Come la pastorale arcobaleno nasconda la fondazione di una nuova “teologia” LGBT
Con questo articolo di David Henderson (collaboratore dell’Istituto per gli Studi su Matrimonio e Famiglia “Giovanni Paolo II” di Washington, D.C.), apparso a settembre sul sito “The public discourse”, riprendiamo il tema della “pastorale LGBT” affrontandolo però con un taglio più antropologico e teologico. Perché, essendo quello sulla “omosessualità” un discorso che riguarda “l’uomo”, viene influenzato – e a sua volta influenza – un certo tipo di visione antropologica e la relativa visione teologica che lo aggancia al divino. La “pastorale LGBT+” , con i suoi riferimenti linguistici e culturali, è semplicemente un approccio più moderno ed accattivante della “pastorale della Chiesa Cattolica” verso le persone omosessuali, o no?
L’autore, a partire da alcuni altri articoli apparsi nei mesi scorsi sul tema, mette a fuoco le due visioni, approfondendone le basi teologiche, e ci dà la sua risposta.
Scopritela leggendo l’articolo nella traduzione di Annarosa Rossetto
Il linguaggio di “orientamento” non è neutrale rispetto alla natura degli esseri umani. Fa un’affermazione fondamentale sulla natura umana, un’affermazioni che rifiuta l’ordine dato dalla realtà.
L’appassionato appello di padre James Martin a costruire un ponte per un nuovo spirito di dialogo tra la Chiesa e la comunità LGBT+ continua a alimentare un dibattito divisivo. Fin dalla sua pubblicazione, critici e sostenitori si sono scontrati sull’assoluta omissione nel libro riguardo l’insegnamento magisteriale della Chiesa sulle relazioni omosessuali.
I sostenitori dell’appello complessivo del libro sono generalmente soddisfatti della risposta di Martin secondo cui la menzione di un argomento così divisivo sarebbe stata solo controproducente e che lo scopo del libro non era quello di valutare le questioni di dottrina. Ma questa risposta ha solo favorito le richieste a p. Martin di chiarire la sua posizione e chiarire il suo sostegno all’insegnamento magisteriale. Dan Hitchens , scrivendo a First Things , è uno tra i tanti che hanno espresso preoccupazione per il fatto che mentre p. Martin non predica mai direttamente contro l’insegnamento della Chiesa, nemmeno lo afferma mai come vero.
Ma in un articolo pubblicato qui su Public Discourse , Robert George sostiene che c’è stata una conferma pubblica di Martin di adesione all’insegnamento della Chiesa, che unita alle ripetute smentite di voler alterare la verità rivelata della fede, “toglie il dubbio” e “non lascia più spazio ai detrattori”. Citando il recente articolo di p. Martin su America Magazine, George scrive che p. Martin ha, “senza alcun segno di ambiguità o di evasività”, affermato l’insegnamento magisteriale essere “valido, vero, [e] vincolante per la coscienza”. A suo merito, l’articolo di p. Martin riconosce ampiamente le tradizionali basi scritturali e filosofiche dell’insegnamento della Chiesa sull’omosessualità, e almeno tacitamente approva l’affermazione della Chiesa secondo cui gli atti omosessuali e l’orientamento omosessuale sono “oggettivamente disordinati”. Sebbene l’articolo non dica nulla sulla fondatezza di tale insegnamento, o il beneficio che ne deriva ad ogni persona umana, per lo meno dimostra una deferenza per l’autorità magisteriale e la volontà di rispondere ai critici. È anche giusto ricordare che l’edizione riveduta e ampliata di Building a Bridge include una citazione completa dell’insegnamento del Catechismo sull’omosessualità (nn. 2357-2359), oltre ad una dichiarazione incondizionata sulla posizione ufficiale della Chiesa secondo cui le relazioni sessuali tra persone dello stesso sesso sono sempre inammissibili.
Quindi la controversia è finita?
