Il divieto imposto ai vescovi degli Stati Uniti, il 12 novembre, di votare su due misure da loro volute, molto severe, contro gli abusi sessuali commessi da membri della gerarchia non è l’unico caso recente di interferenza di papa Francesco nelle decisioni di una conferenza episcopale.
Negli stessi giorni, infatti, Francesco ha imposto la sua volontà anche ai vescovi italiani riuniti in assemblea plenaria, ordinando loro di sostituire nel “Padre nostro” della messa la domanda: “e non ci indurre in tentazione”, perché a suo giudizio traduzione “non buona” del testo del Vangelo.
L’assemblea era a porte chiuse e alla fine dei lavori è stato comunicato soltanto l’esito della discussione, con il varo della nuova formula: “e non abbandonarci alla tentazione”.
Ma come ci si è arrivati? Settimo Cielo ha ricostruito così la genesi della decisione.
Quando la questione è stata messa in discussione in aula, nel pomeriggio di mercoledì 14 novembre, alcuni vescovi sono intervenuti in difesa della versione tradizionale, chiedendo che fosse tenuta in vita e semmai spiegata meglio ai fedeli, invece che cambiata.
In effetti le parole “e non ci indurre in tentazione” – al pari della versione inglese in uso negli Stati Uniti: “and lead us not into temptation” – sono un ricalco preciso della traduzione latina tuttora in vigore nel canto liturgico: “et ne nos inducas in tentationem”, a sua volta aderentissima all’originale greco: “kai me eisenénkes hemás eis peirasmón”.
Ma dal tavolo della presidenza queste voci sono state subito messe a tacere. Ai vescovi si è comunicato che il “non ci indurre” doveva comunque essere sostituito e che l’unica cosa su cui erano consentite la discussione e la votazione era la scelta della nuova traduzione.
Questo perché “così era stato deciso”. E il pensiero di tutti, in aula, è andato a papa Francesco.
Come nuova formulazione, la presidenza della conferenza episcopale ha proposto quella già contenuta nella versione italiana della Bibbia approvata dalla Santa Sede nel 2008 e successivamente entrata nel lezionario liturgico nazionale: “e non abbandonarci alla tentazione”.
Era però consentito proporre e mettere ai voti nuove formulazioni alternative, a patto che fossero sostenute, ciascuna, da almeno 30 vescovi.
L’arcivescovo di Chieti e Vasto, Bruno Forte, notoriamente in confidenza col papa, ha raccolto le firme necessarie e ha proposto in alternativa quest’altra traduzione: “e fa che non cadiamo in tentazione”.
A sostegno di questa sua proposta, Forte ha affermato che questa era la versione preferita anche dal cardinale Carlo Maria Martini, grande specialista della Bibbia, oltre che vicina alle versioni liturgiche del “Padre nostro” di altre lingue neolatine, approvate dalle conferenze episcopali spagnola: “Y no nos dejes caer en la tentación”, e francese: “Et ne nous laisse pas entrer en tentation”.
Ma contro Forte si è levato il cardinale Giuseppe Betori, arcivescovo di Firenze, che da biblista e poi da segretario generale della CEI era stato attivo promotore della traduzione del “Padre nostro” entrata nella nuova versione ufficiale della Bibbia e nel lezionario della messa.
Betori ha obiettato che il richiamo a Martini fatto da Forte era improprio, perché anche quell’illustre cardinale preferiva in realtà il “non abbandonarci”, al pari di un altro dotto cardinale defunto, Giacomo Biffi, anche lui oggi citato come testimone.
Al che Forte ha controreplicato asserendo di aver parlato della cosa con papa Francesco, che si era detto d'accordo con il “fa che non cadiamo in tentazione”.
Brusii in aula, pronta reazione del cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della CEI, e breve botta e risposta tra i due.
Quindi si è andati ai voti, che hanno rivelato un’assemblea spaccata esattamente a metà: con 94 voti a favore della proposta della presidenza e altri 94 a favore della proposta di Forte.
Secondo regolamento un emendamento per essere approvato deve avere la maggioranza dei voti, altrimenti, anche in caso di pareggio, non passa.
