ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 22 gennaio 2019

Gesù al bar

Arrivano i CattoMani: l'imam predica il suo Gesù in chiesa

La parrocchia Santa Maria di Caravaggio di Milano apre le porte della chiesa per far predicare all'imam Pallavicini il Gesù dell'islam: un profeta e niente più. Il tutto con la scusa dell'anniversario dell'incontro tra San Francesco e il Sultano. Che fu l'esatto contrario di quanto accaduto l'altra sera. Invece che preoccuparsi dell'evangelizzazione dei musulmani, come fatto dal poverello d'Assisi, si punta sulla coranizzazione dei cattolici.



Li chiameremo CattoMani, perfetta crasi che suggella l’unione di cattolici e musulmani. In altri ambiti si chiama dialogo Cristianoislamico, ma a ben guardare quanto sta accadendo si scopre che di dialogo c’è ben poco. Soprattutto se la scusante è quella del più celebre dialogo, che però non fu mai tale, tra San Francesco e il sultano Malik Al-Kamil, del quale ricorrono quest’anno gli 800 anni.


Un anniversario davvero curioso quello che una parrocchia di Milano ha voluto ricordare se si tiene conto che alla fine dei giochi, si scopre che il cosiddetto dialogo si è trasformato in un tentativo neanche tanto mascherato di rovesciare le parti: non più i cristiani che evangelizzano i musulmani, vero scopo dell’ardita missione del poverello di Dio tra i maomettani nel 1219, ma gli islamici che provano a islamizzare i cristiani. Una coranizzazione delle comunità cattoliche.

Come non chiamare diversamente l’evento svoltosi il 18 gennaio scorso in una chiesa milanese e intitolato “Gesù nell’Islam”. Teatro dell’incontro la chiesa-santuario di Santa Maria di Caravaggio a Milano e protagonista della conferenza l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Comunità islamica italiana.

Un evento che si inserisce nella cornice del già avviato cammino di conoscenza reciproca
(sic!) avviato dal decanato milanese e che aveva già avuto tra le sue tappe principali la celebrazione eucaristica ecumenica del 21 luglio 2016 e il ciclo di incontri e di preghiera sulla spiritualità di Maria, nel maggio scorso.

A ben guardare le foto dell’evento, pubblicate sul profilo Facebook della parrocchia, l’impatto è di quelli che non lasciano molto spazio all’immaginazione: l’imam in cattedra, appena sotto il presbiterio, ma quel tanto che basta per coprire l’immagine della Vergine che si trova sotto l’altare nella cripta. E ad ascoltare una nutrita pattuglia di fez, dal nome del noto copricapo marocchino divenuto nei secoli uno degli emblemi dell’Islam.

Il sito della parrocchia parla di un incontro ben riuscito alla ricerca di una convergenza spirituale. La meditazione di Pallavicini infatti ha preso spunto da alcuni versetti del Corano in cui si parla di Gesù. E’ ormai un canovaccio rodato, utilizzato anche per la venerazione che il mondo islamico tributa alla Santissima Vergine: mostrare che la fede in Gesù Cristo e quella in Allah altri non sono che declinazioni diverse di un unico ceppo.

Per l’occasione infatti gli ospiti, il Coreis (Comunità Religiosa islamica) e la moschea Al – Walid hanno diffuso una specie di comunicato nel quale hanno elencato le volte in cui il testo sacro dell’Islam parla di Gesù Cristo. Il quale, non è una novità, è considerato l’ultimo dei profeti e niente più. Né Dio, né salvatore, né redentore. Insomma, parlare di Gesù Cristo per un islamico significa parlarne in termini per i quali tutto si può dire tranne che riconoscerlo come Dio incarnato. Figuriamoci poi accettarne la morte in croce e la Resurrezione. Una bestemmia, per loro. Ma ovviamente, per i CattoMani è sufficiente presentare la questione come una pura giustapposizione di identità. Un dialogo tra sordi, nel corso del quale si dà la possibilità ai musulmani di parlare di Gesù, ma si evita accuratamente di presentare il Gesù cristiano in modo tale che siano gli islamici a riconoscere il loro errore, vero scopo dell’evangelizzazione.

La stessa che, attraverso un’opera di predicazione coraggiosa e illuminata, San Francesco mise in campo in terra d’Egitto proprio di fronte al Sultano. Dubitiamo fortemente che l’altra sera a Milano si sia adottato questo metodo, sennò avremmo trovato commenti ben diversi rispetto alla convergenza spirituale. Che proprio non solo non ci fu, ma dovette essere una
constatazione tanto evidente anche nel poverello d’Assisi.

