Un passo indietro
Non è facile esprimere un giudizio sul recente “Accordo provvisorio tra la Santa Sede e la Repubblica Popolare Cinese sulla nomina dei Vescovi” per due motivi. Innanzi tutto, per una questione di principio: si tratta di un problema estremamente complesso e delicato, su cui solo chi è addentro alle cose e ha vissuto direttamente la trattativa può dire qualcosa; chi è estraneo rischia di fare chiacchiere da bar. C’è poi un motivo pratico: dell’accordo non si conoscono i termini. Come si fa a giudicare qualcosa che si ignora? Il fatto di non poter emettere giudizi non impedisce tuttavia di fare delle osservazioni. Da semplice spettatore, che osserva ciò che accade intorno a lui.
1. La prima osservazione riguarda appunto la segretezza dell’accordo. Viviamo nell’epoca della comunicazione; siamo informati su ciò che avviene nel mondo in tempo reale; si fa un gran parlare di trasparenza; e poi si conclude un accordo fra la Santa Sede e la RPC sulla nomina dei Vescovi, se ne dà l’annuncio ufficiale, ma non si dice una parola sui suoi contenuti. Mi sembra che ci sia qualcosa che non va. Nonostante la segretezza dell’intesa, però, tutti gli osservatori sono d’accordo nel dire che, con essa, si riconosce al governo cinese il diritto di nomina dei Vescovi, riservando al Sommo Pontefice un non meglio precisato diritto di veto.
2. Nella Chiesa cattolica si è svolto recentemente (poco piú di cinquant’anni fa) un concilio ecumenico, di cui si va particolarmente fieri: non si perde l’occasione per tesserne le lodi. E a ragione, direi. Ebbene, che cosa afferma il Concilio Vaticano II a proposito della nomina dei Vescovi?
Poiché il ministero apostolico dei Vescovi è stato istituito da Cristo Signore e mira ad un fine spirituale e soprannaturale, questo Santo Sinodo Ecumenico dichiara che il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica.
Perciò, per difendere debitamente la libertà della Chiesa e per promuovere sempre piú adeguatamente e speditamente il bene dei fedeli, questo Santo Concilio fa voti che, per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale. A quelle autorità civili poi che ora, in virtú di una convenzione o di una consuetudine, godono dei suddetti diritti o privilegi, questo Sinodo, mentre esprime riconoscenza e sincero apprezzamento per l’ossequio da loro dimostrato verso la Chiesa, rivolge viva preghiera, affinché, previe intese con la Santa Sede, ad essi vogliano spontaneamente rinunziare (Decreto sull’ufficio pastorale dei Vescovi Chrisus Dominus, n. 20).
Il Concilio affermava un principio («Il diritto di nominare e di costituire i Vescovi è proprio, peculiare e di per sé esclusivo della competente autorità ecclesiastica») ed esprimeva un voto («Per l’avvenire, alle autorità civili non siano piú concessi diritti o privilegi di elezione, nomina, presentazione o designazione all’ufficio episcopale»). Ciò che nel Concilio era un semplice auspicio nel Codice di diritto canonico è diventato una precisa direttiva:
Can. 377 – § 1. Il Sommo Pontefice nomina liberamente i Vescovi, oppure conferma quelli che sono stati legittimamente eletti.
(I §§ 2-4 descrivono l’attuale procedura per la nomina dei Vescovi)
§ 5. Per il futuro non verrà concesso alle autorità civili alcun diritto e privilegio di elezione, nomina, presentazione o designazione dei Vescovi.
Che, per raggiungere un accordo, si debba scendere a qualche compromesso, fa parte della natura delle cose. Ma in genere, nelle trattative, ci sono dei principi su cui le parti non sono disposte a transigere. Uno di questi, per la Chiesa, è il diritto nativo ed esclusivo a nominare i Vescovi. Per veder riconosciuto dalle autorità civili tale diritto la Chiesa ha lottato per secoli. E ora, pur di raggiungere un’intesa, si cede su un punto che sembrava dovesse essere considerato inderogabile?