Così alla fine è prevalso il “non abbandonarci alla tentazione”, ma per un soffio, per un solo voto.
Per la cronaca, quando nel maggio del 2002 fu approvata la nuova versione del “Padre nostro” per il lezionario, Betori, che all’epoca era segretario generale della CEI, disse: "L'eventuale assunzione di questa traduzione nel rito liturgico e nella preghiera individuale si porrà al momento della traduzione della terza edizione del ‘Missale Romanum’. La decisione che viene presa ora pregiudica però in qualche modo la scelta futura, essendo difficile pensare la coesistenza di due formulazioni".
Oggi la nuova formula allora varata non è più “eventuale” ma è divenuta realtà.
E non poteva essere diversamente, visto come papa Francesco ha imposto all’assemblea generale della CEI la sostituzione della versione tradizionale, persino impedendo a qualsiasi vescovo di prenderne le difese.
Intanto, dal 5 dicembre, nelle sue udienze generali del mercoledì, il papa ha dato inizio a un ciclo di catechesi proprio sul "Padre nostro". Sarà interessante ascoltarlo quando arriverà all'invocazione che ha voluto far ritradurre.
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Per capirne di più:
Settimo Cielo di Sandro Magister 06 dic
"L'immacolata contraccezione". Il party blasfemo al centro sociale
A Genova lo spazio sociale "AutAut357" organizza la "blasfemissima e indecorosissima" festa dell'immacolata contraccezione
A Genova lo spazio sociale "AutAut357" organizza la "blasfemissima e indecorosissima" festa dell'immacolata contraccezione
Siamo il Paese che toglie Gesù dalle canzoni di Natale in "rispetto" degli alunni non cattolici.
Siamo il Paese che mette in soffitta il presepe per non dar fastidio alle altre religioni. Il Paese che in ossequio a multiculturalismo e buonismi vari s'interroga mille volte prima di parlare di migranti, omosessuali e rom. E se qualcuno non segue queste regole politicamente corrette rischia di finire marchiato col timbro di fascista, razzista e buzzurro.
Rispetto. Rispetto. Rispetto. La sinistra chiede riguardo per tutti, per i musulmani, per i buddisti, per le donne, i gay, le lesbiche, i trans ma non per i cattolici. Nessuno si scadalizza se un centro sociale utilizza la Madonna, la madre di Gesù, come sponsor di una festa con l'intento volutamente dissacratorio. Un party che storpia la festività dell'Immacolata Concezione traducendola in "immacolata contraccezione".
Il festino "indecoroso e demachizzato" inizierà domani sera alle 22 e si concluderà "a tarda notte" (ma non troppo, il giorno dopo c'è il corteo No Tav). Si terrà all'AutAut357, uno "spazio sociale liberato" nato nel 2009 con l'occupazione di uno stabile in via delle Fontane. A presentare la "blasfemissima e indecorosissima" festa dell'immacolata contraccezione sarà Degeneriot, "gruppo che si interroga su genere, sessualità, corpi, relazioni, stereotipi ed aspettative sociali".
Verrebbe da dire che, forse, avrebbe potuto interrogarsi pure sull'opportunità di dissacrareuna ricorrenza sentita da milioni di cittadini. Ma tant'è.
L'ingresso è gratuito, "ma consapevole". Sono ovviamente banditi machisti, razzisti e fascisti. La serata prevede dalle musica live con una "queer rap da Bologna" e poi a seguire il djset "indecoroso". "Questa serata - spiega il centro sociale antirazzista, antifascista e femminista - è pensata per provare a liberarsi dalle costrizioni di genere ed esperire un modo diverso di relazionarsi alle altre, agli altri e a se stess*!". L'obiettivo è quello di "creare attivamente" uno "spazio libero dalla violenza, dal machismo, dai pregiudizi e dagli stereotipi di genere, un luogo dove tutt* possano sentirsi a proprio agio e liber* di esprimere se stess*". A tutt* sarano garantiti preservativi gratuiti, una zona "de-macho" (?), brillantini, palletes e baffi finti. Tutto compreso, tranne il rispetto.
