La settimana appena passata è stata piena di notizie molto importanti per la vita della Chiesa. Essa si è aperta sabato 6 ottobre con la pubblicazione da parte del Vaticano del Comunicato del Santo Padre sul caso McCarrick. Il giorno successivo viene pubblicata, sempre dal Vaticano, una Lettera aperta a Viganó scritta dal card. Ouellet, Prefetto della Congregazione dei vescovi, perché accusato in una seconda lettera dell’arciv. Viganò di essere rimasto silente pur essendo una persona in possesso di informazioni cruciali sul caso McCarrick. Infine, il 12 ottobre il Vaticano ha reso noto che Papa Francesco aveva accettato le dimissioni del card. Wuerl, arcivescovo di Washington. Wuerl è stato al centro di manifestazioni pubbliche di fedeli, anche influenti, con richieste di dimissioni, oltre che di sfiducia da parte della maggior parte dei suoi sacerdoti, i quali non hanno creduto alle sue dichiarazioni di essere stato all’oscuro degli abusi sessuali di McCarrick, il quale lo aveva immediatamente preceduto alla guida dell’arcidiocesi.
La risposta del Vaticano alle accuse lanciate con un memoriale dall’arcivescovo Viganò il 25 agosto scorso erano molto attese, data la gravità delle stesse. Tale risposta, però, per diversi motivi, non ha molto soddisfatto gli osservatori.
Prima di tutto perché quella del Vaticano, pur essendo una risposta alle accuse di Viganò, non lo menziona affatto, ma, soprattutto, fa iniziare la crisi del caso McCarrick dal 2017 e non dal 2013, come invece aveva detto Viganò, quando, secondo la sua versione, informò il Pontefice appena eletto dei trascorsi scandalosi di McCarrick. Scrive infatti il Vaticano: “Nel settembre 2017, l’Arcidiocesi di New York ha segnalato alla Santa Sede che un uomo accusava l’allora Cardinale McCarrick di aver abusato di lui negli anni Settanta. Il Santo Padre ha disposto in merito un’indagine previa approfondita, che è stata svolta dall’Arcidiocesi di New York….”. Questo “tagliare” tutto il periodo precedente il 2017, un periodo che si estende ben prima del 2013, denso di “voci” sugli abusi di McCarrick, lettere consegnate (quelle di padre Ramsey, o quella di Sipe a vescovo McElroy), informazioni pubbliche (vedi il sito del ricercatore, psicoterapeuta ed ex sacerdote Richard Sipe) o riservate in possesso della Congregazione dei vescovi (vedi card. Ouellet) e della Nunziatura a Washington, e così via, hanno dato l’impressione di una risposta a metà.
Inoltre, il comunicato del Vaticano, dicendo che “La Santa Sede non mancherà, a tempo debito, di rendere note le conclusioni del caso che coinvolge l’Arcivescovo McCarrick.” è sembrato non voler dare una risposta in tempi certi e ravvicinati. E dunque, è sembrata dare anche l’impressione di non comprendere appieno la pressione che sta sempre più montando sia nell’opinione pubblica sia nei vescovi statunitensi. Infatti, una dozzina di procuratori generali di altrettanti Stati degli USA hanno comunicato la decisione di essere in procinto di intraprendere indagini nelle diocesi degli stati di pertinenza, alla ricerca di abusi sessuali. Saranno indagini sulla falsariga di quella della Grande giuria della Pennsylvania che ha portato alla luce oltre 1.000 casi di abusi sessuali perpetrati da 301 sacerdoti in sole sei diocesi.
A queste indagini future della magistratura laica, si deve aggiungere anche quella che sarà intrapresa dai vescovi statunitensi nelle quattro diocesi dove ha operato McCarrick, cioè New York, Metuchen, Newark and Washington. Non è dunque augurabile dal punto di vista della immagine che arrivino risultati da questa indagine prima che arrivino quelli del Vaticano.
