Massima confusione dentro la Chiesa e fuori. L’Ansa diffonde la notizia, attribuita a stretti collaboratori papali, che Francesco è “amareggiato ma non pensa alle dimissioni”. Per il Vaticano, un autogol clamoroso in termini di comunicazione. A ridosso l’Avvenire, giornale della Cei, smentisce furiosamente: “Non è amareggiato, lavora come sempre, è una non notizia, una macchinazione”. Così avrebbero assicurate “accreditate fonti vaticane”.
L’impressione è che la Santa Sede non sappia bene come muoversi dopo la polpetta avvelenata della lettera dell’ex nunzio Carlo Viganò. Intanto sui media, specialmente televisivi, è passato il messaggio che Viganò nel 2013 abbia avvertito Francesco di abusi sessuali su minori compiuti dal cardinale McCarrick. Non è vero. In nessun punto del suo lungo testo l’ex nunzio afferma questo. Si parla soltanto della condotta scandalosa di McCarrick con seminaristi e preti adulti. E’ una precisa differenza, ma in una guerra – come quella che da anni contrappone la fazione ultraconservatrice alla linea di Bergoglio – l’ambiguità del messaggio è voluta e studiata. E il suo effetto velenoso Viganò l’ha raggiunto.
L’opinione pubblica è disorientata e il carisma di Francesco rischia di essere incrinato. Tornando domenica sera da Dublino, il pontefice ha detto in aereo ai giornalisti a proposito del testo di Viganò: “Leggete voi attentamente… voi avete la capacità giornalistica sufficiente per trarre le conclusioni… vorrei che la vostra maturità professionale faccia questo lavoro”. Un gesuita americano, giornalista di lungo corso, brillante analista di questioni vaticane e religiose, lo ha fatto. Si chiama Tom Reese, ha diretto per sette anni la prestigiosa rivista dei gesuiti statunitensi America(allontanato su imposizione della Congregazione per la Dottrina della fede nel 2005), commentatore dell’altrettanto noto National Catholic Reporter, per due anni presidente della statunitense “Commissione per la libertà religiosa internazionale” su nomina di Obama.
Il suo approccio è pragmatico, molto americano, e perciò eminentemente realistico.
D’accordo, dice in sintesi Reese, si può contrattaccare polemicamente Viganò. Dire che è un avversario del papa e della sua esortazione apostolica Amoris laetitia, come il cardinale Raymond Burke. Si può rivangare il suo passato (in Italia sono venute alla luce brutte storie di centinaia di milioni esportati e di squallidi litigi per l’eredità paterna con la sorella). Si può dire, nota Reese, che come nunzio vaticano negli Stati Uniti non si sia distinto in una lotta intrepida per la trasparenza sugli abusi sessuali, anzi documenti processuali relativi alla diocesi di Minneapolis rivelano una lettera di Viganò, in cui “comunica ad un vescovo ausiliare di arginare un’indagine contro l’arcivescovo locale e di distruggere prove”.
D’accordo, si possono fare le bucce a tante affermazioni della sua lettera. E si può persino dire che è un funzionario frustrato nelle sue aspettative di carriera. Ma nella storia molte “gole profonde” sono impiegati frustrati. Non è quello il punto.
Morale della storia. Non si può girare intorno ad alcune affermazioni cruciali di Viganò. Sono vere o no? (Riguardano Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, due Segretari di Stato vaticani).
Resta in ogni caso, sottolinea il gesuita Reese, che Viganò sostiene di aver parlato a papa Francesco di McCarrick nel giugno 2013. Padre Reese, notoriamente un fautore della linea riformista di Bergoglio, trae le conclusioni: “Dal momento che il papa è l’unico altro testimone dell’incontro, soltanto lui può confermare o negare ciò che ha detto Viganò. Rifiutando di rispondere all’interrogativo non rafforza la sua credibilità”. I suoi collaboratori dovrebbero consigliargli di chiarire immediatamente la vicenda. La riposta, continua Reese, avrebbe potuto essere: “No, Viganò non lo ha detto al papa”. Oppure: “Lo ha detto al papa, ma non c’è documentazione sui presunti divieti imposti (a McCarrick) da Benedetto XVI. Il papa non ha dato seguito alle accuse di Viganò, perché l’ex nunzio aveva a suo carico una storia di accuse infondate. E ricordate che è stato Francesco a ordinare a McCarrick di passare il resto della vita in preghiera e in penitenza, togliendogli la porpora”. E, va specificato, ha fatto aprire un processo ecclesiastico a suo carico.
