Romano Amerio è stato il primo grande critico (nel senso di aver condotto uno studio scientifico del problema) della Rivoluzione nella Chiesa, della sovversione conciliare.
Il suo capolavoro scelse di intitolarlo “Iota unum”, in chiaro riferimento alle fatidiche parole di Cristo: “Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un apice dalla legge, senza che tutto sia compiuto” (Matteo 5, 17-18).
Ovvero, di quanto detto da Cristo, dagli evangelisti e dagli autori del Nuovo Testamento nulla andrà perduto, nemmeno uno iota.
Ovvero, di quanto detto da Cristo, dagli evangelisti e dagli autori del Nuovo Testamento nulla andrà perduto, nemmeno uno iota.
E’ chiara nelle parole di Cristo la previsione del tentativo di cambiare “lo iota”, ovvero di sovvertire alcuni scomodi insegnamenti del Vangelo. Con quelle parole ovvero, Gesù, alla conclusione del Discorso della Montagna, ci profetizza indirettamente l’apostasia odierna.
Ed è chiara l’intenzione di Amerio con quel particolare titolo: la denuncia dei prossimo inevitabile tentativo da parte del clero modernista di cambiare le parole di Dio, in quanto ormai inconciliabili con le prospettive ideologiche e sovversive della “nuova chiesa”. Il cambiamento delle parole bibliche è necessità assoluta per la sopravvivenza e per la vittoria del modernismo.
Se ora noi denunciassimo questa mutazione ereticale e sovversiva, saremmo sommersi di improperi e maledizioni, e soprattutto dell’accusa di calunniare le gerarchie odierne.
Bene: il titolo del libro di Roberto Beretta e Antonio Pitta: “Come cambia la Bibbia. In anteprima il nuovo testo ufficiale della Conferenza Episcopale Italiana” edito dalla Piemme, toglie qualsiasi ombra di dubbio e possibilità di accusa a riguardo.
Sia chiaro: il cambiamento è in atto da decenni. Il lento ma inesorabile corrosivo lavoro di modifica dei Testi Sacri da parte delle Conferenze Episcopali è iniziato direttamente subito dopo il Concilio, quindi ormai sessanta anni or sono. Ma è stato appunto una “lenta corrosione”, progressiva ma “prudente”, inesorabile ma data goccia per goccia.
E nessuno dica che rimane immutato il senso generale: anzitutto perché, se così fosse, non si capirebbe la ragione del cambiamento; quindi, perché non è vero; inoltre, perché non è mai stato fatto nei venti secoli precedenti, se c’era realmente questa esigenza?; infine, perché questo è solo l’ultimo atto di una serie immensa di cambiamenti, iniziata con le encicliche Lumen Gentium e Nostra Aetate (più altre minori) sessant’anni or sono, proseguita con la rivoluzione liturgica, aumentata in ogni modo in questi decenni postconciliari e ora coronata dall’osare inosabile.
Il libro è del 1999, ma si adatta perfettamente e ancor più ai giorni nostri: il cambiamento è ormai sempre più profondo e soprattutto sempre più pubblico.
Anzi, ormai è presentato come una “novità” positiva e necessaria. Insomma, come una “rivoluzione” voluta e attesa da tutti.
Lex orandi, lex credendi: cambia la Messa, cambia la fede. Cambia la fede, cambiano le scritture. Cambiano le scritture (e la Messa, e la fede), cambia la Chiesa. Cambia la Chiesa, cambiano gli uomini.
E il Nuovo Ordine Mondiale avanza.
Ovvio. Anzi, logico.
Solo una cosa mi sfugge: come pensano di conciliare i loro sovversivi cambiamenti con la promessa di Gesù Cristo? Come la mettono, insomma, con lo iota?
Questo problema… mi ispira un’enorme speranza
Massimo Viglione
https://www.confederazionetriarii.it/il-loro-trionfo-e-la-nostra-speranza/
A proposito di cremazione
“Eravamo ciò che siete, sarete ciò che siamo”!
Preparato su iniziativa e sotto il regno del santo papa Pio X, e promulgato da papa Benedetto XV, il Codice di diritto canonico del 1917 dichiara molto chiaramente (al canone 1203):
1 - I corpi dei fedeli defunti devono essere sepolti, essendo disapprovata la loro cremazione.
2 - Se qualcuno ha disposto in qualsiasi modo che il proprio corpo venga cremato, è illecito eseguire tale volontà; e se essa è inserita in un contratto, un testamento o un qualsivoglia atto, essa deve essere considerata come non scritta.
E il canone1240, §1°, precisa ancora: “Siano privati di sepoltura ecclesiastica, a meno che prima della loro morte non abbiano dato segno di penitenza: […] coloro che abbiano disposto che il proprio corpo venga cremato”.
