Il filologo è il tecnico più micidiale: l'essenza dell’eresia modernista. Oggi il filologo è diventato il padrone della teologia: lui stabilisce cosa è vero e no nelle Scritture; è lui a decidere come vada intesa la Rivelazione
di Francesco Lamendola
Avevamo osservato, a suo tempo, sulle orme di un passo de La Gaia Scienza di Nietzsche, che la rovina del cristianesimo è iniziata quando al teologo si è gradualmente sostituito il filologo; e osservando i disastri che la filologia sta facendo oggi nel campo della religione cattolica, arrivando perfino a cambiare, dopo duemila anni, le parole della preghiera fondamentale dei cristiani, quel Padre nostro che Gesù stesso ci ha insegnato (così crediamo noi; cosa credano quelli che lamentano l’assenza, all’epoca, di nastri magnetici per registrare i suoi discorsi, come Sosa Abascal, non lo sappiamo), non si può che ammirare l’acutezza del filosofo tedesco, il quale, provenendo da studi filologici, di quelle cose se ne intendeva. In fondo, tutta l’eresia modernista ruota intorno all’uso e all’abuso della filologia.
Il filologo ci è sempre stato presentato, dalla cultura moderna, come una figura estremamente simpatica. Ci è stato detto che il primo filologo – e, guarda caso, il primo umanista: le due cose vanno a braccetto – è stato Francesco Petrarca, il quale passava al setaccio abbazie e monasteri per trovare i manoscritti delle opere classiche e per ripubblicarne l’edizione corretta, liberata cioè, dagli errori di trascrizione di quei pasticcioni degli amanuensi medievali. Ci è stato anche detto, sui banchi del liceo, che bisogna rivolgere un grato pensiero a uomini come Lorenzo Valla, il quale, con lo strumento della filologia, ha dimostrato, appunto, la falsità della donazione di Costantino, un documento che, ci è stato detto, era non solo falso, ma esiziale per il progresso della civiltà europea e mondiale. E va bene. Quel che si sono scordati di dirci, o perché non ci hanno mai riflettuto, o perché volontari operatori del grande progetto di deformazione della nostra percezione delle cose, è che la filologia, per sua stessa natura, è una scienza sperimentale, e pertanto che precede di due secoli la pretesa di Machiavelli di staccare la politica dalla morale e dalla religione, e di tre secoli la rivendicazione di Galilei della separazione (separazione, non autonomia) della scienza moderna da tutto ciò che non le appartiene, religione compresa. Dunque i primi filologi sono stati anche i primi scienziati, nel senso moderno, cioè sperimentale e antifinalistico, della parola: dei meccanicisti ante litteram, per i quali non esiste alcuna distinzione fra sacro e profano, tutto è profano perché tutto può essere da loro esaminato, passato al setaccio, emendato, rivisitato, e, al limite, come nel caso della donazione costantiniana, dichiarato falso.
Il filologo è diventato il padrone della teologia: è lui a stabilire cosa è vero e cosa non lo è nelle Scritture; quindi, è lui a decidere come vada intesa la Rivelazione.
Era fatale che arrivasse il momento, prima o poi, in cui siffatti criteri sarebbero stati applicati, in tutto e per tutto, anche ai libri sacri: a quelle Scritture che si scrivono con la maiuscola non solo e non tanto per “rispetto”, ma perché il credente ne riconosce l’origine soprannaturale e quindi proclama dinanzi ad esse la propria finitezza e la propria inadeguatezza, e si accinge, pertanto, a leggerle con la debita umiltà. Umiltà viene da humilis che viene, a sua volta, da humus, la terra. L’uomo viene dalla terra e appartiene alle cose della terra; e, anche se in lui Dio ha infuso un’anima immortale, il suo corpo, i suoi istinti, la sua stessa ragione naturale appartengono alla terra, non al cielo. Come potrebbe, dunque, una mente terrena, comprende il mistero dell’Eterno? L’episodio del bambino che cerca di versare l’acqua del mare in una buca scavata nella sabbia e che vuol far capire a sant’Agostino – perché non è, realmente, un bambino, ma un Angelo - l’impossibilità, per la mente umana, di capire misteri come la Trinità e l’Incarnazione, i due dogmi fondamentali del cristianesimo, quelli sui quali si regge tutto il resto, ma che non possono essere “dimostrati” con il ragionamento di tipo logico-matematico, perché, sono, appunto, misteri, ben rappresenta questo limite, questa frontiera invalicabile. Ma quale frontiera invalicabile può esserci per una civiltà che si fonda sull’umanesimo, cioè sulla pretesa di fare dell’uomo il centro del mondo e la misura di tutte le cose? Ecco un’altra parola simpatica, umanesimo, che suggerisce qualcosa di buono, di positivo; che ci è stata presentata come tale in contrapposizione a un’altra parola, che subito evoca immagini sgradevoli, medioevo. L’umanesimo sta al medioevo come la luce sta alle tenebre, come il vero sta al falso, come il bene sta al male e come il bello sta al brutto: questo, almeno, è quanto ci si è voluto far credere. Ma sarà vero, poi?