3. E qui veniamo alla terza osservazione, di carattere storico. Mi limiterò a riportare l’excursus contenuto nel commento giuridico-pastorale al Codice di diritto canonico, a cura di Luigi Chiappetta, Edizioni Dehoniane, Napoli, 1988, vol. I, pp. 465-466 (non è chiaro se si tratti di un testo del Curatore o semplicemente di una citazione ripresa dalla rivista Communicationes; ma ciò che è importante è il contenuto):
È noto come, nei primi secoli, i Vescovi venivano eletti dal Clero e dal popolo, con l’approvazione dei Vescovi viciniori o del Metropolita, a cui spettava consacrare l’eletto. Una tale procedura — che, a partire dal sec. IV, venne spesso intralciata dagl’Imperatori bizantini, con la nomina diretta dei Vescovi, specialmente nelle sedi patriarcali — in Occidente durò piú a lungo. L’intromissione dei Sovrani ebbe inizio in Europa con Carlomagno, e si accrebbe in seguito con la creazione della feudalità ecclesiastica, ad opera di Ottone I il Grande della Casa di Sassonia (912-973). La situazione ecclesiastica divenne gravissima nel secolo successivo, e dette luogo alla “lotta per le investiture”, condotta in particolare con eroica fermezza da Gregorio VII (1073-1085). Il Concordato di Worms, concluso il 23 settembre 1122 tra Callisto II ed Enrico V, pose fine ufficialmente alla drammatica lotta, durata circa mezzo secolo. Con esso, l’elezione dei Vescovi venne sottratta all’ingerenza dell’Imperatore. Di fatto però, secondo il diritto delle Decretali, l’elezione canonica passò quasi completamente nelle mani dei Capitoli cattedrali, con esclusione degli altri ecclesiastici e dei laici.
Successivamente, il Romano Pontefice intese far valere i suoi diritti di Capo della Chiesa, e cominciò a riservare a sé la nomina dei Vescovi (sec. XIII). Tale riserva divenne quasi generale nel sec. XIV, ma in seguito, per la pressione dei Sovrani, la Santa Sede fu costretta a cedere, e molti principi (Francesco I di Francia, col Concordato del 1516) ottennero di nominare i Vescovi per il loro territorio. Il Papa conferiva l’istituzione canonica e concedeva la bolla.
Oggi, eccettuate alcune sedi della Germania, dell’Austria e della Svizzera, in cui l’elezione dei Vescovi spetta ai Capitoli cattedrali, i Vescovi, nella Chiesa latina, sono nominati di regola dalla Santa Sede. Il Codice attuale non ha inteso sopprimere tali privilegi per cui il can. 377, § 1, afferma che spetta al Romano Pontefice effettuare liberamente la nomina dei Vescovi o confermare i candidati eletti legittimamente. In forza del can. 1, l’attuale canone vale ovviamente per la Chiesa latina (Communicationes, a. 1986, p. 119, can. 4, § 1; p. 121, n. 1).
A prescindere da qualsiasi valutazione di opportunità politica o pastorale — che, come dicevamo, non è di nostra competenza — l’Accordo firmato nei giorni scorsi con la RPC costituisce, oggettivamente, da un punto di vista storico, un passo indietro. Se di cinquecento o mille anni, vedete voi.
Q
Pubblicato da Querculanus
https://querculanus.blogspot.com/2018/09/un-passo-indietro.html
“Per amore del mio popolo non tacerò”
Lo stile diretto e tagliente fa parte del bagagliaio caratteriale e culturale di Zen, uno degli ultimi grandi vecchi della Chiesa cattolica. Arriva dunque a proposito il libro Per amore del mio popolo non tacerò. Ricordando il decimo anniversario della Lettera di Papa Benedetto alla Chiesa in Cina (Chorabooks, Hong Kong 2018), nel quale il cardinale salesiano, vescovo di Hong Kong dal 2002 al 2009, esprime tutto il suo amore per la Chiesa e, proprio in virtù di questo amore, non nasconde la drammaticità della situazione attuale e lo sconcerto per le ultime scelte del Vaticano.