Gesù sfrattato
di Nico Spuntoni.
Da ormai un decennio a questa parte siamo abituati a commentare episodi di censura contro i simboli cristiani del Natale. Anche quest’anno, ad esempio, il presepe è diventato il bersaglio prediletto di chi sembra voler combattere una battaglia ideologica sulla pelle della storia di una nazione. E’ successo ad Ivrea dove alcuni dirigenti scolastici hanno deciso di non raccogliere l’invito del Comune a far partecipare le scuole ad un concorso di presepi. Più recenti sono invece le discusse dichiarazioni di un sacerdote veneto secondo cui fare il presepio oggi sarebbe “ipocrita”, mentre non farlo sarebbe “il più evangelico dei segni (…) per rispetto del Vangelo, dei suoi valori e dei poveri”
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Le lettere e i diari dei soldati impegnati sul fronte durante la Grande Guerra descrivono scene di cappellani occupati ad allestire presepi di fortuna in nicchie scavate nelle pareti della trincea. La vista della Natività confortava i militi nei rari momenti di pausa e ne facilitava il raccoglimento in preghiera, rimandando la mente alle feste natalizie passate in famiglia. A leggere le polemiche che puntualmente compaiono in questo periodo dell’anno, il secolo trascorso dalle scene descritte in quelle memorie di guerra si sente tutto.
Il presepe nel mirino
Da ormai un decennio a questa parte siamo, infatti, abituati a commentare episodi di censura contro i simboli cristiani del Natale. Anche quest’anno, ad esempio, il presepe è diventato il bersaglio prediletto di chi sembra voler combattere una battaglia ideologica sulla pelle della storia di una nazione. E’ successo ad Ivrea dove alcuni dirigenti scolastici hanno deciso di non raccogliere l’invito del Comune a far partecipare le scuole ad un concorso di presepi. Più recenti sono invece le discusse dichiarazioni di un sacerdote veneto secondo cui fare il presepio oggi sarebbe “ipocrita”, mentre non farlo sarebbe “il più evangelico dei segni (…) per rispetto del Vangelo, dei suoi valori e dei poveri”. Non può che destare qualche perplessità l’appello a non fare il presepe per rispetto dei più bisognosi: come si può dimenticare, d’altronde, che il primo a dare vita ad una rappresentazione della Natività fu proprio San Francesco. Un’idea che il Poverello d’Assisi ebbe, mosso dall’intenzione di vedere con “gli occhi del corpo” l’umile mangiatoia in cui nacque il Figlio di Dio. Greccio gli ricordò a tal punto la Betlemme probabilmente visitata durante il suo viaggio in Terra Santa che scelse una delle sue grotte per rievocare la notte di Natale e, fatti portare sul luogo un bue, un asinello ed il fieno, vi fece celebrare la santa messa alla presenza di fedeli accorsi anche dai paesini limitrofi. All’episodio avvenuto nelle valli reatine nel 1223 si attribuisce generalmente l’ispirazione dell’usanza del presepio. A suggerire quella che sarebbe diventata una delle tradizioni nazionali più longeve e caratteristiche, manifestazione della devozione popolare di generazioni di italiani, fu proprio colui che è riconosciuto come il Patrono dello Stivale. La volontà di eliminare i presepi, dunque, non causa soltanto un dolore ai credenti ma comporta anche un danno inestimabile al patrimonio culturale del nostro Paese.
Omettere Gesù
Anche il nome di Gesù è vittima del tentativo ciclico di fare del Natale un terreno su cui sbizzarrirsi in provocazioni o premure “politically correct” non richieste. Succede ormai frequentemente in occasione delle recite delle elementari quando si censurano i canti del tradizionale repertorio natalizio. Quest’anno è successo in una scuola di Riviera del Brenta, dove alcune maestre hanno provato a far rimuovere la menzione del Divin Bambino prevista nel brano “Natale in allegria”. Ma una bambina ha dato una lezione di buon senso a tutti, ribellandosi a questa decisione con una petizione firmata dai suoi compagni di classe, compresi quelli non cattolici. In passato, però, non sempre c’è stato un lieto fine a vicende analoghe e il nome Gesù era stato eliminato dalle recite natalizie: lo scorso anno, in un piccolo comune della provincia di Pordenone era stato sostituito paradossalmente con “Perù” per mantenere la rima, due anni fa a Pontevico si era utilizzata, invece, “festa” al posto di Natale.