Martin sull’orientamento sessuale
La difesa di George di p. Martin poggia prevalentemente sulla volontà di p. Martin di aderire a parole all’insegnamento della Chiesa e non sulla argomentazione dei suoi ragionamenti che rimane irrisolta. Diversi punti sostanziali, tra cui la promozione da parte di p. Martin dei “Pride”, il suo continuo sostegno a New Ways Ministry e Out at St. Paul’s, e la sua insistenza che la Chiesa adotti la definizione “LGBT +” appaiono brevemente alla fine dell’articolo di George, ma sono trattati solo come punti minori di dissenso, al momento. Ma questi problemi non sono così irrilevanti. Presi nel loro insieme, rappresentano un unico punto critico che deve ancora essere risolto: la continua affermazione di p. Martin dell’orientamento sessuale come fondante l’identità personale.
Costruire un ponte, mentre è timido nella sua difesa dell’insegnamento cristiano, è invece sfacciatamente enfatico nel sostenere che l’attrazione per lo stesso sesso sia una autentica base di espressione personale, sociale e culturale. Il libro sostiene il riconoscimento cristiano dell’identità “gay”, invitando la Chiesa ad abbandonare il suo linguaggio “antiquato” di “persone omosessuali” in favore di quei termini scelti dalla comunità LGBT+. È questa la premessa che sta dietro alla volontà di p. Martin nel sostenere gli eventi di “Orgoglio” [ndt: significato della parola “Pride”] e di associarsi con organizzazioni che cercano inequivocabilmente di cambiare l’insegnamento della Chiesa. Queste sfide sono ulteriormente supportate dal fatto che suggerisce che il non riconoscere e affermare la validità dell’identità “gay” e “lesbica” è di per sé un fallimento della giustizia che svaluta e “rende invisibile” la dignità delle persone LGBT +.
La domanda che George non pone è se l’assenso di p. Martin alla dottrina della Chiesa non sia minato di fatto dai punti più sostanziali della sua posizione, dato tutto ciò che egli afferma in termini di cultura, linguaggio e identità “gay”. George scrive che p. Martin non può sostenere coerentemente l’insegnamento della Chiesa, sostenendo allo stesso tempo le istituzioni che lo contraddicono, eppure non fa notare che anche p. Martin non riesce ad accettare l’insegnamento magisteriale se la sua posizione richiede l’eliminazione del suo linguaggio e del suo contenuto. Come si può assentire a una dottrina mentre si respingono i suoi termini materiali, come la scelta di dire “omosessuale” piuttosto che “gay” o “inclinazione” piuttosto che “orientamento”?
Costruire un ponte è sorprendentemente silenzioso sulle implicazioni teologiche della sua posizione. Oltre a non dare alcuna spiegazione per i fondamenti teologici dell’insegnamento della Chiesa al di fuori degli appelli alla nuda autorità, il libro presenta il riconoscimento cristiano dell’identità gay come una questione di poca o nessuna conseguenza. Ciò non solo priva la Chiesa di qualsiasi giustificazione di fronte al mondo laico per il suo insegnamento morale, ma è anche palesemente falso, come ben spiegato da un’altra voce in questa discussione in corso.
Una visione fondamentalmente diversa della persona umana
Daniel C. Mattson, nel suo libro “Perché non mi definisco Gay” , spiega chiaramente che cosa implica un’accettazione dell’identità gay, mostrando come lo sdoganamento dei termini LGBT + porta in sé una interpretazione fondamentalmente nuova della sessualità e della persona umana. Mattson racconta coraggiosamente la sua storia di conversione verso il rifiuto della sua identità quale uomo “gay”. Parla della sua presa di consapevolezza che parole come “eterosessuale”, “omosessuale”, “gay” o “etero” sono “troppo limitanti per essere di qualsiasi valore reale per riflettere la dignità della sessualità dell’uomo”. Seminano confusione, in particolare tra i giovani, sulla vera sorgente della persona umana. Tali termini, scrive Mattson, “mancano di obiettività”. Vedono la persona umana esclusivamente attraverso la “griglia” culturalmente inventata di un cosiddetto “orientamento”, che è poco più di uno strumento scelto per categorizzare in modo collettivo un insieme di esperienze, inclinazioni e comportamenti.
