero l'ultima parola non lo abbandonerà mai. Come succede al credente, sempre mezzo soffocato dal dubbio spruzzatogli continuamente in bocca dall'oceano (del dubbio, del nulla; N.d.A.), così sussiste sempre anche per l'incredulo il dubbio sulla sua incredulità [...]. Sicché, allo stesso modo in cui il credente ha la netta consapevolezza di essere continuamente minacciato dall'incredulità, così la fede resta per l'incredulo una continua minaccia e una incessante tentazione incombente sul suo mondo apparentemente compatto ed ermeticamente chiuso» 12.

Il parallelismo tra «credente» e «non-credente» stabilito da Ratzinger è assoluto: come il non credente più convinto non può mai escludere la fede (quindi non è assolutamente privo di fede), così allo stesso modo il credente convive sempre col dubbio, è mezzo soffocato da esso. Non si
tratta, quindi, per Ratzinger di episodiche tentazioni e di prove spirituali, ma della inevitabile condizione umana comune a credenti e non-credenti:

«In una parola: non si sfugge al dilemma dell'esser uomini. Chi pretende di sfuggire l'incertezza della fede,dovrà fare i conti con l'incertezza dell'incredulità, la quale, dal canto suo, non potrà mai nemmeno dire con inoppugnabile certezza se la fede non sia realmente la verità. È proprio nel rifiuto, che si rende visibile l'irrefutabilità della fede» 13.

Atto di fede: Mio Dio, perché siete verità infallibile, credo fermamente tutto quello che voi avete rivelato e la santa Chiesa ci propone a credere. Ed espressamente credo in voi, unico vero Dio in tre Persone uguali e distinte, Padre, Figliuolo e Spirito Santo. E credo in Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnato e morto per noi, il quale darà a ciascuno, secondo i meriti, il premio o la pena eterna. Conforme a questa fede voglio sempre vivere. Signore, accrescete la mia fede.

La fede, quindi, è per Ratzinger incertezza, ma anche la non credenza è incertezza; parimenti, la fede non ha prove, ma neppure il rifiuto della fede ha delle prove che dimostri la fede falsa: in questo senso la fede è «irrefutabile». Credenza e non credenza, nel pensiero di Ratzinger, sono dominate dal dubbio. È questa la nuova apologetica del teologo tedesco, che abbandonando le prove dell'esistenza di Dio, i miracoli e le profezie, come segni certi dell'origine divina della religione cristiana, tutti argomenti «estrinsecisti» già scartati dal modernista Maurice Blondel (1861-1949), paludamenti medioevali da clown, si rivolge all'uomo moderno, nella sua condizione umana, con l'unico argomento per lui veramente persuasivo, quello del dubbio.

«Io sono la luce del mondo; chi segue me, non
camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita» (Gv 8, 12).

Per illustrare il tutto, Ratzinger ricorre ad un altro apologo: non più di un fideista pastore protestante, ma dello scrittore giudeo chassidico 14 Martin Buber (1878-1965): la storiella ebraica raccontata da Buber narra di un incredulo che si recò da un saggio rabbino per disputare sulla fede, come aveva fatto con tanti altri prima di lui. Il rabbino gli disse solo: «Chissà, forse è proprio vero», incrinando la spavalda certezza dello scienziato incapace di rispondere, e poi spiegò:

«Figlio mio, i grandi della Toràh con cui tu hai polemizzato, hanno sciupato inutilmente le loro parole con te; quando te ne sei andato, ci hai riso sopra. Essi non sono stati in grado di porgerti Dio e il suo Regno; ora, neppure io sono in grado di farlo. Ma pensaci, figlio mio, perché forse è vero» 15.

Ratzinger non vede nell'intervento di rabbi Levi Yitzchak (1740-1809) un fortunato argomento ad hominem che poté incrinare le false certezze di un ateo determinato, ma pensa che, universalmente,

«ci si presenti descritta con molta precisione la situazione dell'uomo di fronte al problema di Dio. Nessuno è in grado di porgere agli altri Dio e il suo Regno, neppure il credente a sé stesso (anche il credente dubita; N.d.A.). Ma per quanto da ciò possa sentirsi giustificata anche l'incredulità (perché la fede non è provata; N.d.A), ad essa resta sempre appiccicata addosso l'inquietudine del "forse però è vero". Il "forse" è l'ineluttabile tentazione alla quale l'uomo non può assolutamente sottrarsi, nella quale, anche rifiutando la fede, egli deve sperimentarne l'irrefutabilità» 16.