La posizione degli altri fedeli
A Terni una dirigente scolastica è andata anche oltre cancellando la consueta recita natalizia. A sostegno della sua decisione, la preside umbra ha fatto appello al “rispetto totale per tutte le sensibilità, anche religiose” e alla volontà di non “superare certi limiti, seguendo le regole base imposte dal principio di laicità della scuola“. Come periodicamente avviene in questi casi, però, a confermare quanto queste decisioni prese in nome del rispetto degli altri fedeli siano premure non richieste dai diretti interessati, l’imam del Centro culturale islamico di via Vollusiano, Mimoun El Hachmi si è schierato apertamente a favore dello svolgimento dello spettacolo: “Questi simboli fanno parte della tradizione e se per anni sono stati fatti è bene continuare (…) non siamo noi a voler cambiare la cultura di questo Paese anzi vogliamo rispettarla. Dunque non vogliamo togliere alcun crocifisso, né altri simboli cristiani”. E l’imam ha dato persino la disponibilità della comunità musulmana locale a a partecipare alle iniziative natalizie cancellate. Questa presa di posizione fa tornare alla mente quanto sosteneva l’allora cardinale Ratzinger quando affermava che ad offendere davvero gli appartenenti ad altre religioni è “il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio“.
La dissacrazione dei simboli
Ancora più tristezza della mannaia censoria sui canti tradizionali provocano le notizie relative ai simboli della festa cristiana utilizzati provocatoriamente a scopi ideologici. Queste strumentalizzazioni, compiute in spregio alla sensibilità religiosa di milioni di persone, non di rado sfociano nella blasfemia. Lo si è visto negli anni scorsi quando sono state messe in scena delle scimmiottature del presepe a sostegno della causa a favore dell’equiparazione delle unioni omosessuali al matrimonio o per protestare contro politiche migratorie giudicate troppo restrittive. Nel 2006, addirittura, furono due parlamentari della Repubblica ad inserire due coppie di bambolotti con cartelli a supporto dei Pacs nel presepe di Montecitorio. Anche in tempi più recenti non sono mancate le manifestazioni di vilipendio della rappresentazione della Natività ridotta a cornice folcloristica per le battaglie di chi cerca la visibilità a tutti i costi. La volontà è quella di desacralizzare i simboli per attaccare il senso religioso di una festività che continua ad essere avvertito, nonostante gli orpelli del consumismo che lo celano, anche da una società in via di secolarizzazione come la nostra. E così nel 2011 e nel 2015 abbiamo dovuto leggere sui giornali delle polemiche suscitate a Bergamo e a Piacenza dall’allestimento di un presepe senza la statuina di Maria ma con due di San Giuseppe. Sembra quasi che il carattere cristiano del Natale sia evidenziato da taluni soltanto allo scopo di dissacrarlo o al puro gusto di risultare provocatori a tutti i costi. Difficile non collocare in questa categoria anche la scelta del Comune di Roma nel 2013 – all’epoca guidato da Ignazio Marino – di installare su via del Corso delle luminarie arcobaleno presentate come “gayfriendly”.
Il mistero del Natale
Per chi crede, il Natale è l’occasione – come scriveva Chiara Lubich – di inabissarsi “nel dolcissimo mistero di Dio fatto bambino“. I suoi simboli li aiutano a riflettere sull’incarnazione del Verbo e la Sua nascita da una Vergine come gesto d’amore gratuito di Dio nei confronti dell’uomo. Prendersene gioco o banalizzarli significa calpestare il senso più autentico di questa festa che, nonostante tutto, continua ad essere profondamente consolidata nella coscienza civica della popolazione italiana ed europea, a testimonianza di quanto sia antistorico e obiettivamente falso negare le radici cristiane di questo continente.
Fonte: Interris
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