ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 11 settembre 2018

Gli infradito del prof.

Alcune semplici riflessioni su un articolo del prof. Massimo Borghesi
Foto: prof. Massimo Borghesi

Il prof. Massimo Borghesi ha scritto un articolo apparso sul Foglio nel quale, riferendosi a blogs e siti come quelli di Sandro Magister, Marco Tosatti, Aldo Maria Valli, la Nuova Bussola Quotidiana, ecc., scrive:
“In realtà la loro risonanza è significativa perché sono i punti terminali di un’onda profondamente conservatrice, ai limiti del tradizionalismo, che proviene da oltreoceano. Essa investe la Chiesa statunitense, quella che negli ultimi 40 non si era accorta di nulla riguardo agli abusi sessuali del clero ed ora, d’improvviso, si sveglia e non trova di meglio da fare che riversare sul Papa la responsabilità delle proprie colpe. Quella Chiesa, con significative eccezioni, si oppone al Papa, non lo ama e cerca ogni pretesto per criticarlo. E questo non solo perché è “latinoamericano”, ma essenzialmente, perché nell’ottica missionaria scelta dal papato la posizione dei cultural warriors, dei guerrieri culturali, diffusa nella Chiesa USA, viene radicalmente messa in discussione. A questa posizione ecclesiale si somma poi l’orientamento liberal del mondo economico, fortemente disturbato dalle critiche al capitalismo contenute in Evangelii gaudium, e quello del mondo politico americano ostile alla visione universalizzante del papato. L’orientamento della Chiesa si salda, così, al potere politico e a quello economico. Donde un blocco di potere enorme che, in questo momento, lavora alla delegittimazione di Francesco“.