Zen mette a nudo le profonde incomprensioni che stanno accompagnando il cammino della riconciliazione fra Chiesa cattolica e governo comunista cinese. Un cammino che secondo il cardinale, cinese e profondo conoscitore della Cina, rischia di trasformarsi in un fallimento a causa di un accordo che sfavorisce enormemente la Chiesa e punisce i membri della Chiesa clandestina, coloro cioè che, a prezzo di enormi sofferenze e a volte della vita stessa, non hanno mai accettato di entrare nelle organizzazioni ufficiali e hanno già pagato duramente la fedeltà alla Sede apostolica.
Riflettendo sulla Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI (27 maggio 2007), il cardinale Zen porta alla luce la strategia verso la Cina attuata dalla Chiesa cattolica negli ultimi decenni, un cammino all’interno del quale non sono mancati momenti luminosi, ma numerosi sono stati i fallimenti, denunciati con chiarezza da un testimone diretto degli eventi.
A rischio è la libertas Ecclesiae, svenduta pur di poter dire che con Pechino si è giunti finalmente a un’intesa. In tempi in cui le persecuzioni religiose si intensificano, ci si chiede quanto sia ragionevole siglare un accordo che non sembra veramente vantaggioso per le ragioni dell’evangelizzazione.
Il cardinale afferma verso la fine del libro: «I signori del Vaticano … ricordino che il potere comunista non è eterno! Se oggi vanno dietro il regime, domani la nostra Chiesa non sarà benvenuta per la ricostruzione della nuova Cina. In questo momento tutto il mondo vede un terribile peggioramento per la libertà religiosa in Cina. C’è da sperare qualche guadagno nel venire a patti con questo governo? Quando dico che è quasi come sperare che San Giuseppe possa ottenere qualcosa da un dialogo con Erode, non è una battuta”.
Ma che cosa si può sperare di buono se uno dei consiglieri più ascoltati dal Papa, monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, parla della Cina come di una sorta di paradiso in terra?
Allora che cosa si deve fare?
Risponde il cardinale: “Tornare alla Lettera di Papa Benedetto, all’inizio della quale egli prega il Signore perché “abbiate una piena conoscenza della sua volontà… rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza per poter essere forti e pazienti in tutto”».
Scritti prima dell’accordo del quale abbiamo avuto notizia nei giorni scorsi, i testi raccolti nel libro parlano dell’intesa come di una possibilità da evitare, il che rende il libro ancora più esplicito.
«A noi – scrive Zen – si presenta uno scenario terrificante, una svendita della nostra Chiesa! Non una libertà essenziale, ma una parvenza di libertà. Non una unità ricostituita, ma una convivenza forzata nella gabbia. Dal punto di vista della fede non vediamo nessun guadagno» . Come giudicare un guadagno, infatti, un accordo che di fatto concede al governo cinese l’aberrante diritto di scegliere i vescovi e condanna la Chiesa sotterranea a una vita perenne nelle catacombe? Come giudicare un guadagno l’accordo con chi da un lato si siede al tavolo della trattativa e dall’altro distrugge le chiese e imprigiona religiosi e fedeli?
E che cosa succederà se il candidato vescovo proposto dalla Cina sarà rifiutato dal papa?
Quanto al perdono che la Santa Sede, pur di arrivare all’accordo, ha deciso di concedere ai sette vescovi illegittimi e scomunicati (due dei quali non vivono il celibato), Zen esclama: «Non sembrava possibile che si arrivasse a tale disprezzo dell’ufficio episcopale!».
Proprio in questi giorni un vescovo cinese, che resta anonimo, scrive su Asianews: «Non c’è fiducia nel Partito, e ci preoccupa la poca conoscenza del Vaticano per quanto riguarda il Partito comunista cinese».
