La parrocchia Santa Maria di Caravaggio di Milano apre le porte della chiesa per far predicare all'imam Pallavicini il Gesù dell'islam: un profeta e niente più. Il tutto con la scusa dell'anniversario dell'incontro tra San Francesco e il Sultano. Che fu l'esatto contrario di quanto accaduto l'altra sera. Invece che preoccuparsi dell'evangelizzazione dei musulmani, come fatto dal poverello d'Assisi, si punta sulla coranizzazione dei cattolici.
Li chiameremo CattoMani, perfetta crasi che suggella l’unione di cattolici e musulmani. In altri ambiti si chiama dialogo Cristianoislamico, ma a ben guardare quanto sta accadendo si scopre che di dialogo c’è ben poco. Soprattutto se la scusante è quella del più celebre dialogo, che però non fu mai tale, tra San Francesco e il sultano Malik Al-Kamil, del quale ricorrono quest’anno gli 800 anni.
Un anniversario davvero curioso quello che una parrocchia di Milano ha voluto ricordare se si tiene conto che alla fine dei giochi, si scopre che il cosiddetto dialogo si è trasformato in un tentativo neanche tanto mascherato di rovesciare le parti: non più i cristiani che evangelizzano i musulmani, vero scopo dell’ardita missione del poverello di Dio tra i maomettani nel 1219, ma gli islamici che provano a islamizzare i cristiani. Una coranizzazione delle comunità cattoliche.
Come non chiamare diversamente l’evento svoltosi il 18 gennaio scorso in una chiesa milanese e intitolato “Gesù nell’Islam”. Teatro dell’incontro la chiesa-santuario di Santa Maria di Caravaggio a Milano e protagonista della conferenza l’imam Yahya Pallavicini, presidente della Comunità islamica italiana.
Un evento che si inserisce nella cornice del già avviato cammino di conoscenza reciproca
(sic!) avviato dal decanato milanese e che aveva già avuto tra le sue tappe principali la celebrazione eucaristica ecumenica del 21 luglio 2016 e il ciclo di incontri e di preghiera sulla spiritualità di Maria, nel maggio scorso.
A ben guardare le foto dell’evento, pubblicate sul profilo Facebook della parrocchia, l’impatto è di quelli che non lasciano molto spazio all’immaginazione: l’imam in cattedra, appena sotto il presbiterio, ma quel tanto che basta per coprire l’immagine della Vergine che si trova sotto l’altare nella cripta. E ad ascoltare una nutrita pattuglia di fez, dal nome del noto copricapo marocchino divenuto nei secoli uno degli emblemi dell’Islam.
Il sito della parrocchia parla di un incontro ben riuscito alla ricerca di una convergenza spirituale. La meditazione di Pallavicini infatti ha preso spunto da alcuni versetti del Corano in cui si parla di Gesù. E’ ormai un canovaccio rodato, utilizzato anche per la venerazione che il mondo islamico tributa alla Santissima Vergine: mostrare che la fede in Gesù Cristo e quella in Allah altri non sono che declinazioni diverse di un unico ceppo.
Per l’occasione infatti gli ospiti, il Coreis (Comunità Religiosa islamica) e la moschea Al – Walid hanno diffuso una specie di comunicato nel quale hanno elencato le volte in cui il testo sacro dell’Islam parla di Gesù Cristo. Il quale, non è una novità, è considerato l’ultimo dei profeti e niente più. Né Dio, né salvatore, né redentore. Insomma, parlare di Gesù Cristo per un islamico significa parlarne in termini per i quali tutto si può dire tranne che riconoscerlo come Dio incarnato. Figuriamoci poi accettarne la morte in croce e la Resurrezione. Una bestemmia, per loro. Ma ovviamente, per i CattoMani è sufficiente presentare la questione come una pura giustapposizione di identità. Un dialogo tra sordi, nel corso del quale si dà la possibilità ai musulmani di parlare di Gesù, ma si evita accuratamente di presentare il Gesù cristiano in modo tale che siano gli islamici a riconoscere il loro errore, vero scopo dell’evangelizzazione.
La stessa che, attraverso un’opera di predicazione coraggiosa e illuminata, San Francesco mise in campo in terra d’Egitto proprio di fronte al Sultano. Dubitiamo fortemente che l’altra sera a Milano si sia adottato questo metodo, sennò avremmo trovato commenti ben diversi rispetto alla convergenza spirituale. Che proprio non solo non ci fu, ma dovette essere una
constatazione tanto evidente anche nel poverello d’Assisi.