Il gesuita Bergoglio e il generale dell'ordine Sosa Abascal
Abbiamo detto che il filologo è stato il primo scienziato moderno, cioè il primo studioso (o il primo savant, direbbero i positivisti francesi) che ha preteso di staccare la propria ricerca da tutto ciò che è trascedente. Era inevitabile che egli giungesse prima a dubitare, poi a negare che vi sia davvero qualcosa di trascendente: abituato, per formazione professionale, a lavorare sempre e solo sul finito, sull’umano, e vedendo quanto le cose umane sono labili e bisognose di continui aggiornamenti, ha finito per convincersi che non esiste null’altro del visibile e del finito, e insomma che tutto è natura, tutto è storia. Aggiungiamo ora che egli è anche, fin dall’inizio, un tecnico, e perciò precede di secoli la figura del tecno-scienziato che oggi spadroneggia nel mondo contemporaneo, al punto da permettersi di modificare il DNA umano come se fosse la cosa più normale di questo mondo. Non c’è più un confine tra tecnica e scienza; ciò che scientificamente viene dimostrato possibile, e ciò che tecnicamente è realizzabile, formano un tutt’uno; e in nome della rivendicata libertà e indipendenza della scienza e del progresso, l’etica non deve permettersi di metterci il becco. Ebbene, anche i filologi lavorano così e hanno sempre lavorato così. La constatazione della fallibilità umana, gli errori dei manoscritti che essi individuano e riconoscono con il fiuto di un segugio da tartufi, non hanno insegnato loro alcuna umiltà, anzi, li riempiono di orgoglio in se stessi: visto che bravi che siamo, se riusciamo a dimostrare che era falso quel che fu creduto vero per secoli? Si provi ora ad applicare questa mentalità alle Sacre Scritture, e si capirà subito in che cosa consista l’essenza dell’eresia modernista. Essa storicizza la Bibbia, storicizza i Vangeli, dunque storicizza e naturalizza, alla fine, anche Gesù e il suo messaggio. È quel che ripetono, continuamente, gli stupidi esponenti della neochiesa: bisogna vedere in quale contesto Gesù parlava, a quale pubblico specifico si rivolgeva quando diceva o faceva quella tale cosa (è sempre il generale dei gesuiti che ci regala simili perle di saggezza; ci sarà un motivo se chi di dovere non l’ha mai rimosso al suo posto).
Oggi gli eretici hanno trovato la strada sicura per distruggere la Chiesa.