Resta in ogni caso, sottolinea il gesuita Reese, che Viganò sostiene di aver parlato a papa Francesco di McCarrick nel giugno 2013. Padre Reese, notoriamente un fautore della linea riformista di Bergoglio, trae le conclusioni: “Dal momento che il papa è l’unico altro testimone dell’incontro, soltanto lui può confermare o negare ciò che ha detto Viganò. Rifiutando di rispondere all’interrogativo non rafforza la sua credibilità”. I suoi collaboratori dovrebbero consigliargli di chiarire immediatamente la vicenda. La riposta, continua Reese, avrebbe potuto essere: “No, Viganò non lo ha detto al papa”. Oppure: “Lo ha detto al papa, ma non c’è documentazione sui presunti divieti imposti (a McCarrick) da Benedetto XVI. Il papa non ha dato seguito alle accuse di Viganò, perché l’ex nunzio aveva a suo carico una storia di accuse infondate. E ricordate che è stato Francesco a ordinare a McCarrick di passare il resto della vita in preghiera e in penitenza, togliendogli la porpora”. E, va specificato, ha fatto aprire un processo ecclesiastico a suo carico.
Tacere, invece, non si può. Conclude Reese: “Come ogni diocesi degli Stati Uniti deve rendere conto in maniera piena e trasparente degli abusi sessuali clericali, anche il Vaticano deve rivelare ciò che sapeva, quando l’ha saputo e cosa ha fatto o non ha fatto. Nulla di meno darà inizio alla restaurazione della credibilità della Chiesa cattolica”.
Limitarsi a gridare al complotto contro Francesco o a dare dotte interpretazioni ecclesiologiche alle sue dichiarazioni non coglie il pericolo in cui si sta trovando l’intera strategia di papa Bergoglio.
Marco Politi
Pedofilia, il documento contro il Papa fa tremare i cardinali
CITTÀ DEL VATICANO Per la Chiesa è arrivato il tempo delle domande dopo l'atto di denuncia dell'ex nunzio degli Stati Uniti che ha puntato l'indice sul pontefice, accusandolo con un memoriale choccante, chiedendone le dimissioni per non avere rimosso con solerzia un cardinale statunitense potentissimo, munifico nei confronti della Santa Sede, con evidenti addentellati in curia ma con il brutto vizio di molestare tutti i giovani seminaristi che gli capitavano a tiro. Ieri in Vaticano nessuno mostrava troppa voglia di commentare l'inedito episodio, come se il clima si fosse fatto improvvisamente pesante, forse anche per il timore dei controlli interni che da un po' di tempo in qua vengono avvertiti da chi ci abita o lavora.
LA SPALLATA?
Ma gli interrogativi non mancavano. La testimonianza di monsignor Viganò è il primo passo per dare la spallata al pontificato in corso o resta un episodio a sé, il semplice smottamento di un terreno divenuto col tempo più impermeabile e scivoloso. Mentre l'Osservatore Romano ne ridimensionava la portata derubricandolo a «un nuovo episodio di opposizione interna», quasi fosse una cosa normale chiedere a un Papa di lasciare l'incarico, al pari di un qualsiasi presidente di azienda, al di là del Tevere c'era chi andava oltre la teoria del complotto facendo intravedere i contorni della vera sfida che attende la Chiesa prossimamente. Una sfida ineludibile se non vuole perdere definitivamente peso nel mondo, se non vuole che la sua credibilità - nella gestione degli abusi - eroda alla base il bene che milioni di missionari svolgono in silenzio nelle zone più desolate del pianeta.