Infatti, giova rammentarlo, nella Leggenda Maggiore (IX) troviamo spiegato senza ombra di smentita quanto accadde quel giorno. “L’ardore di carità lo spingeva al martirio, sicché ancora una volta tentò di partire verso i paesi infedeli per diffondere con l’effusione del proprio sangue la fede nella Trinità”. Infatti, Francesco arrivato davanti al sultano, che aveva emanato l’editto di dare una ricompensa a chi gli portava la testa mozzata di un cristiano, lo accolse e rimase colpito dalla sua tenacia non tanto nel farlo parlare, ma nell’illustragli la dottrina cristiana rinunciando a tutte le ricchezze che gli aveva messo davanti. “E predicò al Soldano il Dio uno e trino e il Salvatore di tutti, Gesù Cristo con tanto coraggio, forza e tanto fervore di spirito da far vedere luminosamente che si stava realizzando con piena verità la promessa del Vangelo”.
Della storia si sa che poi Francesco fece ritorno all’accampamento cristiano perché si rese conto che “non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno”. Insomma: se anche ci fu dialogo, ma Francesco se ne guardò bene dal chiamarlo così, fu un fallimento completo.
Da parole come conversione e predicazione di Gesù Cristo Salvatore, si evince chiaramente come quell’incontro, che oggi viene stiracchiato di qua e di là per giustificare un dialogo senza identità alcuna, sia il simbolo dell’evangelizzazione a costo della vita. Proprio il contrario di quello che è accaduto a Milano l’altra sera, dove in un luogo di culto, sono risuonate parole che dipingono Gesù come un profeta e niente più. Se non è una bestemmia questa, per noi, cosa lo è mai?
Intanto però l’operazione di cattoislamizzazione prosegue senza colpo ferire e nell’indifferenza totale. La stessa indifferenza che, da parte cattolica, si mostra per la conversione, questa sì a costo della vita, di quei musulmani che approdano alla fede cattolica, ma devono starsene nelle catacombe sociali di un mancato riconoscimento che li ghettizza due volte: nelle loro comunità d’origine e in quelle d’approdo, che dovrebbero invece rallegrarsi di una decisione così enorme.
Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/arrivano-i-cattomani-limam-predica-il-suo-gesu-in-chiesa
Il dialogo interreligioso e lo spirito di San Francesco
(di Cristina Siccardi) La menzogna divampa nella Chiesa e attraverso di essa si perseguono obiettivi contrari al Cristianesimo, fondato dalla seconda Persona della Santissima Trinità. Un logo sta a rappresentare, in questi giorni, quanto detto, è quello che richiama il prossimo viaggio di papa Francesco in Marocco, Paese in maggioranza musulmano, dal 30 al 31 marzo prossimi, visitando le città di Rabat e di Casablanca.
Non sarà un pellegrinaggio e neppure un viaggio apostolico, bensì un viaggio interreligioso, che sarà realizzato per “celebrare” gli 800 anni del viaggio, solo ed esclusivamente missionario, di san Francesco a Damietta. L’intento è chiaro: stabilire un’ingannevole e falsa continuità di intenti fra il santo stigmatizzato di Assisi e l’attuale Pontefice di Roma.
Il logo, scelto fra 50 bozzetti di artisti partecipanti ad un concorso, riporta una croce stilizzata e una mezzaluna musulmana, e sono presenti i colori dei due Stati:: verde e rosso per il Marocco, giallo e bianco, sullo sfondo, per il Vaticano. Sotto sta scritto: Pape François – Serviteur d’espérance (Servitore di speranza) – Maroc 2019» e, accanto, Marocco scritto in arabo.
Parlando al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede il 7 gennaio, papa Francesco ha affermato che sia il viaggio negli Emirati Arabi Uniti (3-5 febbraio) che quello in Marocco saranno «due importanti opportunità per sviluppare ulteriormente il dialogo interreligioso e la reciproca conoscenza fra i fedeli di entrambe le religioni, nell’ottavo centenario dello storico incontro tra san Francesco d’Assisi e il sultano al-Malik al-Kāmil».
