Diagnosi (impietosa) per una rinascita. Come si fa a guarire dalla modernità, vivendo nella modernità? Una forma di pazzia? i "moderni untori": la caratteristica essenziale della malattia della modernità è "l’inconsapevolezza"
di Francesco Lamendola
Perché il malato possa guarire da una malattia, è necessario che si sottoponga a una terapia, ma non una terapia qualsiasi, bensì quella giusta; e perché il medico possa formulare la terapia giusta, è necessario che sia un bravo medico, e che il paziente collabori con lui, facendosi visitare e accettando, poi, di seguire le sue indicazioni. Se non c’è terapia, non c’è possibilità di guarigione; ma perché possa esservi la terapia, è necessario che vi sia una diagnosi. La malattia deve essere individuata e deve essere riconosciuta. Se il medico scambia una malattia per un’altra, non prescriverà la cura giusta: si perderà del tempo prezioso, e intanto la malattia, quella vera, continuerà a fare il suo corso, forse con esito fatale. Ma anche il ruolo del malato è importante, anzi decisivo: bisogna che abbia la volontà di superare la malattia, di guarire: se manca la motivazione personale, le terapie potrebbero rivelarsi inefficaci.
Dunque, affinché ci sia una possibilità di guarigione, sono necessarie le seguenti condizioni:
a) che la malattia sia curabile;
b) che la diagnosi sia esatta;
c) che sia diagnosticata in tempo;
d) che il paziente vi si sottoponga docilmente;
e) che desideri realmente la guarigione, perché solo in tal caso il suo organismo reagirà in maniera positiva alla terapia.
Oggi, purtroppo, succede che proprio le persone che hanno fama di poter guarire gli altri, sono le più ammalate di tutti e sono dei portatori attivi e consapevoli della malattia: i moderni untori.
Se manca anche una sola di queste condizioni, la guarigione diventa problematica; se manca la prima, è impossibile. Ora, i malati siamo noi.
a) La prima domanda che ci dobbiamo porre è la seguente: è curabile, la nostra malattia? Dipende. Dipende da cosa? Dalla malattia, innanzitutto. Ed eccoci al secondo punto.
b) Come si chiama la nostra malattia? La nostra malattia si chiama modernità. Noi siamo malati, non perché viviamo nella modernità, ma perché abbiamo assunto i suoi postulati, abbiamo fatto nostra la sua prospettiva: infatti, si tratta di postulati aberranti e di una prospettiva patologica. Certo, è difficile vivere nella modernità senza esserne contagiati: è come pretendere di vivere in un ambiente saturo d’inquinamento e conservare integra la propria salute. Non è facile; sono necessari diversi fattori favorevoli, che annullino l’effetto negativo dell’inquinamento, e forse anche un po’ di fortuna; tuttavia, è certo che vi sono stili di vita che peggiorano le cose, e mentre ve ne sono altri che riducono l’impatto negativo. Ma se noi ignoriamo del tutto che la modernità è una malattia, anzi, che è la malattia, non faremo mai una diagnosi esatta del nostro male. Dobbiamo essere sia medico che paziente: dobbiamo prenderci cura del nostro bene, e quindi della nostra salute, come se fossimo il medico di noi stessi. Non ci sono altri medici che ci possono salvare – a parte, naturalmente, Dio; ma Dio non aiuta chi non vuole essere aiutato, né salva chi non vuole essere salvato. Sia ben chiaro, questo. Ecco perché l’affermazione del signore argentino che siede sulla cattedra di san Pietro, che Giuda si è salvato perché si era pentito, è sbagliata o, nel migliore dei casi, è temeraria. Non basta il pentimento: ci vuole la decisione di rimettersi alla volontà di Dio, accettando il suo perdono; chi si suicida, non fa questo, ma l’opposto: pone, ancora una volta, la sua volontà prima di tutto, anche prima della volontà di Dio. E come potrebbe essere aiutato da Dio, colui che rifiuta di lasciar fare a Lui?
