ELOGIO DELL'ERESIA - Il Card. Piacenza difende gli errori in tema di libertà religiosa condannati da Leone XIII
Continuano, imperterriti. Non conoscono requie. Come osserva oggi One Peter Five (qui),
pare che la setta conciliare si comporti come un treno prossimo a
deragliare, alla cui guida vi è il Maligno, inchiodato nella sua volontà
di perseguire ostinatamente il male. Fautori dell’aborto come mezzo si
sterminio di massa sono accolti a pontificare in Vaticano; vecchie
cariatidi del femminismo sessantottardo sono ricevute con tutti gli
onori all’Università Cattolica, mentre non una parola è spesa dal
Satrapo di Santa Marta per elogiare l’opera indefessa dei movimenti
pro-vita. Un eretico notorio, gesuita nell’accezione più spregevole del
termine, è nominato superiore di tutti gli Ordini religiosi maschili. E
il turpe consesso di sodomiti in porpora, sbugiardato da prove
schiaccianti, insiste nel sostenere di non aver in alcun modo maneggiato
con la Santa Sede per bloccare le decisioni della Conferenza Episcopale
Americana volte a fronteggiare gli scandali degli abusi da parte di
chierici e Prelati.
In questo sordido
postribolo che scandalizza ormai anche i più moderati dei fedeli
cattolici, il silenzio di molti Presuli ritenuti conservatori lascia
allibiti. E lasciano allibiti le parole di chi viene additato come
difensore della Verità. Tra costoro, un personaggio che all’epoca del
Predecessore era considerato tradizionalista - forse a cagione delle due
spanne di merletto Rinascimento del suo rocchetto più che per fedeltà
alla Dottrina - se ne esce con un’esternazione che contraddice il
Magistero e si allinea alle più trite tesi del conciliarismo.
Ricordiamo che il
Cardinal Mauro Piacenza, ordinato a Genova nel 1969 dal Cardinal Siri, è
stato docente di Teologia Dogmatica e, tra gli altri incarichi,
Prefetto della Congregazione per il Clero e infine Penitenziere
Maggiore.
Il Porporato, come riferisce con la consueta prona cortigianeria Vatican Insider (qui), si conferma paladino della Dignitatis Humanae e del peggior repertorio postconciliare, affermando che la libertà religiosa è «la
roccia ferma su cui i diritti umani si fondano saldamente, poiché tale
libertà rivela in modo particolare la dimensione trascendente della
persona umana e l’assoluta inviolabilità della sua dignità». E
sostiene che questa cosiddetta libertà di professare indifferentemente
qualsiasi credo religioso «appartiene all’essenza di ogni persona, di
ogni popolo, di ogni nazione», come se nel cuore dell’uomo il Creatore
avesse impresso non la naturale ricerca del Vero e del Bene, ma
un’inclinazione congenita all’indifferentismo e al relativismo
religioso. Egli giunge a dire che nel concetto di libertà religiosa
vanno necessariamente incluse «la libertà di pensiero e la libertà di
parola, la libertà di espressione e la libertà di culto, la libertà di
conversione e perfino la libertà di distanziarsi dall’elemento
religioso».
Eppure non vi può
essere libertà di pensiero, quando la Verità è stata rivelata da Dio in
modo vincolante; non vi può essere libertà di parola, se quella parola
serve per impugnare la Verità divina; non vi può essere libertà di
culto, se non nell’esercizio dell’unica Religione fondata da Nostro
Signore; ed ancor meno libertà di apostatare, perché nessuno è libero di
rifiutare l’autorità di Dio ed i Suoi Comandamenti. Questa libertà cui
allude con parole sacrileghe il Cardinale, era bollata col termine di licenza e condannata dal Magistero dei Romani Pontefici, in particolare nell’Enciclica Libertas praestantissimum di Leone XIII (qui), promulgata solo 130 anni or sono.
In quell’immortale
documento magisteriale, il grande Pontefice diceva: «Pertanto la natura
della libertà umana, comunque la si consideri, tanto nelle persone
singole quanto consociate, e non meno in coloro che comandano come in
coloro che ubbidiscono, presuppone la necessità di ottemperare alla
suprema ed eterna ragione, che altro non è se non l’autorità di Dio che
comanda e vieta». E a proposito della libertà di culto: «notiamo nelle
singole persone un atteggiamento che è profondamente contrario alla
virtù religiosa, ossia la cosiddetta libertà di culto. Questa libertà si
fonda sul principio che è facoltà di ognuno professare la religione che
gli piace, oppure di non professarne alcuna. […] Perciò, una volta
concessa quella libertà di cui stiamo parlando, si attribuisce all’uomo
la facoltà di pervertire o abbandonare impunemente un sacrosanto dovere,
e conseguentemente di volgersi al male rinunciando a un bene
immutabile; questa non è libertà, come dicemmo, ma licenza e schiavitù
di un’anima avvilita nel peccato».