Maurice Blondel
Martin Buber
Levi Yitzchak

E questo vale anche, sempre, e necessariamente, per il credente:

«Per dirla in altri termini, tanto il credente quanto l'incredulo, ognuno a suo modo, condividono dubbio e fede, sempre beninteso che non cerchino di sfuggire a sé stessi e alla verità della loro esistenza. Nessuno può sfuggire completamente al dubbio, ma nemmeno alla fede; per l'uno la fede si rende presente "contro" il dubbio, per l'altro "attraverso" il dubbio e "sotto forma" di dubbio. È tipico della stessa impostazione fondamentale del destino umano, trovare l'assetto definitivo dell'esistenza, unicamente in questa interminabile rivalità tra dubbio e fede, tra tentazione e certezza» 17.

Parole che illuminano il discorso di Assisi: ogni non-credente, crede; ogni credente, dubita; ogni uomo, credente e non-credente, in quanto uomo, è, e non può non essere, «pellegrino della verità». E «pellegrino della pace». È proprio il dubbio, infatti, che rende possibile la pace e il dialogo. Così conclude il suo paragrafo il nostro autore:

«E chissà mai che proprio il dubbio, il quale preserva tanto l'uno quanto l'altro (il credente e l'agnostico; N.d.A.) dalla chiusura nel proprio isolazionismo, non divenga d'ora in poi la sede per intavolare delle conversazioni, per scambiare e comunicarsi qualche idea (come ad Assisi; N.d.A.). Esso infatti impedisce ad ambedue gli interlocutori (quindi, anche il credente dubita; N.d.A.) di barricarsi completamente in sé stessi, portando il credente a rompere il ghiaccio col dubbioso e il dubbioso ad aprirsi col credente; per il primo, rappresenta una partecipazione al destino dell'incredulo, per il secondo, una forma sotto cui la fede resta – nonostante tutto – una provocazione permanente» 18.

«Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: "Pace a voi"! Poi disse a Tommaso:
"Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo
ma credente"! Rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio"! Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto,
hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno"»! (Gv 20, 26-29).

È la formula della «cattedra dei non-credenti»; è la formula del «Cortile dei Gentili»; è la formula dell'ultimo incontro di Assisi; è lo spirito di «tre anelli» e della Massoneria 19. In base a quanto scrive lo stesso Ratzinger, possiamo dedurre, senza fare un giudizio temerario, che anche lui «crede» dubitando; è nello stesso tempo un agnostico e un «credente». Ma, per l'appunto: è possibile essere agnostici e credenti? É conciliabile il dubbio con la fede?

L'agnosticismo ratzingeriano distrugge la certezza della fede, e pertanto la possibilità stessa dell'atto di fede

- Oscurità e certezza della fede. La fede è certa e indubitabile
È possibile essere agnostici e credenti? La risposta è affermativa per i modernisti: lo vedremo rileggendo l'Enciclica Pascendi Dominici gregis di San Pio X (1835-1914). Per la fede cattolica, al contrario, il dubbio volontario è incompatibile con la fede. Affinché una proposizione possa essere oggetto di fede, è necessario che, nello stesso tempo, sia vera e oscura, o non evidente. Per cui due sono le condizioni dell'oggetto materiale della fede, e cioè che sia vero e oscuro; e due sono le proprietà della fede da parte dell'oggetto: l'infallibilità e l'oscurità 20. Sembra paradossale, ma è così: escludono la fede sia l'evidenza che il dubbio!

Da un lato, infatti, è oggetto di fede una verità sovrannaturale, rivelata da Dio, che supera pertanto (senza tuttavia contraddirla) la nostra ragione. Pur essendo credibili, le verità di fede non possono essere dimostrate dalla ragione, e proprio in questo consiste il merito della fede: «Beati coloro che crederanno senza vedere» (Gv 20, 29). Esclude la fede la «scienza» (la conoscenza puramente razionale) 21 e la visione 22, sia quella sensibile dei nostri occhi corporei, sia quella beatifica del Cielo.

I Beati in Cielo non hanno la fede, che ha lasciato il posto alla visione beatifica. In terra, invece, il credente crede fermamente quanto rivelato da Dio nell'oscurità della fede, perché quanto gli è stato rivelato da Dio, tanto più grande di lui e della sua ragione limitata, è per lui assolutamente non evidente: così il mistero della Trinità, quello dell'Incarnazione, quello dell'Eucaristia, e tutti gli altri misteri della nostra santa fede.

Sopra: Papa San pio X e la sua Enciclica Pascendi (1907).

L'oscurità della fede (nella quale consiste, d'altronde, la sua imperfezione, rispetto alla visione beatifica) non significa però, in alcun modo, che la fede sia dubbia, o che ammetta il dubbio. La fede non ammette alcuna falsità 23, né da parte di Dio che si rivela, essendo Egli la Verità prima, la medesima Verità, sia da parte del credente che dà il suo assenso, appunto, all'infallibile Verità. Dio non può ingannarsi, né ingannarci. E difatti, qual è il motivo della fede? Perché si crede?

