ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 7 gennaio 2019

Etsi Deus non daretur

LA MESSA RIVOLUZIONARIA


Ecco perché la Messa di Paolo VI fu una rivoluzione. La chiesa postconciliare si pone, di fatto, come una "chiesa di rottura", eretica e apostatica perché procede, come voleva il luterano Bonhoeffer : "Come se Dio non ci fosse" 
di Francesco Lamendola  

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Si discute, abbastanza sterilmente, se il Concilio Vaticano II sia stato una continuità o una rottura (ma i pudibondi preferiscono dire: una discontinuità) nella storia della Chiesa. È chiaro che, con buona pace della scuola di Bologna, se esso fu una rottura, allora la chiesa uscita dal Concilio non era più la chiesa cattolica di prima, era diventata un’altra cosa, e sempre più lo sarebbe divenuta, quanto più gli zelanti fautori del “rinnovamento” spingevano più lontano, in una totale anarchia pratica, la loro smania di cambiamento. D’altra parte, se esso non è stato una rottura, ma un momento di continuità, come spiegare quell’anarchia, come dare ragione del fatto che molti cattolici, a cominciare dal clero stesso, guardano con fastidio e insofferenza alla chiesa di “prima”, non parlano mai del Magistero anteriore, ma si rifanno, come i protestanti, solo alla Scrittura, oltre che al solo concilio che per loro fa testo, cioè appunto il Vaticano II? 

Sovente questi signori si nascondono dietro la foglia di fico del richiamo alla Tradizione: noi non abbiano rotto con la Tradizione, dicono, perché la “vera” Tradizione non è quella tridentina, con la Messa di Pio V, ma quella apostolica, dei primi secoli: ed è ad essa che vogliamo tornare. Ma non si rendono conto, nella loro stolta arroganza, che in questo modo confermano proprio ciò che, in teoria, vorrebbero negare: ossia di essere i fautori di una “chiesa” che non è la stessa di prima del Concilio, e che per legittimare questa nuova chiesa, sono costretti ad andare a pescare in un passato molto assai remoto, comunque tornando a contrapporre una chiesa ad un’altra, un’idea di chiesa, a un’altra idea di chiesa: cioè a confermare che quanto essi vogliono è una rottura. Cosa inaudita e assolutamente contraria allo spirito cattolico, secondo il quale la chiesa è una e una sola, e tale è sempre stata, da quando Gesù Cristo l’ha fondata, sino ai nostri giorni; e tale continuerà ad essere, sempre, anche in futuro, anche se ciò dovesse risultare “stretto” agli eterni progressisti, sempre scontenti del passato e sempre smaniosi di novità ad ogni costo.
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Papa Benedetto XVI: facendo passare la tesi dell’evoluzione e quindi della continuità del Concilio e non della rottura ha mostrato che nessun papa aveva mai fatto quel che fece Paolo VI: abolire il messale precedente, avvallando la direzione di ridurre la liturgia da cosa divina a cosa puramente umana, frutto della storia e della sociologia e determinata dal procedere degli studi eruditi e filologici, ed eliminando, così, il Mistero, che in definitiva è l’origine e l’oggetto della liturgia stessa.