E, sempre su Asianews, scrive il padre Sergio Ticozzi, grande esperto di Cina e missionario del Pime: «Il governo cinese approfitta dell’emotività di papa Francesco, e sa che se ora il Vaticano è pronto a riconoscere vescovi con amante e figli, obbedienti innanzitutto ad esso e pedine politiche fin dal seminario, in futuro non farà problemi ad accettare ogni candidato che le autorità cinesi proporranno e per le diocesi da loro fissate».
Tra le ultime parole del libro del cardinale Zen ci sono queste: «In una mia recente lettera ho scritto a Papa Francesco: “Se le cose che i suoi ‘collaboratori’ stanno macchinando saranno realtà, le conseguenze saranno tragiche e durature, non solo per la Chiesa in Cina, ma per tutta la Chiesa cattolica”».
Se si vuole capire che cosa sta succedendo fra Vaticano e Cina, non si può mancare di leggere questo libro che è anche un inno alla Verità.
Aldo Maria Valli
Lo stile diretto e tagliente fa parte del bagagliaio caratteriale e culturale di Zen, uno degli ultimi grandi vecchi della Chiesa cattolica. Arriva dunque a proposito il libro Per amore del mio popolo non tacerò. Ricordando il decimo anniversario della Lettera di Papa Benedetto alla Chiesa in Cina (Chorabooks, Hong Kong 2018), nel quale il cardinale salesiano, vescovo di Hong Kong dal 2002 al 2009, esprime tutto il suo amore per la Chiesa e, proprio in virtù di questo amore, non nasconde la drammaticità della situazione attuale e lo sconcerto per le ultime scelte del Vaticano.
Zen mette a nudo le profonde incomprensioni che stanno accompagnando il cammino della riconciliazione fra Chiesa cattolica e governo comunista cinese. Un cammino che secondo il cardinale, cinese e profondo conoscitore della Cina, rischia di trasformarsi in un fallimento a causa di un accordo che sfavorisce enormemente la Chiesa e punisce i membri della Chiesa clandestina, coloro cioè che, a prezzo di enormi sofferenze e a volte della vita stessa, non hanno mai accettato di entrare nelle organizzazioni ufficiali e hanno già pagato duramente la fedeltà alla Sede apostolica.
Riflettendo sulla Lettera ai cattolici cinesi di Benedetto XVI (27 maggio 2007), il cardinale Zen porta alla luce la strategia verso la Cina attuata dalla Chiesa cattolica negli ultimi decenni, un cammino all’interno del quale non sono mancati momenti luminosi, ma numerosi sono stati i fallimenti, denunciati con chiarezza da un testimone diretto degli eventi.
A rischio è la libertas Ecclesiae, svenduta pur di poter dire che con Pechino si è giunti finalmente a un’intesa. In tempi in cui le persecuzioni religiose si intensificano, ci si chiede quanto sia ragionevole siglare un accordo che non sembra veramente vantaggioso per le ragioni dell’evangelizzazione.
Il cardinale afferma verso la fine del libro: «I signori del Vaticano … ricordino che il potere comunista non è eterno! Se oggi vanno dietro il regime, domani la nostra Chiesa non sarà benvenuta per la ricostruzione della nuova Cina. In questo momento tutto il mondo vede un terribile peggioramento per la libertà religiosa in Cina. C’è da sperare qualche guadagno nel venire a patti con questo governo? Quando dico che è quasi come sperare che San Giuseppe possa ottenere qualcosa da un dialogo con Erode, non è una battuta”.
Ma che cosa si può sperare di buono se uno dei consiglieri più ascoltati dal Papa, monsignor Marcelo Sánchez Sorondo, parla della Cina come di una sorta di paradiso in terra?
Allora che cosa si deve fare?
Risponde il cardinale: “Tornare alla Lettera di Papa Benedetto, all’inizio della quale egli prega il Signore perché “abbiate una piena conoscenza della sua volontà… rafforzandovi con ogni energia secondo la sua gloriosa potenza per poter essere forti e pazienti in tutto”».
Scritti prima dell’accordo del quale abbiamo avuto notizia nei giorni scorsi, i testi raccolti nel libro parlano dell’intesa come di una possibilità da evitare, il che rende il libro ancora più esplicito.