Ancora, sulla laicità
dello Stato tanto cara alla setta conciliare e ai suoi pontefici: «La
stessa libertà, se considerata nell’ambito della società, pretende che
lo Stato non faccia propria alcuna forma di culto divino e non voglia
professarlo pubblicamente; pretende che nessun culto sia anteposto ad un
altro, ma che tutti abbiano gli stessi diritti. […] É necessario che la
società civile, proprio in quanto società, riconosca Dio come padre e
creatore suo proprio, e che tema e veneri il suo potere e la sua
sovranità. Pertanto, la giustizia e la ragione vietano che lo Stato sia
ateo o che – cadendo di nuovo nell’ateismo – conceda la stessa
desiderata cittadinanza a tutte le cosiddette religioni, e gli stessi
diritti ad ognuna indistintamente. Dunque, dal momento che è necessaria
la professione di una sola religione nello Stato, è necessario praticare
quella che è unicamente vera e che non è difficile riconoscere,
soprattutto nei Paesi cattolici, per le note di verità che in essa
appaiono suggellate».
Quanto alla libertà di
parola: «è assurdo pensare che essa sia concessa dalla natura in modo
promiscuo e accomunata alla verità e alla menzogna, alla onestà e alla
turpitudine. La verità e l’onestà hanno il diritto di essere propagate
nello Stato con saggezza e libertà, in modo che diventino retaggio
comune; le false opinioni, di cui non esiste peggior peste per la mente,
nonché i vizi che corrompono l’animo e i costumi, devono essere
giustamente e severamente repressi dall’autorità pubblica, perché non si
diffondano a danno della società».
Leone XIII afferma che
«codesta libertà di tutti e per tutti non è desiderabile di per se
stessa, come più volte abbiamo detto, poiché ripugna alla ragione che la
menzogna abbia gli stessi diritti della verità. E per quanto riguarda
la tolleranza, sorprende quanto siano distanti dalla equità e dalla
prudenza della Chiesa coloro che professano il Liberalismo. Infatti, con
l’assoluta licenza di concedere tutto ai cittadini, come dicemmo,
varcano completamente la misura e giungono al punto di non attribuire
alla onestà e alla verità maggior valore che alla falsità e alla
malvagità. […] Ricusare radicalmente la sovranità del sommo Dio e
rifiutargli ogni obbedienza, sia nella vita pubblica, sia nella vita
privata e domestica, è la massima perversione della libertà come anche
la peggiore specie di Liberalismo».
Il Cardinal Piacenza
contraddice palesemente l’insegnamento infallibile della Chiesa
Cattolica, piegandosi all’errore dei Liberalismo che ha infettato non
solo la società civile, ma anche la stessa Chiesa: «Continueremo ad
impegnarci motivatamente ed appassionatamente, perché, sempre e
dovunque, la libertà religiosa sia difesa e dilatata, nella lucida
certezza che difenderla significa difendere tutto dell’uomo e difendere
ogni uomo».
Eppure le parole di
Leone XIII non danno adito ad equivoci: «Da quanto si è detto consegue
che non è assolutamente lecito invocare, difendere, concedere una ibrida
libertà di pensiero, di stampa, di parola, d’insegnamento o di culto,
come fossero altrettanti diritti che la natura ha attribuito all’uomo.
Infatti, se veramente la natura li avesse concessi, sarebbe lecito
ricusare il dominio di Dio, e la libertà umana non potrebbe essere
limitata da alcuna legge».
Ci si sarebbe
aspettato, dal Presidente della Fondazione Aiuto alla Chiesa che soffre,
un accenno al diritto inalienabile della Chiesa Cattolica di esercitare
pienamente quella libertà che oggi viceversa pare conculcata; un
riferimento al vero concetto di libertà religiosa, inteso nel
senso di libertà dell’unica vera Religione di agire, predicare ed
esercitare il proprio ministero. E non di sentir far proprie le dottrine
condannate fino a prima del Concilio, addirittura contraddicendo parola
per parola l’insegnamento di un Pontefice tra i più strenui difensori
della Verità cattolica nell’età moderna.
Se queste sono le
parole di un Prelato in odore di conservatorismo, non c’è da stupirsi se
altri ecclesiastici notoriamente progressisti non temano minimamente la
Curia Romana, ma la considerino anzi come ottima alleata nella
demolizione della Chiesa di Cristo.
Copyright MMXVIII - Cesare Baronio
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