IL DOSSIER
Che il dossier delle molestie del cardinale McCarrick fosse noto in Vaticano è cosa risaputa, il punto è che quell'incontro sul quale il Papa ha diplomaticamente sorvolato, limitandosi a dire che forse lo commenterà in futuro («ma non ora»), squarcia il velo su una questione gigantesca. Una questione che fu all'origine di enormi dispiaceri anche per Papa Ratzinger a suo tempo. Basta solo andare indietro di qualche anno per arrivare al caso più eclatante e scabroso di coperture interne che si sia mai registrato per insabbiare gli abusi e altri reati (corruzione, falsa testimonianza, manipolazione, violenze) da parte di un sacerdote, in questo caso il fondatore dei Legionari di Cristo, il messicano padre Maciel Degollado. Le prime denunce arrivarono in Vaticano nel 1997. Il nunzio messicano di allora oggi scomparso monsignor Mullor Garcia venne emarginato per avere insistito a chiedere indagini, poiché padre Maciel era super-protetto da una rete di amicizie cardinalizie, tra cui l'attuale Decano del Collegio, Angelo Sodano e il segretario di Papa Wojtyla, ora cardinale di Cracovia Stanislao Dziwisz. Ad oggi, nonostante siano passati tanti anni, non è chiaro se Papa Wojtyla ne fosse a conoscenza o meno. Di fatto solo con Papa Ratzinger furono avviate le inchieste che portarono padre Maciel ad una vita di clausura e al commissariamento dei Legionari di Cristo. Eppure anche Ratzinger ebbe filo da torcere all'interno della curia visto che dovette scontrarsi più di una volta con Sodano.
IL SISTEMA
Il caso sollevato da monsignor Viganò mette così il dito nella piaga: l'automatismo sistematico di coperture per proteggere la buona reputazione del sistema. Con il risultato che il Collegio Cardinalizio non riesce ancora a espellere le mele marce. E la lista interna presenta diversi casi sui quali forse un approfondito esame potrebbe dare risultati eclatanti. A cominciare con i cardinali insabbiatori. In Francia le polemiche hanno toccato il cardinale Barbarin, in Italia il cardinale Sepe, Ezzati ed Errazuriz in Cile, tutti sospettati o apertamente accusati di avere coperto preti pedofili nel corso della loro carriera ecclesiastica.
L'IMMAGINE
Ombre pesanti come macigni. Un aspetto che Papa Bergoglio difficilmente potrà ignorare visto che impatta direttamente sull'immagine della Chiesa stessa che, alla prova dei fatti, in questi ultimi anni, non ha dimostrato di certo di brillare per chiarezza. Anche se al momento McCarrick i fatti parlano - risulta l'unico ad essere stato punito da Francesco. E' stato lui alcuni mesi fa a far rispettare la decisione dello stesso Ratzinger ma ignorata da McCarrick perché mai resa pubblica per volere della curia. Perché? «Perché allora si faceva così».
LA SPALLATA?
Ma gli interrogativi non mancavano. La testimonianza di monsignor Viganò è il primo passo per dare la spallata al pontificato in corso o resta un episodio a sé, il semplice smottamento di un terreno divenuto col tempo più impermeabile e scivoloso. Mentre l'Osservatore Romano ne ridimensionava la portata derubricandolo a «un nuovo episodio di opposizione interna», quasi fosse una cosa normale chiedere a un Papa di lasciare l'incarico, al pari di un qualsiasi presidente di azienda, al di là del Tevere c'era chi andava oltre la teoria del complotto facendo intravedere i contorni della vera sfida che attende la Chiesa prossimamente. Una sfida ineludibile se non vuole perdere definitivamente peso nel mondo, se non vuole che la sua credibilità - nella gestione degli abusi - eroda alla base il bene che milioni di missionari svolgono in silenzio nelle zone più desolate del pianeta.
