ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

sabato 29 dicembre 2018

Un déjà vu

Semplicismo spirituale o semplicità di cuore?

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Ciò che più colpisce nell’attuale temperie ecclesiale, da un estremo all’altro del ventaglio in cui si dispiegano le varie versioni del cattolicesimo odierno, è il fatto che, pur nella loro enorme diversità, sembrano accomunate da un atteggiamento simile: quello che chiamo semplicismo spirituale, ossia l’illusione, assai diffusa, che per essere un buon cristiano basti conformarsi a un modello bell’e pronto, seguendo acriticamente un insieme di indicazioni e di prassi in cui dovrebbe esprimersi la quintessenza del vero cristianesimo. Che queste realtà si presentino come un’esperienza, un cammino, un movimento, una prelatura, una fraternità, un’organizzazione… ognuna propone la sua ricetta preconfezionata – implicitamente o esplicitamente esclusiva – la cui applicazione garantirebbe la perfezione evangelica e la soluzione di tutti i problemi, risparmiando agli adepti il duro sforzo di una diuturna e penosa lotta contro i peccati e quello di una progressiva purificazione del cuore in vista della santificazione personale.

Si riscontrano due estremi: uno è l’accontentarsi di una formale esecuzione di gesti e parole la cui efficacia oggettiva, indipendente dalle disposizioni individuali, sembra rendere superflua l’adesione interiore; l’altro è il mettere tutto il peso sul coinvolgimento emotivo, quasi che la riuscita dei riti dipendesse dall’attività dell’assemblea e fosse impossibile senza la sua partecipazione, secondo una visione tipicamente protestante. La sana dottrina cattolica afferma che i Sacramenti producono la grazia ex opere operato, cioè in virtù del fatto che un ministro valido compie nel debito modo i riti prescritti; la loro fruttuosità, tuttavia, cioè la misura in cui la stessa grazia viene accolta da ciascun fedele, è determinata ex opere operantis, cioè dalle disposizioni interiori di chi li riceve e dalla sua collaborazione con la grazia medesima. Per questo è importante prepararsi con cura alla comunione e alla confessione, dedicare un congruo tempo al ringraziamento e alla penitenza, nonché connettere ad esse opere spontanee di pietà e di carità in cui la grazia possa fruttificare.

Intendiamoci: qui non si sta giudicando la coscienza del singolo credente che, in buona fede, segue una proposta con una genuina intenzione di progredire nella santità utilizzando i mezzi che gli sono forniti: in virtù di questa sincerità, che lo rende disponibile alla grazia, egli può infatti realmente avanzare verso l’obiettivo nonostante l’adesione all’una o all’altra corrente, che in molti aspetti diverge sia dalle altre che dallo stesso cattolicesimo autentico. Qui si vuol semplicemente rilevare che, spesso, l’appartenenza a detti movimenti o associazioni non scalfisce nemmeno vite immerse nel peccato grave, che in vari modi viene dissimulato, sminuito o giustificato. In questo campo si va da rozze mistificazioni della misericordia divina, di sapore decisamente luterano, a sottili e dotti sofismi con cui si legittimano farisaicamente comportamenti che a una coscienza retta appaiono di primo acchito riprovevoli, se non si ama costruire cattedrali sugli stecchini.

Chi conosca un po’ la storia ecclesiastica osserverà che, in fin dei conti, si tratta di un déjà vu. Già nel XVII e XVIII secolo, per esempio, nello stesso Ordine dei gesuiti si potevano riscontrare, nella dottrina spirituale, divergenti orientamenti sospetti di quietismo, di legalismo o di formalismo. La differenza del nostro tempo, tuttavia, consiste nel fatto che, mentre a quell’epoca i genuini tipi di spiritualità spuntavano dalla comune radice della riforma cattolica e rifluivano nello stesso alveo di una cattolicità ben identificata, oggi si fa oggettivamente fatica a cogliere l’omogeneità, sia pure differenziata, delle svariate proposte disponibili. Dall’entusiasmo pentecostale alla rigida esecuzione di riti, passando per la scrutazione della Parola, la condivisione dell’esperienza, la santificazione della carriera o la ricerca dell’unità con tutte le religioni (e altro ancora), il cristiano ordinario si sente un po’ smarrito… Certo, ci sarà senz’altro chi, immancabilmente, etichetterà tutti gli altri come eretici ingiungendo a chi vuol salvarsi l’anima, come unica possibilità, di aggregarsi a lui; ma chi desidera sinceramente amare il Signore – e non per sentimentalismo – potrebbe rimanere deluso dalla sua glaciale freddezza.

Un tempo, inoltre, tutte le pubblicazioni di soggetto teologico o ascetico-mistico erano attentamente monitorate dall’autorità ecclesiastica, che, alla bisogna, le correggeva o condannava, considerando che, in gioco, c’era la salvezza delle anime. Oggi, invece, oltre a lasciar tranquillamente circolare qualsiasi testo, la gerarchia non interviene mai, se non quando costretta da uno scandalo mediatico. Certe sedicenti organizzazioni cattoliche, però, sono internamente strutturate in modo talmente serrato e dispongono di un potere politico-finanziario così forte che quasi mai gli abusi (fossero pure “solo” il plagio e la coercizione) giungono in superficie. Qualora questo accada, come nel caso del vescovo Apuron, gli si fa comunque quadrato attorno, fino a metterlo spudoratamente accanto al Papa in mondovisione. Non si può negare che l’appartenenza a un movimento ecclesiale assicuri coperture potenti ad altissimi livelli.