Si deve tener conto, inoltre, che la tensione e la rabbia dei fedeli nelle diocesi americane ha spinto molti vescovi a non attendere oltre una risposta vaticana. Infatti, alcuni vescovi di loro iniziativa hanno ingaggiato pubblici ministeri e giudici per indagare sui dossier contenuti nelle loro diocesi e sulle politiche adottate nella gestione dei casi di abusi. Ad esempio, il cardinal Dolan della diocesi di New York, nell’invitare un giudice ad ispezionare la sua diocesi, ha detto: “nessuna pietra deve rimanere non sollevata” (cioè ogni cosa deve essere ispezionata). D’altra parte, come ha detto la settimana scorsa a Roma il vescovo Robert Barron di Los Angeles: “La trasparenza è la strada giusta. La gente perdona il peccato più delle coperture“.
D’altra parte, i vescovi statunitensi, nell’occhio del ciclone, non ritengono assolutamente augurabile che la gerarchia appaia avvolta da una nube di sospetti. L’evangelizzazione ne verrebbe danneggiata. Infatti, se è vero che il peccato ci accomuna tutti, come anche il bisogno di redenzione, è altrettanto vero che la copertura di un peccato così grave come l’abuso sessuale è un’altra cosa. In questo caso, la mezza verità, una risposta incompleta o poco trasparente verrebbe percepita come un larvato tentativo di continuare nella copertura. Il che significherebbe peggiorare le cose.
La Santa Sede nel suo comunicato parla della disposizione di un “accurato studio” dei documenti riguardanti il caso McCarrick. In questo caso, però, e a differenza di quanto avvenne nel caso dello scandalo cileno con l’incarico conferito a Scicluna, non dice nulla su chi condurrà l’”accurato studio“, con quale preciso mandato, e con quali poteri di indagine.
Se non conosciamo i contorni di questa indagine, una cosa però sappiamo di sicuro, ed è quella che essa non avverrà secondo la richiesta dei vescovi statunitensi, cioè con la collaborazione di laici esperti (giudici, ispettori, ecc.), in modo da garantire un risultato che sia indipendente e il più possibile credibile.
Il comunicato della Santa Sede ribadisce le misure in atto contro McCarrick – sospensione dal ministero e una vita di preghiera e penitenza isolata – ma non ha fatto menzione di un processo. Infatti, se McCarrick si è dimesso da cardinale a seguito delle accuse di abusi sessuali, caso unico nella storia della Chiesa degli ultimi cento anni, a maggior ragione ci si sarebbe aspettati l’annuncio di un regolare processo canonico. Inoltre, si tenga presente che McCarrick, pur essendosi dimesso da cardinale rimane pur sempre un arcivescovo. E questo, a molti, sembra essere una cosa poco comprensibile.
Uno dei punti che ha suscitato una certa delusione nel comunicato del Vaticano è stato quello di non citare la questione dell’omosessualità come radice o, quanto meno, come concausa importante degli abusi nella Chiesa. Tale radice viene invece ricondotta esclusivamente al clericalismo. A tal proposito, il card. Cupich, molto vicino a Papa Francesco (lo ha promosso cardinale esattamente 2 anni fa), ha detto che la questione dell’omosessualità tra i sacerdoti è un “diversivo che si allontana dal clericalismo che è molto più profondo come parte di questo problema“. Il card. Cupich, en passant, è la stessa persona che nella sua diocesi di Chicago consente la Santa Comunione a coloro che sono sposati con matrimonio omosessuale. Ora, di certo il clericalismo avrà avuto un suo ruolo nella faccenda, ma a molti il fatto di negare una forte presenza della cultura omosessualista, oggi così diffusa nel clero, è sembrato un tentativo di non voler affrontare di petto il punto nodale della questione. E, come noto, una carente diagnosi non può che condurre ad una carente prognosi, con effetti insufficienti o addirittura deleteri sulla cura della malattia e sulle sorti della salute del paziente.