Benedetto XVI, come è noto, si è sempre posto sulla linea della ermeneutica della continuità: secondo lui il Concilio aveva legittimamente interpretato alcune esigenze di rinnovamento, senza però configurarsi come una rottura, bensì come un momento evolutivo, al pari degli altri concili e in conformità a tutta la storia della Chiesa. A noi pare che ciò sia solo un gioco di parole: parlare di evoluzione, oltre a rivelare un debito con una certa scienza materialista che ora viene messa in crisi sul suo stesso terreno, quello scientifico, per la fragilità dell’idea stessa di evoluzionismo, troppo frettolosamente accettata per “verità” non solo dalla cultura profana, ma anche (e avrebbe potuto benissimo risparmiarselo) dal Magistero ecclesiastico, per bocca di Giovanni Paolo II, oltre a ciò, dicevamo, equivale a far rientrare dalla finestra il concetto che si voleva far uscire dalla porta: quello di rottura. Non c’è una differenza sostanziale, ma solo accessoria, fra l’idea di una rottura e quella di una evoluzione, dal momento che il risultato è identico, cambiano solo i tempi e i modi: la creazione di un qualcosa che prima non c’era, che è del tutto diverso da quel che c’era prima. Perciò siamo al punto di prima: se la chiesa del 1965 è diversa da quella del 1962, allora non è più la stessa di prima; è un’altra chiesa: il che, dal punto di vista cattolico, è semplicemente inaccettabile. E qui si potrebbe fare un lungo e impietoso discorso sulla cecità, sulla ignoranza o sulla indifferenza di tanti milioni di cattolici, clero e laici, i quali non sembrano essersi accorti di un fatto così sconvolgente, così contrario ai loro stessi principi, quale la sostituzione della loro chiesa di sempre con un’altra: una chiesa pensata e voluta da teologi eretici, come Karl Rahner, e da prelati massoni, come Annibale Bugnini.  Ora, proprio a Benedetto XVI si deve una delle più lucide e chiare analisi di quel che ha comportato l’evento del concilio, soprattutto sul piano delle cosiddetta riforma liturgica. Scrive, infatti, nella sua autobiografia (da: Joseph Ratzinger, La mia vita;  tit. originale: Aus meinem Leben. Erinnerungen 1927-1977; trad. dal tedesco di G. Reguzzoni, San Paolo, 1997, pp. 113-115):
Il secondo grande evento all’inizio dei miei anni di Ratisbona fu la pubblicazione del messale di Paolo VI, con il divieto quasi completo del messale precedente, dopo una fase di transizione di circa sei mesi. Il fatto che, dopo un periodo di sperimentazioni che spesso avevano profondamente sfigurato la liturgia, si tornasse ad avere un testo liturgico vincolante, era da salutare come qualcosa di sicuramente positivo. Ma rimasi sbigottito per il divieto del messale antico, dal momento che una cosa simile non si era mai verificata in tutta la storia della liturgia. Si diede l’impressione che questo fosse del tutto normale. Il messale precedente era stato realizzato da Pio V nel 1570, facendo seguito al concilio di Trento; era quindi normale che, dopo 400 anni e un nuovo Concilio, un nuovo papa pubblicasse un nuovo messale. Ma la verità storica è un’altra. Pio V si era limitato a far rielaborare il messale romano allora in uso, come nel corso vivo della storia era sempre avvenuto lungo tutti i secoli. Non diversamente da lui, anche molti dei suoi successori avevano nuovamente rielaborato questo messale, senza mai contrapporre un messale ad un altro. Si è sempre trattato di un processo continuativo di crescita e di purificazione, in cui, però, la continuità non veniva mai distrutta. Un messale di Pio V che sia stato creato da lui non esiste. C’è solo la rielaborazione da lui ordinata, come fase di un lungo processo di crescita storica. Il nuovo, dopo il concilio di Trento fu di altra natura: l’irruzione della riforma protestante aveva avuto luogo soprattutto nelle modalità di ‘riforme’ liturgiche.

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Joseph Ratzinger all'incontro annuale di un centro studi in bassa Baviera con l'immancabile "amico" Karl Rahner: proprio a Benedetto XVI si deve una delle più lucide e chiare analisi di quel che ha comportato l’evento del concilio !

