Il vescovo Athanasius Schneider, saggista, nato in Kirghizistan da genitori di origini tedesche, dal 5 febbraio 2011 vescovo ausiliare di Maria Santissima in Astana, capitale del Kazakistan, ha recentemente pubblicato un saggio in cui considera e rifiuta la possibilità dell’opinione teologica secondo la quale la Chiesa potrebbe deporre un papa eretico.
Tanta è la confusione sotto il cielo, ma alcuni con molta, anzi, con troppa facilità si spingono a parlare di eresia. Sarebbe il caso che leggessero questa intervista che propongo, quale contributo ad una seria riflessione in materia.
In questa intervista con Diane Montagna di LifeSite, il vescovo Schneider approfondisce alcune questioni che sono sorte in risposta al suo saggio: l’autorità di quei teologi con cui non è d’accordo, lo spazio di dibattito su questa questione e gli abusi che sono sorti dall’inizio del secolo scorso da una visione esagerata dell’autorità papale.
Ecco l’intervista, nella mia traduzione.
LifeSite: Eccellenza, può riassumere in poche parole la posizione che ha esposto nel suo saggio sulla questione di un papa eretico?
Vescovo Schneider: L’idea principale del saggio è la seguente: Un papa non può essere deposto da nessuno e non può perdere il suo ufficio ipso facto per qualsiasi motivo. La Chiesa osserva questa verità da duemila anni e non è mai accaduto che un papa sia stato deposto per eresia o che il suo pontificato sia stato dichiarato invalido per eresia. Nessuna ragione, anche se proposta da un santo o da un teologo famoso – che tuttavia rimane solo un’opinione e non una dottrina della Chiesa – giustifica una violazione di questa incrollabile e costante tradizione. Introdurrebbe la novità rivoluzionaria di dichiarare un papa deposto o la perdita del suo ufficio per eresia.
L’altra idea principale è quella di proporre una procedura canonica concreta che potrebbe essere eseguita nel caso di un papa eretico o semieretico – una procedura che non sarà in contraddizione con la costituzione divina della Chiesa. Questa proposta è intesa solo come impulso e contributo ad un ulteriore dibattito teologico e canonico.
L’altra intenzione rilevante del saggio è quella di far conoscere il già vecchio di secoli errato e malsano stato di papa-centrismo o papolatria, cioè il fenomeno di un concetto esagerato di autorità papale nella vita della Chiesa, che rappresenta in qualche misura una caricatura del ministero papale. Fa del papa il punto focale onnipresente della vita quotidiana della Chiesa su scala mondiale e insinua che un papa non può mai commettere errori. Si stabilisce così un nuovo tipo di infallibilità totale del Papa, che inconsapevolmente trasforma il Papa in una sorta di semidio. Tale fenomeno è estraneo alla sana tradizione degli Apostoli e dei Padri della Chiesa. È davvero tempo di suonare un grido d’allarme a questo proposito.
Perché ha deciso di pubblicare questo saggio ora?
In tempi recenti, ci sono state discussioni sulla teoria o opinione su un papa eretico su Internet e su altri media. Ho ricevuto lettere da molte persone, anche da teologi seri, che vogliono discutere la questione e conoscere il mio approccio ad essa.
Ho notato che in una certa misura c’era una mancanza di chiarezza di pensiero, una tendenza a basare il ragionamento sull’emozione, e sono state proposte soluzioni che nelle loro conseguenze finali contengono i pericolosi principi del sedevacantismo e del conciliarismo.
L’opinione che un papa eretico può essere deposto o perdere il suo ufficio ipso facto a causa dell’eresia è in definitiva in contraddizione con la costituzione divina della Chiesa, che dice che il potere dato al papa viene direttamente da Dio e non dalla Chiesa, cioè non da un’istituzione ecclesiastica (collegio cardinalizio o concilio). In tempi di diffusa confusione dottrinale e di una crisi senza precedenti nei confronti del magistero papale, si rischia di perdere la calma emotiva e la chiarezza e la sobrietà intellettuale – qualità indispensabili per trovare in modo sicuro la via d’uscita dalla crisi – in mezzo al rumore di un numero crescente di voci sempre più forti e discordanti.
Qual è la massima autorità nella tradizione che concorda esplicitamente con la sua posizione?