A non pochi osservatori il comunicato del Vaticano ha dato l’impressione che con esso si sia voluto prendere tempo. A tal proposito, l’8 ottobre, Charles Scicluna, arcivescovo della diocesi di Malta, che è stato fino al 2012 un procuratore curiale di alto profilo dell’ufficio anti abusi sessuali del Vaticano, scelto per questo compito da Benedetto XVI, e incaricato poi da Papa Francesco per l’indagine sugli abusi cileni, ha riconosciuto una perdita di fiducia da parte dei fedeli nei confronti di Papa Francesco riguardo alla gestione degli abusi. Scicluna però esorta: “Dategli tempo (al Papa, ndr)”. Ma a questo proposito, Flyn, su CNA, scrive: “I commenti di Scicluna indicano cose che sono diventate chiare: che molte figure della leadership vaticana non comprendono appieno il sentimento cattolico degli Stati Uniti sulla crisi attuale, e che la fiorente crisi americana della fede nella leadership della Chiesa è fonte di confusione e preoccupazione”.
Nel comunicato del Vaticano del 6 ottobre scorso viene poi sottolineata la convocazione per febbraio prossimo dei presidenti delle Conferenze episcopali di tutto il mondo per discutere della spinosa questione. Alcuni osservatori hanno però osservato che occorrerebbe scindere la questione di McCarrick da quella più generale degli abusi sessuali. Infatti, quella di McCarrick sarebbe, sulla base delle accuse di Viganò (eliminazione da parte di Papa Francesco delle “restrizioni” imposte su McCarrick da Benedetto XVI e riabilitazione del cardinale per compiti e funzioni di alto prestigio nella Chiesa), di pertinenza di Papa Francesco, mentre la questioni più generale delle coperture degli abusi sarebbero invece di competenze del consesso dei vescovi di febbraio prossimo. La convocazione dei presidenti delle Conferenze episcopali dovrebbe infatti porre rimedio alla volontaria (e colpevole) omissione della figura del vescovo nella catena delle responsabilità prevista dal framework stabilito e adottato a seguito della precedente crisi da abusi americana del 2002. Tale framework ha infatti dato buoni frutti nel perseguire figure come i sacerdoti o i diaconi, ma ha escluso del tutto quella dei vescovi. La cosa curiosa (e amara) è che in quel consesso dei vescovi del 2002, una delle figure leader che più si batté contro gli abusi sessuali nella chiesa, e che contribuì alla elaborazione del processo di attribuzione delle responsabilità nei confronti dei sacerdoti e diaconi fu proprio l’arcivescovo McCarrick.
Infine, occorre far menzione del fatto che nel comunicato del Vaticano si dice: “La Santa Sede è consapevole che dall’esame dei fatti e delle circostanze potrebbero emergere delle scelte che non sarebbero coerenti con l’approccio odierno a tali questioni. Tuttavia, come ha detto Papa Francesco, «seguiremo la strada della verità, ovunque possa portarci» (Filadelfia, 27 settembre 2015)”. E’ un passaggio, questo, che alcuni hanno interpretato come un preannuncio di una eventuale relazione poco lusinghiera su Papa San Giovanni Paolo II o sul Papa emerito Benedetto XVI.
Il giorno dopo la pubblicazione del comunicato del Vaticano sul caso McCarrick arriva la pubblicazione di una lettera aperta a Viganò del card. Marc Ouellet, dal 2010 attuale prefetto della Congregazione dei vescovi. Questa tempistica ha incuriosito molti osservatori.
Ad alcuni, il tentativo di Ouellet di voler distinguere tra sanzioni canoniche (assenti) e restrizioni non canoniche – “richieste”(?), “esortazioni”(?) – (presenti) è apparsa una questione del tutto secondaria. Quello che è assolutamente chiaro è che, come dice testualmente il card. Ouellet, McCarrick “doveva obbedire a certe condizioni e restrizioni a causa delle voci attorno al suo comportamento nel passato”. Poiché però queste “richieste” provenivano dalla autorità somma della Chiesa, cioè il Papa, dovevano per forza di cose avere carattere precettivo.