E adesso ecco che il filologo è diventato il padrone della teologia: è lui a stabilire cosa è vero e cosa non lo è nelle Scritture; quindi, è lui a decidere come vada intesa la Rivelazione. Si è impadronito delle cose spirituali per mezzo di una scienza, di un sapere inteso in senso materialistico e immanentista: non assume un atteggiamento di umiltà quando studia la Bibbia, non si sente piccolo e non ritiene di aver bisogno di essere illuminato dall'alto; fida nella sua ragione, nelle sue certezze scientifiche, nelle sue verità razionai. In questo modo "scopre" che i cristiani, per duemila anni, hanno frainteso le parole di Gesù e hanno recitato male il Padre Nostro. Che altro ci si deve ancora aspettare dai filologi divenuti padroni della teologia? Il passo successivo è facilmente intuibile: la totale storicizzazione delle Scritture, quindi la totale immanentizzazione della Rivelazione, e perciò la definitiva umanizzazione di Cristo. Ed eccoci alle neoteologia dei neoteologi, come Enzo Bianchi: Gesù non è Dio, è un uomo, un profeta che narrava Dio agli uomini. L'obiettivo finale è chiaro: non c'è alcun Dio da adorare, e infatti quando mai il signore argentino si inginocchia davanti a Lui? E potrebbe parlare come parla, potrebbe dire che Gesù fa un po' lo scemo, che è brutto da fare schifo (durante la Passione), se avesse solo un poco di timor di Dio? Ma no, lui è forte degli studi storici e filologici; lui sa, o crede di sapere, che il vangelo è una favola per bambini, se non lo si legge con gli occhi dello storico e del filologo. La filologia prende il posto della fede: è il filologo che dice in che cosa deve credere il fedele. E se il filologo fa una nuova scoperta, contrordine compagni!, si cambia anche la fede. Si passa, ed è un processo che si sta svolgendo sotto i nostri occhi, dalla fede nell'invisibile alla fede in ciò che è visibile, quantificabile, e, se necessario, modificabile. Nessuna eresia dei secoli passati avrebbe osato spingersi là dove si sono spinti i neoteologi, forti della loro filologia. Se un cristiano negava, per esempio, l'esistenza del diavolo, cadeva automaticamente nel peccato di eresia, e da eretico veniva trattato; a maggior ragione se si trattava di un sacerdote. Ma oggi Sosa Abascal, il generale dei gesuiti, può dire tranquillamente che il diavolo non esiste, che è solo un simbolo del male, e dirlo con nonchalance, chiacchierando con un giornalista della stampa laica, senza che nessuno lo riprenda, nessuno lo corregga, nessuno lo ammonisca. La filologia sta smontando e distruggendo la fede, pezzo per pezzo. E ad essa si affianca l'opera delle altre "scienze" umane, la psicologia, la sociologia, non per nulla continuamente evocate dal signore argentino e dai neopreti: si direbbe che, per sapere se una cosa è buona o cattiva, oggi il fedele non deve più rivolgersi alla Rivelazione, ma agli specialisti. Nelle recenti istruzioni all'Ordo Virginum, il cardinale Braz de Aviz, oltre ad affermare che non è più necessario essere vergini per entrare nell'ordine delle vergini consacrate a Dio, dice anche che una donna, prima di intraprendere questa strada, farebbe bene a sottoporsi a una visita psichiatrica, perché sono la psicologia e la psichiatria che possono dirle la parola risolutiva circa la sua vocazione religiosa. Stupefacente ; e ancor più stupefacente è che nessuno abbia fatto una piega, che nessuno abbia chiesto a gran voce di cacciar fuori l’abusivo a calci nel sedere. Oggi gli eretici hanno trovato la strada sicura per distruggere la Chiesa: agire dal suo interno, anziché attaccarla dal di fuori. E come è possibile fare una cosa del genere, senza venire riconosciuti per quel che si è, dei nemici della fede, e senza così mettere in allarme i fedeli? Semplice: indossando i panni del filologo. I Tyrrell, i Loisy, i Buonaiuti, hanno indicato la strada da percorrere, ma erano solo dei principianti, dei maldestri dilettanti; ora abbiamo i Rahner, i Kasper, i Martin, i Bianchi, guide ben più esperte, e possiamo star tranquilli che nel giro di neanche una generazione avranno fatto piazza pulita di quel che ancora restava della Chiesa cattolica quale forza spirituale organizzata, capace di indicare una normativa e di segnare un percorso preciso al fedele verso la Verità di Cristo. Oggi, prima di recitare una preghiera, anche se antica di duemila anni, anche se appresa dalle labbra di Gesù stesso, bisogna prima domandare il nihil obstat del filologo; al quale soltanto, essendo un tecnico e uno scienziato, cioè un esperto, compete dire l’ultima parola ai profani, cioè alla massa dei fedeli che non possiedono le chiavi della scienza e della tecnica.
Bergoglio ed Enzo Bianchi: tutta l’eresia modernista ruota intorno all’uso e all’abuso della filologia.
Occhio al filologo: è il tecnico più micidiale
di Francesco Lamendola
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