ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 1 febbraio 2019

Il “papulismo” di Bergoglio

“Camerata” Bergoglio




C’era una volta in Argentina un gesuita, Jorge Mario Bergoglio, che era schierato contro la teologia della liberazione, vicina al castrismo e negli anni ’70 aderì alla Guardia de Hierro, un’organizzazione peronista, di stampo nazionalista, cattolica, ferocemente anticomunista. In quegli anni a chi gli faceva notare che l’organizzazione a cui aderiva si richiamasse alla Guardia di Ferro, il movimento romeno del Comandante Corneliu Zelea Codreanu, nazionalista e fascista, Bergoglio replicava “Meglio così”. Della sua vicinanza alla Guardia de Hierro ne parlò dopo la sua elezione il quotidiano argentino Clarin, mentre a Buenos Aires apparivano manifesti che ricordavano Bergoglio peronista. Per la cronaca, la Guardia di Ferroera un movimento di legionari, molto popolare in Romania negli anni trenta, ritenuto antisemita e filonazista, di cui si innamorarono in molti, non solo in Romania. Uno di questi fu Indro Montanelli che pubblicò sul Corriere della sera una serie di entusiastici reportage pieni di ammirazione per Codreanu, nell’estate del 1940, a guerra inoltrata, smentendo la sua tesi postuma che dopo il ’38 si fosse già convertito all’antifascismo. Testi ripubblicati di recente, Da inviato di guerra (ed. Ar). Evidentemente anche nell’Argentina dei Peron il mito di Codreanu, barbaramente assassinato, e del suo integralismo cristiano, aveva proseliti. Nel ’74, dopo la morte di Peron, il movimento legionario si sciolse. Era un gruppo di 3500 militanti e 15mila attivisti. Si opponevano ai guerriglieri di sinistra peronisti infiltrati dai castristi, seguaci di Che Guevara; loro erano, per così dire, l’ala di estrema destra del giustizialismo. Il gruppo della Guardia de Hierro era stato fondato da Alejandro Gallego Alvarez. Era un movimento che teneva molto alla formazione culturale dei suoi militanti e alla presenza tra i diseredati e gli ultimi.

A Bergoglio fu poi affidata un’istituzione in difficoltà, l’Università del Salvador. Bergoglio la risanò e l’affidò a due ex-camerati della Guardia de Hierro, Francisco José Pinon e Walter Romero. In quegli anni Bergoglio era avversario dichiarato dei gesuiti di sinistra da posizioni nazionaliste e populiste. La sua avversione alla teologia della liberazione gli procurò l’accusa di omertà da parte del premio Nobel Perez Esqivel e poi di collaborazionismo con la dittatura dei generali argentini, dal 1976 a 1983. Lo storico Osvaldo Bayer dichiarò ai giornali “Per noi è un’amara sconfitta che Bergoglio sia diventato papa” e Orlando Yorio, uno dei gesuiti filocastristi catturato e torturato dai servizi segreti del regime militare, accuserà: “Bergoglio non ci avvisò mai del pericolo che correvamo. Sono sicuro che egli stesso dette ai marinai la lista coi nostri nomi”. Solo dopo la caduta della dittatura militare Bergoglio iniziò a prendere le distanze dal peronismo nazionalista.
Ho tratto fedelmente questa ricostruzione dalle pagine del libro di Emidio NoviLa riscossa populista, appena uscito per le edizioni Controcorrente (pp.286, 20 euro). Novi sostiene che la deriva progressista e mondialista di Francesco nasca da questo passato rimosso. Secondo Novi “Papa Bergoglio vuol farsi perdonare il suo passato “fascista” durato fino al 1980”. Per questo non perde occasione di compiacere il politically correct, il partito progressista dell’accoglienza, l’antinazionalismo radicale. Novi, giornalista di lungo corso e senatore di Forza Italia, è morto lo scorso 24 agosto investito da un camion della nettezza urbana in retromarcia mentre era al suo paese natale, S.Agata di Puglia. Il suo libro è uscito postumo, con una prefazione di Amedeo Laboccetta e a cura di suo figlio Vittorio Alfredo. Novi si definiva populista già decenni prima che sorgesse in Italia l’onda populista. Era populista al cubo, perché proveniva dall’ala più “movimentista” dell’Msi ispirata dal fascismo sociale: poi perché proveniva dal sud e da Napoli, ed era un interprete genuino dell’antico populismo meridionale, a cavallo tra la rivolta popolana e la nostalgia borbonica; e infine era populista perché considerava l’oligarchia finanziaria, la dittatura dei banchieri e degli eurocrati, il nemico principale dei popoli nel presente. Perciò amava definirsi nazionalpopulista, e sovranista ante litteram.
In questo suo ultimo libro Novi si occupa in più pagine del “papulismo” di Bergoglio, della sua teologia “improvvisata e arruffona”, della sua resa all’Islam, della sua ossessione migrazionista fino a definire Gesù, la Madonna e San Giuseppe come una famiglia di immigrati clandestini in fuga. Lo reputa “uno strumento dell’anticristo”, funzionale sia al progressismo radical dell’accoglienza che al mondialismo laicista della finanza, mescolando il vecchio terzomondismo, l’internazionalismo socialista con il disegno global che ci vuole nomadi, senza radici, senza patria e senza frontiere.
Ma del suo passato argentino, al tempo di Peron, del giustizialismo e poi della dittatura militare, Bergoglio preferisce non parlare. Anche gli estroversi a volte tacciono.
MV, La Verità 31 gennaio 2019
http://www.marcelloveneziani.com/articoli/camerata-bergoglio/

IL PAPA, I GIOVANI CHE SE NE VANNO, IL SILENZIO SU VIGANÒ. TRONCARE, SOPIRE, SOPIRE, TRONCARE…



Domanda al Papa sui giovani, sui “tanti ragazzi che si allontanano dalla Chiesa, o che trovano difficoltà. Secondo lei, quali sono i motivi che li allontanano dalla Chiesa?”. Fatta sull’aereo che tornava da Panama. Ecco la risposta.