Si crede a causa dell'autorità di Dio che si rivela (Concilio Vaticano I, Denz. Sch. § 3008). Stabilito dalla ragione che Dio esiste, accertato che Dio si è rivelato (e sono questi, razionali argomenti di credibilità; Concilio Vaticano I, Denz. Sch. § 3009), non si può non credere o anche solo dubitare di quanto Dio stesso ci ha proposto a credere. «Se accettiamo la testimonianza degli uomini, la testimonianza di Dio è maggiore» (1 Gv 5, 9). La maggior parte delle nostre conoscenze, vengono dalla testimonianza di persone degne di fede (genitori, insegnanti, documentazione storica, ecc...), alle quali noi diamo il consenso del nostro intelletto senza poterne sempre verificare da noi stessi l'assoluta certezza. Se crediamo alla testimonianza degli uomini, appunto, perché non credere a quella di Dio?

Con la sola differenza che quanto rivelato da Dio esclude totalmente l'errore: da qui l'assoluta certezza della fede, che esclude ogni dubbio. Se quindi si considera la certezza della fede dal punto di vista della causa della fede, Dio che si rivela, la fede è più certa di quello che vedo con i miei occhi e delle più evidenti certezze della ragione; se si considera invece l'intelletto di colui che crede, è chiaro che la fede gli appare meno certa di quello che vede e tocca, o capisce, perché le verità di ragione sono alla sua portata, mentre le verità di fede, come detto, trascendono l'intelletto umano24.

Questo spiega come mai si possa essere assolutamente certi della fede, e nello stesso tempo essere, a volte, in preda alla tentazione del dubbio involontario, mai però consentito. Infatti, parlando in assoluto, e senza distinzioni, la fede è non solo certa, ma è più certa di qualsiasi altra conoscenza: essa è infallibile e indubitabile 25; anche quando devo credere alla risurrezione di un morto, alla maternità di una vergine o alla Trinità di persone in un unico Dio, la mia mente esclude ogni dubbio, ogni sospensione di giudizio, e dà un fermissimo assenso, perché sa che Dio, che me lo ha rivelato, non può ingannarsi né ingannarmi. La fede non ha niente a che vedere con le opinioni umane:

«Non è affatto uguale la condizione di quelli che grazie al celeste dono della fede hanno aderito alla verità cattolica, e di quelli che, guidati da opinioni umane, seguono una falsa religione. Quelli che infatti hanno ricevuto la fede sotto il magistero della Chiesa non possono mai avere un giusto motivo per mutare o dubitare della propria fede» 26.

Pio IX (1792-1878) spiega chiaramente:

«Bisogna che la ragione umana, per non essere tratta in inganno e per non sbagliare in una cosa così importante, studi attentamente il fatto della Rivelazione divina, per essere sicura che Dio ha parlato e per "rendergli ossequio secondo ragione", come con grande saggezza insegna l'apostolo (Rm 12, 1). Chi infatti può ignorare che bisogna avere ogni fede in Dio che ci parla e che nulla è più conforme alla ragione stessa che ammettere, attaccandosi saldamente, quelle cose che si siano constatate come rivelate da Dio, che non può essere ingannato né ingannare? Ma sono a disposizione molti ammirevoli e luminosi argomenti in base ai quali la ragione umana deve essere perfettamente convinta che la religione di Cristo è divina e che "ogni principio dei nostri dogmi ha preso radice dall'alto, dal Signore dei Cieli", e che quindi non esiste nulla di più certo, di più sicuro, di più santo della nostra fedee che si fondi su più saldi principi» 27.

«La fede è realtà di cose sperate, e convincimento di cose che non si vedono» (Eb 11, 1). Si crede ciò che non si vede, che non è per noi evidente, nell'oscurità della fede: da qui il merito della fede. Ma si crede con convincimento (argumentum) che fonda la certezza della fede: per questo chi non crede è colpevole, è condannato.

L'agnosticismo ratzingeriano rende impossibile l'atto di fede

L'atto di fede è quindi un atto con il quale il nostro intelletto dà con certezza, escludendo qualsiasi dubbio volontario, il suo assenso a qualunque verità rivelata da Dio, proprio in quanto rivelata da Dio, Verità stessa. Ma se il credente crede e dubita nello stesso tempo, non può credere senza dubitare, poiché non può sfuggire alla sua condizione umana, come scrive Ratzinger, non è capace di fare un vero atto di fede.

Per elicitare, fare un vero atto di fede, è necessario infatti un fermo assenso dell'intelletto, la quale fermezza esclude il dubbio (col quale non si giudica, si sospende il giudizio) e il timore stesso di sbagliare (colui che ha solo una opinione, e non una certezza, dà un assenso, sì, ma col timore di sbagliare). Per cui, quando si dubita volontariamente di una verità di fede, o si teme di errare nel dare il proprio assenso, si commette un peccato di infedeltà, un peccato contro la fede, col quale non si perde solo la fede a riguardo della verità a proposito della quale si dubita, ma si perde del tutto e totalmente la virtù della fede 28.

