Ecco chi sconfigge le elite: “La famiglia, che meraviglia”
Eccoli, i facinorosi. Dopo settimane di caccia alle streghe hanno parlato loro: i medievali, gli oscurantisti, le mogli schiave e i mariti maschilisti. Sono decine di migliaia di mamme, papà e bambini. Scesi sull'Adige liberamente, senza i biglietti pagati della Cgil, i ricatti dei politici e le "benedizioni" dei vertici ecclesiastici. Per dire che famiglia, matrimonio, mamma, papà e bambini sono la realizzazione di una chiamata. E che senza Gesù non si può sconfiggere la paura di aprirsi alla vita e al futuro. Chi può avere paura di tutto questo? Come si fa a criticarne il metodo? E chi si sente in diritto di silenziare un popolo che con dignità ogni giorno risponde col suo sì.
Eccoli, i facinorosi. Dopo settimane di caccia alle streghe hanno parlato loro. Con un biberon e un braccio molesto ai fianchi: «Papi, ci avevi promesso il gelato». Sono bambini e bambine, i più stanchi viaggiano sulle spalle di papà mentre mamma spinge il passeggino che diventa un deposito di giacche e felpe. Verona. Poco dopo le 13.30, quando parte da Piazza Bra la marcia conclusiva del XIII Congresso Mondiale delle Famiglie fa già caldo. I più previdenti, quasi tutti, si sono portati i panini da casa perché qua, intorno all’Arena, i bar e ristoranti sono trappole per turisti “crucchi” scesi dal Brennero: sono capaci di pelarti anche solo per un caffè. Sandwich e Estatè per la prima domenica di primavera.
Sono famiglie in marcia, l’oggetto del contendere di giorni e giorni di estenuante propaganda media-politica: oscurantisti, medievali, donne schiave, odiatori di donne, “con la vostra vita di merda” e il metodo che non piace ai vertici della Chiesa. Incuranti di Forza Nuova, degli infiltrati, di chi si mette in favor di telecamera per dire diesserci. Sospettosi delle mirabolanti sviolinate di Salvini, ma disposti anche stavolta a concedere credito, come hanno fatto con tutti gli altri. Preoccupati fin dalle prime ore del mattino soltanto di trovare una messa a Verona e predisporre qualcosa da mettere sotto i denti quando a mezzogiorno i bambini inizieranno a tirare la manica dicendo: "Ho fame".
Eppure sono tanti, il solito balletto: 50mila per gli organizzatori, 10mila per Repubblica. Facciamo 20mila? Ma in fondo che importa? Sono già tante le famiglie di mamma, papà e figli, tanti figli, che sono arrivate a Verona ieri mattina: dopo la campagna mediatica devastante, dopo il terrorismo che “A Verona c’è il rischio di scontri e di farsi male” è già un miracolo che ci siano “solo” 10mila o 20mila persone. Perché non li ha convinti la Cgil offrendo panini alla frittata e un comodo pullman, nemmeno sono arrivati spinti dalla foga di ascoltare il leader politico di turno, né sono stati convinti dall’ambone di parroci e vescovi incredibilmente assenti per ordine partito dall’alto. Ordine politico, niente a che fare con la guida e i pastori.
Sono scesi sulle rive dell’Adige liberamente, chiamati a raccolta dal tam tam di una community che non vive di social e like, ma si alimenta di un sentimento comune che travalica gli interessi e le convenienze. Si chiama identità: sposarsi per amore e per amore, mettere al mondo i figli accettando quello che la Provvidenza dona. Di solito a questo punto scatta il sorrisino sarcastico, “eccoli i bigotti”, “chiediamo allora perché non usano il preservativo…”, provoca un tizio con una telecamera in mano che si atteggia a giornalista.
Ma stavolta come per gli altri Family Day, l’identità è la stessa: «Dicono che vogliamo
richiudere le donne in casa, ma se stamattina mia moglie non mi avesse buttato giù dal letto io a Verona non ci arrivavo», ci dice Valerio, 34 anni, di Trento, con tre figli e la moglie Sonia poco più avanti che urla a squarciagola il leitmotiv di giornata: «La famiglia, che meraviglia, la famiglia, che meraviglia». E poi cartelli e striscioni: «Dio, patria e famiglia: che meraviglia». Così, all’infinito, senza sosta. E’ l’unica concessione alle polemiche di questi giorni, la risposta pacata e dignitosa alle Cirinnà e alle Boldrini, al Partito Unico Mediatico, agli odiatori militanti di una Sinistra che accomuna Pd, Cgil, femministe radical e antagoniste, associazioni Lgbt e che cerca di riemergere dal vuoto cosmico della sua ideologia, imponendo la sua visione della vita sulla famiglia. Invece ieri nessuna volgarità, nessuna offesa. Anni luce - alla fine un paragone bisognerà pur farlo - con l’odio propugnato il giorno prima: “Meglio falli di gomma che feti di gomma”. Che poi, vedendo la bruttezza di certe manifestanti di sabato, forse si capiva anche il perché.