È sufficiente conoscere un po’ di storia, recente e meno recente, per comprendere che il Papa, che incontrerà il capo dei musulmani del Marocco, non si ispirerà all’evangelizzatore san Francesco d’Assisi, bensì allo «spirito di Assisi» del 27 ottobre 1986, quando, per iniziativa di papa Giovanni Paolo II si tenne il mondiale incontro interreligioso, a cui parteciparono tutti i massimi rappresentanti delle chiese cristiane, oltre che sessanta rappresentanti di altre religioni. Legato a quell’evento, Giovanni Paolo II coniò, più di trent’anni fa, il termine «spirito di Assisi».
Lo «spirito di Assisi» contraddistingue anche il magistero di Francesco, lontano dagli insegnamenti e dalla forte e rigorosa testimonianza di san Francesco, il quale «Niente diceva si deve anteporre alla salvezza delle anime, e confermava l’affermazione soprattutto con quest’argomento: che l’Unigenito di Dio, per le anime, si era degnato di salire sulla croce. Da lì quel suo accanimento nella preghiera; quel correre dovunque a predicare; quell’eccesso nel dare l’esempio. E, perciò, ogni volta che lo biasimavano per la sua austerità eccessiva, rispondeva che lui era stato dato come esempio per gli altri» (San Bonaventura da Bagnoregio, Legenda maggiore, cap. IX, §1168).
Vediamo, quindi, come si esternò lo «spirito di san Francesco d’Assisi» nei suoi viaggi missionari fra i musulmani. La Chiesa di Roma, sotto il pontificato di Innocenzo III, si proclamò unica e vera Sposa di Cristo e in quanto tale suprema e santa, e, grazie all’intervento di san Domenico e di san Francesco, si riconobbe bisognosa di purificazione, attraverso la povertà, i sacrifici, l’apostolato e la veritiera evangelizzazione a fronte dell’eresia catara che imperversava in Europa. San Francesco incontrò a Damietta, nel settembre del 1219, il sultano d’Egitto al-Malik al-Kāmil, cercando, invano, di portare Cristo in terra islamica.
Era lì giunto nell’agosto del 1219, dove da due anni era in corso la quinta crociata, per liberare Gerusalemme invasa dal Saladino. Francesco, insieme a frate Illuminato, ottenne dal legato pontificio il permesso di poter passare nel campo saraceno, per incontrare lo stesso sultano al fine di predicargli – predicare proprio a lui! – il Vangelo, al fine di convertirlo oppure di ottenerne la resa. Ma l’impresa fu infruttuosa. Nella documentata biografia duecentesca di san Bonaventura da Bagnoregio, si legge che il santo predicò al sultano «la verità di Dio uno e trino e di Gesù Salvatore di tutti con tanta fermezza e tanto fervore di spirito».
Il biografo Tommaso da Celano descrive molto bene l’anelito di san Francesco non solo per l’evangelizzazione, ma per il martirio vero e proprio: «Nel sesto anno dalla sua conversione ardendo di un intrattenibile desiderio del martirio, decise di recarsi in Siria a predicare la fede e la penitenza ai Saraceni», ma ci fu un naufragio; allora, nel tredicesimo anno della sua conversione (avvenuta nel 1205) «non riesce ancora a darsi pace finché non attui, con tentativi ancor più audaci il suo bruciante sogno. […] partì per la Siria, e mentre infuriavano aspre battaglie tra cristiani e pagani, preso con sé un compagno, non esitò a presentarsi al cospetto del Sultano. Chi potrebbe descrivere la sicurezza e il coraggio con cui gli stava davanti e gli parlava, e la decisione e l’eloquenza con cui rispondeva a quelli che ingiuriavano la legge cristiana? Prima di giungere al Sultano, i suoi sicari l’afferrarono, l’insultarono, lo sferzarono, ed egli non temette nulla: né minacce, né torture, né morte; e sebbene investito dall’odio brutale di molti, eccolo accolto dal Sultano con grande onore! Questi lo circondava di favori regalmente e, offrendogli molti doni, tentava di convertirlo alle ricchezze del mondo; ma, vedendolo disprezzare tutto risolutamente come spazzatura, ne rimase profondamente stupito, e lo guardava come un uomo diverso da tutti gli altri. Era molto commosso dalle sue parole e lo ascoltava molto volentieri» (T. da Celano, Vita prima, cap. XX, §§ 418-422).