c) Terzo punto: dobbiamo diagnosticare in tempo la nostra malattia. Se è arrivata ad uno stadio troppo avanzato, solo un miracolo ci potrebbe ancora salvare. Il che non è impossibile, perché, a Dio tutto è possibile. Però, umanamente parlando, ci troviamo nella stessa condizione del punto a), perché una malattia che sia andata troppo oltre, un tumore che sia degenerato in metastasi, non è più curabile. Né una diagnosi esatta, né una terapia adeguata sono efficaci, in simili condizioni. Perciò dobbiamo verificare a che punto siano giunte le cose con la nostra malattia. In linea generale, si può dire questo; che, se siamo ancora capaci di capire che siamo ammalati, probabilmente siamo ancora in tempo per combattere efficacemente la malattia. Il male è quando non sospettiamo affatto di essere malati. E proprio questa è la tipica condizione dell’uomo moderno: non sospetta affatto di essere ammalato; oppure, il che è la stessa cosa, non indovina affatto la vera natura della sua malattia, formula delle diagnosi sbagliate, e i medici o gli psicologi ai quali si rivolge, ne formulano di altrettanto sbagliate, o anche di più sbagliate. Gli psicanalisti, in particolare, sono una pericolosa setta di praticanti della magia nera, e chi si mette nelle loro mani per guarire dai propri malesseri si getta dalla padella nella brace. Perché la psicanalisi è una delle manifestazioni più clamorose di quella malattia complessiva, totale, che la modernità. E la gravità della manifestazione patologica chiamata psicanalisi, che usurpa il nome di scienza, risiede in questo: che non solo sbaglia completamente la diagnosi, perché ignora chi sia l’uomo e quale sia la vita che egli dovrebbe vivere, ma prescrive dei rimedi che sono peggiori del male stesso, perché rimesta nel fondo più torbido dell’io e porta a galla ciò che dovrebbe rimanere laggiù, mettendo in libertà delle forze malefiche, suscettibili di distruggere la persona. E tutto questo, con la sfacciata pretesa di curarla e di guarirla.
d) Formulata la diagnosi e prescritta la terapia, dobbiamo sottoporci ad essa in maniera continua, seria, radicale. Non bastano le aspirine per curare un cancro: e la modernità è una malattia estremamente grave: tanto grave che se ne muore. Si muore interiormente, in primo luogo: e infatti il mondo moderno è popolato da cadaveri che se ne vanno in giro senza sapere di essere tali: morti viventi che si agitano qua e là, scrivono libri, girano film, eseguono concerti, rilasciano interviste, vanno in televisione e riempiono, talvolta, le sale delle conferenze: e più sono malati, più pubblico attirano, più libri vendono e più fanno audience: perché anche il pubblico è malato, la società moderna è malata per definizione e intuisce di covare un certo malessere, ma non sa quale, o meglio non vuol saperlo. Perciò la gente si affolla ad ascoltare i falsi maestri, i falsi filosofi, i falsi artisti, i falsi psicologi, i falsi sociologi, tutti i morti viventi che dicono ciò che è gradito agli orecchi dei malati: non formulano la diagnosi esatta, non prescrivono la terapia giusta, e del resto basta vederli, e vedere la loro vita, per capire che non hanno niente da insegnare e nulla con cui poter curare gli altri. Se l’avessero, comincerebbero con il curare se stessi; e invece non solo non si sono curati per tempo, ma sono già morti e non lo sanno; e continuano a rubare la scena agli altri, a quelli che sono vivi, e che essendo vivi potrebbero dire delle parole benefiche, delle parole di guarigione e forse di salvezza; ma non lo fanno, né lo faranno mai, perché sono dominati dall’ego, che è il sintomo più tipico e inconfondibile di quella malattia che è la modernità. L’uomo moderno è malato di ego, è un narcisista insaziabile, un egocentrico patologico e maligno, che non solo pretende di ricevere dosi sempre maggiori di attenzione, di approvazione, di successo, ma è ben deciso a lottare con le unghie e con i denti per sbarrare la strada ad ogni rivale, attuale o potenziale, a distruggere le carriere altrui, a inquinare il successo altrui, a spargere la zizzania del sospetto, del discredito, della malevolenza nei confronti di chiunque potrebbe anche solo alla lontana fargli ombra. Perciò, ripetiamo: è indispensabile che noi ci sottoponiamo alla cura, diciamo pure alla disintossicazione, con ferma volontà e con energia indefettibile. Dobbiamo crederci; dobbiamo volerlo realmente, con la mente e con il cuore, con la totalità del nostro essere. Il che ci porta all’ultimo punto.
