ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 1 agosto 2018

Il senso del limite

QUANTE GAMBE HA UNA MISS?


Quante gambe ha una miss Italia? Ci siamo allontanati dal buon senso contadino delle società sane e abbiamo sviluppato un modo di pensare e di sentire malato, distorto e patologico. Bisogna ripartire dal valore della sofferenza
di Francesco Lamendola  

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Chiara Bordi è una bella ragazza di Tarquinia, provincia di Viterbo; ha diciassette anni, l’aria simpatica e intelligente, lunghi capelli castani e un fisico svelto e asciutto, da modella. Cinque anni fa, in un incidente automobilistico, ha perso una gamba, la sinistra, che le è stata amputata subito sotto al ginocchio. La sua vita però è ritornata pressoché normale, grazie a una protesi che le assicura una perfetta autonomia. Se indossa i pantaloni, nessuno si accorge che le manca un arto; cammina sicura e disinvolta. Benché non possa andare a ballare in discoteca, può fare, però, quasi tutto quel che una diciassettenne spensierata potrebbe desiderare: studiare, uscire, andare in palestra, avere degli amici, aspirare a una vita sana e felice, amore compreso. E invece no. Tutto questo non le basta. La tecnica medica le ha ridato la possibilità di vivere una vita quasi del tutto normale, ma non le basta. È quel quasi che non le va giù.
 Cos’è che non può fare, una ragazza che ha perso una gamba? Aspirare a sfilare nei concorsi di bellezza, magari vincere la fascia di miss Italia. Ebbene, Chiara ha deciso di provarci: ha gettato la sua sfida, si è presentata ed è arrivata quarta alle selezioni di Subiaco; ma spera di andare avanti, fino alle regionali, e, magari, perché no, fino alle nazionali. In fondo, se una nigeriana tutt’altro che bella ha potuto aggiudicarsi il titolo di miss Finlandia, perché una bella ragazza italiana come lei non potrebbe diventare miss Italia? Niente di razzista in questo confronto: è solo per dire che, ai concorsi di bellezza, niente è come una volta, niente sembra più impossibile: c’è spazio per ogni tipo di novità. E allora, perché non provare? Senza contare l’elemento di simpatia, di solidarietà, di tenerezza e quasi, diciamolo pure, il desiderio di darle una qualche forma di risarcimento morale, da parte delle giurie. Viviamo in un momento storico in cui è dogma la cultura del dialogo, dell’apertura, dell’inclusione: siamo tutti uguali, nessuno è diverso, o meglio la diversità c’è, ma è sempre e solo una ricchezza, non costituisce mai un problema. La neochiesa di Bergoglio si è schierata in prima fila e lo ripete, dagli amboni, tutti i santi giorni: guai a lasciar fuori qualcuno, non è cristiano. Bisogna accogliere tutti, fisicamente e spiritualmente; anche chi non si vuole adattare, non si vuole integrare, non ha buone intenzioni, ma pessime; anche il nemico, il nemico della Chiesa per esempio. Ma tanto, dice il neoclero, non ci sono più nemici. Non ci sono nemmeno terroristi, lo dice Bergoglio: il terrorismo islamico non esiste. Anche gli italiani, qualche volta, ammazzano le mogli o le suocere; eppure non li si può definire un popolo di assassini. Visto che logica impeccabile, stringente? Si vede che costui ha fatto grandi studi di teologia morale; chissà quante paia di occhiali ha consumato sui libri, per giungere a tali sublimi altezze; chissà quanto ha vegliato, pregato e meditato.

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 Chiara Bordi e la sua protesi: uno non si deve sentire discriminato, o menomato, o umiliato, perché non può fare qualsiasi cosa.