Anche qui la radice del problema è una fede carente, che seleziona l’uno o l’altro aspetto della vita cristiana, rendendolo di fatto onnicomprensivo, ed eludendo regolarmente la necessità di una seria riforma di vita. Ora, un conto è lottare con debolezze che non si riesce ancora a vincere, un conto è accettare stabilmente il peccato grave nella propria esistenza confidando di poter ricorrere alla confessione. Il fatto è che un’assoluzione valida richiede un vero pentimento, il quale include il fermo proposito di non commettere più alcun peccato mortale; perché sia un proposito efficace, anziché una mera velleità, bisogna inoltre prendere la decisione di evitare le occasioni in avvenire. Come sacerdote, non potrei mai dare a qualcuno la falsa sicurezza di essere perdonato senza tale pentimento effettivo; non sarei altro che un cappellano di corte che deve compiacere il padrone o un venditore di fumo che ha paura di perdere clienti…

Ben diversa dal semplicismo è la semplicità di cuore, la quale è necessaria per accogliere la grazia ed esige che, senza artifici, si dica bianco ciò che è bianco e nero ciò che è nero. Non sempre essa, anche unita alla prudenza dei serpenti raccomandata dal Signore stesso (cf. Mt 10, 16), garantisce il successo personale o preserva da noie più o meno serie, ma è indispensabile per avere accesso alle celesti dimore: «Non chiunque mi dice: “Signore, Signore” entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli» (Mt 7, 21). Dire «Signore, Signore» può tradursi in qualunque pratica considerata fruttuosa, in rapporto alla vita spirituale, in virtù della sua semplice attuazione, a prescindere dalle reali disposizioni interiori del fedele e dalla sua effettiva prontezza a collaborare con la grazia assecondandola con generose rinunce e combattendo i propri peccati. In tal caso qualsiasi mezzo di grazia (fosse pure la Messa tradizionale), per quanto santo in se stesso, è trattato come un feticcio, cioè un oggetto dotato di un potere magico con cui basterebbe venire a contatto per ottenerne un beneficio.

Un’altra manifestazione della semplicità di cuore, per nulla secondaria, è l’obbedienza ai legittimi Pastori in ciò che è conforme alla legge divina ed ecclesiastica. Anche qui un certo fanatismo di autoconferma scantona subito per la facile scappatoia di un insindacabile giudizio secondo il quale essi o non sarebbero convertiti, o non avrebbero lo Spirito, o ancora sarebbero in blocco eretici… Agli uni occorre rammentare che il fondamento del ministero, nella Chiesa, non è affatto la santità o il fervore personale, ma la trasmissione, per via sacramentale e gerarchica, del mandato apostolico; agli altri, invece, che i fedeli non hanno l’autorità di giudicare i Pastori così da sottrarsi alla loro giurisdizione. Qualora uno osservi che il suo parroco o il suo vescovo parla o agisce in modo oggettivamente contrario alla verità rivelata e a quanto esige il suo compito, può ritenersi libero nei suoi confronti nel foro interno della sua coscienza, ma ciò non lo autorizza a comportarsi, in fin dei conti, come Martin Lutero.

Per rimanere realmente fedeli al Signore senza porsi fuori della Chiesa (in molti casi governata di fatto – non lo nego – da protestanti ultraliberali) bisogna imparare a insinuarsi nelle maglie del sistema in modo da poter continuare a predicare la sana dottrina e a fare del bene alle anime, senza partire in battaglie inutili, se non dannose, che si risolvano a detrimento della causa, confermando i pregiudizi degli avversari (che spesso colgono in noi difetti reali) e rafforzando la loro posizione. La scaltrezza evocata dal Signore, sulla quale i figli di questo mondo ci danno lezione (cf. Lc 16, 8), non è né l’infingarda codardia di chi non vuol fastidi né la calcolata dissimulazione di chi riesce a conciliare tutto e il contrario di tutto adattandosi ad ogni circostanza, bensì l’accortezza di chi comprende a cosa deve rinunciare pur di salvare l’essenziale: oltre alla retta fede e ai Sacramenti, c’è pure la comunione gerarchica.

Nella vita cristiana non si può scegliere a seconda dei gusti: per viverla in semplicità, anziché nel semplicismo, bisogna prendere il pacchetto completo – in cui, fra l’altro, c’è pure il martirio: sicuramente quello della coscienza e, se così volesse il Signore, anche quello di sangue. Ma sopra ogni cosa, quale cemento e anima di tutto, ci vuole un effettivo amore per Lui in una solida vita spirituale, non un surrogato che tenti di supplirlo per mezzo di manifestazioni o impegni collettivi. Tale amore non può nascere se non da quell’incontro intimo e sconvolgente con Gesù Cristo che in sant’Agostino fece detonare la conversione: incontro radicato nella Chiesa e compiutosi grazie alla Chiesa, ma avvenuto nelle profondità di un’anima peccatrice che scoprì in prima persona, quasi fosse unica al mondo, di esser stata da Lui creata e redenta per esser resa partecipe, fin da questa terra, della Sua vita filiale in vista dell’elevazione alla Sua gloria. Se per questo non hai mai pianto di commozione e di desiderio, tale incontro non l’hai ancora sperimentato. Chiedilo.

Ti cercò il mio volto; il tuo volto, Signore, cercherò (Sal 26, 8 Vulg.).

Pubblicato da Elia

http://lascuredielia.blogspot.com/2018/12/semplicismospirituale-o-semplicita-di.html

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