«A noi – scrive Zen – si presenta uno scenario terrificante, una svendita della nostra Chiesa! Non una libertà essenziale, ma una parvenza di libertà. Non una unità ricostituita, ma una convivenza forzata nella gabbia. Dal punto di vista della fede non vediamo nessun guadagno» . Come giudicare un guadagno, infatti, un accordo che di fatto concede al governo cinese l’aberrante diritto di scegliere i vescovi e condanna la Chiesa sotterranea a una vita perenne nelle catacombe? Come giudicare un guadagno l’accordo con chi da un lato si siede al tavolo della trattativa e dall’altro distrugge le chiese e imprigiona religiosi e fedeli?
E che cosa succederà se il candidato vescovo proposto dalla Cina sarà rifiutato dal papa?
Quanto al perdono che la Santa Sede, pur di arrivare all’accordo, ha deciso di concedere ai sette vescovi illegittimi e scomunicati (due dei quali non vivono il celibato), Zen esclama: «Non sembrava possibile che si arrivasse a tale disprezzo dell’ufficio episcopale!».
Proprio in questi giorni un vescovo cinese, che resta anonimo, scrive su Asianews: «Non c’è fiducia nel Partito, e ci preoccupa la poca conoscenza del Vaticano per quanto riguarda il Partito comunista cinese».
E, sempre su Asianews, scrive il padre Sergio Ticozzi, grande esperto di Cina e missionario del Pime: «Il governo cinese approfitta dell’emotività di papa Francesco, e sa che se ora il Vaticano è pronto a riconoscere vescovi con amante e figli, obbedienti innanzitutto ad esso e pedine politiche fin dal seminario, in futuro non farà problemi ad accettare ogni candidato che le autorità cinesi proporranno e per le diocesi da loro fissate».
Tra le ultime parole del libro del cardinale Zen ci sono queste: «In una mia recente lettera ho scritto a Papa Francesco: “Se le cose che i suoi ‘collaboratori’ stanno macchinando saranno realtà, le conseguenze saranno tragiche e durature, non solo per la Chiesa in Cina, ma per tutta la Chiesa cattolica”».
Se si vuole capire che cosa sta succedendo fra Vaticano e Cina, non si può mancare di leggere questo libro che è anche un inno alla Verità.
Aldo Maria Valli
Nell'accordo con la Cina "un briciolo di positività". Il commento di un esperto
Il commento riprodotto integralmente qui di seguito è apparso lunedì 24 settembre su "Asia News", l'agenzia on line del Pontificio Istituto Missioni Estere diretta da padre Bernardo Cervellera, specializzata in informazione sulla Cina e diffusa in quattro lingue tra cui il cinese.
È la più autorevole ed equilibrata valutazione fin qui pubblicata dell'accordo tra la Santa Sede e le autorità cinesi firmato a Pechino il 22 settembre. Accordo di cui lo stesso giorno è stata data ufficialmente notizia senza però renderne pubblico il contenuto:
La parola al direttore di "Asia News".
*
L’accordo Cina-Vaticano: qualche passo positivo, ma senza dimenticare i martiri
di Bernardo Cervellera
A due giorni da quello che con tanta enfasi molti hanno definito uno “storico accordo”, quello fra Cina e Santa Sede sulle nomine dei vescovi, cerchiamo di comprendere e valutare la sua portata. Il sobrio comunicato della sala stampa vaticana – mentre tutti i giornalisti erano impegnati altrove, nel viaggio in Lituania di papa Francesco – è stato accolto con acceso ottimismo o buio pessimismo.
Fra gli ottimisti, l’aggettivo “storico” è stato usato fino allo spreco, dimenticando che l’accordo è definito “provvisorio”, soggetto a “valutazioni periodiche”, e che lo stesso direttore della Sala stampa ha parlato di “inizio” di “un processo” e non della sua “fine”.
