ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 1 gennaio 2019

La verità è morta nella "dittatura della menzogna"

RELATIVISMO LECTIO MAGISTRALIS


La conferenza con il prof. Francesco Lamendola dal titolo: “La questione della verità nella cultura del Relativismo". La verità è morta nella "dittatura della menzogna": senza la verità tutto precipita nel caos, nell’anarchismo stabilito per decreto  
“La questione della verità nella cultura del Relativismo"


Conferenza con il filosofo prof. Francesco Lamendola dal titolo: “La questione della verità nella cultura del Relativismo". La verità è morta nella "dittatura della menzogna": senza la verità tutto precipita nel caos, nell’anarchismo stabilito per decreto. Come il relativismo è stato eretto a sistema, reso dogma e santificato come garanzia di libertà. La dittatura dei fatti è l’impero del caos: se la verità non esiste, o non è umanamente raggiungibile, chi ci garantirà contro l’illusorietà dei fatti? Non c’è niente che irriti i "vili" quanto lo spettacolo di un "coraggioso", che ha lottato da solo e senza domandare il loro aiuto.
Treviso, 13 dicembre 2018 - Istituto Duca degli Abruzzi di Treviso - Associazione Dante Alighieri di Treviso. Con la collaborazione del Presidente dell'associazione Dante Alighieri prof.ssa M.Giuseppina Vincitorio e del prof. Biasiotto

Del 01 Gennaio 2019
 http://www.accademianuovaitalia.it/index.php/archivi/video-di-francesco-lamendola/7130-la-questione-del-relativismo

LA COMMEDIA DELL'APOCALISSE

Alla modernità resta solo la commedia dell’apocalisse. Lo scrittore Friedrich Dürrenmatt e la nemesi della società moderna. La fine tragicomica della modernità: "senza verità" nulla è più come dovrebbe essere, neanche il dramma 
di Francesco Lamendola 
 http://www.accademianuovaitalia.it/images/gif/7sigillo-Lang/0--SOGNO-19.gif

Al nichilismo della cultura moderna, esauriti tutti i suoi miti e bruciate tutte le sue illusioni, resta una sola cosa da fare: celebrare la commedia della propria apocalisse. Perché l’apocalisse della modernità non può essere qualcosa di drammatico, o di principalmente drammatico; sarà soprattutto qualcosa di comico, e sia pure di una conicità dolorosa e involontariamente tragica. Come potrebbe essere un’apocalisse essenzialmente drammatica, se la modernità ha disprezzato e negato il concetto della verità? Senza verità, nulla è più come dovrebbe essere: neanche il dramma. Questa è la sua nemesi: affrontare l’ultimo cimento, quello da cui uscirà distrutta, seppellita e cancellata, senza neppure la serietà del tragico; e come potrebbe essere diversamente, se la modernità sta uccidendo e seppellendo se stessa? Tale spettacolo è pietoso, con qualcosa di comico: come lo spettacolo del prode Aiace che si scaglia con la massima veemenza contro un gregge di pecore. Fa ridere, anche se il sottinteso è tragico.

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 La fine tragicomica della modernità: "senza verità" nulla è più come dovrebbe essere, neanche il dramma.

Uno degli scrittori che hanno visto con maggiore lucidità e chiarezza il vicolo cieco e l’esito auto-distruttivo, e allo stesso tempo poco serio, della modernità, è stato Friedrich Dürrenmatt (1921-1990), scrittore e drammaturgo svizzero di lingua tedesca, protagonista, insieme a Max Frisch, del rinnovamento del teatro in lingua tedesca, la cui cifra poetica essenziale è il grottesco. Con piglio implacabile, caustico, irriverente, ha denunciato l’ipocrisia di una società materialmente soddisfatta, ma intimamente sempre più smarrita e alienata, mostrando in maniera impietosa il lato oscuro del mito del benessere di matrice liberale e borghese. È stato paragonato a Bertolt Brecht: ma, a parte l’intento innovativo e la veemenza polemica, le analogie sono forse più apparenti che di sostanza: Dürrenmatt, anche se egualmente impegnato sul piano ideologico, è meno apertamente schierato sul versante della militanza politica: non s’illude che il comunismo sia la soluzione di tutti i mali della civiltà borghese, forse anche perché il suo sguardo è troppo acuto e disincantato per lasciarsi abbagliare dall’ennesima soteriologia. C’è il comune riferimento a Kafka, questo sì; e c’è una comune ansia di rigenerazione e di riscatto: ma lo svizzero, proprio perché più riflessivo e introspettivo, ha, secondo noi, uno sguardo più ampio e più complesso sul mondo, più problematico, più pensoso, quindi meno schematico e meno semplicistico. In lui c’è la chiara consapevolezza di un mistero che aleggia al di là delle nostre certezze, un mistero insondabile, che la civiltà moderna pretende di negare o ignorare, condannandosi, così, al corto circuito e all’implosione. Ma siccome il suo sguardo non arriva a fare il passo successivo, e non può o non vuole oltrepassare ciò che è umanamente visibile, la sua riflessione sulla condizione umana moderna, pur essendo lucida, si risolve in un amaro pessimismo chiuso in se stesso: la vita, dopotutto, si risolve in una tragica beffa, nella quale gli esseri umani annaspano alla ricerca di un senso, forse anche di una redenzione, ma senza riuscire a trovarli.

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Al nichilismo della cultura moderna, esauriti tutti i suoi miti e bruciate tutte le sue illusioni, resta una sola cosa da fare: celebrare la commedia della propria apocalisse.


Alla modernità resta solo la commedia dellapocalisse

di Francesco Lamendola
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