Per me la massima autorità è la costante Tradizione della Chiesa, che non ha mai insegnato ufficialmente che un papa può essere legittimamente deposto per qualsiasi ragione, e che non ha mai effettuato una tale deposizione nella pratica. A proposito di una cosiddetta papolatria e di un centrismo papale esasperato, è ancora una volta la sana e sicura Tradizione dei Padri della Chiesa e dei papi del primo millennio che la contraddice.
Pensa che un cattolico in regola possa ritenere che un concilio ecumenico o i cardinali possano far sì che un papa sia deposto, anche se lei personalmente ritiene che questa opinione sia falsa? In altre parole, è una questione aperta al legittimo dibattito tra teologi cattolici?
Poiché la suprema autorità della Chiesa, cioè il Magistero pontificio o il Magistero di un Concilio ecumenico, non ha ancora emanato insegnamenti pertinenti o norme vincolanti su come la Chiesa dovrebbe trattare un papa che diffonde eresie o semieresie, rimane la possibilità di un legittimo dibattito tra i teologi cattolici.
Cosa direbbe a chi ritiene che l’autorità di Caetani, Suarez, Giovanni di San Tommaso e Bellarmino sia così grande che non ha senso che qualcuno faccia valere la sua autorità sulla loro?
Con il mio saggio non intendevo imporre la mia opinione a nessuno. La mia intenzione era di dare un impulso e di offrire un contributo ad un serio dibattito su questo tema concreto. L’autorità anche di rinomati teologi è comunque un’opinione. Le loro opinioni non rappresentano la voce del magistero – e certamente non la voce del magistero costante e universale della Chiesa.
Come ho accennato nel mio saggio, c’erano noti teologi che, per molto tempo, hanno insegnato un’opinione oggettivamente errata sulla questione del sacramento dell’Ordine, cioè che la questione di questo sacramento era la consegna degli strumenti, opinione che era assente durante tutto il primo millennio. La consegna degli strumenti non è stata praticata durante il primo millennio in tutta la Chiesa d’Oriente e d’Occidente.
I suddetti teologi non presentano la prova dell’universalità e dell’antichità di tutta la Chiesa, che è necessaria in una questione così importante.
Ritiene che l’affermazione di Bellarmino 0secondo cui Dio non permetterà a un papa di essere un eretico formale sia solo una pia opinione o un’opinione teologica errata?
Dobbiamo considerare il fatto che, ai tempi di san Roberto Bellarmino, c’era ancora un dibattito teologico in corso sui limiti concreti e sulle modalità di esercizio del carisma dell’infallibilità nel Magistero pontificio. Sono incline ad ipotizzare che san Roberto Bellarmino pensasse che il Papa non potesse pronunciare un’eresia formale quando insegnava in maniera definitiva o, usando la terminologia del Concilio Vaticano I, quando insegnava “ex cathedra”.
I passi pratici che lei propone sottolineano il lavoro di persone che potrebbero correggere un papa, ma anche l’idea che un gruppo di vescovi lo faccia collettivamente. È la stessa idea classica domenicana di un “concilio imperfetto” di vescovi che potrebbe indagare sulle accuse di eresia papale?
Respingo categoricamente l’idea di un cosiddetto “concilio imperfetto” dei vescovi. Il termine in sé è teologicamente contraddittorio e rappresenta essenzialmente l’eresia del “conciliarismo” o “sinodalità” alla maniera delle chiese ortodosse.
L’idea di un organo della Chiesa che eserciterebbe il ruolo di giudice istruttore e giudicherebbe il Papa, che è il capo visibile della Chiesa, contraddice la costituzione divina della Chiesa. Alla fine, questo è il metodo utilizzato dalla Chiesa ortodossa. Questo approccio fu la radice più profonda del Grande Scisma d’Oriente del 1054 tra la Chiesa greca e la Santa Sede. All’epoca, il patriarca di Costantinopoli, insieme al suo sinodo, indagò in una sorta di “concilio imperfetto”, con accuse di presunte eresie papali.
La mia proposta di dare una correzione al Papa corrisponde all’esempio di san Paolo nella sua correzione del primo Papa, san Pietro, e non rappresenta un giudizio sul Papa. C’è una sottile ma cruciale differenza tra una correzione – una correzione fraterna – anche in forma pubblica, e l’atto di un giudice istruttore e che pronuncia un verdetto.
