La concezione cristiana della vita è pessimista, o no? Giovanni XIII e il discorso dell’11 ottobre 1962: il Concilio non è stato un evento normale nella storia della Chiesa, ma una rottura e a nostro parere "una rottura fatale"
di Francesco Lamendola
Nessuna civiltà ha coltivato in se stessa i bacilli della confusione, dell’angoscia, della disperazione, quanto la civiltà moderna; nessuna, però, ha detestato e ripudiato con altrettanta acrimonia chiunque avanzi anche la minima riserva sulla bontà, sull’eccellenza, sulla felicità della vita così come essa è, bollando come turpi menagramo e profeti di sventura quanti affermano che, nella vita, qualcosa non va, se non si fa ricorso alla grazia, che è una potenza soprannaturale. Eppure i cristiani, da sempre, si sono inscritti in quest’ultima categoria; da sempre, e fino a una o due generazioni fa, hanno avuto, chiara, nettissima, la percezione che la loro idea della vita non va d’accordo in alcun modo con quella del mondo; e che, agli occhi del mondo, essa è una visione pessimistica, mentre, ai loro occhi, la visione del mondo è vuota, fatua e illusoria.
Tale percezione è stata modificata dal Concilio Vaticano II, fin dal discorso di apertura di Giovanni XXIII, e poi non ha fatto che modificarsi sempre più; già dal che si comprende facilmente che il Concilio non è stato un evento “normale” nella storia della Chiesa, ma una rottura, e, a nostro parere, una rottura fatale:
4. 1. C’è inoltre un’altra cosa, Venerabili Fratelli, che è utile proporre alla vostra considerazione sull’argomento. Ad aumentare la santa letizia che in quest’ora solenne pervade i nostri animi, Ci sia cioè permesso osservare davanti a questa grandiosa assemblea che l’apertura di questo Concilio Ecumenico cade proprio in circostanze favorevoli di tempo.
2. Spesso infatti avviene, come abbiamo sperimentato nell’adempiere il quotidiano ministero apostolico, che, non senza offesa per le Nostre orecchie, ci vengano riferite le voci di alcuni che, sebbene accesi di zelo per la religione, valutano però i fatti senza sufficiente obiettività né prudente giudizio. Nelle attuali condizioni della società umana essi non sono capaci di vedere altro che rovine e guai; vanno dicendo che i nostri tempi, se si confrontano con i secoli passati, risultano del tutto peggiori; e arrivano fino al punto di comportarsi come se non avessero nulla da imparare dalla storia, che è maestra di vita, e come se ai tempi dei precedenti Concili tutto procedesse felicemente quanto alla dottrina cristiana, alla morale, alla giusta libertà della Chiesa.
3. A Noi sembra di dover risolutamente dissentire da codesti profeti di sventura, che annunziano sempre il peggio, quasi incombesse la fine del mondo.
4. Nello stato presente degli eventi umani, nel quale l’umanità sembra entrare in un nuovo ordine di cose, sono piuttosto da vedere i misteriosi piani della Divina Provvidenza, che si realizzano in tempi successivi attraverso l’opera degli uomini, e spesso al di là delle loro aspettative, e con sapienza dispongono tutto, anche le avverse vicende umane, per il bene della Chiesa. […]
7. 1. Aprendo il Concilio Ecumenico Vaticano II, è evidente come non mai che la verità del Signore rimane in eterno. Vediamo infatti, nel succedersi di un’età all’altra, che le incerte opinioni degli uomini si contrastano a vicenda e spesso gli errori svaniscono appena sorti, come nebbia dissipata dal sole.
2. Non c’è nessun tempo in cui la Chiesa non si sia opposta a questi errori; spesso li ha anche condannati, e talvolta con la massima severità. Quanto al tempo presente, la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore; pensa che si debba andare incontro alle necessità odierne, esponendo più chiaramente il valore del suo insegnamento piuttosto che condannando. […]