IL DOSSIER
Che il dossier delle molestie del cardinale McCarrick fosse noto in Vaticano è cosa risaputa, il punto è che quell'incontro sul quale il Papa ha diplomaticamente sorvolato, limitandosi a dire che forse lo commenterà in futuro («ma non ora»), squarcia il velo su una questione gigantesca. Una questione che fu all'origine di enormi dispiaceri anche per Papa Ratzinger a suo tempo. Basta solo andare indietro di qualche anno per arrivare al caso più eclatante e scabroso di coperture interne che si sia mai registrato per insabbiare gli abusi e altri reati (corruzione, falsa testimonianza, manipolazione, violenze) da parte di un sacerdote, in questo caso il fondatore dei Legionari di Cristo, il messicano padre Maciel Degollado. Le prime denunce arrivarono in Vaticano nel 1997. Il nunzio messicano di allora oggi scomparso monsignor Mullor Garcia venne emarginato per avere insistito a chiedere indagini, poiché padre Maciel era super-protetto da una rete di amicizie cardinalizie, tra cui l'attuale Decano del Collegio, Angelo Sodano e il segretario di Papa Wojtyla, ora cardinale di Cracovia Stanislao Dziwisz. Ad oggi, nonostante siano passati tanti anni, non è chiaro se Papa Wojtyla ne fosse a conoscenza o meno. Di fatto solo con Papa Ratzinger furono avviate le inchieste che portarono padre Maciel ad una vita di clausura e al commissariamento dei Legionari di Cristo. Eppure anche Ratzinger ebbe filo da torcere all'interno della curia visto che dovette scontrarsi più di una volta con Sodano.
IL SISTEMA
Il caso sollevato da monsignor Viganò mette così il dito nella piaga: l'automatismo sistematico di coperture per proteggere la buona reputazione del sistema. Con il risultato che il Collegio Cardinalizio non riesce ancora a espellere le mele marce. E la lista interna presenta diversi casi sui quali forse un approfondito esame potrebbe dare risultati eclatanti. A cominciare con i cardinali insabbiatori. In Francia le polemiche hanno toccato il cardinale Barbarin, in Italia il cardinale Sepe, Ezzati ed Errazuriz in Cile, tutti sospettati o apertamente accusati di avere coperto preti pedofili nel corso della loro carriera ecclesiastica.
L'IMMAGINE
Ombre pesanti come macigni. Un aspetto che Papa Bergoglio difficilmente potrà ignorare visto che impatta direttamente sull'immagine della Chiesa stessa che, alla prova dei fatti, in questi ultimi anni, non ha dimostrato di certo di brillare per chiarezza. Anche se al momento McCarrick i fatti parlano - risulta l'unico ad essere stato punito da Francesco. E' stato lui alcuni mesi fa a far rispettare la decisione dello stesso Ratzinger ma ignorata da McCarrick perché mai resa pubblica per volere della curia. Perché? «Perché allora si faceva così».
Franca Giansoldati
CHE COSA STA ACCADENDO AL SANTO PADRE FRANCESCO? LE RAGIONI DI UNA PREOCCUPAZIONE IN UN CLIMA DI INSOLITA CONFUSIONE
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Il Santo Padre non dovrebbe offendersi per qualunque critica gli venga rivolta. Specie se vuole rifarsi come sembra all’esempio di Cristo, che venne criticato dai farisei; egli con troppa facilità si sente in ciò simile a Cristo considerando senz’altro farisei quelli che lo criticano e giunge quasi a vantarsi di esser criticato.
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Le ragioni della preoccupazione sono semplici e comprensibili: se una persona che stimiamo ed amiamo comincia a dar segni di infedeltà nei confronti di quei valori per i quali la stimiamo e la amiamo, ovviamente non possiamo non preoccuparci, domandarci da cosa può dipendere questa decadenza e cosa possiamo fare per rimediarvi. Sentimenti simili proviamo noi cattolici nei confronti del Santo Padre, che con un certo crescendo, dà segni preoccupanti di non compiere il proprio dovere di sommo pastore della Chiesa.
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Comportamenti e idee di Papa Francesco oggi piacciono a grandi folle, pastori e teologi attaccati a questo mondo e ad un cattolicesimo sedicente progressista, ma in realtà modernista, nonché ad ambienti non cattolici.
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Non che il Papa insegni l’eresia, ma tuttavia egli cammina sul ciglio del burrone. Ma che cosa gli è successo? La risposta è semplice: forse si è lasciato prendere dal gusto del potere. Tutto il mondo, quindi, sembra dover dipendere dalla sua parola e dalla sua volontà. I suoi fans vorrebbero convincerlo che non c’è dogma, non c’è sacramento, non c’è tradizione, non c’è legge morale, non c’è istituzione della Chiesa e dello Stato che egli non possa cambiare a sua volontà, ritenendosi sempre sotto l’influsso dello Spirito Santo. Si tratta indubbiamente di un caso mai successo prima nella storia della Chiesa.