Infatti, giova rammentarlo, nella Leggenda Maggiore (IX) troviamo spiegato senza ombra di smentita quanto accadde quel giorno. “L’ardore di carità lo spingeva al martirio, sicché ancora una volta tentò di partire verso i paesi infedeli per diffondere con l’effusione del proprio sangue la fede nella Trinità”. Infatti, Francesco arrivato davanti al sultano, che aveva emanato l’editto di dare una ricompensa a chi gli portava la testa mozzata di un cristiano, lo accolse e rimase colpito dalla sua tenacia non tanto nel farlo parlare, ma nell’illustragli la dottrina cristiana rinunciando a tutte le ricchezze che gli aveva messo davanti. “E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo con tanto coraggio, forza  e tanto fervore di spirito da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo”.

Della storia si sa che poi Francesco fece ritorno all’accampamento cristiano perché si rese conto che “non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno”. Insomma: se anche ci fu dialogo, ma Francesco se ne guardò bene dal chiamarlo così, fu un fallimento completo.

Da parole come conversione e predicazione di Gesù Cristo Salvatore, si evince chiaramente come quell’incontro, che oggi viene stiracchiato di qua e di là per giustificare un dialogo senza identità alcuna, sia il simbolo dell’evangelizzazione a costo della vita. Proprio il contrario di quello che è accaduto a Milano l’altra sera, dove in un luogo di culto, sono risuonate parole che dipingono Gesù come un profeta e niente più. Se non è una bestemmia questa, per noi, cosa lo è mai?

Intanto però l’operazione di cattoislamizzazione prosegue senza colpo ferire e nell’indifferenza totale. La stessa indifferenza che, da parte cattolica, si mostra per la conversione, questa sì a costo della vita, di quei musulmani che approdano alla fede cattolica, ma devono starsene nelle catacombe sociali di un mancato riconoscimento che li ghettizza due volte: nelle loro comunità d’origine e in quelle d’approdo, che dovrebbero invece rallegrarsi di una decisione così enorme.

Andrea Zambrano

http://www.lanuovabq.it/it/arrivano-i-cattomani-limam-predica-il-suo-gesu-in-chiesa