Il Sultano fu ammirato dal fervore di spirito e dalla virtù del frate, perciò lo pregò di restare presso di lui. Rispose san Francesco: «Se, tu col tuo popolo, vuoi convertirti a Cristo, io resterò molto volentieri con voi. Se, invece, esiti ad abbandonare la legge di Maometto per la fede di Cristo, dà ordine di accendere un fuoco il più grande possibile: Io, con i tuoi sacerdoti, entrerò nel fuoco e così, almeno, potrai conoscere quale fede, a ragion veduta, si deve ritenere più certa e più santa”. Ma il Sultano, a lui: “Non credo che qualcuno dei miei sacerdoti abbia voglia di esporsi al fuoco o di affrontare la tortura per difendere la sua fede”. (Egli si era visto, infatti, scomparire immediatamente sotto gli occhi, uno dei suoi sacerdoti, famoso e d’età avanzata, appena udite le parole della sfida)» (B. da Bagnoregio, op. cit., cap. IX, § 1174.
Il Sultano non accettò la sfida, tuttavia gli offrì molti doni preziosi, «ma l’uomo di Dio, avido non di cose mondane ma della salvezza delle anime, li disprezzò tutti come fango […].Vedendo, inoltre, che non faceva progressi nella conversione di quella gente e che non poteva realizzare il suo sogno, preammonito da una rivelazione divina, ritornò nei paesi cristiani» (ivi, § 1174-1175).
Ancora in quell’anno, il 1219, frate Francesco organizzò un’ardita spedizione missionaria dei suoi frati fra gli islamici. Per portare la Buona Novella furono scelti Berardo, Ottone, Pietro, Accursio, Adiuto, i primi tre erano sacerdoti, gli altri due fratelli laici. Umbri, originari del ternano, furono fra i primi ad abbracciare la vita minoritica, ma furono anche i protomartiri dell’Ordine francescano. La loro opera di predicazione si svolse nelle moschee di Siviglia, in Spagna.
Vennero catturati, malmenati e condotti davanti al sultano Almohade Muhammad al-Nasir, detto Miramolino; in seguito furono trasferiti in Marocco con l’ordine di non predicare più in nome di Cristo. Nonostante questo divieto i cinque missionari continuarono a diffondere la Verità e il Vangelo, e per tale ragione furono nuovamente imprigionati. Dopo essere stati sottoposti più volte alla fustigazione, furono decapitati nelle terre della Mezzaluna il 16 gennaio 1220. Le loro salme vennero trasferite a Coimbra.
Fu allora che Fernando Martins de Bulhões, che aveva precedentemente conosciuto i martiri, durante il loro passaggio in Portogallo per essere diretti in Marocco, prese la decisione di entrare tra i Francescani. Divenne fra’Antonio, futuro sant’Antonio da Padova. La menzogna di un san Francesco antesignano del dialogo ecumenico ed interreligioso è una fake-news. Tutte le fonti storiche coeve a san Francesco, senza interpretazioni di sorta, parlano della volontà di frate Francesco di incontrare più volte gli islamici «per sete di martirio».
Anche Dante, vicino agli accadimenti, scrive così nella Divina Commedia: «Per la sete del martiro nella presenza del Soldan superba predicò Cristo e l’altri che ‘l seguiro» (Paradiso XI, 100-102). La drammaticità di quell’evento, che non fu una passeggiata di chiacchiere stucchevoli, ma una spedizione missionaria, è mirabilmente rappresentata nella Prova del fuoco di Giotto, undicesima delle ventotto scene del ciclo di affreschi delle Storie di san Francesco della Basilica superiore di Assisi.
Qui si vede san Francesco invitare i capi musulmani, presenti alla corte del Sultano, entrare – ma essi scappano – con lui nel fuoco, per dimostrare che Cristo è vero Dio, mentre il dio islamico è un’impostura.
La predicazione di san Francesco si fondò sempre, rivolgendosi a tutti (credenti, musulmani, eretici, pagani…), sul Dio uno e trino, sulla Verità Rivelata, sulla Salvezza attraverso la conversione, il battesimo e la fede in Cristo. E il suo coraggioso parlare era preciso, forte, determinato. (Cristina Siccardi)
https://www.corrispondenzaromana.it/il-dialogo-interreligioso-e-lo-spirito-di-san-francesco/
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