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mercoledì 3 ottobre 2018

Berretta rossa la trionferà?

CHIESA
USA, clinica psichiatrica per i preti "conservatori"

Il caso di padre Kalchick, il sacerdote "ricercato" dal cardinale Cupich per aver fatto un esorcismo contro oggetti blasfemi Lgbt, non è isolato. Un blog denuncia che sono molti i preti "conservatori" che vengono inviati dai loro vescovi in una clinica psichiatrica per un "trattamento".



Padre Kalchick, di Chicago, il parroco che ha permesso che i suoi parrocchiani bruciassero un oggetto blasfemo, una bandiera LGBT con sovraimpresso un crocefisso usata da un parroco precedente, omosessuale, trovato morto legato a una sex machine, è nascosto per sfuggire alla minaccia del cardinale Cupich. E cioè di inviarlo per una “valutazione” psichiatrica alla clinica St. Luke, nel Maryland. Una forma di “rieducazione” stile sovietico?

Una domanda del genere se la pongono sempre più di frequente non pochi laici cattolici, e il problema è approdato a un blog seguitissimo, quello di “Fr. Z”, padre John Zuhlsdorf. «Negli ultimi mesi – scrive il sacerdote blogger – sono stato contattato da preti diocesani (e un religioso) che stavano per essere mandati dal loro vescovo o superiore per essere ‘valutati’ in una di quelle cliniche psichiatriche per il clero. La più (in)famosa di queste negli USA è St. Luke nel Maryland».

Il modello è sempre quello. Il sacerdote tocca qualche tema delicato: per esempio una donna si arrabbia perché ha fatto un’omelia contro la contraccezione, ha “problemi di rapporti”, qualcuno dello staff dice che è “freddo”, o “distante”. Si lamentano presso il vescovo. Il vescovo dice al prete – o piuttosto fa pressione sul prete – di andare a farsi “valutare”. Con grande trepidazione il prete obbedisce (punto importante). Va e resta in clinica per una settimana o due di valutazione, e alla fine in genere gli dicono che non ci sono particolari problemi con lui. Torna a casa tranquillo. Ma il problema comincia adesso. Infatti poco dopo il vescovo lo chiama. La clinica gli ha mandato un referto, che è di tutt’altro tono. Il prete è diagnosticato come narcisista e bipolare ai limiti. E il vescovo a questo punto fa pressione fortissima sul povero sacerdote perché torni in clinica, per un trattamento di tre mesi o giù di lì. Ma quando arriva gli tolgono il cellulare, il suo kit per farsi la barba, lo riempiono di medicine e gli controllano le mail, e il peggio è arrivato. 

 Lo faranno sui sacerdoti responsabili di abusi, penserete voi, o su quelli che molestano in maniera seriale altri preti, seminaristi e chissà chi. No, dice FR. Z, la caratteristica dei preti che i vescovi in USA mandano in queste cliniche è che sono tradizionalisti, o conservatori. «Ho un amico che è stato obbligato ad andare in uno di questi posti, e quando abbiamo potuto parlare al telefono mi ha detto che non avrei creduto al numero di sacerdoti conservatori che c’erano laggiù, e che cosa leggevano. E il fatto che siano conservatori è importante, perché i conservatori tendono ad obbedire. E questo è uno dei motivi per cui in passato i vescovi hanno picchiato duro sui conservatori, e hanno lasciato che i progressisti facessero quel che cavolo volevano, sono codardi morali. Sanno che i ‘lib’ combatteranno e loro non vogliono combattere». 

Certamente ci sono sacerdoti che hanno bisogno di aiuto. Ma secondo Fr. Z i vescovi, o almeno alcuni di loro, usano questo sistema per schiacciare tradizionalisti e conservatori nella loro diocesi. Anche da noi abbiamo avuto più di un caso; a Cagliari quello di don Pusceddu, punito dall’arcivescovo Miglio per aver citato in una messa il passaggio di San Paolo sui rapporti omosessuali, scatenando le solite reazioni da parte delle associazioni LGBT.

Ma, e qui il discorso diventa serio, scrive FR. Z: «Ho il sospetto che tutto ciò sia coordinato. Perché? Nell’ultimo anno in un periodo di un paio di mesi parecchi sacerdoti mi hanno contattato dicendo che stavano per andare nella galera psichiatrica su ordine del vescovo».