Il dialogo interreligioso e lo spirito di San Francesco

(di Cristina Siccardi) La menzogna divampa nella Chiesa e attraverso di essa si perseguono obiettivi contrari al Cristianesimo, fondato dalla seconda Persona della Santissima Trinità. Un logo sta a rappresentare, in questi giorni, quanto detto, è quello che richiama il prossimo viaggio di papa Francesco in Marocco, Paese in maggioranza musulmano, dal 30 al 31 marzo prossimi, visitando le città di Rabat e di Casablanca.
Non sarà un pellegrinaggio e neppure un viaggio apostolico, bensì un viaggio interreligioso, che sarà realizzato per “celebrare” gli 800 anni del viaggio, solo ed esclusivamente missionario, di san Francesco a Damietta. L’intento è chiaro: stabilire un’ingannevole e falsa continuità di intenti fra il santo stigmatizzato di Assisi e l’attuale Pontefice di Roma.
Il logo, scelto fra 50 bozzetti di artisti partecipanti ad un concorso, riporta una croce stilizzata e una mezzaluna musulmana, e sono presenti i colori dei due Stati:: verde e rosso per il Marocco, giallo e bianco, sullo sfondo, per il Vaticano. Sotto sta scritto: Pape François – Serviteur d’espérance (Servitore di speranza) – Maroc 2019» e, accanto, Marocco scritto in arabo.
Parlando al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede il 7 gennaio, papa Francesco ha affermato che sia il viaggio negli Emirati Arabi Uniti (3-5 febbraio) che quello in Marocco saranno «due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil».
È sufficiente conoscere un po’ di storia, recente e meno recente, per comprendere che il Papa, che incontrerà il capo dei musulmani del Marocco, non si ispirerà all’evangelizzatore san Francesco d’Assisi, bensì allo «spirito di Assisi» del 27 ottobre 1986, quando, per iniziativa di papa Giovanni Paolo II si tenne il mondiale incontro interreligioso, a cui parteciparono tutti i massimi rappresentanti delle chiese cristiane, oltre che sessanta rappresentanti di altre religioni. Legato a quell’evento, Giovanni Paolo II coniò, più di trent’anni fa, il termine «spirito di Assisi».
Lo «spirito di Assisi» contraddistingue anche il magistero di Francesco, lontano dagli insegnamenti e dalla forte e rigorosa testimonianza di san Francesco, il quale «Niente diceva si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l’affermazione soprattutto con quest’argomento: che l’Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato di salire sulla croce. Da lì quel suo accanimento nella preghiera; quel correre dovunque a predicare; quell’eccesso nel dare l’esempio. E, perciò, ogni volta che lo biasimavano per la sua austerità eccessiva, rispondeva che lui era stato dato come esempio per gli altri» (San Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maggiore, cap. IX, §1168).
Vediamo, quindi, come si esternò lo «spirito di san Francesco d’Assisi» nei suoi viaggi missionari fra i musulmani. La Chiesa di Roma, sotto il pontificato di Innocenzo III, si proclamò unica e vera Sposa di Cristo e in quanto tale suprema e santa, e, grazie all’intervento di san Domenico e di san Francesco, si riconobbe bisognosa di purificazione, attraverso la povertà, i sacrifici, l’apostolato e la veritiera evangelizzazione a fronte dell’eresia catara che imperversava in Europa. San Francesco incontrò a Damietta, nel settembre del 1219, il sultano d’Egitto al-Malik al-Kāmil, cercando, invano, di portare Cristo in terra islamica.
Era lì giunto nell’agosto del 1219, dove da due anni era in corso la quinta crociata, per liberare Gerusalemme invasa dal Saladino. Francesco, insieme a frate Illuminato, ottenne dal legato pontificio il permesso di poter passare nel campo saraceno, per incontrare lo stesso sultano al fine di predicargli – predicare proprio a lui! – il Vangelo, al fine di convertirlo oppure di ottenerne la resa. Ma l’impresa fu infruttuosa. Nella documentata biografia duecentesca di san Bonaventura da Bagnoregio, si legge che il santo predicò al sultano «la verità di Dio uno e trino e di Gesù Salvatore di tutti con tanta fermezza e tanto fervore di spirito».
Il biografo Tommaso da Celano descrive molto bene l’anelito di san Francesco non solo per l’evangelizzazione, ma per il martirio vero e proprio: «Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni», ma ci fu un naufragio; allora, nel tredicesimo anno della sua conversione (avvenuta nel 1205) «non riesce ancora a darsi pace finché non attui, con tentativi ancor più audaci il suo bruciante sogno. […] partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e l’eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l’afferrarono, l’insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’odio brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri» (T. da Celano, Vita prima, cap. XX, §§ 418-422).
Il Sultano fu ammirato dal fervore di spirito e dalla virtù del frate, perciò lo pregò di restare presso di lui. Rispose san Francesco: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Ma il Sultano, a lui: “Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede”. (Egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida)» (B. da Bagnoregio, op. cit., cap. IX, § 1174.
Il Sultano non accettò la sfida, tuttavia gli offrì molti doni preziosi, «ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango […].Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani» (ivi, § 1174-1175).
Ancora in quell’anno, il 1219, frate Francesco organizzò un’ardita spedizione missionaria dei suoi frati fra gli islamici. Per portare la Buona Novella furono scelti Berardo, Ottone, Pietro, Accursio, Adiuto, i primi tre erano sacerdoti, gli altri due fratelli laici. Umbri, originari del ternano, furono fra i primi ad abbracciare la vita minoritica, ma furono anche i protomartiri dell’Ordine francescano. La loro opera di predicazione si svolse nelle moschee di Siviglia, in Spagna.
Vennero catturati, malmenati e condotti davanti al sultano Almohade Muhammad al-Nasir, detto Miramolino; in seguito furono trasferiti in Marocco con l’ordine di non predicare più in nome di Cristo. Nonostante questo divieto i cinque missionari continuarono a diffondere la Verità e il Vangelo, e per tale ragione furono nuovamente imprigionati. Dopo essere stati sottoposti più volte alla fustigazione, furono decapitati nelle terre della Mezzaluna il 16 gennaio 1220. Le loro salme vennero trasferite a Coimbra.
Fu allora che Fernando Martins de Bulhões, che aveva precedentemente conosciuto i martiri, durante il loro passaggio in Portogallo per essere diretti in Marocco, prese la decisione di entrare tra i Francescani. Divenne fra’Antonio, futuro sant’Antonio da Padova. La menzogna di un san Francesco antesignano del dialogo ecumenico ed interreligioso è una fake-news. Tutte le fonti storiche coeve a san Francesco, senza interpretazioni di sorta, parlano della volontà di frate Francesco di incontrare più volte gli islamici «per sete di martirio».
Anche Dante, vicino agli accadimenti, scrive così nella Divina Commedia: «Per la sete del martiro nella presenza del Soldan superba predicò Cristo e l’altri che ‘l seguiro» (Paradiso XI, 100-102). La drammaticità di quell’evento, che non fu una passeggiata di chiacchiere stucchevoli, ma una spedizione missionaria, è mirabilmente rappresentata nella Prova del fuoco di Giotto, undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi.
Qui si vede san Francesco invitare i capi musulmani, presenti alla corte del Sultano, entrare – ma essi scappano – con lui nel fuoco, per dimostrare che Cristo è vero Dio, mentre il dio islamico è un’impostura.
La predicazione di san Francesco si fondò sempre, rivolgendosi a tutti (credenti, musulmani, eretici, pagani…), sul Dio uno e trino, sulla Verità Rivelata, sulla Salvezza attraverso la conversione, il battesimo e la fede in Cristo. E il suo coraggioso parlare era preciso, forte, determinato. (Cristina Siccardi)
https://www.corrispondenzaromana.it/il-dialogo-interreligioso-e-lo-spirito-di-san-francesco/