Per essere chiari, Mattson non sta dicendo che le esperienze soggettive siano irrilevanti o ininfluenti alla formazione dell’identità personale. Sono, ovviamente, di vitale importanza, in particolare per quanto riguarda lo sviluppo della sessualità umana. Mattson, piuttosto, sottolinea che le esperienze emotive e sessuali umane non possono mai essere comprese isolatamente da un dato ordine di creazione che le trascende. Il significato di un’esperienza umana, in altre parole, non può essere correttamente affermato e interpretato che sullo sfondo di una più fondamentale bontà creata.
Mattson indica questo ordine e il suo successivo dramma nella storia umana quando sottolinea la “duplice espressione della natura umana, come maschio e femmina”, da un lato, e la realtà “che l’uomo come creatura caduta può sperimentare una varietà di attrazioni e desideri “, dall’altra. Anche se non irrilevante, la conclusione derivata da quest’ultima dimensione non è di per sé una base sufficiente per determinare ciò che è essenziale per l’identità umana. Oltre alla possibilità che tali esperienze potrebbero essere false o fuorvianti, sono anche sempre incorniciate da un’esperienza più primaria di una datità creata, cioè l’esperienza di essere creati come uomo o donna.
Questo è il nocciolo della questione. Mattson sostiene che, nella misura in cui il linguaggio parla di un uomo “gay, circoscrivendo inevitabilmente l’identità umana tra le categorie di “etero” e alcune varianti di “non etero”, esso non è un termine descrittivo innocuo della realtà in questione. Il linguaggio degli orientamenti “gay” ed “etero” porta un giudizio completamente nuovo sulla natura della sessualità in quanto tale e con essa una nuova visione della persona umana. In primo luogo, costruisce la sessualità umana come originariamente senza contenuto, come qualcosa di informe e androgino, come se fosse posta di fronte a un numero infinito di possibili percorsi. In secondo luogo, concepisce la persona umana come astratta rispetto al corpo sessuato, come qualcuno che deve mettere insieme un assortimento di inclinazioni, attrazioni e comportamenti prima di ricevere un qualche tipo di “identità” sessuale. Messa in altri termini, il linguaggio degli orientamenti “gay” ed “etero” presume che l’ordine primario della datità creata sia del tutto insignificante e quindi si approccia alla distinzione tra “uomo” e “donna” come qualcosa su cui una persona esercita un potere autoritario assoluto.
Ripetendo: parlare di “orientamento” non è neutrale rispetto alla natura degli esseri umani. Fa un’affermazione fondamentale sulla natura umana e quindi assoggetta tutte le persone a ciò che è essenzialmente un’antropologia “gay”.
L’identità omosessuale è un costrutto sociale?
Alla luce di questa affermazione, Mattson pone una domanda pertinente: “Le persone omosessuali, in quanto tali, esistono realmente come omosessuali , o l’omosessualità, e l’intero spettro delle identità sessuali, è un prodotto dell’immaginazione dell’uomo e il risultato di costrutti sociali? ”
Il termine “costrutto sociale” può sembrare sorprendente qui. Oggigiorno, siamo addestrati a pensare che “maschio” e “femmina” siano i costrutti che consolidano e frenano artificialmente quella che è una capacità altrimenti “fluida” e senza limiti di definire sé stessi. Il punto di Mattson, tuttavia, è che la scelta di inquadrare l’identità sessuale umana in termini di un numero infinito di comportamenti possibili è già una decisione culturalmente influenzata sulla natura della persona umana e della natura. Questa scelta si basa sulle parole che usiamo. Con queste parole, decidiamo se la sessualità umana è incostante e indefinita prima del suo consolidamento in una qualche forma di “identità” o “orientamento”, o se appartiene più fondamentalmente a un substrato oggettivamente dato che gli esseri umani ricevono più che costruire loro. Questo è il motivo per cui la Chiesa parla in termini di una persona che ha determinate tendenze sessuali (vale a dire, “attrazione per lo stesso sesso”) piuttosto che di una persona che è la sua attrazione sessuale, tanto meno un genere scelto.