In precedenza questo non era accaduto; e sembra che sia iniziato all’improvviso, come se un po’ di vescovi si siano messi d’accordo fra di loro e avessero deciso che questo era un bel sistema per sbarazzarsi di preti fastidiosi. Fr. Z qui diventa veramente umoristico: «Sembra quasi che durante uno dei loro incontri, ad un cocktail serotino, qualcuno si sia lamentato perché aveva questo prete proprio tradizionale che diffondeva idee sul Latino e sugli inginocchiatoi. Uno degli altri, versandosi un altro cocktail, è saltato su dicendo: "Ti dico io che fare. Mandalo a St. Luke per valutarlo. Te lo rimanderanno con qualcosa che può essere usato contro di lui. Costa, ma ne vale la pena". – Grazie Bill! Buona idea. Lo dirò anche a Fatty e a Dozer. Anche loro hanno di questi tipi’». I vescovi che appoggiano preti conservatori sono rari come “i denti delle galline”. 

Mandare un prete in uno di questi posti è costoso. Un mese in clinica costa diecimila dollari. Ma nell’ottica dei vescovi sono soldi (dei laici) ben spesi, perché intimidiscono gli altri preti. I preti che combattono – come padre Kalchick – sanno che la vita per loro sarà difficile. Come un sacerdote ha scritto a un altro famoso blogger religioso, Rod Dreher, l’autore dell’Opzione Benedetto, «Questo è ciò che i comunisti facevano in Unione Sovietica. Se una persona dissentiva, doveva essere malato di mente. Diagnosticarli con ‘schizofrenia” e ‘trattarli', per scoraggiare gli altri. Gira la notizia di che cosa si devono aspettare i dissenzienti».

Che cosa possono fare i laici? Negli USA la Chiesa è sostenuta dai soldi dei laici. E allora il consiglio è quello di smettere di dare soldi alle diocesi, e di darli invece alla Tridentine Mass Society of Madison, gestita dai domenicani, o organizzazioni del genere. Quanto ai vescovi, la lettera è molto dura: «Soldi e cattiva stampa sono le sole cose che questa gente capisce». 
Marco Tosatti
http://lanuovabq.it/it/usa-clinica-psichiatrica-per-i-preti-conservatori

E negli States arriva il “Dossier berretta rossa”

    Un gruppo di indagine, per passare al setaccio le vite dei cardinali che fanno parte del sacro collegio e verificarne scelte e comportamenti a proposito di scandali, abusi o coperture. Il tutto allo scopo di rendere possibile la scelta di un futuro papa non compromesso.