3. Così stando le cose, la Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati.
Giovanni XXIII e il discorso dell’11 ottobre 1962
Da un lato si ammette che gli errori esistono, dall’altro ci si rifiuta di condannarli; e intanto ci si compiace del momento storicamente favorevole, il che è solo una opinione, e quanto mai discutibile (nessun papa precedente, a cominciare da Pio XII, l’avrebbe sottoscritta) e, quel che è peggio, porta la riflessione sul terreno dello storicismo, quindi incrina la visione soprannaturale della storia e fa dipendere, almeno in parte, la promozione della parola di Dio dalle circostanze esterne, più o meno favorevoli. Qualcuno s’immagina Gesù Cristo che, nell’atto di mandare i suoi Apostoli a battezzare e ad annunciare il Vangelo, avesse detto loro: Affrettatevi e approfittate del momento favorevole, perché gli uomini sono oggi particolarmente ben disposti ad accogliere quel che direte loro? Al contrario, Egli ha detto loro, con estrema franchezza: Se hanno ascoltato me, ascolteranno anche voi; ma se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi: perché non c’è servo superiore al padrone. Ora, a noi risulta che Gesù Cristo è stato odiato, tradito, arrestato, processato, insultato, schiaffeggiato, flagellato, coronato di spine, deriso, condannato, crocifisso, trafitto con la lancia, sepolto, prima di risorgere al terzo giorno; a qualcun altro risulta diversamente? E se così sono andate le cose con il divino Maestro, qualcuno s’immagina che possano andare in altro modo con i cristiani di oggi o di qualsiasi altro tempo, semplici operai nella vigna del Signore? Peraltro, quando Giovanni XIII pronunciava quelle parole, in mezza Europa il cristianesimo era perseguitato in cento modi, apertamente, mentre nell’altra mezza era aggredito in maniera indiretta da concezioni e stili di vita radicalmente opposti ad esso e assolutamente incompatibili con la sua dottrina, e soprattutto con la sua morale. Ma questa, ripetiamo, è una valutazione personale, e ciascuno è libero di fare la sua; quel che colpisce, e che sbalordisce, nel discorso dell’11 ottobre 1962, è l’ottimismo forzato, da una parte, e, dall’altro, lo slittamento della prospettiva dall’eterno al contingente, dall’assoluto al relativo, e la conseguente, dichiarata intenzione di inserire un evento straordinario, come la convocazione di un concilio ecumenico, nel tessuto della storia in divenire, confidando che le circostanze siano d’aiuto, e abbandonando, così, il terreno solidissimo della fede perenne che si pone al di là della storia e al di sopra del relativo. E sorvoliamo, in questa sede, sulla poca credibilità e sulla strana disinvoltura mostrate da Giovanni XXIII nello spiegare cosa lo abbia ispirato a compiere un tale passo, dal quale il suo predecessore, e con ragioni ben circostanziate, era sempre rifuggito (la prima volta abbiamo concepito questo Concilio nella mente quasi all’improvviso, e in seguito l’abbiamo comunicato con parole semplici davanti al Sacro Collegio dei Padri Cardinali in quel fausto 25 gennaio 1959. (…) Gli animi degli astanti furono subito repentinamente commossi, come se brillasse un raggio di luce soprannaturale, e tutti lo trasparirono soavemente sul volto e negli occhi: 3. 1).
L’inizio dello slittamento verso l’apostasia v'è stato quando i cattolici hanno cominciato a vergognarsi e a dolersi della concezione pessimista della vita intesa in senso naturalistico.