Quando p. Martin rifiuta la definizione “attrazione per lo stesso sesso” come superficiale e svalutante dell’identità sessuale umana, sembra inconsapevole che al di là di questo linguaggio si trovi un’affermazione più fondamentale. È consapevole che questo linguaggio si basa sull’unica opzione teologicamente appropriata per la Chiesa, che è in grado di proclamare la piena dignità e ricchezza della persona umana solo se è in grado di affermare la bontà del mondo dato e creato in cui vivono gli esseri umani?
Il libro di Mattson è una potente testimonianza della grazia dell’insegnamento della Chiesa. Parla al vuoto e alle false promesse del “coming out”, che descrive essenzialmente come un’esperienza dell’essere abituati a una visione della persona umana in cui la persona in quanto “lui” o “lei” come semplicemente ricevuta è resa insignificante. La “vittoria” del movimento per i diritti dei gay nel ventesimo secolo, nella mente di Mattson, non è altro che un’ulteriore iniziazione a una prospettiva già cupa e nichilista in cui le persone stanno sempre più perdendo di vista la bontà della loro esistenza.
Quindi, la più grande colpa del libro di Martin non sta tanto in ciò che omette rispetto all’insegnamento morale della Chiesa, quanto piuttosto sulla sua visione tronca della persona umana. La sua dichiarazione secondo cui “le persone hanno il diritto di darsi un nome” e che la Chiesa – e tutta la realtà, nel merito- sono tenute ai “nomi” che le persone scelgono per sé stessi, perpetua una visione della persona umana come unica fonte di significato e ordine nell’universo.
Sostenere la dignità e la verità della persona umana
L’appello apparentemente positivo di p. Martin per la giustizia e l’equità verso le persone “gay” e “lesbiche” basato sulla loro pari capacità di essere portatori di una personalità integrale e moralmente sana è quindi ingannevole in almeno due aspetti. In primo luogo, è qualcosa simile ad un gioco di prestigio. Che le persone con attrazione dello stesso sesso siano chiamate alla santità morale o che siano capaci di atti profondi di eroismo morale non è in discussione, ovviamente. Nessuno in coscienza lo potrebbe negare. Ma, cosa più importante, basando questo appello su un’affermazione di identità “gay”, p. Martin perde la base più essenziale, rimuovendo sostanzialmente ogni dimensione della datità creaturale dell’uomo dalla nozione di giustizia. La domanda chiave è questa: può un’identità che nega l’ordine dato della creazione davvero accordarsi con il rispetto per la piena dignità della persona umana? A giudizio della Chiesa, la risposta è inequivocabilmente no. Affermare ciò esclude a tutti gli effetti il corpo da qualsiasi ordine di bontà creata e silenzia ogni significato per il nostro essere creati uomo e donna.
Quindi, la decisione della Chiesa di non usare i termini del movimento LGBT+ è una questione di profonda prudenza. Su questo riposa la sua missione di misericordia: sostenere la dignità e la verità della persona umana come una creatura amata, teneramente fatta da Dio.
Fr. Martin insiste sul fatto che i termini “persone omosessuali” e “oggettivamente disordinati” sono “inutilmente dannosi” e “crudeli senza necessità”. Ma sicuramente questa impressione di crudeltà è più diffusa quando tali termini sono usati in contesti in cui la verità della persona umana che essi intendono difendere e affermare non è espressa o articolata in modo completo. Il fatto che un tale illustre autore e pastore così addentro a questo tema sembri inconsapevole di ciò che la Chiesa afferma nel suo insegnamento è forse esso stesso indicativo di una vera e propria problematicità. Troppo spesso, l’insegnamento morale della Chiesa è inteso unicamente come un divieto o come la censura di certi comportamenti, mentre non viene conosciuto e riconosciuto ciò che nello stesso momento esso afferma della bontà umana. Questa è la differenza tra vedere le verità morali come leggi proibitive e trattarle invece come protezioni che invitano gli individui a nuove profondità di consapevolezza personale e intimità con Dio. Come cristiani, dobbiamo lavorare per articolare la nostra fede con misericordia e in conformità con l’abbondanza gratuita di Dio.
Fonte: thepublicdiscourse
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