Ma torniamo a Chiara Bordi. Il discorso che vogliamo fare è duro, sgradevole, ma non cattivo, cioè non distruttivo, né dettato da malanimo, tutt’altro; pure, è difficilissimo da farsi, perché la cultura buonista ha depositato tali strati di melassa sulla coscienza della gente, che basta pronunciare una sillaba fuori del coro per scatenare delle relazioni isteriche, l’indignazione telecomandata di quanti si sono autoeletti custodi e censori della pubblica morale. Sappiamo benissimo chi sono, inutile far nomi: hanno viaggiato in regime di monopolio per settant’anni, e questo ha fatto crescere la loro supponenza a livelli patologici; sconfitti dalla storia, sconfitti politicamente, totalmente a corto di idee, si sono ancor più incattiviti e sputano sentenze dalla mattina alla sera, in difesa degli “ultimi” e degli “esclusi”, che sono, guarda caso, sempre e solo i “migranti”, quelli che se ne vanno a spasso tutto il giorno, sovente a spacciare droga o delinquere in vario modo, con il pasto e il letto assicurati in un albergo, il telefonino e il Wi-Fi, tutto a spese nostre e guai a lamentarsi: si è razzisti e populisti; guai a parlare delle centinaia di reati quotidiani che costoro commettono ai danni degli italiani: ciò di cui si deve parlare sono solo i casi rarissimi, in percentuale, in cui le vittime dell’esasperazione popolare sono loro. E tuttavia, proviamo a dirle, queste cose sgradevoli: non per demolire qualcuno, ma per indicare la strada perduta del buon senso. Che cos’è un concorso di bellezza? Non occorre prendere il vocabolario per saperlo: quel che è palese, è che una ragazza, per parteciparvi., deve essere fisicamente integra. Chi lo dice? Il buon senso. È razzismo, è fascismo? No, è buon senso, unito al buon gusto. Ma che, vogliamo escludere i disabili, ricacciarli nelle cantine? Niente affatto. Una bella ragazza come lei, nella disgrazia, è stata fortunata: può condurre una vita, ripetiamo, quasi normale. Le dà fastidio quel “quasi”? Ecco, qui sta il nocciolo del problema; che non riguarda lei sola, ma parecchi milioni di persone. Oggi si pretende che tutti possano fare tutto e aspirare a tutto; a forza di rivendicare diritti, si è perso ogni senso del limite. Una donna di sessant’anni vuol diventare madre: perché no? C’è l’inseminazione artificiale. Una coppia di sodomiti vuol provare l’ebbrezza del matrimonio: perché no? Ci sono le unioni di fatto anche per loro, col sindaco, i confetti e gl’invitati: così potranno dire, come quel prete che ha piantato la parrocchia per andare a “sposarsi” alle Canarie, con un uomo: Auguro a tutti di provare un amore grande come quello che io provo per mio marito. Sì, per mio marito. E il suo vescovo, che non ci risulta lo abbia ancora sospeso, ad abbracciarlo davanti ai parrocchiani, e a dirgli, quasi con le lacrime agli occhi: Hai voluto realizzare un grande amore; ora vai liberamente per la tua strada. Se, poi, quella coppia viene anche afferrata dall’impulso irresistibile della paternità, perché no? Ci sono varie tecniche per aggirare il piccolo ostacolo costituito da quella brutta cosa che è la fisiologia, per cui – con licenza parlando – la penetrazione anale non crea fertilità. Una è quella di comprare il bebè da una donna bisognosa, che porta avanti la gravidanza in conto terzi e poi lo vende. E quanto sia popolare questa tecnica e simpatica questa mentalità, lo prova l’indignatissima levata di scudi contro il nuovo ministro della Famiglia, Lorenzo Fontana, reo di aver osato dire che le adozioni di bambini registrate all’estero con siffatta tecnica, nel nostro Paese non hanno alcun valore legale. Non lo avesse mai detto! Ecché, vogliamo riportare l’Italia al Medioevo?
Il problema, dunque, è la perdita del senso del limite. Nessuno trova strano che chiunque voglia rivendicare qualsiasi genere di diritto, purché non faccia del male agli altri: è il trionfo della filosofia politica del liberalismo puro, senza fronzoli e pastelle morali, ossia del radicalismo. Un ragazzo autistico ha il diritto di iscriversi a un liceo, anche se non può seguire neppure un’ora di lezione, non scrive, non parla, non interagisce con gli insegnanti e coi compagni: ma quello è un suo diritto, e guai a contestarlo. Un bambino caratteriale ha il diritto di frequentare normalmente tutti gli anni della scuola dell’obbligo; ha anche il diritto di terrorizzare i compagni e picchiarli (e, qualche volta, anche le maestre): non è forse giusto che la parte più forte, cioè la società dei sani, faccia uno sforzo per venire incontro alle necessità di chi è stato meno fortunato? E via di questo passo. È, ripetiamo, la stessa logica per cui un africano che non fugge da nessuna guerra, da nessuna