Per i pessimisti, esso è “l’inizio” di una consegna totale della Chiesa cinese nelle mani dello Stato che, come già avviene, ne farà ciò che vuole, ossia uno strumento del partito comunista, e puntano il dito al silenzio sulle sofferenze che cattolici ufficiali e non ufficiali subiscono da 70 anni.
Già altre volte abbiamo detto che noi di Asia News non siamo né ottimisti, né pessimisti, ma realisti. E tale realismo ci permette di vedere il positivo e il negativo presente in questo fragile e “provvisorio” accordo.
Il papa nelle nomine dei vescovi
In esso c’è in effetti una novità: in qualche modo – che non sappiamo, perché il testo dell’accordo non è stato reso pubblico, e non lo sarà – la Santa Sede sarà implicata nelle nomine dei vescovi. Questo, almeno sulla carta, significa la fine della Chiesa “indipendente” tanto sbandierata in tutti questi anni e il riconoscimento che il legame col papa è necessario anche a un vescovo cinese per esercitare il suo ministero. Secondo l’accordo non sarà più possibile nominare e ordinare un vescovo senza il mandato papale, anche se il governo, o l’associazione patriottica, o il consiglio dei vescovi potranno proporre il loro candidato. E questa è la parte ottimista.
Ma vi è anche un lato pessimista: cosa succederà se il candidato proposto dalla Cina viene rifiutato dal papa? Fino ad ora si era parlato di un potere di veto temporaneo del pontefice: il papa, cioè doveva dare le motivazioni del suo rifiuto entro tre mesi, ma se il governo valutava inconsistenti le motivazioni papali, avrebbe continuato con la nomina e l’ordinazione del suo candidato. Non avendo il testo dell’accordo, non sappiamo se questa clausola è stata mantenuta, se davvero il pontefice avrà l’ultima parola sulle nomine e ordinazioni, o se invece si riconosce la sua autorità solo in modo formale.
Un mio amico canonista è sicuro che il papa avrà un potere permanente sulla scelta ultima dei candidati “perché la Chiesa non può fare altrimenti”. In ogni caso, questo è uno dei punti che – in mancanza del testo sull’accordo – bisognerà verificare nei prossimi mesi, con le possibili nomine e ordinazioni che attendono da anni.
La cancellazione delle scomuniche
Un altro elemento positivo è la cancellazione della scomunica a sette vescovi, ordinati senza mandato papale dal 2000 fino al 2012. È un fatto positivo perché almeno in via di principio aiuterà i cattolici cinesi a fare più unità. Questi vescovi scomunicati erano usati dall’Associazione patriottica per dividere la Chiesa, facendoli presenziare con la forza della polizia a cerimonie e ordinazioni episcopali. Va pure detto che diversi di loro hanno compiuto un cammino di pentimento e da anni chiedono di essere riconciliati con Roma. L’eliminazione della scomunica non fa parte del “pacchetto” dell’accordo, ma è un gesto interno alla Chiesa, sebbene – forse con furbizia politica un po’ ingenua – sia stato dato l’annuncio della riconciliazione lo stesso giorno della notizia dell’accordo.
Ma fra i fedeli cinesi – parte di quel “santo popolo fedele di Dio” che il papa ci chiede di ascoltare – vi è avvilimento e tristezza perché alcuni di questi vescovi riconciliati sono noti per avere amanti e figli e per essere “collaborazionisti”. Molti altri si domandano se i vescovi riconciliati esprimeranno una domanda pubblica di perdono davanti al popolo che essi hanno scandalizzato con il loro agire “indipendente”. Proprio il cardinale Pietro Parolin, nel suo commento all'accordo, ha chiesto che si pongano “dei gesti concreti che aiutino a superare le incomprensioni del passato, anche del passato recente”.
