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martedì 8 gennaio 2019

Lo sfacelo da lui provocato

Antonio Socci e “Il segreto di Benedetto XVI”



Per gentile concessione del prof. Roberto de Mattei, pubblichiamo la traduzione dall’inglese – da lui riveduta – della sua recensione (scritta per il Catholic Family News il 4 gennaio) al libro del giornalista Antonio Socci intitolato Il Segreto di Benedetto XVI. Perché è ancora papa. Per Socci l’insolita rinuncia al papato di Benedetto XVI e il suo “rimanere papa”, tramite il titolo di “papa emerito”, è una questione misteriosa, se non addirittura mistica; invece per il prof. de Mattei si tratta purtroppo di un altro “frutto” della resa al mondo intrapresa dal Vaticano II, per mezzo della nouvelle theologie di cui il teologo Joseph Ratzinger è sempre stato un convito esponente.

di Roberto de Mattei (04-01-2019)
«La Santa Madre Chiesa è dinanzi a una crisi senza precedenti in tutta la sua storia». Questa immagine del teologo Serafino M. Lanzetta, che apre l’ultimo libro di Antonio Socci, Il segreto di Benedetto XVI. Perché è ancora papa (Rizzoli, Milano 2018), invoglia alla lettura chiunque desidera capire meglio la natura della crisi e le possibili vie per uscirne.

Antonio Socci
Socci è un brillante giornalista che ha dedicato tre libri alle vicende della Chiesa sotto il pontificato di papa Francesco: Non è Francesco. La Chiesa nella grande tempesta (Rizzoli, Milano 2014), La profezia finale (Rizzoli, Milano 2016) ed ora Il segreto di Benedetto XVI.
Di questi tre libri, il migliore è il secondo soprattutto nella parte, accuratamente documentata, in cui sottopone a un meticoloso esame gli atti e le parole più controverse del primo triennio di governo di papa Francesco. Nel suo ultimo libro, invece, Socci sviluppa la tesi già proposta in Non è Francesco, secondo cui l’elezione di Jorge Mario Bergoglio è dubbia, e forse invalida e Benedetto XVI sarebbe ancora Papa, perché non avrebbe rinunciato del tutto al ministero petrino. La sua rinuncia al papato sarebbe stata “relativa” – scrive Socci – ed egli avrebbe inteso «rimanere ancora papa sia pure in un modo enigmatico e in una forma inedita, che non è stata spiegata (almeno fino a una certa data)»[1].
L’accettazione pacifica e universale di papa Francesco
Per quanto riguarda i dubbi sull’elezione del cardinale Bergoglio, al di là delle sottigliezze giuridiche, non c’è stato alcun cardinale, partecipante al Conclave del 2013, che abbia sollevato dubbi sulla validità di quell’elezione. Tutta la Chiesa ha accettato e riconosciuto Francesco come legittimo Papa e, secondo il diritto canonico, la pacifica “universalis ecclesiae adhaesio” (adesione della Chiesa universale) è segno ed effetto infallibile di un’elezione valida e di un papato legittimo. La professoressa Geraldina Boni in un approfondito studio dal titolo Sopra una rinuncia. La decisione di papa Benedetto XVI e il diritto[2], ricorda come le costituzioni canoniche in vigore, non considerano invalida un’elezione frutto di patteggiamenti, accordi, promesse od altri impegni di qualsiasi genere come la possibile pianificazione dell’elezione del cardinale Bergoglio.