Entra in moschea. Predica Gesù Cristo. Maledice Maometto. Viene arso vivo. E' un Beato della Chiesa Cattolica

BEATO GIOVANNI DA MANTOVA, MISSIONARIO FRANCESCANO (†1557).

Desideroso di essere martire di Gesù Cristo, chiese al Padre Guardiano di recarsi in Missione per predicare agli infedeli. Ma il Superiore non permise e Fra Giovanni obbedì, continuando però nel suo cuore a pensare al martirio, attendendo qualche occasione propizia.

Questa avvenne nella solennità dell’Assunta, quando tutti i religiosi della Comunità di Gerusalemme si recarono nella valle di Giosafat, per solennizzare la festa del Sepolcro della Vergine. Finite le celebrazioni, e ritornandosene in città, Fra Giovanni era l’ultimo e come giunse davanti al Tempio di Salomone, che è la principale moschea musulmana, vi entrò e, sollevato il Crocefisso, ad alta voce iniziò a predicare la divinità di Cristo e del suo Vangelo e a dimostrare la falsità delle altre religioni.

I Musulmani gridarono contro il bestemmiatore e gli si avventarono contro, legandolo e sottoponendolo ai duri tormenti. Per tre giorni egli sostenne le torture degli infedeli, i quali visti gli inutili tentativi, ricorsero alle lusinghe e agli allettamenti. Si narra che a questi, il futuro Beato perse la corona del martirio perché cadde miseramente davanti a questi.

Grande fu il dolore dei francescani e inesprimibile la gioia dei maomettani, la quale tuttavia servì fortunatamente a preparare un maggior trionfo della grazia divina. Non trascorsero infatti venti giorni che il Beato faceva ritorno al convento, pieno di indicibile dolore.

Umiliandosi in comunità e riconoscendosi debole volle riparare al suo errore, ritornando tra gli infedeli e testimoniare la sua fede.

Questa volta, con la forza dell’obbedienza, ripieno dello spirito di Dio prese a testimoniare la sua fede in Cristo e a maledire Maometto. Ripreso e legato di nuovo, fu tentato con le lusinghe, che questa volta non riuscirono a piegarlo, e fu arso vivo.


***

PER APPROFONDIRE: L'ISLAM E I MARTIRI CRISTIANI

Dal greco, la parola "martiri" vuol dire «testimoni». Per loro non c'è bisogno di processo canonico: possono anche aver vissuto da farabutti, ma se, messi di fronte alla scelta tra la vita e il rinnegamento di Cristo, hanno preferito «testimoniare» la loro fedeltà, sono automaticamente Beati. Il primo esempio lo si ha proprio nel Vangelo: il Buon Ladrone. Era, appunto, un criminale, ma Cristo stesso, sentita la testimonianza a suo favore, dichiara che quel medesimo giorno lo accoglierà in Paradiso. Dunque, Beato. Le malefatte le ha pagate con la morte cruenta. A maggior ragione chi non ha fatto niente di male ma viene ucciso solo perché si dichiara cristiano, è Beato Martire.