“Sono tanti! Alcuni sono personali, ma i più generali! Il primo credo che sia la mancanza di testimonianza dei cristiani, dei preti, dei vescovi, non dico dei Papi perché è troppo… ma anche pure! La mancanza di testimonianza! Se un pastore fa l’imprenditore o l’organizzatore di un piano pastorale, o se un pastore non è vicino alla gente, questo pastore non dà testimonianza. Il pastore deve essere con la gente, deve essere davanti al gregge, per marcare il cammino, in mezzo al gregge, per sentire l’odore della gente, e capire cosa sente la gente, di quale cosa ha bisogno, come sente, e dietro al gregge per custodire la retroguardia. Ma se un pastore non vive con passione, la gente si sente abbandonata, orfana. Oltre ai pastori anche i cristiani, i cattolici ipocriti, che vanno tutte le domeniche a messa e poi non pagano la tredicesima, pagano in nero, sfruttano la gente, poi vanno ai Caraibi a fare le vacanze. ‘Ma io sono cattolico, vado tutte le domeniche a messa!’. Se tu fai questo dai una contro testimonianza. È questo ciò che più allontana la gente dalla Chiesa. Io direi: non dire che sei un cattolico, se non dai testimonianza. Dì: ‘Io sono di educazione cattolica ma sono tiepido, sono mondano, non guardate a me come modello’. Io ho paura dei cattolici così eh? Che si credono perfetti! Ma la storia si ripete, lo stesso Gesù coi dottori della legge, no? ‘Ti ringrazio Signore perché non sono come questo… povero peccatore…’. Questa è la mancanza di testimonianza”.
Queste le parole del Pontefice sull’abbandono della Chiesa. Parole certamente giuste. Ma ci sembra che oltre alla testimonianza, alla vicinanza del Pastore – a ogni livello – alla gente, e all’ipocrisia dei cattolici (poteva mancare? Di quelli che vanno a messa, ovviamente…di quelli che dicono di essere cattolici e promuovono l’aborto fino al nono mese neanche un cenno) io vorrei aggiungere qualche cosa.
Il 26 agosto scorso è stata resa pubblica la testimonianza dell’arcivescovo Viganò, che chiamava in causa direttamente e a faccia aperta il Pontefice. Chiedeva ragione del suo comportamento, e cioè del perché aveva favorito e liberato dalle restrizioni imposte da Benedetto un cardinale abusatore seriale, Theodore McCarrick. Usandolo come suo inviato in diverse parti del mondo, e come consigliere nella gestione della politica della Chiesa in USA. Promuovendo – è un fatto – persone legate a McCarrick e al suo gruppo. Un fatto che sta avvenendo ancora adesso.
Il Pontefice non ha risposto. Anzi: ha detto che non avrebbe detto una parola. Questo silenzio, il rifiuto di dire: è vero, non è vero; ho sbagliato, non ho capito; è un colpo molto grave alla sua credibilità. E così molte persone, cattoliche e non, hanno pensato. Quanto danno fa, a se stesso e alla Chiesa, un Pastore che non risponde, non offre chiarezza e si affida all’attacco e alla denigrazione personali per non dare risposte? Quanto ne è intaccata la  fiducia che si può avere in lui?
E non basta la compiacenza dei mass media a salvarlo. Nella conferenza stampa di ritorno da Panama non gli è stata posta nessuna domanda su questo punto. Nessuno ha avuto il coraggio di dire: Santità, lei il 26 agosto ci ha detto di leggere quello che affermava mons. Viganò, e di farci un’idea. Abbiamo letto. Ma lei che cosa ci dice? È vero, o mons. Viganò mente? Ed egualmente non è stata fatta nemmeno una domanda sul fatto che un certo vescovo argentino ha trovato rifugio – e un posto importante in Vaticano, creato apposta per lui – a dispetto del fatto che molteplici testimonianze indichino che il Vaticano era stato informato dei suoi, diciamo così, difettucci nei confronti dei seminaristi.  Ma in questo, come in altri casi, da parte del vertice manca un elemento che le persone apprezzano forse più di ogni altro, in chi chiede fiducia, in chi predica, in chi dovrebbe esercitare un’autorità morale: la chiarezza. Invece purtroppo c’è l’impressione, ancora una volta, del “troncare, sopire…sopire troncare”. Lasciare cadere le domande drammatiche a volte, a volte semplicemente imbarazzanti, nel silenzio. Confidando nell’oblio. Ma ciò non crea né fiducia né attrazione. Non scalda nessun cuore, non ti porta a dire: di lui mi fido.


Marco Tosatti


Oggi è il 153° giorno in cui il pontefice regnante non ha, ancora, risposto.
Quando ha saputo che McCarrick era un un uomo perverso, un predatore omosessuale seriale?
È vero o non è vero che mons. Viganò l’ha avvertita il 23 giugno 2013?
Joseph Fessio, sj: “Sia un uomo. Si alzi in piedi, e risponda”.
1 Febbraio 2019 Pubblicato da  10 Commenti --

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