ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 24 aprile 2019

“Che spettacolo, eh?”

Il diavolo nella cattedrale 
Gabriele guardava la fila chiassosa snodarsi atttraverso la piazza. Milioni di pixel al secondo si coloravano, annidati in memorie digitali, delle pietre e delle vetrate della cattedrale. Sospirò.
“Che spettacolo, eh?”

Gabriele si voltò verso la coppia alle sue spalle. Un passante qualunque di vedute un po’ larghe non vi avrebbe visto niente di strano. Era Parigi, dopotutto, e quindi certi abbinamenti, che altrove avrebbero scandalizzato o fatto alzare qualche sopracciglio, qui erano accolti nell’indifferenza. Esterna, quantomeno.
Gabriele non si lasciava certo impressionare dall’apparenza di peccato. Soprattutto perché sapeva che l’affettata differenza di età, la perversa disinibita bellezza non erano niente di male. Erano solo illusioni.
Il male vero erano coloro che a quell’illusione davano vita. Un male tale che, a conoscerlo, i turisti policromi che sciamavano sul selicato si sarebbbero dispersi come il branco di gazzelle attaccato dai leoni. Con la differenza che nessun leone era mai stato così pericoloso e maligno. Quelli erano predatori che del mimetismo avevano fatto un’arte. Erano le loro prede a cercarle, inconsapevoli. I demoni, d’altra parte, non sono forse menzogna?
In altri tempi Gabriele aveva quasi letteralmente incrociato le lame con quella coppia di esseri. Ma questo era il tempo della tregua, il tempo dell’uomo. Un’era in cui, per qualche motivo, persino il male assoluto era libero di scorrazzare sulla terra. Così si limitò a un asciutto “Dubito che gustiamo le stesse cose allo stesso modo”.
Il più giovane dei due nuovi arrivati ridacchiò. L’altro gli rivolse un’occhiata fulminante, e quello tacque immediatamente. Una cartaccia, ai suoi piedi, prese fuoco spontaneamente.
Il più anziano fece un passo avanti, sporgendo la rugosa testa impomatata e strizzando gli occhi verso Gabriele. “Oh, di questo sono consapevole, mio angelico collega. Quello che io trovo meraviglioso è probabilmente la stessa cosa che a te dà sui nervi.” Agitò la mano come una farfalla artritica. “Tutta questa pomposità, questo sforzo, questo sfarzo, tutto l’impegno di quei poveretti dei tuoi preti e cosa ottieni? Milioni di turisti.”
Gabriele taceva, seguendo con lo sguardo quell’ometto dai vestiti sgargianti e troppo profumati che gli girava attorno sibilando le sue tesi.
“Non fedeli. Non devoti. Non onesti cercatori di – poveretti – bellezza. No no no. Turisti. Che manco guardano davvero ciò che stanno visitando. Troppo occupati a fare foto e filmini che non rivedranno mai. Gente che, anche se guardassero davvero ciò che sta loro di fronte, non capirebbero.”
Si voltò verso la coda di coloro che premevano per entrare nella cattedrale. “Guardali. Li vedi anche tu, no? Forse uno su dieci si ricorda cosa hai detto quella volta…”
“Je vous salue, Marie” rispose automaticamente Gabriele.
“Esattamente! Metà non sa neanche che quella Marie è la Notre Dame autentica,” accennò con il mento parbuto alla chiesa “non quella specie di scongiuro rivolto verso l’alto.”. Guardò verso le guglie. “Ne soffro anch’io, non credere. Che ignoranti. Lo sai che lassù ci sono anche la statua mia e sua? Abbiamo posato personalmente, già. E quelli credono siano tutte fantasie. Cartoni animati, bah.”
Si avvicinò con aria di cospiratore. “Dimmi, non pensi anche tu che sarebbe molto meglio se tutto questo potesse cessare? Non pensi, nel profondo, che una simile reiterata profanazione, un simile sacrilegio continuato dovrebbe essere cancellato dalla faccia del mondo?”
“No”, rispose Gabriele.