Curioso che Borghesi nel suo articolo faccia propria la bizzarra affermazione del card. Cupich (“non amano il papa perché latinoamericano”), come anche il fatto che abbracci la questione del “clericalismo” che, seppur presente come uno degli “ingredienti” di questa storia, non è affatto il più importante. Ma, al netto di tutto questo e di qualche altra forzatura, la ricostruzione del prof. Borghesi appare artificiosa e forzata. I fatti, in verità, sono molto più semplici nelle loro linee essenziali e, poiché anche molto gravi, meritano delle chiare risposte.
Quando si sorvola sull’esigenza che vengano date risposte a domande che nascono da fatti circostanziati, è naturale inoltrarsi in “quadri esplicativi” che danno la sensazione di una “chiamata alle armi”, di appelli a parteggiare per l’una o per l’altra parte, contro questo o quello.
Il punto non è se si debba essere a favore di uno o dell’altro, ma che si sia a favore della verità. E per far questo, bisogna stare necessariamente ai fatti.
E i fatti quali sono?
La lettera fornita da padre Ramsey venerdì scorso ha messo in evidenza che alti ufficiali del Vaticano erano a conoscenza sin dal 2000 del comportamento da abusatore sessuale seriale dell’ex card. McCarrick.
Sappiamo anche dalla intervista a padre Ramsey che lui ha tentato in tutti i modi, per ben trent’anni, di fermare McCarrick attraverso segnalazioni verbali e lettere. Purtroppo, né le prime né le seconde hanno avuto alcuna risposta.
Sappiamo inoltre che il comitato esecutivo della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti aveva deciso di realizzare su questi fatti un’indagine indipendente in collaborazione con esponenti del Vaticano e membri qualificati del laicato. Questa decisione ha assunto un carattere di impellenza dopo la pubblicazione a metà agosto scorso del rapporto della grande giuria della Pennsylvania, quello che ha messo in luce gli abusi commessi da 301 sacerdoti su oltre 1.000 ragazzi in sei diocesi, oltre ai relativi insabbiamenti.
Lo stesso cardinale Daniel DiNardo, presidente della Conferenza Episcopale degli Stati Uniti, a nome del Comitato esecutivo della stessa Conferenza, seguito poi da oltre 30 altri vescovi, ha riconosciuto che le accuse mosse nella lettera straordinaria dell’ex nunzio apostolico negli Stati Uniti meritano di essere prese sul serio e investigate tempestivamente. “Le domande poste meritano risposte conclusive e basate su prove”, ha detto il cardinale DiNardo. “Senza queste risposte, uomini innocenti possono essere contaminati da false accuse e i colpevoli possono essere lasciati a ripetere i peccati del passato”.
Prima di procedere oltre, però, è bene fare una precisazione. Pur volendo prescindere dalla testimonianza di Viganó, un dato è certo e inconfutabile: il card. McCarrick era un abusatore seriale che, nonostante questo, fino a qualche anno fa ha ricoperto ruoli e funzioni molto importanti nella Chiesa. Questa grave contraddizione deve necessariamente essere chiarita e adeguatamente giustificata.
A questo si aggiunge poi quanto dichiarato da Viganó (beninteso, tutto da provare), e cioè che Benedetto XVI, venuto a sapere delle nefandezze durante il suo pontificato, avrebbe punito con una richiesta privata ma autorevole McCarrick (egli era formalmente già “pensionato”), chiedendogli di vivere una vita appartata e di preghiera. Punizioni che, sempre secondo Viganó, Papa Francesco avrebbe eliminato facendo di McCarrick un suo prezioso collaboratore e consigliere per nomine chiave (cardinali e vescovi) negli USA, ed un anello fondamentale nella costruzione di un rapporto solido con l’amministrazione Obama.
Da De Souza, infine, abbiamo appreso che McCarrick sfidò Benedetto XVI e gli disobbedì platealmente varie volte. Questo fatto rende verosimile l’affermazione di Viganó quando afferma che McCarrick non avrebbe tenuto in alcun conto la punizione di Benedetto XVI, apparendo così in pubblici incontri.
In generale, dinanzi a delle accuse che generano diffamazione si risponde sulla base di una semplice questione di giustizia: ristabilendo il buon nome. Nel caso del Papa, poi, oltre al buon nome personale è in gioco anche la sua funzione, quella di Pontefice, cosa che riguarda tutti i cattolici. Per questo, ci si sarebbe aspettati o una risposta immediata o, meglio, un impegno chiaro e sicuro a darla in un momento successivo.
A queste accuse esplosive di Viganó, il Papa non ha ancora offerto una risposta sostanziale. “Non dirò una sola parola su questo”, ha detto durante la conferenza stampa in volo del 26 agosto, al suo ritorno dal World Meeting of Families di Dublino, il giorno dopo la pubblicazione della testimonianza dell’Arcivescovo Viganò. “Credo che la dichiarazione parli da sola. E voi avete la capacità giornalistica di trarre le vostre conclusioni”.
Il Papa, come si vede, ha ritenuto di non rispondere alle accuse. Si potrebbe pensare che lo abbia fatto perché le ritenga assolutamente infondate, lasciando che siano i giornalisti a darne prova.
Ma senza un’indagine ufficiale autorizzata dal Papa stesso, è semplicemente impossibile fare quello che il Papa chiede, cioè dichiarare prive di fondamento le affermazioni di Viganó.
Poiché però le accuse vengono da uno stimato, alto funzionario del Vaticano, ora in pensione (accuse che, almeno in alcuni punti, hanno trovato una qualche conferma), un’indagine ufficiale è urgentemente necessaria per fornire una rassegna completa di tutti i fatti della storia di McCarrick, della sua ascesa e della sua caduta. Per questo occorre un lasciapassare che consenta di esaminare gli archivi della nunziatura del Vaticano e degli Stati Uniti, dove si possono trovare i documenti critici che convalidino o smentiscano le affermazioni dell’Arcivescovo Viganò. Chi di dovere deve anche avere il permesso di intervistare ogni dirigente della Chiesa con conoscenza della cattiva condotta dell’Arcivescovo McCarrick e della risposta di Papa Benedetto XVI ad essa.
Alla luce, però, di quello che è avvenuto, e cioè, della mancata autorizzazione del Papa (almeno fino a questo momento), unita ad una serie di “no comment” ricevuti dai giornalisti da parte delle autorità vaticane, come anche da parte di una dozzina di nomi presenti nel memoriale Viganó, si può immaginare che il compito dei giornalisti risulterà in netta salita. Si procederà necessariamente, come avviene in questi casi, con lo strazio delle “fonti a conoscenza dei fatti”. D’altra parte, occorre riconoscere, non si possono invitare i giornalisti a fare il loro lavoro e, contemporaneamente, non metterli poi in condizione di poterlo eseguire.
A questo proposito, tantissime penne autorevoli di importanti testate giornalistiche nel mondo si stanno chiedendo, giustamente, e ragionevolmente, che cosa ci sia di vero nelle pesanti accuse dell’ex ambasciatore Vaticano negli USA. Tutto questo non deve affatto sorprendere, la materia, infatti, è incandescente.
Per questo le domande che rimangono senza risposta sono: come mai “tutti sapevano” dei peccati gravi di Theodore McCarrick e non hanno detto nulla? Come è stato possibile permettere a padre McCarrick di diventare vescovo, arcivescovo e cardinale di spicco? Chi ha permesso che ciò accadesse? Perché coloro che hanno parlato, si veda padre Ramsey, non sono stati ascoltati? Chi, eventualmente, non ha fatto arrivare al Pontefice di volta in volta in carica (Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco) le informazioni sensibili? Come mai McCarrick ha potuto continuare ad operare attivamente, con incarichi di prestigio, fino a non molto tempo fa?
Infine, l’interesse a voler sapere della materia abusi non è solo dei cattolici. Infatti, qualche giorno fa il procuratore Josh Shapiro, colui che ha condotto le indagini in Pennsylvania e prodotto il famoso rapporto del Grand Jury, ha fatto sapere che altri procuratori generali di altri 15 Stati gli hanno chiesto informazioni e consigli su come ha svolto le sue indagini. Dunque, una impressione di “reticenza” o silenzio (il “non dirò una singola parola” di Papa Francesco) su questa faccenda non aiuta affatto, anzi aggrava nettamente la situazione.
Questo scandalo, radicato nella sofferenza di tanti bambini e giovani seminaristi grida giustizia al cielo (quanti ragazzi hanno avuto la loro vita rovinata? E quanti dei seminaristi hanno abbandonato la vocazione perché disgustati e pieni di orrore?). La Chiesa, dalla gerarchia ai semplici laici seduti nei banchi, ha l’obbligo di rispondere con compassione e ferma determinazione a questa domanda di giustizia, ha l’obbligo di lavorare per la verità. Il rinnovamento della Chiesa che viene nesessariamente dall’abbraccio a Cristo, non può comunque prescindere dalla condizione che veda la verità venire alla luce, in un processo di guarigione di queste tremende ferite.
di Sabino Paciolla

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