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Ma dov’è il Romano Pontefice custode, interprete e difensore del deposito della fede, supremo annunciatore del Vangelo, Sommo Sacerdote dispensatore dei sacramenti, zelante padre, giudice e medico delle anime, guida nelle vie della santità verso il regno dei cieli, garante dell’ordine, del diritto, della giustizia, della libertà, del progresso e della pace nella Chiesa, luce delle genti e salvezza del mondo?
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A tale riguardo non si può escludere che Papa Francesco attualmente sia tentato dal demonio, maestro di quella superbia che porta all’eresia. Ciò potrebbe spiegare i frequenti richiami del Papa alla lotta contro il demonio, cosa del tutto inusuale nei Papi, almeno degli ultimi secoli, soprattutto per le istruzioni concrete che il Pontefice impartisce, cosa che fa pensare che egli parli per esperienza diretta.
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In realtà è mia convinzione che mai nella storia del papato Satana abbia sferrato contro il papato un attacco così violento e insidioso, e proprio riguardo l’ufficio più importante del Papa, che è la custodia della dottrina della fede. Tale attacco contro Papa Francesco è il culmine di un’azione che Satana ha istigato nella Chiesa a partire dall’immediato post-concilio, col suscitare un rinnovato modernismo, soprattutto nel rahnerismo, sotto pretesto del rinnovamento conciliare. Nel contempo, da quel momento, il potere delle tenebre ha ingannato l’episcopato instillando in esso la illusoria convinzione che non fosse più necessario vigilare contro le eresie, e che il tempo delle eresie e della loro relativa condanna fosse cessato grazie al clima di dialogo avviato dal Concilio ed alla messa in opera della raccomandazione di San Giovanni XXIII di cercare ciò che unisce e non ciò che divide [vedere testo, QUI]. Senonché tale utile avviso, che serve a creare la pace e la concordia, fu inteso come invito a disinteressarsi delle eresie, dalle quali appunto nascono le divisioni. L’esortazione del Santo Pontefice a non dividere fu intesa come incitamento a non tener conto e quindi a non eliminare ciò che divide.
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Ecco allora che in tal modo, il rinato modernismo,non represso per tempo dai vescovi, in questi cinquantanni si è accresciuto continuamente, fino a penetrare negli anni Ottanta del Novecento nelle Facoltà Pontificie e con Papa Benedetto XVI nella stessa Santa Sede. In questo periodo di tempo il papato si è visto progressivamente eroso ed indebolito nella lotta al modernismo per il mancato appoggio dei vescovi, tra i quali cominciò a penetrare l’astuto rahnerismo, finto sostenitore dell’episcopato, mentre in realtà lo mette contro il Papa e lo asserve alle voglie del laicato. In tal modo, nonostante il valente Cardinale Joseph Ratzinger alla Congregazione per la Dottrina della Fede, critico personalmente di Rahner, il dicastero da lui diretto non ebbe mai la forza di condannarlo. Solo San Giovanni Paolo II nel 1993 nell’enciclica Veritatis Splendor [nn. 65-67, testo QUI] riuscì a condannare la sua dottrina morale.
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Un Pontefice può essere peccatore ma non eretico.Bisogna quindi chiarire che con non può verificarsi il fatto di un Papa eretico. Qualunque cattolico, dal Segretario di Stato in giù può essere eretico, all’infuori del Papa. L’esistenza e quindi l’essenza della Chiesa, sacramento universale di salvezza, nella sua propria immutabile ed indistruttibile identità e santità voluta e garantita da Cristo, dipende originariamente in ultima istanza dall’insegnamento dogmatico del Papa. Per questo il Concilio di Firenze del 1442 insegna che chi disobbedisce o si ribella al Papa va all’inferno. Non aveva torto il Pontefice Bonifacio VIII nel dire che l’autorità del Papa è la suprema fra tutte quelle che esistono nella terra, comprese quelle temporali, in forza del detto di Cristo «ogni potere mi è stato dato in cielo e in terra» [Mt 28,18].