Il nuovo Codice di diritto canonico del 1983 “raccomanda vivamente che si conservi il pio costume della sepoltura del corpo dei defunti; tuttavia non vieta l’incinerazione, a meno che essa non sia stata scelta per delle ragioni contrarie alla dottrina cristiana.” (canone 1176 §3)
La Chiesa era cosciente del pericolo per le anime
Nove anni dopo la promulgazione del Codice di diritto canonico del 1917, l’istruzione del Sant’Uffizio Cadaverum cremationis (19 giugno 1926), rivolta agli Ordinari dei luoghi del mondo intero, ricordava che sono i nemici del cristianesimo che vantano e propagano la cremazione dei cadaveri:
“[…] In questo costume barbaro, che ripugna non solo alla pietà cristiana, ma anche alla pietà naturale verso i corpi dei defunti e che la Chiesa, fin dalle origini, ha costantemente proscritto, ve ne sono molti, anche tra i cattolici, che non esitano a vedere i vantaggi più lodevoli dovuti ai cosiddetti progressi moderni ed alla pubblica igiene. Così, la Sacra Congregazione del Sant’Uffizio esorta nel modo più vivo i pastori del gregge cristiano a mostrare ai fedeli, di cui hanno la cura, che in fondo i nemici del cristianesimo vantano e propagano la cremazione dei cadaveri solo allo scopo di distogliere poco per volta le menti dalla meditazione della morte, di togliere loro la speranza della resurrezione dei morti e di aprire in tal modo la via al materialismo.
“Di conseguenza, benché la cremazione dei corpi non sia in sé un male in assoluto e in certe congiunture straordinarie, per delle ragioni gravi e ben accertate di ordine pubblico, essa possa essere autorizzata, ed infatti lo sia, non per questo è meno evidente che la sua pratica usuale e in qualche modo sistematica, così come la propaganda in suo favore, costituiscono atti empi, scandalosi e perciò gravemente illeciti; è quindi a buon diritto che i Sommo Pontefici, a più riprese, e ultimamente ancora nel Codice di diritto canonico pubblicato recentemente, l’avevano disapprovata e continuano a disapprovarla”.
E questa istruzione concludeva chiedendo che “i preti non cessino mai di esaltare l’eminenza, l’utilità ed il significato sublime della sepoltura ecclesiastica, sia privata che pubblica, affinché i fedeli, perfettamente istruiti sulle intenzioni della Chiesa, si distolgano con orrore dall’empia pratica della cremazione”.
La cremazione non è contraria a nessun dogma cattolico
La Chiesa può essere portata a tollerare la cremazione dei corpi in certe circostanze eccezionali, in casi di estrema necessità ed in vista di un bene superiore: in occasione di grandi epidemie contagiose o in caso di una guerra particolarmente mortifera.
La cremazione, considerata in se stessa, non è quindi direttamente contraria a nessun dogma cattolico nemmeno a quello della resurrezione dei corpi, tanto è vero che l’onnipotenza di Dio è assoluta, illimitata. Così il cardinale Billot scrive che “Dio potrebbe fare che un morto risusciti, senza possedere un solo atomo della materia di cui il suo corpo terreno era costituto”.
Tuttavia, l’uso corrente e diffuso della cremazione tra i fedeli alla lunga non mancherebbe di scuotere profondamente in molte anime alcuni dogmi della fede, specialmente quello della resurrezione dei corpi e del giudizio generale alla fine del mondo, e quello della vita eterna, tutti enunciati nell’ultima parte del Credo.
La cremazione pregiudica l’integrità della fede
La massoneria d’altronde non si è sbagliata: aveva compreso perfettamente che la cremazione era un mezzo per pregiudicare l’integrità della fede “nel volgo”, come ammetteva, ad esempio, nella circolare rivolta ai suoi aderenti, alla fine del XIX secolo:
“La Chiesa romana ci ha lanciato una sfida condannando la cremazione dei corpi che la nostra società aveva finora propagato con i migliori risultati. I Fratelli dovrebbero usare ogni mezzo per diffondere l’uso della cremazione. La Chiesa, proibendo di bruciare i corpi, afferma i suoi diritti sui vivi e suoi morti, sulle coscienze e sui corpi, e cerca di conservare nel volgo le credenze, oggi dissipate alla luce della scienza, che toccano l’anima spirituale e la vita futura”.
Bruciare i corpi defunti dunque non è privo di conseguenze per la fede:
- spingendo al massimo l’annientamento visibile dell’individuo, la cremazione conduce molte anime a negare più facilmente ogni vita futura dopo la morte fisica;
- tale atto di distruzione violenta priva, per quanto è possibile, l’immaginazione umana della possibilità di figurarsi la resurrezione futura dei corpi, che la cremazione sembra rendere irrealizzabile e assurda, per la mente umana troppo superficiale.