carestia, da nessun pericolo o persecuzione o cataclisma, ha il diritto, semplicemente e puramente, di essere “accolto” in Italia, cioè di trasferirsi nel nostro Paese in pianta stabile; gratis per i primi tre anni circa, albergo, musica e computer assicurati. Poi si vedrà. Forse, alla fine, risulterà che non ne aveva diritto, anzi, risulta nel novantatre per cento dei casi; ma che importa? A quel punto, provate voi a rimandarlo indietro. Sarebbe estremamente difficile; e poi sarebbe anche un po’ crudele. Magari voleva unirsi a un fratello, a un genitore che in Italia c’erano già, con tanto di permesso: vogliamo forse separare le famiglie? Vogliamo fare come quel barbaro di Trump, che separa i bambini dai loro genitori? Non siamo mica ai tempi del Terzo Reich… E per il discorso su miss Italia è la stessa cosa, in tutto e per tutto. Premettiamo che ci sono poche cose più idiote e volgari di un concorso di bellezza femminile. La cultura femminista, che impera e imperversa da almeno cinquant’anni, non ci ha mai trovato nulla di turpe o vergognoso, eppure si tratta di esibizione di carne cruda, né più, né meno. Ciò premesso, tutti gusti sono gusti e a chi piace quella roba, non si vede perché lo si dovrebbe proibire; però le regole son quelle: che la carne cruda sia di prima scelta. Perciò una ragazza senza una gamba ci sta come i cavoli a merenda. Mentalità antiquata, oscurantista? Senza dubbio; e per fortuna. Qui si tratta, ripetiamo, di buon gusto e di buon senso, E nessuno provi a dire che vogliamo negare a quella ragazza dei diritti. Se si trattasse di uno sport in cui le braccia non servono, certo che potrebbe gareggiare. C’è una ragazza americana, Bethany Hamilton, che nel 2003, quando aveva tredici anni, fu attaccata da uno squalo che le portò via un braccio; praticava il surf, e, dopo l’incidente, con una tenacia e un coraggio ammirevoli, riprese a gareggiare, ottenendo risultati notevoli. Tanto di cappello a quella ragazzina. Se avesse perso una gamba, invece, e avesse voluto praticare l’atletica, avrebbe dovuto servirsi di protesi. Le protesi sono una bella cosa per chi ha subito un’amputazione e desidera continuare a fare una vita normale: aspirazione più che legittima. Ma praticare lo sport con le protesi, per mezzo delle protesi, a noi pare una cosa sbagliata, antiestetica e imbarazzante. Difficile dire se il merito dei risultati sia delle gambe, che non ci sono più, o delle protesi di acciaio elastico: nel dubbio, meglio evitare. È questione di buon senso e di buon gusto, merci sempre più rare di questi tempi. Lo stesso vale per i concorsi di bellezza. Dire queste cose, significa discriminare una povera ragazza che è già stata sfortunata nella vita? A nostro avviso, no. Uno non si deve sentire discriminato, o menomato, o umiliato, perché non può fare qualsiasi cosa. Un uomo che pesa cinquanta chili non deve sentirsi umiliato o escluso perché non può praticare il lancio del peso, o aspirare ai campionati di boxe dei pesi massimi: è logico, non c’è neanche bisogno di spiegarlo. Una donna che pesa novanta chili non dovrebbe gareggiare al concorso (idiota) di miss Italia, e non serve spiegare perché. Il che non significa essere a favore delle modelle anoressiche, voler imporre modelli estetici discutibili, ricacciare nel buio tutte la ragazze un po’ ciccione: no, è solo il vecchio, sano, benedetto buon senso, e nient’altro. Per la stessa ragione, una ragazza che ha perso una gamba in un incidente non dovrebbe voler partecipare al concorso di miss Italia. Abbiamo detto: non dovrebbe volere; non abbiamo detto: non deve, o non può. È questione di realismo, di coscienza del proprio limite. Ma, si dirà, la mentalità della gente sta cambiando, certe cose non sono più percepite come limiti. È vero, rispondiamo: e proprio qui sta il male. Perché ci siamo allontanati dal buon senso contadino delle società sane, e abbiamo sviluppato un modo di pensare e di sentire malato, distorto, patologico, proprio delle società industriali e decadenti. In effetti è la tipica mentalità americana: non arrendersi davanti a niente; sarebbe encomiabile, se non diventasse un delirio di superbia.

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Bergoglio dixit (riferendosi al terrorismo islamico che non esiste): "Anche gli italiani, qualche volta, ammazzano le mogli o le suocere; eppure non li si può definire un popolo di assassini". Visto che logica impeccabile, stringente? Si vede che costui ha fatto grandi studi di teologia morale; chissà quante paia di occhiali ha consumato sui libri, per giungere a tali sublimi altezze; chissà quanto ha vegliato, pregato e meditato.

 

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