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Però un Pontefice può peccare di temporalismo o attaccamento al potere in due modi: o con la pretesa di dirigere politicamente dall’alto del suo potere spirituale gli affari temporali, intromettendosi in essi e togliendo ai governanti politici la loro autonomia, oppure impostando l’intero ministero pontificio su di una linea meramente temporale o politica, o al massimo antropologica, lasciando in ombra il ministero apostolico e spirituale. E questo, purtroppo, sembra essere il difetto di Papa Francesco. Mai infatti nella storia della Chiesa era capitato di ritrovarsi in presenza in essa di eretici che restano impuniti e sia la persecuzione dei fedeli da parte di queste correnti ereticali occupanti posti di potere. Certo, nella Chiesa gli eretici ci sono sempre stati, ma essi venivano regolarmente espulsi, o essi stessi dichiaravano francamente di non considerarsi più cattolici.
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Il Santo Padre non dovrebbe offendersi per qualunque critica gli venga rivolta. Specie se vuole rifarsi come sembra all’esempio di Cristo, che venne criticato dai farisei; egli con troppa facilità si sente in ciò simile a Cristo considerando senz’altro farisei quelli che lo criticano e giunge quasi a vantarsi di esser criticato. Sì, certo, c’è un certo farisaismo nelle critiche che gli fanno alcuni, per non parlare dell’astio e della malafede che anima non pochi suoi detrattori, che sono appunta tali anziché lucidi critici. Tuttavia, egli dovrebbe saper distinguere le critiche malevole e preconcette, da quelle giuste e ragionevoli, delle quali dovrebbe tener conto, per non mostrarsi orgoglioso e permaloso.
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Nonostante ciò la grazia, in questa emergenza drammatica, raggiunge comunque tutti nella Chiesa, vescovi e Papa compresi, per mezzo dei laici, semplici fedeli, giornalisti, intellettuali, uomini politici, scrittori, filosofi, teologi, profeti e mistici. Non mancano preti e religiosi. Tuttavia la Chiesa è indistruttibile, nonostante le potenze dell’inferno si accaniscano continuamente contro di essa. Se le cose continuano così, dobbiamo sperare nella conversione del Papa e dei vescovi grazie all’azione ed alla preghiera del popolo di Dio. Posto che tutti i membri della Chiesa terrena, compreso il Papa, finché vivono quaggiù, per quanto santificati nella Chiesa, corrono sempre il rischio di perdersi. Essi, per santificarsi, devono essere in comunione con la Chiesa, compreso il Papa, perché essa è santa e sorgente della santità, animata dallo Spirito Santo. Il Papa fruisce di quella santità della Chiesa che egli stesso amministra nei sacramenti per mandato di Cristo. E il piccolo esercito dei laici profetici che salverà la Chiesa, dovrà alimentarsi anch’esso, ovviamente, ai sacramenti, nella amministrazione dei quali il sommo sacerdote è il Papa.
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Comunione con la Chiesa dunque vuol dire comunione col Papa, anche se questi può essere in peccato mortale e come tale interiormente fuori della Chiesa. Eppure il Papa, anche in queste deprecabili condizioni, resta sempre come Capo della Chiesa, principio della comunione ecclesiale, almeno giuridica.
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Sbagliano pertanto quelli che parlano di un Papa ”scismatico”. Si vede che non sanno che cos’è uno scisma. Esso è sì il separarsi dalla Chiesa, ma con ciò stesso dal Papa. Ora, il Papa evidentemente non si può separare da se stesso, né può scomunicare se stesso. Il Papa è l’unico cattolico che non può essere scomunicato. Qui però si tratta di un fatto giuridico di foro esterno. Perché ciò non impedisce invece che un Papa sia fuori della Chiesa in foro interno, in quanto in stato di peccato mortale. Se la Chiesa è santa, chi non è santo non può appartenere alla Chiesa nell’anima, ma semmai solo col corpo. O semmai per un mero fatto giuridico-funzionale. Può continuare a fare il Papa, ma certo non lo farà bene e non lo farà come deve.
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«Dal maligno nemico difendimi»
[Dalla preghiera Anima Christi]
Varazze, 29 settembre (?) 2018
http://isoladipatmos.com/cosa-sta-accadendo-al-santo-padre-francesco-le-ragioni-di-una-preoccupazione-in-un-clima-di-insolita-confusione/
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