Roberto de Mattei
Quanto scrive la prof.ssa Boni coincide con ciò che Robert Siscoe e John Salza osservano, sulla base dei più autorevoli teologi e canonisti: «… è dottrina comune della Chiesa che l’accettazione pacifica e universale di un Papa fornisce certezza infallibile della sua legittimità»[3].
Sul diritto di un Papa a dimettersi, non ci sono dubbi in proposito. Il nuovo Codice di Diritto canonico disciplina l’eventualità della rinuncia del Papa nel can. 332 § 2, con queste parole: «Nel caso che il Romano Pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non si richiede invece che qualcuno la accetti». La rinuncia di Benedetto XVI è stata libera e ritualmente manifestata. Se Benedetto XVI avesse subito pressioni avrebbe dovuto dirlo, o avrebbe almeno dovuto lasciarlo capire. Nelle sue Ultime conversazioni con Peter Seewald (Garzanti, Milano 2016), ha dichiarato invece il contrario, ribadendo che la sua decisione è stata pienamente libera, immune da ogni costrizione.
La moralità delle dimissioni di papa Benedetto
Il gesto di Benedetto XVI legittimo dal punto di vista teologico e canonico, appare però in assoluta discontinuità con la Tradizione e la prassi della Chiesa e perciò moralmente censurabile.  Infatti la rinuncia di un Papa è canonicamente possibile “propter necessitatem vel utilitatem Ecclesiae universalis” (nell’interesse della Chiesa universale), ma perché sia moralmente lecita ci deve essere una iusta causa, altrimenti l’atto, pur valido, sarebbe moralmente deplorevole e costituirebbe una colpa grave dinnanzi a Dio. Del tutto sproporzionata alla gravità del gesto appare la ragione esposta dallo stesso Benedetto XVI l’11 febbraio 2013: «Nel mondo di oggi, soggetto a rapidi mutamenti e agitato da questioni di grande rilevanza per la vita della fede, per governare la barca di Pietro e annunciare il Vangelo, è necessario anche il vigore sia del corpo, sia dell’animo, vigore che, negli ultimi mesi, in me è diminuito in modo tale da dover riconoscere la mia incapacità».

Benedetto XVI legge la dichiarazione di rinuncia al papato.
Socci conosce la dottrina canonica e commenta: «Siccome Benedetto XVI non indica motivi eccezionali, non potendo pensare che sia voluto “cadere in colpa grave”, i casi – escludendo la costrizione – sono due: o la sua non è una vera e propria rinuncia al papato o i motivi eccezionali non sono stati spiegati»[4].
Non si capisce come Socci escluda a priori la possibilità di una “colpa grave” di Benedetto XVI. Purtroppo proprio di questo si tratta. La decisione di papa Benedetto ha creato una situazione senza precedenti. Agli occhi del mondo si è trattato di una desacralizzazione del ministero petrino che viene considerato come un’azienda da cui il presidente può dimettersi in ragione dell’età e della debolezza fisica. Il prof. Gian Enrico Rusconi ha osservato che Benedetto XVI “con la sua decisione di dimettersi dice che non c’è nessuna particolare protezione dello Spirito Santo che può garantire la saldezza mentale e psicologica del Vicario di Cristo in terra, quando è insidiata dalla vecchiaia o dalla malattia” (Teologia laica. La rivoluzione di BenedettoLa Stampa del 12 febbraio 2013).
I Papi nella storia furono eletti sempre in tarda età e spesso in pessime condizioni fisiche, senza che la medicina del tempo potesse aiutarli, come è invece in grado di fare oggi. Eppure non rinunciarono mai ad esercitare la propria missione. Il benessere fisico non è mai stato un criterio di governo della Chiesa.
Esempi storici in contrasto
Il vecchio arcivescovo di Goa nelle Indie, infermo e afflitto da molte pene, aveva supplicato il Papa di liberarlo dalla sua carica. Ma Pio V gli rispose che come buon soldato doveva morire sul campo, e per infondergli coraggio gli ricordò le proprie sofferenze con queste parole: «Vi compatiamo fraternamente che sentiate, vecchio come siete, stanchezza per tante fatiche, in mezzo a tanti pericoli; ma ricordatevi che la tribolazione è la strada normale che conduce al Cielo, e che noi non dobbiamo abbandonare il posto assegnatoci dalla Provvidenza. Credete forse che anche noi, tra tante sollecitudini piene di responsabilità, non siamo talvolta stanchi di vivere? E che non desideriamo di ritornare al nostro primitivo stato, di semplice religioso? Non di meno siamo risoluti a non scuotere il nostro giogo, ma a portarlo coraggiosamente fin quando Dio ci chiamerà a sé. Rinunziate dunque a qualsiasi speranza di potere ritirarvi a vita più quieta…».