La correzione che ho in mente potrebbe essere espressa anche da un gruppo di vescovi, ma non come gruppo formalmente costituito. Si tratterebbe piuttosto di raccogliere il loro consenso individuale sul fatto dell’eresia o semeresie di un papa – di mettere insieme poi le loro firme e di incaricare uno di loro di trasmettere la correzione al papa. Non si tratta di un’indagine giudiziaria del papa, ma di una verifica di un fatto ovvio. In sostanza, tale correzione avrebbe lo stesso significato della correzione di San Paolo di San Pietro. Tuttavia, in questo caso, sarebbe fatta in modo collettivo da un gruppo di cardinali o vescovi, o addirittura di fedeli.
Lei direbbe che la domanda è quanto meno abbastanza dubbia da far pensare che sarebbe avventato e gravemente imprudente tentare di deporre un papa eretico?
Sarebbe in contraddizione con la costituzione divina della Chiesa e, sul piano pratico, creerebbe inevitabilmente un’enorme confusione, come accadde durante il Grande Scisma alla fine del XIV e l’inizio del XV secolo. Dobbiamo imparare dalla storia.
Quanto è importante che un concilio ecumenico condanni in maniera postuma un papa eretico?
Abbiamo già l’esempio di tre Concili ecumenici, che hanno condannato dopo la morte Papa Onorio I. Questo è sicuramente importante, e la Chiesa deve fermare la diffusione di eresie o insegnamenti erronei e ambigui che un papa eretico, semieretico o molto negligente ha lasciato alle sue spalle dopo la sua morte. Infatti, la Chiesa non ha mai tollerato per un lungo periodo di tempo l’esistenza e la diffusione di eresie o ambiguità dottrinali. Allo stesso modo, una buona madre non tollererà cibi dannosi per i suoi figli, e un buon medico non tollererà la diffusione di malattie infettive. Eresie e dottrine ambigue nella vita della Chiesa non sono altro che cibo nocivo e malattie infettive.
Lei solleva la questione di come un concetto gonfiato di autorità papale abbia incoraggiato le novità della Liturgia romana? Pensa che Pio X, Pio XII e Paolo VI abbiano superato la loro autorità di papa nell’apportare i cambiamenti liturgici che hanno fatto? E pensa che il canone di Trento che vieta la creazione di nuovi riti lega il Papa e gli altri pastori della Chiesa?
Il modo in cui si è comportata la costante Tradizione della Chiesa e di tutti i papi fino all’inizio del XX secolo dovrebbe essere un’indicazione sicura. Infatti, la Chiesa per diciannove secoli non ha mai apportato cambiamenti drastici, inorganici o rivoluzionari alla lex orandi, cioè alla Sacra Liturgia.
Il fatto che il modo delle celebrazioni liturgiche non sia una questione dogmatica o, come si dice oggi, pastorale, non significa che un papa possa quindi attuare una riforma liturgica rivoluzionaria. Qui, le chiese orientali o ortodosse sono un esempio lampante di un approccio estremamente diligente e un po’ scrupoloso alle riforme liturgiche. A mio parere, i suddetti papi hanno abusato del loro potere attuando riforme liturgiche radicali e inorganiche. La radicalità di queste riforme è stata estranea all’intera Tradizione della Chiesa sia in Oriente che in Occidente per diciannove secoli, cioè fino all’inizio del XX secolo.
I canoni del Concilio di Trento, che vietavano la creazione di nuovi riti nella celebrazione dei sacramenti, facevano riferimento a tale riforma liturgica rivoluzionaria e inorganica. In questo senso questi canoni dovrebbero essere osservati da tutti i papi, anche se non sono strettamente vincolanti per un papa. Ogni papa dovrebbe, tuttavia, considerare questi canoni del Concilio di Trento come un appello alla comprovata saggezza della costante e sicura Tradizione della Chiesa. Sarebbe un segno di audacia e di assolutismo papale e quindi di imprudenza a non seguire questo consiglio.
C’è un noto principio risalente al tempo degli Apostoli e dei primi papi che dice: “Nihil innovetur, nisi quod quod traditum est”, cioè: “Non ci sia innovazione al di là di ciò che è stato tramandato”. È con queste parole che ho deliberatamente concluso il mio saggio.
Fonte: LifeSiteNews
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