Se quindi abbiamo ben inteso il pensiero ratzingeriano, ne consegue che esso rende radicalmente impossibile l'atto di fede, e anzi costituisca la negazione stessa della fede. Colui che professasse di credere tutto quello che Dio ha rivelato e la Chiesa propone a credere, ma lo facesse dubitando o anche solo col timore di errare, convinto com'è che l'uomo non può sfuggire alla sua condizione umana che include l'impossibilità di sfuggire al dubbio ebbene, costui non porrebbe un atto di fede; commetterebbe al contrario un peccato contro la fede, e perderebbe per il fatto stesso la virtù della fede.

È per questo, d'altronde, che San Pio X definisce il modernismo la riunione o la cloaca di tutte le eresie: perché, rendendo alla radice impossibile l'atto di fede, snaturando il concetto stesso di fede, il modernismo non si oppone direttamente a una o un'altra verità, ma le distrugge tutte, anche quando pretende o si illude di crederle tutte. È quello che San Pio X spiega, per l'appunto, nell'Enciclica Pascendi.

L'agnosticismo ratzingeriano è vero modernismo. L'Enciclica Pascendi di San Pio X

- I nemici della Chiesa si nascondono nella Chiesa
Ma è mai possibile, diranno molti miei lettori, che si accusi di agnosticismo, di incredulità, degli uomini di Chiesa, e perfino colui che, agli occhi di tutti, appare il Capo visibile della Chiesa? Non possiamo neppure prendere in esame questa possibilità! Dobbiamo chiudere occhi e orecchie di fronte a quanto letto finora, alle parole stesse di Joseph Ratzinger. Eppure, essi tessono le lodi del modernismo, lo riabilitano; e Papa San Pio X ci aveva avvertito. Scrisse infatti San Pio X nel condannare il modernismo l'8 settembre 1907:

«I fautori dell'errore già non sono da ricercarsi tra i nemici dichiarati; ma ciò che dà somma pena e timore, si celano nel seno stesso della Chiesa, tanto più perniciosi quanto meno sono in vista. Fanno le meraviglie costoro perché noi li annoveriamo tra i nemici della Chiesa [...]. Per la verità, non si allontana dal vero chi li ritenga fra i nemici della Chiesa i più dannosi. Questo perché, come abbiamo già detto, i loro consigli di distruzione non li agitano costoro al di fuori della Chiesa ma dentro di essa; ond'è che il pericolo si nasconde quasi nelle vene stesse e nelle viscere di lei, con rovina tanto più certa, quanto essi la conoscono più addentro».

- L'agnosticismo modernista: modernismo sintesi di tutte le eresie
E subito il Papa continua spiegando che la gravità estrema dell'errore modernista proviene non solo dal fatto che viene diffuso nel seno stesso della Chiesa da dei suoi membri (tali almeno in apparenza), ma che tale errore, come abbiamo detto, mini alla radice, rendendolo impossibile, lo stesso atto di fede:

«Di più, non pongono già la scure ai rami o ai germogli, ma alla radice medesima, cioè alla fede e alle fibre di lei più profonde. Intaccata poi questa radice dell'immortalità, continuano a far correre il veleno per tutto l'albero in modo tale che non risparmiano alcuna parte della cattolica verità, nessuna che non cerchino di contaminare».

Sopra: a sinistra, Ratzinger e il suo maestro, l'eretico gesuita Karl Rahner;
a destra Ratzinger e il domenicano Yves Congar, uno dei fautori della nouvelle théologie.
Entrambe le foto risalgono ai tempi del Concilio, cui Ratzinger partecipò come perito.

E com'è che il modernismo cerca di distruggere la fede alla radice? Con l'agnosticismo. «Tutto il fondamento della filosofia religiosa è riposto dai modernisti nella dottrina che chiamano dell'agnosticismo». Adottata la falsa filosofia moderna, i modernisti ne deducono che Dio non può essere dimostrabile, e così pure che non hanno valore gli argomenti di credibilità della divina rivelazione.

«Tutto questo i modernisti tolgono via di mezzo, e l'attribuiscono all'intellettualismo, ridicolo sistema, come essi affermano, e tramontato già da gran tempo», senza curarsi del fatto che questi errori sono stati solennemente condannati, come abbiamo detto, dal Concilio Vaticano I 29. Ogni verità di fede perde certezza, perché la fede stessa non è certezza: per questo il modernismo è «la sintesi di tutte le eresie» 30.