Il grande papa S. Pio V, fedele alla sua missione fino alla fine.
Il 10 settembre 1571, pochi giorni prima della battaglia di Lepanto, lo stesso san Pio V indirizzò al Gran Maestro dei Cavalieri di Malta Pietro del Monte una lettera commovente, nella quale, per far coraggio al vecchio comandante, scrive: «Voi saprete senza dubbio che la mia croce è più pesante della vostra, che mi mancano ormai le forze, e come siamo numerosi quelli che cercano di farmi soccombere, Io sarei certamente venuto meno e avrei già rinunziato alla mia dignità (cosa che ho pensato più di una volta), se non avessi amato meglio rimettermi interamente nelle mani del Maestro che ha detto: Chi vuole seguirmi rinneghi sé stesso».
L’abdicazione di Benedetto XVI non rivela il rinnegamento di sé stesso, espresso dalle parole di san Pio V, ma è manifesta piuttosto lo spirito rinunciatario degli uomini di Chiesa del nostro tempo: è la rinuncia a svolgere la più alta missione che un uomo può svolgere sulla terra: quella di governare la Chiesa di Cristo. È la fuga davanti ai lupi da parte di chi, nella sua prima omelia, il 24 aprile 2005, aveva detto: «Pregate per me, perché io non fugga, per paura, davanti ai lupi».
L’ultimo discorso pubblico di Benedetto XVI, un punto di discordia
Antonio Socci cita l’ultimo discorso ufficiale e pubblico del pontificato di Benedetto XVI, il 27 febbraio 2013, in cui ha parlato del suo ministero: «[…] La gravità della decisione è stata proprio anche nel fatto che da quel momento in poi ero impegnato sempre e per sempre dal Signore. […] Il “sempre” è anche un “per sempre” – non c’è più un ritornare nel privato. La mia decisione di rinunciare all’esercizio attivo del ministero, non revoca questo. […]».
«Un’espressione dirompente – commenta Socci – perché se Benedetto, con quell’atto, ha rinunciato solo “all’esercizio attivo del ministero”, significa che non intendeva rinunciare al ministero in sé” (…) Alla luce di quel suo ultimo discorso si comprende perché Joseph Ratzinger è rimasto nel “recinto di Pietro”, si firma tuttora Benedetto XVI, si definisce “papa emerito”, ha le insegne araldiche papali e continua a vestirsi da papa»[5].
Questa affermazione, presa alla lettera, come Socci la intende, è teologicamente erronea. Quando viene eletto, il Papa riceve l’ufficio di giurisdizione suprema, non un sacramento che porta l’impronta di un carattere indelebile. Il Papato non è una condizione spirituale o sacramentale, ma piuttosto un “ufficio”, o più precisamente un’istituzione.
Secondo l’ecclesiologia del Vaticano II, invece, la Chiesa è innanzitutto “sacramento” e deve essere spogliata della sua dimensione istituzionale. Ci si dimentica che se il Papa è uguale ad ogni vescovo per la sua consacrazione episcopale, egli è superiore ad ogni vescovo in ragione del suo ufficio che gli assicura una piena giurisdizione su tutti i vescovi del mondo, considerati sia singolarmente che nel loro insieme.
Violi e mons. Gänswein contribuiscono alla confusione
Socci si richiama anche al discutibile studio del prof. Stefano Violi La rinuncia di Benedetto XVI. Tra storia, diritto e coscienza (“Rivista Teologica di Lugano” i n. 2/2013, pp. 203-214), che introduce la distinzione tra l’”ufficio”, a cui Benedetto XVI avrebbe rinunciato, e il munus petrino, che continuerebbe a conservare.

