ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

martedì 8 gennaio 2019

Mo se Magna!

Serve una Chiesa moderna





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NAPOLI, INDEGNO PRANZO IN DUOMO
Eminenza, una prosciutto e funghi basta per l'Aldilà?

Ci presenteremo davanti a San Pietro con il tovagliolo al collo: “Ci siamo fatti una pizza, facci entrare”. Una prosciutto e funghi per l’Aldilà. Basterà? Lo chiediamo a sua eminenza il cardinale Sepe dopo l'indegno pranzo per i poveri a Napoli in Duomo. Che non è il tinello di casa e non è proprietà diretta di un vescovo che spaccia per Magistero quella che è una spacconata degna del miglior Mario Merola. 



   Il cardinal Sepe serve il pranzo in Cattedrale per il terzo anno consecutivo

Ci presenteremo davanti a San Pietro per la nostra destinazione eterna con il tovagliolo ancora allacciato sul collo e non dovremo fare altro che dire: “Ci siamo fatti una pizza, facci entrare”. Una prosciutto e funghi per l’Aldilà. Basterà? Lo chiediamo a sua eminenza il cardinale Crescenzio Sepe, che ci ha deliziato il 28 dicembre scorso con la terza edizione della pizzata in Cattedrale a Napoli, ennesimo appuntamento godereccio nella navata centrale sotto lo sguardo severo e poco “ammuinante” dei predecessori dell’attuale vescovo partenopeo. I quali, nella città del presepio e del cantanapoli perenne, del simmè napule paisà e della sceneggiata permanente mai e poi mai si sarebbero sognati di infilarsi un grembiule rosso per servire pizze e mozzarelle occupando la Cattedrale con la scusa dei poveri.

La ormai becera e un po’ cialtrona scusa dei poveri perché alle sceneggiate in favor di telecamera per aiutare gli indigenti il Vangelo notoriamente preferisce il nascondimento della destra che non sa cosa faccia la sinistra. Figuriamoci mettersi a servire a mo’ di cameriere di sagra paesana piatti e vivande sotto le volte di quello che per tutti gli altri giorni dell’anno è un tempio sacro, nel quale si compie il mirabile sacrificio dell’altare che non merita di essere lordato per un pranzo vergognoso.

Lo chiediamo a Sepe, che, giunto al terzo anno consecutivo della sua pagliacciata, dovrebbe essersi reso conto di quanto terribilmente mondano sia il suo servire falsamente evangelico i poveri. I quali hanno bisogno come tutti noi di un pane ben diverso da servire sotto le volte seicentesche del Duomo e, esattamente come tutti gli altri per riempire la pancia si accontentano di un tetto dignitoso e null’altro. Non serve a nessuno per la propria edificazione spirituale che un vescovo utilizzi un tesoro che è di tutti - di-tut-ti! - come il tinello di casa, umiliandolo e spacciando come magistero episcopale una voglietta di bontà che invece altro che non è che una spacconata degna del miglior Mario Merola. 

No, non ci siamo. E spiace che un vescovo come Sepe non si sia accorto di quanto il suo “evento” benefico sia strumentalizzato da un indotto della bontà che fa raccapriccio. Perché tutto in quel pranzo è finto e costruito: il pizzaiolo “donatore”, il ristoratore che offre i tavoli, la servitù, i giornali che pubblicano le fotografie scoppiettanti, persino il gruppo musicale di negretti che canta sul presbiterio una canzone che non ha nulla a che vedere con la tammurriata nera che almeno avrebbe concesso un po’ di squisita napoletanità alla cosa. E per giunta un invasato che gira con la telecamera della diretta Facebook e non la smette di meravigliarsi per l’evento grandioso al quale sta assistendo. Che pacco napoletano servito freddo per una Chiesa che assomiglia sempre più ad una pro loco che deve stupire e rallegrare la pancia.

Nulla sembra fermare questa deriva verso l’abisso del conformismo. Né le pur tante denunce della nostra campagna #salviamolechiese, né i tanti casi denunciati dalla Nuova BQ sull’uso indegno che decine e decine di chiese dismesse al culto devono subire proprio sotto il Vesuvio per accontentare le brame di improvvisati benefattori che usano la casa del Signore per i propri scopi di promozione socio culturale incassando laute mance da una borghesia annoiata alla quale non si può neppure più rimproverare di non cercare il sacro, dato che del sacro fa strame il più alto in grado rappresentante della gerarchia ecclesiastica partenopea.

Che si mischia così con il mondo in un intreccio tanto ambiguo che ai poveri, quelli che cercano Dio con cuore sincero non digeriscono neppure con qualche pranzetto natalizio. Perché a loro non serve di essere sbandierati come un trofeo di caccia per solleticare il protagonismo di certi ecclesiasti. Verrà giorno che dovranno anche loro rendere conto di come hanno amministrato le cose sacre. E quel giorno non basterà giustificarsi dicendo che comunque la Cattedrale di Napoli vive tutto l’anno di messe e funzioni religiose, compreso il bacio alla sacra ampolla del santo Gennaro.

Metti mai che anche solo una di quelle Sante Messe dovesse fare davvero notizia e occupare la prima pagina del Mattino. Invece no, eminenza, non le sorge il sospetto che se a finire sul giornale è la sua faccia compiaciuta con grembiule rosso e pizza in mano e non – puta caso – una qualunque sua omelia, forse il problema sta proprio qui? Nel fatto che ormai a fare notizia è solo il pranzo in chiesa, ultimo tentativo di risultare attrattivi e accettati da un mondo che detta le sue regole. In fondo, un pranzo per i poveri in un salone delle feste che notizia sarebbe? Anche i pagani lo sanno fare. Invece - con tronfia grandeur sembra dirci l’ennesimo banchetto – ecco qui servita la cena nel cuore sacro della città. E adesso stupitevi popolo bue, inginocchiatevi di fronte a tanta magnificenza che dimentica che quel luogo resta un sacrario inviolabile alle nostre furberie.

“Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo. Essi sono del mondo, perciò insegnano cose del mondo e il mondo li ascolta”, ci ha ricordato la prima lettura di ieri. Infatti il mondo, rappresentato dalla stampa questo ha ascoltato e questo ha messo in pagina, non certo quello che ci si aspetta che debba fare e ricordare un vescovo: rendere gloria a Dio solo e distinguere lo spirito di verità dallo spirito dell’errore.

A nulla serve poi vedere e toccare con mano l’indignazione dei tanti semplici fedeli che di fronte a questo scempio da mercanti nel tempio soffre e lamenta una ferita che i vescovi non vogliono vedere. Loro sono i rigidi, sono quelli che hanno il cuore duro, sono i formalisti che credono ancora che una chiesa debba servire solo a pregare. Eppure basterebbe fermarsi un attimo a interrogarsi sul perché tanti fedeli sono scandalizzati. Non è questo forse il primo aspetto da considerare? Se tutto questo crea scandalo nei fedeli perché continuare? Che cosa regalerete ai poveretti che avete istruito con questi banchetti? “Avete avuto i vostri friarielli e adesso andatevene”. Servirà per mettervi a posto la coscienza, ma non per risultare credibili ai loro occhi, alla loro pancia e soprattutto alla loro anima, che continuerà a reclamare anche il giorno dopo la vostra pagliacciata.

Andrea Zambrano
http://www.lanuovabq.it/it/eminenza-una-prosciutto-e-funghi-basta-per-laldila

LA MENSA, E LA MESSE. UNA RIFLESSIONE DI GIORGIO SPALLONE.

8 Gennaio 2019 Pubblicato da  13 Commenti --
Marco Tosatti
Ormai è diventata una moda. Per Natale in tutta Italia chiese e cattedrali sono diventate luoghi in cui si mangia e si beve. La punta di lancia di questo uso – certamente singolare, per molti improprio, per alcuni quasi blasfemo – dei luoghi dedicati istituzionalmente al culto di Dio e alla preghiera è la Comunità di Sant’Egidio che ormai da anni compie questo genere di cerimonie, a Roma e altrove. Devo dire che un’operazione del genere, compiuta da un’istituzione – la Chiesa cattolica – titolare in maniera diretta e indiretta di un patrimonio immobiliare estremamente vasto e differenziato – sa molto di demagogia. Non riesco a credere che i vescovi e i parroci non riescano a trovare altri posti che non siano le chiese per offrire pranzi natalizi. Con seminari e conventi vuoti o semivuoti proprio in Chiesa bisogna finire a tagliatelle, lambrusco e panettone? Ma dai…Certo non è qualche cosa che potrebbe accadere nel mondo del cristianesimo ortodosso, o dell’ebraismo, o neanche credo nell’islam. Su questo tema Stilum Curiae è lieto di ospitare una riflessione di Giorgio Spallone. 
La mensa e la messe.
In questi giorni apprendiamo di Chiese, un po’ in tutta la penisola, adibite a mense e luoghi per concerti di musica varia. Contemporaneamente i Vescovi hanno in agenda il tema della destinazione delle Chiese in via di dismissione e della chiusura, per accorpamento, di parrocchie. Il tutto quando, già da anni, molti parroci, spesso non più giovani e specie in zone rurali e di montagna, vivono, in solitudine, un sovraccarico dell’indispensabile servizio di celebrazione dei sacramenti presso le molteplici comunità cristiane loro affidate. Non si vuole qui una valutazione, pur problematica, di ciò che accade, ma un tentativo di esame della causa, che risiede nell’ormai cronica e, quanto all’Europa, endemica carenza di preti e desertificazione dei seminari per mancanza di vocazioni. Su questo tema assistiamo da parte della gerarchia ecclesiastica ad una rassegnata presa d’atto, accompagnata da un silenzio impotente. Si dirà che il contesto sociale è cambiato rispetto al passato; ma Dio, per i credenti, continua a chiamare, come sempre, nel corso dei secoli. Il problema di adulti, Pastori e laici cristiani, è il non saper più fornire ai giovani le condizioni per l’ascolto. Non sarà forse che la scelta socialmente più controcorrente e sovversiva non viene più percepita dai giovani come tale, a motivo della progressiva omologazione della figura del prete a qualunque altro lavoro o professione mondana? Come può un giovane lasciar attecchire e crescere il desiderio di spendere integralmente la propria vita per il Vangelo se non vede intorno paradigmi alti di distinzione dal mondo, ma all’opposto una rincorsa della Chiesa verso le cose del mondo? Rincorsa naturalmente perdente, nel cui affanno scolorisce l’imprescindibile spiritualità verticale e visione soprannaturale. Su questo i cristiani, per primi i Pastori, devono interrogarsi, fissando una realtà gravida di pericoli, senza miopi rinvii e colpevoli fatalismi. Se è certo, infatti, che Colui che della Chiesa è il fondamento ne è al contempo garante, anche per noi, uomini di questo tempo, vale la domanda: “Quando il Figlio dell’uomo ritornerà, troverà ancora la fede sulla terra?”
Giorgio Spallone

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