Jihad e martirio cristiano, purtroppo, procedono di pari passo fin dall'inizio dell'islam: gli ammazzati per essersi rifiutati di «convertirsi» sono centinaia di migliaia, se non milioni, nella storia.

La Chiesa commemora nel suo Martirologio solo quelli di cui si hanno notizie dettagliate e certe, ma ha dovuto cominciare fin da subito. I primi ufficializzati risalgono al VII secolo: l'intera guarnigione bizantina di Gaza, decapitata per aver rifiutato il passaggio all'islam. È impossibile, qui, elencarli tutti e rimandiamo al libro di Camille Eid, A morte in nome di Allah (Piemme, 2004), che ne fa per sommi capi l'intera storia. Qui possiamo solo ricordare quelli più noti al grande pubblico, come gli ottocento abitanti di Otranto sgozzati nel XVI secolo per non aver voluto apostatare. O i martiri di Cordova (capogruppo il vescovo Eulogio), giustiziati per lo stesso motivo nell'Andalusia musulmana supposta «tollerante» (X-XI secolo). L'Armenia cominciò a contare martiri fin dai tempi degli Omayyadi e finì (per ora) coi Giovani Turchi nel 1915.

Ma non abbiamo spazio per parlare dei Balcani, dell'Ungheria, dell'Africa e perfino delle Filippine. Per restare ai giorni nostri, è ancora fresco il ricordo dei sette monaci di Tibhirine sgozzati dai salafiti algerini nel 1996 e immortalati dal film «Uomini di Dio» del 2010 (premiato a Cannes). Interi ordini monastici hanno il loro, di martirologio, per mano islamica: i franco-spagnoli Mercedari, per esempio, che partivano per il Maghreb onde riscattare schiavi cristiani e spesso non tornavano vivi. O i Trinitari, creati con lo stesso scopo. Perfino santa Chiara d'Assisi subì, nel suo convento, un assalto di saraceni, e riuscì a ricacciarli con un miracolo.

Il conteggio dei martiri dell'attuale fondamentalismo islamico è solo agli inizi, la Chiesa ha tempi lunghi: si pensi che la beatificazione dei martiri della guerra civile spagnola continua ancora e lo stesso papa Francesco ha dovuto firmare parecchi «decreti di martirio» per quegli anni. Man mano che la varie nunziature pakistane, bengalesi, sudanesi, nigeriane (eccetera eccetera) faranno arrivare le informative, il Martirologio, ahimè, seguiterà a dilatarsi.

(Rino Camilleri)

Fonte:

www.ilgiornale.it/…/quei-martiri-cr…

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PER APPROFONDIRE: 4 STORIE DI PERSECUZIONE ISLAMICA (2014)

PAKISTAN


Era il 4 novembre 2014 quando Shehzad e Shama sono stati presi da una folla di almeno 400 musulmani, picchiati con bastoni, legati con una corda a un trattore, trascinati lungo una strada piena di pietre e sassi, cosparsi di benzina e gettati in una fornace per cuocere i mattoni, dove sono bruciati vivi. La coppia cristiana, che lavorava in una fabbrica di mattoni nel villaggio Chak 59, aveva quattro figli. Shama (che era incinta di quattro mesi) è stata accusata di blasfemia per aver bruciato una pagina del Corano. Per questo un gruppo di estremisti ha ordinato loro di pentirsi e convertirsi all’islam. Quando i due cristiani si sono rifiutati, tre imam dei villaggi vicini hanno radunato tutti i musulmani con gli altoparlanti posti sui minareti delle moschee incitandoli alla vendetta. Una folla inferocita «con gli occhi iniettati di sangue», secondo i testimoni, li ha presi e li ha bruciati vivi. Tre imam e 106 persone sono state denunciate per l’omicidio. Il capo del distretto di polizia di Kasur ha dichiarato: «Shama non ha mai commesso blasfemia».