Mons. Gänswein ha sostenuto l’assurda tesi del “pontificato allargato”.
Le bislacche tesi di Violi sembrano aver ispirato l’arcivescovo Georg Gänswein, segretario di Benedetto XVI, nel suo discorso tenuto il 20 maggio 2016 alla Pontificia Università Gregoriana, ha affermato: «[…] dall’11 febbraio 2013 il ministero papale non è più quello di prima. È e rimane il fondamento della Chiesa cattolica; e tuttavia è un fondamento che Benedetto XVI ha profondamente e durevolmente trasformato nel suo pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat)… […] Dall’elezione del suo successore Francesco il 13 marzo 2013 non vi sono dunque due papi, ma de facto un ministero allargato – con un membro attivo e un membro contemplativo. Per questo Benedetto XVI non ha rinunciato né al suo nome, né alla talare bianca. Per questo l’appellativo corretto con il quale rivolgerglisi ancora oggi è “Santità”; e per questo, inoltre, egli non si è ritirato in un monastero isolato, ma all’interno del Vaticano – come se avesse fatto solo un passo di lato per fare spazio al suo successore e a una nuova tappa nella storia del papato… […]».
Benedetto, sottolinea Socci, avrebbe rinunziato all’ufficio giuridico, ma continuerebbe di esercitare «l’essenza eminentemente spirituale del munus petrino»[6]. La sua rinuncia trasforma il ministero papale in un Ausnahmepontifikat (“pontificato di eccezione”) per usare il termine dello stesso mons. Gänswein.  «Benedetto XVI non aveva l’intenzione di abbandonare il papato e non ha revocato l’”accettazione di esso fatta nell’aprile 2005 (considerandola addirittura “irrevocabile”) dunque – a rigor di logica – è ancora papa»[7]. «Esiste obiettivamente un “stato d’eccezione”, anzi nell’espressione di monsignor Gänswein, un “pontificato d’eccezione”, che presuppone una situazione assolutamente eccezionale nella storia della Chiesa e del mondo»[8].
Tra le migliori opere che confutano questo tentativo di ridefinizione del Primato pontificio c’è un accurato saggio del cardinale Walter Brandmüller dal titolo Renuntiatio Papae. Alcune riflessioni storico-canonistiche[9]. La Tradizione e la prassi della Chiesa attestano con chiarezza – afferma il cardinale – che uno e solo uno è il Papa, e inscindibile nella sua unità è il suo potere. «La sostanza del Papato è così chiaramente definita dalla Sacra Scrittura e dalla Tradizione autentica, cosicché nessun Papa può essere autorizzato a ridefinire il suo ufficio». Se Benedetto XVI ritiene di essere davvero Papa, simultaneamente a Francesco, negherebbe la verità di fede per cui esiste un solo Vicario di Cristo e dovrebbe essere considerato eretico o sospetto di eresia.
D’altra parte, se il vero Papa fosse Benedetto e non Francesco, qualcuno dovrebbe constatarlo, e nessun vescovo o cardinale lo ha mai fatto. Le conseguenze sarebbero devastanti. Che cosa accadrebbe infatti alla morte di Benedetto XVI? Si dovrebbe tenere un conclave, mentre papa Francesco occupa ancora il soglio pontificio? E se Francesco fosse davvero un antipapa, alla sua morte chi eleggerebbe il vero Papa, dal momento che i cardinali da lui nominati in così grande numero dovrebbero essere considerati invalidi?
Socci non afferma né che esistano due Papi, né che Francesco sia un antipapa, ma tra i cattolici c’è molta confusione in merito e se il nostro autore, da buon giornalista, vuole sollevare un problema, piuttosto che affermare una tesi teologica, c’è da chiedersi se il suo libro contribuisca a fare chiarezza o non rischi di aumentare la confusione, soprattutto nelle ultime pagine della sua opera.
Le dimissioni di Benedetto: una missione mistica?
Per Socci la rinuncia al pontificato di Benedetto XVI deve essere interpretata come una scelta mistica. «Siamo davanti a una vera e propria chiamata da parte di Dio. La chiamata a una missione»[10]. Di quale missione si tratta? «Benedetto non abbandona il gregge in pericolo. È in preghiera nel suo eremitaggio a intercedere per la Chiesa e per il mondo e il suo conforto e il suo insegnamento illuminante arrivano per mille rivoli»[11]. La figura silenziosa di Benedetto sarebbe una “presenza” nel recinto di Pietro che scongiura gli scismi e le divisioni, che frena l’avanzata della Rivoluzione e assicura la pace nel mondo.