“Eh eh”, disse il vecchio, dandogli di gomito. Al contatto si sprigionò una breve scia di scintille. “Su, a me non la conti. Da quanti millenni ci conosciamo? In questo istante stai friggendo perché vorresti sguainare quella tue bella spada lucente e fare un po’ di pulizia sommaria, dico bene? Guarda, se vuoi, ricciolino mio, a me non fa problema.”
“Gngn”, fece Gabriele, trattenendosi visibilmente.
“Io credo però che le nostre posizioni si potrebbero conciliare. Potremmo trovare un accordo. Lo sai che, a differenza vostra, noi siamo sempre disposti al compromesso. Posso avanzare una proposta? Ce ne occupiamo noi. Lascia fare a me. Rimuoviamo l’ecomostro. Voi ritrovate la purezza della fede, il che va bene anche a noi, in fondo. Parigi alla prova, molto simbolico. Che dici, ci stai?”
Piccoli fulmini azzurrini saettarono tra i capelli di Gabriele. “Neanche per… uh ,scusa, una chiamata.”
Si voltò, portandosi la mano all’orecchio. “Sì, che c’è?” Silenzio. “Come?” Altro silenzio, più lungo. Sospirò, cosa straordinaria dato che non respirava affatto. “Ho capito, eseguo.”
Gabriele si girò verso l’improbabile coppia. I fulmini erano spariti, e appariva stranamente pensoso. “D’accordo”, disse.
“Come, d’accordo?” esclamò stupito l’anziano demone.
“Da lassù hanno approvato la tua proposta. Due condizioni: nessuno deve morire, e tutto deve essere limitato alla cattedrale.”
“Uau. Non credevo davvero…”
“Non lo credevo neanch’io.” Guardò i due come se solo con gli occhi potesse ributtarli nell’inferno dal quale arrivavano. “Come pensate di fare?””
“Oh, lascia fare a noi”, sogghignò il satanico vecchio. “Siamo esperti nel ramo.”
Si ritrovarono che albeggiava, mentre i lampeggianti disegnavano ombre grottesche sugli edifici intorno. L’odore di bruciato aleggiava su tutto. Il giovane demone sembrava imbarazzato. Il vecchio demone era furioso. Sbuffi di fumo salivano da dove batteva il piede con irritazione, con un curioso rumore come di zoccoli contro il selciato. “Lo sapevo. Lo sapevo. Non ci si può fidare di voi lassù. Mi avete imbrogliato.”
Gabriele apparva invece assai più rilassato. “Cosa intendi, antico serpente? Hai avuto quello che volevi, la cattedrale è bruciata”.
“Bruciata? Quattro vecchie assi, un po’ di fumo e poco arrosto. Cosa intendo? Li hai visti, quelli? A pregare? Pregare! Non credevo ce ne fossero tanti che ancora sapevano farlo in tutta la Francia, figurarsi a Parigi. Gente che non metteva piede in chiesa da decenni, la loro pratica nei nostri archivi con un dito di polvere sopra e il timbro “approvato”, che recitano inginocchiati l’Ave Maria”. Sputò.  “Ecco, mi fai persino bestemmiare”.
Gabriele si guardò intorno, sorridendo. “Sembra che, nell’istante in cui lo stavano perdendo, abbiano riscoperto qualcosa di prezioso che davano per scontato”.
“Non finisce qui”, sibilò il vecchio, e si voltò per andarsene.
“Oh, lo so bene, gli gridò dietro Gabriele. “Ma tranquillo, non manca molto.”
La coppia demoniaca si allontanò. Quando furono distanti, il più giovane lo chiamò. “Zio, zio, è stato un disastro!”
Ma il diavolo più anziano proruppe in una risata satanica. “Sei proprio un allocco. Ormai i trucchetti del Nemico che sta lassù li conosco bene. Sa che eccelliamo nella distruzione, e ne approfitta per metterci del suo, quei suoi miracoletti così casuali, quei segni con la sua firma fatti per chi li vuole vedere. Ma io non miravo per niente a distruggere la cattedrale. Non sono ingenuo, non pensavo certo di poterla eliminare con il fuoco.”
“Come no?” fece l’altro stupito.
“No”, rispose il demone fregandosi le mani “quella a cui miravo è sempre stata la ricostruzione“.
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