SIRIA

Padre Frans van der Lugt, 76 anni, da quasi 50 in Siria, è stato assassinato il 7 aprile 2014. Viveva nella città vecchia di Homs, sconvolta dalla guerra e in mano ai ribelli. Nonostante i consigli dei superiori, non aveva mai voluto lasciare il suo popolo da solo. «Sono l’unico sacerdote rimasto. Qui c’erano decine di migliaia di cristiani, ora appena 66. Come potevo lasciarli soli? Il popolo siriano mi ha dato così tanto, tutto quello che aveva. E se ora la gente soffre, io voglio condividere il loro dolore e le loro difficoltà». Era rispettato sia dai cristiani che dai musulmani, perché aiutava tutti. Quando la crisi è cominciata, «cinque famiglie musulmane si sono trasferite nel suo monastero e lui si è preso cura di loro», ricordano i suoi amici. «Diceva sempre: “Io non vedo cristiani o musulmani, ma esseri umani”». Ma ai terroristi islamici, padre Frans non andava a genio: «Diceva sempre che era padre sia dei cristiani sia dei musulmani. Molte volte i ribelli lo hanno condotto davanti alla corte della sharia per discutere delle sue credenze, ma lui si rifiutava. Diceva: “Non parlerò con voi di politica o religione. Siamo tutti esseri umani. Parlerò solo di umanità”». Il 7 aprile, due uomini armati e mascherati sono entrati nel monastero dove viveva, dopo aver sopraffatto la resistenza del guardiano. Non hanno fatto fatica, perché il missionario diceva sempre: «Accolgo tutti. Chiunque entri dalla mia porta è il benvenuto». Lo hanno trascinato fuori, lo hanno colpito al volto, gli hanno sparato due colpi alla testa e se ne sono andati. Oggi la sua tomba, nella città vecchia di Homs, «è diventata un santuario, meta di pellegrinaggio per i cristiani che sono tornati in questo quartiere devastato».

NIGERIA

Domenica 23 novembre i terroristi islamici di Boko Haram hanno attaccato il villaggio cristiano di Attagara, nel nord della Nigeria. Appena li ha visti arrivare, Hassan, bambino cristiano di appena tre anni, è scappato ma i miliziani l’hanno bloccato. Gli hanno ordinato di consegnare la Bibbia che teneva in mano, ma lui si è rifiutato. Allora gliel’hanno strappata di mano e l’hanno gettata in un rogo acceso lì vicino. Hassan è corso vicino al fuoco per recuperarla con un bastone e un membro di Boko Haram, per impedirglielo, l’ha colpito alla testa con il calcio del kalashnikov e l’ha spinto dentro il fuoco. Racconta un testimone: «Non soddisfatto, gli ha calpestato la testa con lo stivale per premerlo dentro le fiamme, mentre gli altri miliziani insultavano il bambino chiamandolo “infedele ostinato”». Hassan ha riportato gravi ustioni al volto ma è sopravvissuto.

IRAQ

«Sono nata cristiana e se per questo dovrò morire, preferisco morire cristiana». Così Khiria Al-Kas Isaac, 54 anni, cristiana irachena di Qaraqosh, fuggita dallo Stato islamico in Kurdistan, ha risposto agli islamisti che volevano costringerla ad abiurare. Quando il 7 agosto lo Stato islamico è entrato in città, le hanno subito ordinato di convertirsi e quando lei si è rifiutata, l’hanno imprigionata per 10 giorni insieme ad altre 46 donne. Tutte venivano frustate «ma nessuna si è convertita». Lei affrontava così i terroristi: «Ho risposto loro che preferivo morire cristiana e poi ho citato il Vangelo di san Matteo (10,33). Gesù disse: “Chi mi rinnegherà davanti agli uomini, anch’io lo rinnegherò davanti al Padre mio che è nei cieli”». Un giorno, frustandola, le hanno detto: «Convertiti o ti farò ancora più male». E Khiria: «Sono una donna vecchia e malata. Non ho figlie o figli che possano incrementare il numero dei musulmani o seguirvi, che vantaggio ne avrete se mi convertirò?». L’ultimo giorno prima di liberarla «un terrorista mi ha premuto la spada sul collo davanti a tutte le altre e mi ha detto: “Convertiti o sarai decapitata”. Io gli ho risposto: “Sarò felice di essere una martire”». Khiria è stata allora derubata di tutto quello che aveva, compresi i soldi messi da parte per un’operazione al rene, e rilasciata. Il 4 settembre le è stato permesso di scappare e ha così potuto raggiungere gli altri sfollati cristiani ad Ankawa, insieme al marito e due altre donne.

Fonte:

www.tempi.it/veglie-per-i-ma…

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