Non c’erano semplicemente una Chiesa cattolica e una Chiesa protestante poste l’una accanto all’altra; la divisione della Chiesa ebbe luogo quasi impercettibilmente e trovò la sua manifestazione più visibile e storicamente più incisiva nel cambiamento della liturgia che, a sua volta, risultò parecchio diversificata suo piano locale, tanto che i confini tra cosa era ancora cattolico e cosa non lo era più, spesso erano ben difficili da definire. In questa situazione di confusione, resa possibile dalla mancanza di una normativa liturgica unitaria e dal pluralismo liturgico ereditato dal medioevo, il papa decise che il ‘Missale Romanum’, il testo liturgico della città di Roma, in quanto sicuramente cattolico, doveva essere introdotto dovunque non ci si potesse richiamare ad una liturgia che risalisse ad almeno duecento anni prima. Dive questo si verificavamo si poteva mantenere la liturgia precedente dato che il suo carattere cattolico poteva essere considerato sicuro. Non si può quindi parlare affatto di un divieto riguardante i messali precedenti e fino a quel momento regolarmente approvati. Ora, invece, la promulgazione del divieto del messale che si era sviluppato nel corso dei secoli, fin dal tempo dei sacramentali dell’antica Chiesa ha comportato una rottura nella storia della liturgia, le cui conseguenze potevano solo essere tragiche. Come era già avvenuto molte volte in precedenza, era del tutto ragionevole e pienamente in linea con le disposizioni del Concilio che si arrivasse a una revisione del messale, soprattutto in considerazione dell’introduzione delle lingue nazionali. Ma in quel momento accadde qualcosa di più: si fece a pezzi l’edificio antico e se ne costruì un altro, sia pure col materiale di cui era fatto l’edificio antico e utilizzando anche i progetti precedenti. Non c’è alcun dubbio che questo nuovo messale comportasse in molte sue parti degli autentici miglioramenti e un reale arricchimento, ma il fatto che esso sia stato presentato come un edificio nuovo, contrapposto a quello che si era formato lungo la storia, che si vietasse quest’ultimo e si facesse in qualche modo apparire la liturgia non più come un processo vitale, ma come un prodotto di erudizione specialistica e di competenza giuridica, ha comportato per noi dei danni estremamente gravi. In questo modo, infatti, si è sviluppata l’idea che la liturgia sia ‘fatta’, che non sia qualcosa che esiste prima di noi, qualcosa di “donato” ma che dipende dalle nostre decisioni. Ne segue, di conseguenza, che non si riconosca questa capacità decisionale solo agli specialisti o a un’autorità centrale, ma che, in definitiva, ciascuna ‘comunità’ voglia darsi una propria liturgia. Ma quando la liturgia è qualcosa che ciascuno si fa da sé, allora non ci dona più quella che è la sua vera qualità:  l’incontro con il mistero, che non è un nostro prodotto, ma la nostra origine e la sorgente della nostra vita. Per la vita della Chiesa è drammaticamente urgente un rinnovamento della coscienza liturgica, una riconciliazione liturgica, che torni a riconoscere l’unità della storia della liturgia e comprenda il Vaticano II non come rottura, ma come momento evolutivo. Sono convinto che la crisi ecclesiale in cui oggi ci troviamo dipenda in gran parte dal crollo della liturgia, che viene talvolta addirittura concepita ‘etsi Deus non daretur’, come se in essa non importasse più se Dio c’è e se ci parla e ci ascolta.

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Con la sua nota abilità teologica papa Benedetto XVI vuol far passare la tesi dell’evoluzione e quindi della continuità (lui pensa), non della rottura del Concilio Vaticano II, ma sbaglia clamorosamente. La chiesa postconciliare si pone, di fatto, come una chiesa eretica e apostatica, perché procede, come voleva il luterano Bonhoeffer, etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse. E che cos’è la liturgia, che cos’è la chiesa, se si assume come dato anche solo ipotetico che non ci sia un Dio che ascolta la preghiera degli uomini.