Accordo “pastorale” e “non politico”
Un altro elemento tutto positivo dell’accordo è il suo carattere “pastorale” e “non politico”. E in effetti l’accordo è stato firmato senza che la Cina esiga come condizione previa la rottura dei rapporti diplomatici con Taiwan. Per decenni e perfino negli ultimi anni di dialogo ai tempi di papa Francesco, il ritornello della Cina era che se il Vaticano voleva migliorare i rapporti con Pechino doveva anzitutto interrompere le relazioni con Taiwan e non intromettersi negli affari interni della Cina. Con l’accordo “pastorale” queste due condizioni sono saltate: il Vaticano viene introdotto nelle nomine dei vescovi e non c’è alcuna rottura con Taiwan, con tanto di apprezzamento del ministero degli esteri dell’isola e del suo ambasciatore presso la Santa Sede.
La persecuzione non detta
Ma un altro elemento è tutto negativo: né nella notizia dell’accordo, né nelle sue spiegazioni vi è un minimo accenno alla persecuzione che i cattolici e tutti i cristiani stanno sostenendo in questi tempi. Come testimoniato tante volte sull’agenzia, in nome della "sinicizzazione", in Cina vengono bruciate e distrutte croci, demolite chiese, arrestati fedeli e ai giovani sotto i 18 anni è vietata la partecipazione alle funzioni e l’educazione religiosa. In più ci sono vescovi e sacerdoti scomparsi nelle mani della polizia; vescovi agli arresti domiciliari; vescovi non "ufficiali" considerati come criminali; controlli d’ogni tipo nella vita delle comunità. A tutto ciò si aggiungono le persecuzioni a cui sono sottoposte le altre comunità religiose buddiste, taoiste, musulmane, che manifestano la visione negativa che la Cina ha delle religioni, e il suo progetto di assimilarle e distruggerle.
Questo fa guardare all’accordo provvisorio come a un risultato strano, un po’ insperato, provvisorio, ma senza futuro, perché getta un’ombra di sospetto sull’interlocutore con cui la Santa Sede ha deciso di dialogare. Dalla Cina ci giungono appunto commenti che esprimono contentezza per l’accordo, ma anche tristezza perché i cinesi non si fidano delle loro autorità politiche.
A questo proposito, mesi fa in un'intervista papa Francesco ha detto che “il dialogo è un rischio, ma preferisco il rischio che non la sconfitta sicura di non dialogare”. È quindi meglio iniziare un dialogo anche con un interlocutore non fidato, che rimanere fermi. Da questo punto di vista, l’accordo, anche se provvisorio, rappresenta senz’altro una pagina nuova.
I martiri lituani e cinesi
Rimane il fatto del silenzio sulle persecuzioni. In tutti questi anni la Santa Sede ha taciuto su qualunque fatto di persecuzione: l’uccisione di sacerdoti; le chiese distrutte; i vescovi arrestati… Questo ha dato a molti l’impressione che il dialogo fosse più “politico” che “pastorale”. Proprio ieri papa Francesco a Vilnius, ricordando le vittime del genocidio nazista e comunista, ha espresso una preghiera in cui egli chiede al Signore che non diventiamo “sordi al grido di tutti quelli che oggi continuano ad alzare la voce al cielo”. Ed è proprio quanto i cattolici cinesi domandano.
Mi sono chiesto come mai la Santa Sede abbia voluto comunicare la firma dell’accordo proprio mentre papa Francesco a Vilnius ricordava la grande testimonianza dei cattolici lituani sotto il comunismo, la loro resistenza e fede sotto le torture, il loro essere stati seme di una società più libera e più accogliente. Anche allora i cattolici discutevano e si dividevano fra la denuncia e la resistenza e l’Ostpolitik vaticana. Se si guarda l’accordo solo come una cosa negativa, allora la memoria dei martiri lituani potrebbe dare adito a un’interpretazione dei “due pesi e due misure” che la diplomazia spesso attua e le celebrazioni dei martiri a Vilnius sarebbero una presa in giro delle sofferenze dei cristiani cinesi.
Ma se nell’accordo, pur provvisorio, si vede un briciolo di positività, allora le celebrazioni lituane sono un segno di speranza: il comunismo, “il delirio di onnipotenza di quelli che pretendevano di controllare tutto”, non ha vinto. E questo fa sperare anche per la Cina.
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