- Il modernista pretende di essere nello stesso tempo agnostico e credente...
Il modernista è dunque un agnostico 31. Eppure, pretende essere nello stesso tempo, un credente 32. È questa contraddizione che rende il modernismo così ambiguo e sfuggente! Se come studioso il modernista, che ha abbandonato la sorpassata filosofia di San Tommaso, non può andare oltre il dubbio dell'agnostico, se l'intelletto è incapace di conoscere con certezza Dio e la Rivelazione al di fuori dell'uomo, il modernista pensa di ritrovarlo dentro di sé, nell'immanenza vitale, nell'esperienza che ogni uomo, anche il non credente, fa del divino, nel sentimento religioso. È «questa esperienza [...] quella che lo costituisce propriamente e veramente credente»; e San Pio X afferma che questo concetto di fede – vero e proprio fideismo – ha la sua origine «nell'opinione dei protestanti e dei pseudo-mistici». Questa esperienza religiosa sarà tanto più viva quanto più sarà vitale, e pertanto in perpetua evoluzione, e la tradizione è concepita come viva ed evolutiva «comunicazione dell'esperienza religiosa fatta agli altri», ove l'autorità svolge un ruolo di freno, freno che non può però impedirsi di accogliere e consacrare le novità che nascono dalla viva esperienza religiosa, e di constatare la fine di tradizioni morte perché non più vitali 33. Naturalmente, questo «sentimento religioso», questa «esperienza religiosa», sono comuni a tutti gli uomini, non esclusi gli increduli, per cui tutte le religioni sono una manifestazione del divino nell'uomo:

«Ogni religione, sia pure quella degli idolatri, deve ritenersi siccome vera. Perché infatti non sarà possibile che tali esperienze s'incontrino in ogni religione? [...]. E con quale diritti i modernisti negheranno la verità ad una esperienza affermata da un islamita? Con quale diritto rivendicheranno esperienze vere per i soli cattolici? E infatti i modernisti non negano, concedono anzi, altri velatamente, altri apertissimamente, che tutte le religioni sono vere» 34.

E persino il dubbio dell'incredulo. È questo, evidentemente, il fondamento non solo dell'ecumenismo (con gli altri «cristiani»), ma anche del «dialogo interreligioso» (con i «credenti» delle religioni non cristiane) e del dialogo con i non-credenti, che si è reso visibile negli incontri di Assisi.

- …in realtà apre la via all'ateismo
Come già detto 35 a proposito della parabola dei tre anelli e della leggenda dei tre impostori, queste dottrine conducono all'ateismo. È la conclusione di San Pio X nella sua enciclica: il modernismo spalanca «la via all'ateismo» 36; «per quante vie la dottrina dei modernisti» conduce «all'ateismo e alla distruzione di ogni religione. L'errore dei protestanti diede il primo passo in questo sentiero; il secondo è del modernismo; a breve distanza dovrà seguire l'ateismo» 37.

Il successore di San Pio X, Pio XI (1857-1939), parlando degli ecumenisti, o pancristiani, come si diceva allora, nell'Enciclica Mortalium animos (1928), dichiarava anch'egli come l'ecumenismo era «la via all'ateismo» 38, ecumenismo che per l'appunto è figlio legittimo del protestantesimo e, tra di noi, del modernismo. I rappresentanti di tutte le religioni e irreligioni riuniti ad Assisi sotto la presidenza di Benedetto XVI, sfidando la condanna fulminata da Pio XI contro tali riunioni, non sono solo pellegrini in cammino verso la verità, ma sventurati in marcia verso l'ateismo.

Sopra: Papa Pio XI e la sua Enciclica Mortalium animos.

- I Cardinali Martini e Ravasi non sono «antipapi», ma discepoli dell'agnosticismo modernista di Benedetto XVI. I «tradizionalisti» ratzingeriani sono ciechi che guidano altri ciechi
È dal novembre 2011, a oggi che parlo, a rischio di annoiare, dell'agnosticismo nel pensiero di Joseph Ratzinger. Parole e scritti che non hanno trovato il minimo eco. Eppure, quando le medesime idee e iniziative sono attribuibili non (direttamente) a Benedetto XVI, ma, ad esempio, ai Cardinali Martini (testé defunto) e Ravasi, allora, e solo allora, le voci e le penne di alcuni scrittori cattolici escono dal silenzio e condannano la «teologia del dubbio», attribuita ai due porporati.

È successo recentemente, in occasione della morte del Cardinale Carlo Maria Martini (1927-2012), e dell'iniziativa di Ravasi di riunire nuovamente ad Assisi il 5 ottobre 2012 un nutrito gruppo di non-credenti o poco credenti italiani, capeggiati dal presidente della repubblica Giorgio Napolitano, nell'ambito del Cortile dei Gentili 39. Ma ci chiediamo: chi ha promosso il Cortile dei Gentili? Lo stesso Benedetto XVI, di cui riporto quello che vien chiamato il «discorso di fondazione» del Cortile dei Gentili:

«Ma considero importante soprattutto il fatto che anche le persone che si ritengono agnostiche o atee, devono stare a cuore a noi come credenti. Quando parliamo di una nuova evangelizzazione, queste persone forse si spaventano. Non vogliono vedere sé stesse come oggetto di missione, né rinunciare alla loro libertà di pensiero e di volontà. Ma la questione circa Dio rimane tuttavia presente pure per loro, anche se non possono credere al carattere concreto della sua attenzione per noi. A Parigi ho parlato della ricerca di Dio come del motivo fondamentale dal quale è nato il monachesimo occidentale e, con esso, la cultura occidentale. Dobbiamo preoccuparci che l'uomo non accantoni la questione su Dio come questione essenziale della sua esistenza. Preoccuparci perché egli accetti tale questione e la nostalgia che in essa si nasconde. Mi viene qui in mente la parola che Gesù cita dal profeta Isaia, che cioè il tempio dovrebbe essere una casa di preghiera per tutti i popoli (Is 56, 7; Mc 11, 17). Egli pensava al cosiddetto "cortile dei gentili", che sgomberò da affari esteriori perché ci fosse lo spazio libero per i gentili che lì volevano pregare l'unico Dio, anche se non potevano prendere parte al mistero, al cui servizio era riservato l'interno del tempio. Spazio di preghiera per tutti i popoli – si pensava con ciò a persone che conoscono Dio, per così dire, soltanto da lontano; che sono scontente con i loro dei, riti, miti; che desiderano il Puro e il Grande, anche se Dio rimane per loro il "Dio ignoto" (At 17, 23). Essi dovevano poter pregare il Dio ignoto e così tuttavia essere in relazione con il Dio vero, anche se in mezzo ad oscurità di vario genere. Io penso che la Chiesa dovrebbe anche oggi aprire una sorta di "cortile dei gentili" dove gli uomini possano in una qualche maniera agganciarsi a Dio, senza conoscerlo e prima che abbiano trovato l'accesso al suo mistero, al cui servizio sta la vita interna della Chiesa. Al dialogo con le religioni deve oggi aggiungersi soprattutto il dialogo con coloro per i quali la religione è una cosa estranea, ai quali Dio è sconosciuto e che, tuttavia, non vorrebbero rimanere semplicemente senza Dio, ma avvicinarlo almeno come Sconosciuto» 40.

Assisi, 4-5 ottobre 2012: nell'ambito del «Cortile dei Gentili»
il Cardinale Ravasi colloquia con l'ex presidente Giorgio Napolitano.

Tema dell'incontro: «Dio, questo sconosciuto» (sic).


E il Cardinal Martini, definito dai giornali come un oppositore di Benedetto XVI, quasi un «antipapa», a chi si ispirò per la sua «Cattedra dei non- credenti»? Ce lo rivela lui stesso, come si può leggere in un articolo di Andrea Tornielli:

«E se la "cattedra dei non credenti" di Carlo Maria Martini fosse stata ispirata da Ratzinger? A leggere quanto scriveva il porporato gesuita si direbbe proprio di sì. Martini ne aveva scritto nel 1997, in un volume in onore del Cardinale bavarese. Alla fine degli anni Sessanta, Martini si trovava in ritiro in una casa nella Selva Nera e preparava una conversazione per un gruppo di sacerdoti italiani. "Mi aspettavo molte domande, contestazioni, difficoltà. Ero alla ricerca di un qualche libro che mi aiutasse a mettere giù le idee in modo chiaro e sereno. Fu così che ebbi tra le mani la "Introduzione al Cristianesimo" di Joseph Ratzinger, uscita poco prima (1968). Ricordo ancora oggi", spiegava Martini, "il gusto con cui lessi quelle pagine. Mi aiutavano a chiarire le idee, a pacificare il cuore, a uscire dalla confusione [...]. Conservo ancora oggi quegli appunti. Fu in particolare da quella lettura che ritenni il tema del "forse è vero" con cui si interroga l'incredulo, e che mi guidò poi per realizzare la "Cattedra dei 
non credenti". Nell'"Introduzione al cristianesimo" Ratzinger presentava la ragionevolezza del credere facendosi carico delle domande e dell'incredulità moderna. Un approccio che non avrebbe mai abbandonato. Nel 2001 Ratzinger, allora Prefetto dell'ex Sant'Uffizio, nel libro "Dio e il mondo" affermava:"La natura della fede non è tale per cui a partire da un certo momento si possa dire: io la possiedo, altri no [...]. La fede rimane un cammino [...]. Ed è anche salutare che si sottragga in questo modo al rischio di trasformarsi in ideologia manipolabile. Al rischio di indurirci e di renderci incapaci di condividere riflessione e sofferenza con il fratello che dubita e si interroga. La fede può maturare solo nella misura in cui sopporti e si faccia carico dell'angoscia e della forza dell'incredulità e l'attraversi infine fino a farsi di nuovo percorribile in una nuova epoca. Un approccio molto distante da certi cliché consolidati, che accomuna Martini e Ratzinger. E il porporato bavarese divenuto Benedetto XVI non è cambiato, come dimostra l'istituzione del "Cortile dei gentili", per il dialogo con chi non crede».