Questo pericolo che intacca l’integrità della fede si verifica d’altra parte nella storia dei popoli: storicamente, la cremazione è sempre stata legata ad un simbolismo materialista e pagano che esisteva presso alcuni popoli in opposizione assoluta con il simbolismo spiritualista e cristiano dell’inumazione.
La Ragione della pietà naturale
Bruciare il corpo di un defunto equivale a fargli subire una violenza inaudita, a distruggerlo secondo un modo che è contrario all’ordine naturale come è stato enunciato dal Creatore ad Adamo dopo la caduta del peccato originale: “E mangerai il pane col sudore della fronte, fin quando tornerai alla terra perché è da essa che sei stato tratto; perché sei polvere ed in polvere ritornerai”.
Secondo l’espressione di Mons. Charles-Emile Freppel (1827-1891), violentare il corpo di un defunto bruciandolo, “è un atto di ferocia che ha lo scopo di fare scomparire il più in fretta e il più completamente possibile la spoglia mortale di coloro che ci sono più cari, e ciò il giorno stesso delle esequie, in mezzo alle lacrime di tutta la famiglia”.
Questa verità è pienamente confermata dalla testimonianza dell’accademico Henri Lavedan (1859-1940) che assistette, al forno crematorio di Milano, alla cremazione di un cadavere umano: “Certamente, è la più toccante impressione di orrore che io abbia mai provato, tale che non cercherò nemmeno di renderla. Al solo ricordo di quel corpo che si contorceva, di quelle braccia che battevano l’aria, chiedendo grazia, di quelle dita contratte e che si arrotolavano come trucioli, di quelle gambe nere che tiravano grandi calci con i piedi, avendo preso fuoco come fossero torce (un momento ho creduto di sentirlo urlare),mi vengono i brividi, ho il sudore freddo alla fronte e retrospettivamente patisco anch’io il supplizio di quel morto sconosciuto di cui ho inteso la carne gridare e protestare”.
In definitiva, l’amore coniugale, la pietà filiale, l’amicizia non possono accettare di consegnare ad un’opera di distruzione così violenta e così contraria alla natura il corpo di una sposa, di un padre, di un figlio, di un amico che, da vivi, con dei gesti di affetto, hanno manifestato il loro amore per i loro cari. A questa ragione se ne aggiunge un’altra.
La Ragione della pietà cristiana
La realtà dei sacramenti esprime la larga partecipazione del corpo fisico all’opera di santificazione della persona tutta intera. I sacramenti infatti sono “dei segni visibili ed efficaci della grazia”, il che significa che la materia di ogni sacramento (acqua per il battesimo, sacro crisma per la cresima, ecc.) deve essere applicata dal celebrante (in genere un sacerdote o un vescovo) su una parte del corpo di colui che riceve il sacramento.
E’ quindi normale che la Santa Chiesa tratti col massimo rispetto i corpi dei fedeli defunti che sono stati il tempio dello Spirito Santo, santificati durante la loro vita dai vari sacramenti: l’aspersione dell’acqua benedetta e l’incensamento del corpo defunto da parte del ministro della Chiesa nel momento dell’assoluzione, dopo la messa del funerale. Questo onore reso al corpo del defunto deve quindi naturalmente prolungarsi dopo la sua “deposizione” in terra, in un cimitero, che significa “dormitorio” secondo il suo significato etimologico, dove dormirà il suo ultimo sonno aspettando la resurrezione di tutti i corpi alla fine del mondo.
I cimiteri sono luoghi che portano molto spesso le persone che li visitano a ricordarsi dei propri doveri di preghiera verso i defunti, ed a meditare sui fini ultimi:la morte, il giudizio particolare, il Paradiso e l’Inferno, la resurrezione della carne ed il giudizio generale alla fine del mondo.
E’ una verità così vera che la Santa Chiesa, nostra Madre, nella sua grande saggezza, ha legato alla visita di un cimitero un’indulgenza plenaria, applicabile alle anime del purgatorio, indulgenza che si può lucrare ogni giorno tra il 1 e l’8 novembre, a condizione di pregare per i defunti nel corso di questa visita.
Sulla porta di alcuni cimiteri, talvolta leggiamo questa iscrizione: Fuimus quod estis.Eritis quod sumus (“Eravamo quello che siete. Sarete quello che siamo”) che ci invita a meditare sulla morte. Altre porte di cimiteri espongono questo invito: “Voi che passate, pregate per noi”, per ricordarci il nostro dovere verso quelli che ci hanno preceduto nell’eternità.
Don Claude Pellouchoud (sanpiox.it)
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