Ratzinger non può fare altro che assistere sorridente allo sfacelo che lui stesso ha provocato…
La missione “mistica” di Benedetto XVI è dunque una missione politica, che Socci così descrive, a conclusione del suo: libro: «Ecco che qui si vede la grandezza del disegno di Benedetto XVI: in un momento storico folle, in cui l’Occidente, sempre più scristianizzato, ha assurdamente respinto e aggredito la Russia (questa Russia finalmente libera e tornata cristiana) e ha cercato di emarginarla, riconsegnandola all’isolamento asiatico o all’abbraccio della Cina comunista, il dialogo che il Papa aveva intrapreso con la Chiesa ortodossa russa puntava a realizzare il sogno di Giovanni Paolo II: un’Europa di popoli uniti dalle loro radici cristiane dall’Atlantico agli Urali»[12].
Il misticismo che Socci attribuisce a Benedetto XVI sembra però una fantasiosa suggestione letterario dell’autore, che nel suo libro trascura il grande dibattito teologico tra modernismo e antimodernismo, così come ignora il Concilio Vaticano II e le sue drammatiche conseguenze. Il Papato viene spogliato della sua dimensione istituzionale e “personalizzato”. Giovanni Paolo II e Benedetto XVI incarnano il “bene”, Francesco è l’espressione del “male”. In realtà tra Francesco e i suoi predecessori il rapporto è molto più stretto di quanto Socci possa immaginare, se non altro perché è stata proprio la improvvida rinuncia di Benedetto XVI a spianare la strada al cardinale Bergoglio.
Le ultime fotografie di Benedetto XVI mostrano un uomo sfinito, costretto dalla Divina Provvidenza ad assistere allo sfacelo da lui provocato. Jorge Mario Bergoglio, lo sconfitto nel conclave del 2005 è divenuto il vincitore nel conclave del 2013 e Benedetto XVI, il vincitore del precedente conclave, emerge dalla storia come il grande sconfitto.
Stimo Antonio Socci per la sua autentica fede cattolica e per la sua indipendenza di pensiero. Condivido il suo severo giudizio su papa Francesco. Ma la rinuncia di Benedetto XVI, che per lui è la scelta di una missione, per me è il simbolo di una resa della Chiesa al mondo.
NOTE
[1] Antonio Socci, Il segreto di Benedetto XVI, Rizzoli, Milano 2018, p. 82.
[2] Geraldina Boni, Sopra una rinuncia. La decisione di papa Benedetto XVI e il diritto (Bononia University Press, Bologna 2015).
[3] Robert Siscoe e JohnSalza, “Is Francis or Benedict the True Pope?” (two-part series), in “Catholic Family News”, Sept-Oct. 2016 (available online here).
[4] A. Socci, op. cit., pp. 101-102.
[5] Ibid, p. 83.
[6] Ibid., p. 106.
[7] Ibid., p. 121.
[8] Ibid., pp. 149-150.
[9] Card. Walter Brandmüller, Renuntiatio Papae. Alcune riflessioni storico-canonistiche, in “Archivio Giuridico”, 3-4 (2016), p. 660 (pp. 655- 674).
[10] Ibid., p. 144.
[11] Ibid., p. 163.
[12] Ibid., p. 199.

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