Di fronte all'evidenza scrittori come Alessandro Gnocchi e Mario Palmaro (1968-2014) difendono Ratzinger da chi ne mette in discussione l'autorità, e attribuiscono ogni colpa ai «progressisti» che lo avverserebbero; altri, come Antonio Socci, un «timoniere» come Palmaro, si fanno addirittura divulgatori del pensiero agnostico ratzingeriano di Assisi. Partecipando al 4° giorno del Timone in Toscana il 15 settembre 2012, per ricevere il Premio «Viva Maria» (sic), Socci ha «condiviso con noi», cioè con quelli del Timone,

«alcune riflessioni sul relativismo e sul fondamentalismo. Il relativismo afferma che la verità non esiste, quindi sarà chi detiene il potere a stabilire, di volta in volta, che cos'è la verità. Il fondamentalista invece afferma che la verità esiste, ed è in suo possesso. Anche in questo caso la verità viene imposta da chi ha il potere, che nel caso del fondamentalista assume anche una valenza religiosa. Il cristiano invece afferma che la verità esiste, ma nessuno può dire di averne il pieno possesso» 41.

«Gesù disse loro: "Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura.
Chi crederà e sarà battezzato sarà salvo, ma chi non crederà sarà condannato"» (Mc 16, 15-16).

Durante l'incontro di Assisi, la psicanalista atea Julia Kristeva ha preso la parola per elogiare... il Nuovo Ordine Mondiale! Ecco parte del testo del suo discorso:

«Oggi, lontani dal demondializzare, è necessario inventare un nuovo regolamento internazionale, per regolare e gestire la finanza e l'economia mondializzata, e creare alla fine un Governo Mondiale etico, universale e solidale» 42.


La cosa non ci deve stupire più di tanto. Lo stesso Benedetto XVI, durante la benedizione Urbi et Orbi del 25 dicembre 2005, ha dichiarato alla folla raccolta davanti alla Basilica di San Pietro:

«Uomo moderno, adulto eppure talora debole nel pensiero e nella volontà, lasciati prender per mano dal Bambino di Betlemme; non temere, fidati di Lui! La forza vivificante della sua luce ti incoraggia ad impegnarti nell'edificazione di un nuovo ordine mondiale, fondato su giusti rapporti etici ed economici. Il suo amore guidi i popoli e ne rischiari la comune coscienza di essere "famiglia" chiamata a costruire rapporti di fiducia e di vicendevole sostegno. L'umanità unitapotrà affrontare i tanti e preoccupanti problemi del momento presente: dalla minaccia terroristica alle condizioni di umiliante povertà in cui vivono milioni di esseri umani, dalla proliferazione delle armi alle pandemie e al degrado ambientale che pone a rischio il futuro del pianeta» 42.


Nuovo Ordine Mondiale, «Dio questo sconosciuto» («o se si preferisce il Grande Architetto dell'Universo)... Non c'è che dire: la Massoneria è ormai di casa nella cittadella di San Francesco.

NOTE

1 Articolo estratto dalla rivista Sodalitium (pagg. 5-19), nº 3, Anno XXIX, aprile 2013.

2 Cfr. Sodalitium, nº 65 pag. 17.

3 7 dicembre 1965. La Costituzione pastorale Gaudium et spes, nel capitolo XIX parla del problema dell'ateismo, la cui causa verrebbe in buona parte da una visione distorta di Dio presentata dai credenti. Credenti e non credenti devono collaborare nell'edificazione della società.

- 9 aprile 1965. Paolo VI istituisce il Segretariato per in non-credenti, in applicazione della Costituzione Gaudium et spes.

- 1988. Giovanni Paolo II muta il nome del Segretariato in Pontificio Consiglio per il dialogo con i non-credenti;

- 25 marzo 1993. Il Pontificio consiglio per il dialogo con i non-credenti viene unito al Pontificio consiglio della cultura per il dialogo e la collaborazione tra la Chiesa e la cultura del nostro tempo;

- 21 dicembre 2009. Discorso di Benedetto XVI per gli auguri di Natale alla Curia Romana. Viene considerato il «discorso di fondazione» del «Cortile dei Gentili» come spazio per accogliere nel dialogo i non-credenti che non rinunciano a cercare il «Dio Ignoto» o il «Dio Sconosciuto». Il dipartimento «Ateismo» del Pontificio Consiglio della Cultura viene denominato «Cortile dei Gentili». Nei «temi nei quali credenti e non-credenti potranno riconoscersi» è incluso il «cercare una sintesi e un dialogo precursore e profondo tra lo spirito illuminista, il secolarismo e la fede. Riconoscere le autentiche conquiste dell'Età dei Lumi».