La notizia arriva dagli Stati Uniti e i dettagli, in effetti, sono molto americani. Con il tipico pragmatismo che domina da quelle parti, e con una grande fiducia nel potere del denaro, circa cento persone (tutte, a quanto pare, con risorse economiche di un certo livello e orientamento conservatore) si sono riunite per produrre quello che hanno definito il Red Hat Report (il Dossier berretta rossa, potremmo tradurlo), ovvero un rapporto su tutti i cardinali eleggibili nel prossimo conclave, così da facilitare l’individuazione di un candidato papa che non abbia nulla a che fare con vicende legate a scandali, abusi e insabbiamenti e che si sia dimostrato attivo nel combattere la corruzione morale.
I membri del gruppo, tra i quali figurano accademici, giornalisti e perfino ex agenti dell’Fbi, hanno fatto sapere che prevedono di spendere, per la loro attività di indagine, circa un milione di dollari nel corso del primo anno. Soldi ben spesi, ritengono i promotori dell’iniziativa, che vogliono rispondere così a una crisi che sta scuotendo nelle fondamenta la Chiesa cattolica degli Usa.
Dopo il rapporto del gran giurì della Pennsylvania, su circa trecento preti che hanno commesso abusi nei confronti di più di mille vittime nel corso di settant’anni, la vicenda dell’ex cardinale McCarrick e la pubblicazione del memoriale dell’ex nunzio Carlo Maria Viganò, nell’opinione pubblica americana la questione degli abusi nella Chiesa sta tenendo banco molto più che da noi. A metà settembre otto Stati hanno annunciato indagini e il Vaticano è sempre più nel mirino, con l’accusa di aver ignorato o addirittura coperto il marciume.
In questo contesto ecco la nascita del nuovo gruppo, che si definisce di Better Church Governance, ovvero a favore di un miglior governo della Chiesa, ed i cui componenti non nascondono la scarsa fiducia nell’attuale pontificato, tanto che il direttore, Jacob Fareed, è arrivato a chiedersi: “E se nel 2013 avessimo avuto qualcun altro? Qualcuno più attivo nel proteggere innocenti e giovani?”.
L’iniziativa, almeno per la sensibilità europea, sa molto di provocazione, ma a quanto pare il gruppo fa sul serio. La prima riunione c’è già stata, nella sede dell’Università Cattolica d’America (che comunque ha precisato di non essere coinvolta e di aver soltanto messo a disposizione una sala), e i promotori hanno detto di voler vigilare a vasto raggio: non si occuperanno solo di abusi, ma terranno d’occhio anche il grado di adesione dei cardinali ai “valori tradizionali”.
Certamente l’iniziativa è destinata a suscitare polemiche e ad alimentare ulteriori frammentazioni in una Chiesa, quella americana, già profondamente divisa. “Almeno – ha scritto via Twitter James Martin, il gesuita schierato dalla parte della causa Lgbt – i promotori sono trasparenti nel loro odio”.
Da quel che si sa, i risultati contenuti nel Red Hat Report saranno disponibili al pubblico e il dossier relativo a ogni cardinale includerà una valutazione con tutte le prove disponibili circa eventuali scandali. “I cardinali devono essere ritenuti responsabili pubblicamente, quindi deve esserci una sorta di cultura della vergogna”, ha detto Jacob Fareed.
Il primo rapporto sarà pubblicato entro l’aprile 2020 e ogni cardinale riceverà una valutazione basata su una serie di parametri.
“Così faremo in modo che il papato sia in buone mani” ha detto Fareed, che si è convertito al cattolicesimo dall’Islam nel 2015. “Sarà difficile, lo riconosciamo. Porteremo avanti l’impegno anche con la preghiera e il digiuno. Non possiamo permettere che bambini, innocenti e giovani seminaristi continuino a essere colpiti”.
Secondo Fareed e gli altri artefici del gruppo, uno degli obiettivi è che la pagina di Wikipedia relativa a ogni cardinale riporti la valutazione Better Church Governance, così che i lettori possano farsi un’idea.
“Il nostro obiettivo è promuovere la trasparenza, l’onestà e la responsabilità all’interno delle strutture della Chiesa, a nome sia del clero sia dei laici”, dice Philip Nielsen, direttore esecutivo del gruppo e redattore capo del Red Hat Report.
Kurt Martens, professore di diritto canonico alla Catholic University of America, si è chiesto via twitter se il gruppo sia lecito. La costituzione apostolica di Giovanni Paolo II sull’elezione del papa, fa notare Martens, proibisce “qualsiasi interferenza esterna” in caso di conclave. Non solo: se i cardinali si lasciano influenzare incorrono nel rischio della scomunica. Ma Jacob Fareed ribatte che l’azione del gruppo avverrebbe prima del conclave, quando si tratta di prendere informazioni sui cardinali.
“Dossieraggio”, “spionaggio”: queste le accuse che l’iniziativa si è subito attirata. In realtà di spionaggio non sembra sia possibile parlare, visto che, almeno nelle intenzioni, tutto dovrebbe avvenire alla luce del sole. Certo è che, quanto meno, siamo di fronte a un gruppo di pressione, con l’intento di condizionare scelte e orientamenti dei cardinali. Difficile è anche non avvertire uno sgradevole sentore di maccartismo. Tuttavia la notizia induce a riflettere sul modo in cui, nell’epoca del “cittadino globale” e dei social network, si potrà interagire sempre di più con la vita della Chiesa, anche nei suoi momenti più delicati e decisivi. Come e in quale misura, nella nuova realtà, potrà sopravvivere quella cultura della segretezza che la Chiesa ha elaborato lungo i secoli anche come forma di autotutela?
Aldo Maria Valli

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