Del resto, la lettera aperta di Ouellet ha sostanzialmente confermato tre cose:
- che durante il pensionamento di McCarrick, a Roma si sapesse qualcosa del suo passato “poco chiaro”;
- che, proprio in virtù di quel passato, qualcosa di restrittivo sia stato ordinato a McCarrick;
- che qualcosa la Congregazione dei vescovi abbia comunicato al nunzio apostolico, l’arciv. Viganò, nel momento in cui andava a prendere possesso dell’area di Washington dove operava McCarrick.
Del resto, il punto 3) lo conferma lo stesso card. Ouellet quando scrive nella sua lettera aperta. “Di qui la posizione della Congregazione ispirata alla prudenza e le lettere del mio predecessore e mie che ribadivano, tramite il Nunzio Apostolico Pietro Sambi e poi anche tramite te, l’esortazione (per McCarrick, ndr) a uno stile di vita discreto di preghiera e penitenza per il suo stesso bene e per quello della Chiesa”.
A molti, questa affermazione di Ouellet è apparsa una conferma, o quantomeno un contributo alla credibilità sostanziale delle affermazioni di Viganò quando questi ha parlato di un incontro burrascoso tra McCarrick e Sambi, durante il quale sono stati comunicati i termini delle “condizioni e restrizioni” cui doveva sottostare McCarrick.
Occorre puntualizzare che un punto fermo importante è quello relativo all’incontro del giugno 2013 avvenuto tra Papa Francesco e l’arciv. Viganò: il cardinale Ouellet dà per scontato che questo sia avvenuto. Per quanto riguarda il contenuto di quell’incontro, egli osserva solo che papa Francesco avrebbe avuto quel giorno una “enorme quantità di informazioni verbali e scritte che egli (il Papa) ha dovuto raccogliere in quell’occasione su molte persone e situazioni”. Una tale mole di informazioni non avrebbero consentito al Papa di riconoscere il pieno significato di ciò che l’arcivescovo Viganò sostiene di avergli detto.
E’ dunque anche sorprendente il fatto che Ouellet, come ha affermato lui stesso nella sua lettera, in qualità di Prefetto della Congregazione per i vescovi, pur conoscendo le restrizioni imposte a McCarrick per gli abusi sessuali, non abbia poi fatto menzione delle stesse a Papa Francesco, il quale ha elevato McCarrick ad uno dei suoi importanti consiglieri.
Importante anche la seguente affermazione del card. Ouellet:
“…le decisioni prese dal Sommo Pontefice poggiano sulle informazioni di cui si dispone in quel preciso momento e che costituiscono l’oggetto di un giudizio prudenziale che non è infallibile. Mi sembra ingiusto concludere che le persone incaricate del discernimento previo siano corrotte anche se, nel caso concreto, alcuni indizi forniti da testimonianze avrebbero dovuto essere ulteriormente esaminati.”
Per questi motivi, a molti osservatori la lettera aperta di Ouellet ha suscitato sia notevole scetticismo sia una chiara ammissione di una debole, per dire il meno, gestione del caso McCarrick, oltre che una conferma degli elementi chiave della testimonianza dell’Arcivescovo Viganò.
Infine, la lettera aperta di Ouellet potrebbe essere stata, involontariamente, l’ultimo contributo in ordine di tempo a spingere il card. Wuerl a dimettersi dalla carica di arcivescovo della diocesi di Washington.
Infatti, la conferma pubblica, avvenuta mediante la lettera aperta di Ouellet, che “condizioni e restrizioni” sono state comunicate a McCarrick da due nunzi apostolici mettono in dubbio o, addirittura, contestano la plausibilità delle affermazioni di Wuerl di non essere stato informato della situazione di McCarrick, specialmente se si considera il fatto che, come riportano le fonti giornalistiche, è prassi comune della Santa Sede informare il vescovo locale delle preoccupazioni o delle misure prese contro un chierico che vive nella sua diocesi, specialmente nei casi in cui c’è il rischio di scandalo pubblico.
E’ dunque probabile che proprio questo fatto abbia contribuito a far perdere alla maggior parte dei sacerdoti della diocesi di Washington la fiducia nel proprio vescovo, il card. Wuerl. E questo costituisce uno degli aspetti più critici dell’intera vicenda degli abusi sessuali del caso McCarrick.
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