4 Cfr. Gaudium et spes, nº 19.

5 Cfr. Sodalitium, nº 65, pag. 41.

6 Le lezioni tenute da Ratzinger a Tubinga, nell'estate del 1967, sono state raccolte in volume l'anno seguente, e pubblicate in italiano nel 1969. Fu Hans Küng che ottenne, al più giovane Ratzinger, la cattedra a Tubinga, nel 1966 (cfr. Dizionario storico dell'Inquisizione, diretto da Adriano Prosperi, Ed. della Scuola Normale Superiore di Pisa, 2010, vol. II, pag. 865).

7 Cito dall'ottava edizione italiana: J. Ratzinger, Introduzione al cristianesimo, Edizione Queriniana, Brescia, 1986. Nel 2000, il Cardinal Ratzinger ha scritto una nuova prefazione al libro, che è stato ristampato in una nuova traduzione italiana nel 2005, sempre dalla Queriniana.

8 Cfr. J. Ratzinger, op. cit., pag. 11.

9 Ibid., pag. 12.

10 Ibid., pag. 13.

11 Ibid., pagg. 13-14.

12 Ibid., pagg. 16-17.

13 Ibid.

14 Il giudeo, scrisse lo storico israelita James Darmesteter, citato da Mons. Umberto Benigni, è, nel mondo cristiano, «il dottore dell’incredulo» (cfr. Sodalitium, nº 65, pag. 11), il maestro del dubbio.

15 Cfr. J. Ratzinger, op. cit., pag. 17.

16 Ibid., pagg. 17-18.

17 Ibid., pag. 18.

18 Ibid.

19 Cfr. Sodalitium, nº 65.

20 Cfr. B. H. Merkelbach o.p., Summa Theologiæ moralis, vol. I, nº 677; San Tommaso d'Aquino, Summa Theologiæ, II-II, q. 1, aa. 3, 4, 5.

21 Cfr. San Tommaso d'Aquino, op. cit., II-II, q. 1, a. 5.

22 Ibid., II-II, q. 1, a. 4.

23 Ibid., II-II, q. 1, a. 3.

24 Ibid., II-II, q. 4, a. 8.

25 Cfr. B. H. Merkelbach o.p., Summa Theologiæ moralis, vol. I, nn. 720-721.

26 Cfr. Concilio Vaticano I, Denz.-Schon. § 3014; vedi can. 6, Denz.-Schon. § 3036)

27 Cfr. Enciclica Qui pluribus, in Denz.-Schon § 2278-2279.

28 Il peccato contro la fede si può commettere «quanto all'oggetto materiale: a) negando la verità rivelata proposta, o dando il proprio assenso a una opinione incompatibile con la dottrina rivelata b) dando il proprio assenso alla verità rivelata in maniera non ferma, ma col timore che possa essere vero l'opposto c) dubitando positivamente e deliberatamente della stessa verità, e cioè sospendendo il proprio assenso, non come quando uno vuol pensare ad altro e non stancare la mente, o cercare motivi di dare meglio il proprio assenso, o cose simili, ma esattamente col pensare o temere positivamente che la verità proposta possa essere falsa. Tutti questi modi escludono con ogni evidenza la volontà di credere fermamente e il fermo assenso volontario a causa di Dio che si rivela, e quindi costituiscono almeno implicitamente una negazione della fede» (Cfr. B. H. Merkelbach o.p., op. cit., vol. 1, nº 738).

29 Cfr. De Revelatione, canoni 1 e 2; De fide, canone 3.

30 Cfr. Enciclica Pascendi Dominici gregis, § 7.

31 Ibid., § 1.

32 Ibid., § 2.

33 Ibid., § 3.

34 Ibid., § 2.

35 Cfr. Sodalitium, nº 65.

36 Ibid., § 2.

37 Ibid., § 7.

38 «Teoria questa che non è soltanto una falsità vera e propria, ma che ripudia la vera religione falsandone il concetto, e così spiana la via al naturalismo e all'ateismo. Chi dunque tien mano a codesti tentativi ed ha di queste idee, con ciò stesso, per conseguenza manifesta, si allontana dalla religione rivelata da Dio».

39 Tra gli scritti di critica alla martiniana (ma non ratzingeriana) «teologia del dubbio», si distingue il saggio di A. Gnocchi e M. Palmaro, Ci salveranno le vecchie zie. Una certa idea della Tradizione, edito nel 2012 dalle edizioni filo-ebraiche del dr. Zenone, esperto di hassidismo, Fede e Cultura. In copertina, il logo della collana, diretta da Gnocchi e Palmaro, I libri del ritorno all'ordine, che rappresenta il sigillo dei cavalieri Templari. Gli Autori non criticano solo a sinistra (Martini) ma anche a destra, attaccando i cattivissimi sedevacantisti assieme ai difensori (come noi di Sodalitium) della Tesi di Padre M. L. Guérard des Lauriers.

40 Cfr. Benedetto XVI, Discorso alla Curia romana, del 21 dicembre 2009.

41 Cfr. Il Timone, nº 117, novembre 2012, pag. 4; resoconto di Vanessa Gruosso.

42 www.youtube.com/watch


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