Dicevamo che i cristiani hanno sempre saputo che la loro concezione della vita è pessimistica; non se ne sono mai vergognati e non hanno mai pensato di doversene scusare, pur sapendo benissimo che gli altri, i non cristiani, e specialmente i non cattolici, hanno sempre rimproverato loro tale pessimismo, accusandoli di essere dei denigratori della bontà della vita. Nietzsche è stato solo uno di una lunga serie di tali accusatori, e certamente il più intelligente; mentre Russell, venuto mezzo secolo dopo, ha rinnovato le accuse, ma con argomenti che denotano tanto più scarsa intelligenza, da sfiorare, sovente, l’auto-parodia. Però il cristiano, ribadiamo il concetto, ha sempre saputo che la vita non è una cosa buona in se stessa, e che la natura, spogliata della grazia, non porta alla felicità, ma all’inferno. Lo attestano mille e cinquecento anni di filosofia e letteratura cristiana, dalla Città di Dio di sant’Agostino, alla Divina Commedia di Dante Alighieri, ai Promessi Sposi di Manzoni, per non parlare di tante opere, grandi e piccole, delle arti figurative, da Wiligelmo, a Giotto, al Beato Angelico, dalle quali, tutte, traspare il medesimo concetto: la via terrena è una prova e un esilio, la vita autentica è la vita eterna, che inizia dopo la morte, vera e propria seconda nascita. Poi sono arrivati l’umanesimo e il rinascimento, e un elemento estraneo si è introdotto nella concezione cristiana della vita, un elemento pagano, tanto più insidioso in quanto si era abilmente dissimulato entro la cornice dei vecchi soggetti religiosi: ma se l’apparenza era cristiana, la sostanza cominciava a non esserlo più, ad essere mondana. Il processo di mondanizzazione della concezione cristiana, e della stessa teologia, ha richiesto cinque o sei secoli; le forze sane, cioè autenticamente cattoliche, sono riuscite a ritardarlo, ma a un certo punto, e precisamente con il Concilio Vaticano II, hanno ceduto di schianto, e l’irreparabile è avvenuto: la mentalità moderna ha fatto irruzione nella Chiesa e ne ha conquistato il vertice, quindi ha investito ogni singolo aspetto della liturgia, della pastorale e della stessa dottrina, fino all’esito attuale: una completa ed aperta apostasia.
Scriveva Gabriele Adani (ne abbiamo parlato in un recente articolo: La più antica storia d’amore (Milano, Rusconi, 1978, p. 172):
Anche a noi, come all’apostolo Pietro, la voce dell’Uomo-Dio pone la domanda: “Quo vadis? Dove vai?”. Dove stai andando, tu, che orienti la tua vita in quella direzione, dimenticando il tuo vero bene?Non pensi al tuo futuro? Perché vuoi rovinare te stesso? Il Cristo ha il diritto di chiederci queste cose. Egli ci mostra le sue mani trafitte dai chiodi e noi sappiamo benissimo quanto ha sofferto per darci la vera vita, per insegnarci a viverla. Ma, nonostante questo, noi speso andiamo verso altre mete, camminiamo nella direzione opposta, ci allontaniamo da lui. Dove vai? Dove andrai oggi? Verso Cristo o verso mete umane che ti portano lontano da lui? Ascolta la voce di Gesù che ti domanda: “Dove vai?”. Spesso risuona di una tristezza infinita.
La strana disinvoltura di Giovanni XXIII, che non spiegò mai con chiarezza, cosa lo abbia ispirato a convocare un Concilio
Secondo i parametri del mondo, questa è una concezione pessimistica: non solo si dice che la vita vera è voltare le spalle al mondo per andare verso Cristo, ma si ricorda che la via di Cristo è la via della croce. La vita non è una scampagnata, non è una festa, non è fatta per il nostro piacere; al contrario, è intessuta di sofferenza: ma in quella sofferenza, se volontariamente accettata per amore di Cristo, sta il suo più intimo significato e una pace nuova, diversa da quella del mondo.
Ci si consenta di rievocare nuovamente anche le parole che la beata Gaetana Sterni ha udito dalla voce stessa di Dio, che la chiamava alla sua vocazione religiosa; le ripetiamo non per ripeterci, ma per ampliare approfondire la precedente riflessione (da: Angelo Montonati, E la donna disse: “Dio vuole così”, Cinisello Balsamo, Edizioni San Paolo, 1999, pp. 51-52):
Gaetana, tu i preghi continuamente perché ti faccia conoscere quale sia lo sposo a te destinato secondo la mia volontà. Ma dimmi, non sei ancora disingannata sulla vanità delle cose terrene? (…) Non sarebbe molto meglio che tu abbandonassi qualunque altra cosa e pensassi ad amare me solo? È da gran tempo, o cara, che desidero vederti tutta mia. (…) Ma, dimmi: se io ti domandassi a questo punto la morte, non dovresti lasciare per forza quanto ti sembra impossibile di poter lasciare per amor mio? (…) Ora, tu devi ritenere che sia appunto questo il momento in cui sia decretata per te la morte, perché io intendo che tu non viva più per il mondo, che la tua vita sia in avvenire solo per me e che in questa vita tu faccia il tuo purgatorio.
La concezione cristiana della vita è pessimista?
di Francesco Lamendola
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