e) Dobbiamo credere che guariremo, e ciò significa che dobbiamo amare noi stessi e dobbiamo amare la vita, ma nella maniera giusta. Dobbiamo amarci e dobbiamo amarla senza attaccamento, senza l’inquinamento dell’ego. Dobbiamo amare noi stessi perché siamo preziosi, non in quanto soggetti da rimirare allo specchio, ma in quanto eletti a svolgere un compito: non siamo qui per caso, non veniamo dal nulla e non andiamo verso il nulla. Siamo qui perché Qualcuno ci ha voluti, ci ha chiamati e ci ha amati fin dal principio del mondo, anzi ancora prima che il mondo fosse creato. Siamo unici, insostituibili, ma non nel senso corrente dell’espressione, basato sul narcisismo dell’ego, bensì perché solo noi, solo ciascuno di noi, può fare esattamente ciò che è stato chiamato a Il mondo è ordine, perché viene da Dio, Causa Prima, che è il Bene, e l’ordine è bene, il disordine è male. Se ci rifiutiamo di fare ciò per cui siamo stati chiamati, il che è possibile perché siamo dotati di libero arbitrio, tradiamo la nostra ragion d’essere e contribuiamo a diffondere il disordine in un mondo che sarebbe, di per sé, ordinato (relativamente ordinato, perché il Peccato originale vi ha introdotto la ferita del peccato). La nostra malattia, però, è molto grave; non dobbiamo assolutamente sottovalutarla. Ciò significa che guarire non basta; dobbiamo addirittura rinascere. Di fatto, siamo quasi morti. Non è sufficiente che puntiamo a guarire; dobbiamo imboccare una strada che impedisca ogni possibile ricaduta. Dobbiamo puntare in alto; dobbiamo puntare a fare un salto di qualità, a innalzarci al disopra delle condizioni che hanno reso possibile che ci ammalassimo. Dobbiamo rinascere, appunto: aprire gli occhi a una nuova vita, a un nuovo e più elevato ordine di esistenza. Questo ci serve, e nulla di meno. Se puntassimo semplicemente alla guarigione, potremmo ricadere di nuovo nella malattia; pertanto è necessario che ci immunizziamo una volta per tutte, e questo significa diventare degli uomini nuovi, diversi da quelli che eravamo prima.
La nostra malattia si chiama modernità.
Passiamo a un’altra domanda: come si fa a guarire dalla modernità, vivendo nella modernità? Rispondiamo: vivere nella modernità non equivale ad aderire alla modernità, così come vivere nella Germania nazista non equivale ad aderire al nazismo. Si può vivere nella modernità, conservando la propria libertà interiore. Certo, è relativamente faticoso, almeno per certi aspetti: significa andare sistematicamente contro corrente; e significa anche scegliere la solitudine, rinunciare alla carriera e alle ambizioni mondane. Ebbene, dov’è il problema? Carriera, ambizioni mondane, implicano l’approvazione degli altri, dipendono dal fatto che gli altri riconoscano il nostro valore. Ma i malati non riconosceranno mai il valore di una persona sana, perché ciò implicherebbe, da parte loro, il riconoscimento della propria malattia: e la caratteristica essenziale della malattia della modernità è l’inconsapevolezza. Questo ci fa capire che tale malattia è una forma di pazzia: sono i pazzi che non riconoscono la loro alterazione mentale, ed è tipico dei pazzi prendersela con colui che è savio, se questi tenta di spiegare loro che sono malati. Se abbiamo bisogno di mendicare l’approvazione degli altri, ciò significa che siamo talmente malati da non capire neppure che lo siamo, cioè da non meritare la guarigione. Non merita di guarire colui che nega di essere malato o che addirittura lo ignora; e costui non è sincero se, pur avvertendo una serie di malesseri, di fatto rifiuta la vera diagnosi della malattia di cui quei malesseri sono i sintomi. Lo abbiamo già detto: nei confronti della malattia della modernità, noi dobbiamo essere sia il paziente che il medico. Nessun altro ci può curare; nessun altro, sul piano umano.
Un tempo i sacerdoti cattolici erano delle vere "guide spirituali", e quindi potevano aiutare i malati a guarire dalla malattia della modernità. Ma ora la malattia si è impadronita di molti di loro, forse la maggior parte: la chiesa, spiace dirlo, non ha più parole di "guarigione".
Diagnosi (impietosa) per una rinascita
di Francesco Lamendola
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.