Ci sarebbe poco da aggiungere all’acutezza e alla trasparenza di questa analisi, se non che le conclusioni non collimano affatto col ragionamento, perché sin dall’inizio, in maniera preconcetta, Benedetto XVI vuol far passare la tesi dell’evoluzione e quindi della continuità (lui pensa), non della rottura. Però, mostrando che nessun papa aveva mai fatto quel che fece Paolo VI, abolire il messale precedente, e che molti fautori del Concilio hanno sempre lavorato nella direzione di ridurre la liturgia da cosa divina a cosa puramente umana, frutto della storia e della sociologia e determinata dal procedere degli studi eruditi e filologici, ed eliminando, così, il Mistero, che in definitiva è l’origine e l’oggetto della liturgia stessa, la chiesa postconciliare si pone, di fatto, come una chiesa eretica e apostatica, perché procede, come voleva il luterano Bonhoeffer, etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse. E che cos’è la liturgia, che cos’è la chiesa, se si assume come dato anche solo ipotetico che non ci sia un Dio che ascolta la preghiera degli uomini e che risponde loro con paterna sollecitudine? Evidentemente, sarà una liturgia fatta dagli uomini per l’uomo, e una chiesa costruita come assemblea di popolo e non come comunità di fedeli che adorano Cristo. Il che, infatti, è ciò che appare anche ad un profano, di fronte a certe chiese postconciliari, le quali fin dal loro aspetto architettonico tradiscono questa idea antropocentrica, deista o atea: sono templi dell’Uomo (e della massoneria), non case del Signore. In alcune di esse non compare neppure la croce: per non offendere la sensibilità degli uomini moderni, laicista e secolarizzata; e, più recentemente, per non offendere la sensibilità dei non cristiani, degli immigrati islamici. Entrando, poi, e assistendo a una Messa che pare tutto, tranne che il sacro rito nel quale si celebra anzitutto il Sacrificio eucaristico (non il ricordo di esso, ma il sacrificio medesimo, che incessantemente si rinnova e incessantemente il sacerdote offre a Dio, in riparazione dei peccati); e ascoltando gli sproloqui eretici di tanti sacerdoti, liberi di dire, dall’ambone, tutto quel che passa loro per la testa; e udendo una musica “sacra” che di sacro non ha nulla; e osservando come il contegno dei fedeli, a cominciare dal loro abbigliamento, faccia pensare a tutto, a una spiaggia, a una discoteca, ma non alla dignità della vera Messa cattolica, questa impressione trova la più amara conferma.

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Bergoglio tra i protestanti "festanti": finalmente la loro "segreta" nostalgia della figura papale è finita, oggi, dopo 500 anni hanno il loro pontefice ! 


Ecco perché la Messa di Paolo VI fu una rivoluzione

di Francesco Lamendola

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Il Papa tra gli italiani
Tre esempi tra mille (i primi che mi vengono in mente)
Alla fine del VI secolo l’Italia era devastata dai longobardi, mezzi pagani, mezzi ariani.
Una sola persona si fece tutto a tutti, anche nelle più sperdute campagne, per soccorrere e dare da mangiare.
Era il papa Gregorio I, Magno, Santo e Padre della Chiesa, osannato e benedetto e venerato da tutti, perfino gl istessi longobardi lo rispettavano per la sua carità.
Nel 1908 il terremoto annienta Messina. Schiere di sacerdoti vanno in loco per mesi ad aiutare i sopravvissuti, tra cui san Luigi Orione e sant’Annibale Maria di Francia. Un papa manda aiuti materiali e sacerdoti in continuazione: si chiama san Pio X.
Il 19 luglio 1943 Roma è bombardata, specie il popolare quartiere di San Lorenzo. Poco dopo, senza nemmeno sapere se il bombardamento fosse davvero concluso, il papa andò tra la gente disperata, dando loro forza, fiducia, aiuto e fu abbracciato da migliaia di romani.
Si chiamava Pio XII (quello cattivo prima del “papabuono”).
Tre esempi tra mille.
A quanto pare, i papi e i sacerdoti (e non parliamo di centinaia di vescovi che nel corso dei secoli si sono consumati per gli italiani) della Chiesa quella cattiva prima del Concilio, quella della Messa antica, del latino, del clero chiuso, senza chitarre tamburelli e clown, ecc ecc. erano razzisti: si occupavano degli italiani oltre che di tutto il resto del mondo (come secoli e secoli di missioni testimoniano).
Pensateci, quando andate alla messa della chiesa primaverile della nuova pentecoste, e vi sentite dire che Cristo era migrante e i magi invece pure. E che il vero peccato è non mettervi l’immigrato dentro casa.
Senza però che rinuncino all’8xmille degli italiani.
Gli fanno schifo, gli italiani, ma non i loro soldi, però.
Ora fondano anche il 143mo partito (sicuramente a Todi) perr toglierci altri soldi, per fare i brainwasher alle vecchiette, agli scrupolosi e all’immensità degli ignavi e dei lobomotizzati da parrocchia e da poltrona.
Pensateci.
Io ci penso ogni momento, e da 27 anni ho deciso chi frequentare. E a quale Messa andare. E, statene certi, a chi dare i miei soldi. Di cui dovrò rispondere a Dio. E di cui questi traditori non vedranno più nulla. 



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