Lucio viene dalla provincia di Modena, ha dieci figli e subito dopo Castelvecchio tiene in braccio Sofia, la più piccola della covata, col ciuccio in bocca. Gli altri figli si fanno intorno come dei pretoriani quando vedono le telecamere che si accendono sul padre: «E’ dura? Diciamo che se non ci fosse Gesù sarebbe impossibile, ma io ai politici chiedo solo di poter vivere dignitosamente del mio lavoro senza sentirmi in colpa», ci racconta. Un gruppo di giovani mamme e papà è euforico: urlano in continuazione lo slogan di giornata poi alla domanda sul perché sono venuti qui ribattono senza alcun timore: «Per difendere i nostri figli, per dare loro un futuro migliore, perché li amiamo. Medievali? Siamo orgogliosi di esserlo allora, siamo libere, stiriamo e siamo emancipate, non è strano, vero?».
Sul palco gli organizzatori si alternano all’inizio e alla fine con alcuni relatori, da Massimo Gandolfini a Toni Brandi e poi Filippo Savarese, Simone Pillon, Pino Morandini, Peppino Zola parlano di eroi e di futuro. «Sì, eroi, perché il matrimonio è sposarsi è una sfida e restare sempre insieme è il futuro, tutto questo ci dà speranza», dicono Mariana e Vittorio di Bologna, che sorreggono uno striscione tra i più fotografati: un cuore metà rosa e metà azzurro, dentro il quale c'è scritto Una sola famiglia con la F e la M dei rispettivi colori di maschio e femmina. A loro fanno eco, senza conoscersi neppure, Roberto e Claudia, con le loro due figlie, da Bergamo: «A loro abbiamo detto che oggi siamo qui per testimoniare che la famiglia vale sempre la pena. Senza paura di parlare di apertura alla vita, di fedeltà, di educazione cristiana, di progetto di vita. Questo è ciò che ci spinge ad essere felici perché la nostra vita è piena, ma se ci si discosta da tutto questo non c’è alcun futuro».
Eccoli, i facinorosi. Aborto?Semplicemente non contemplato; Divorzio? Escluso; Figli? Una chiamata, un dono, un progetto di vita. Eroi del quotidiano, ignorati dal banco libri Feltrinelli, silenziati nei talk in radio e dimenticati nelle aule parlamentari. Sono le famiglie italiane e chi manifesta in piazza è solo una piccolissima rappresentanza.
Cattoliche? Sì, in Italia si può ancora dire di sì. Si può aver paura di chi scende in strada per testimoniare che una vita felice nel matrimonio è possibile? Si può considerare un nemico chi costruisce il proprio quotidiano nel sacrificio, ma sapendo che dalla politica non potrà mai aspettarsi la risoluzione di tutti i problemi? «Il primi a dover risolvere i problemi siamo noi - ci dice Paolo Maria, tre ore e mezzo di auto sulla Milano-Venezia -, quando si ha una famiglia numerosa non si può aspettare che arrivino aiuti dall’alto che non arrivano mai, bisogna rimboccarsi le maniche e basta». Tornati davanti all’Arena, sul palco, gli organizzatori del Congresso lanciano una moratoria internazionale sull’utero in affitto, chiedono misure alternative all’aborto, una diversa politica educativa e affettiva nella scuola. E ancora: il riconoscimento dell’umanità del concepito, il diritto dei minori ad avere una mamma e un papà, la remunerazione per il lavoro casalingo e la lotta alla droga.
Avvenire sprezzante lo definisce “un libro dei sogni”, dopo aver chiesto in passato una a una tutte le misure, ma il panico per quella vicinanza così temuta con la Lega di Salvini è grande. Antonio Spadaro, lo spin doctor del papato li bolla come culture warrior, e così fa la Stampa, immaginando con un filo di paranoia che Lucio, Valerio, Mariano, Roberta, Claudio e tutti gli altri siano venuti a Verona perché gli americani hanno detto che bisogna combattere Papa Francesco. I vaticanisti di Repubblicadefiniscono la famiglia di Nazareth
“imperfetta”, figuriamoci: il figlio di Dio e due santi del calibro di Giuseppe e Maria. Paralizzati ormai dal ridicolo, incapaci di vedere la libertà, la gioia e la dignità negli occhi di chi qua è venuto per confermarsi nella quotidianità, non certo per ricevere prebende. Sotto al monumento di Mazzini ormai sono le 16, Gandolfini e Brandi continuano ad arringare: «Papà ci avevi promesso il gelato», dicono i figli di Vittorio. «Va bene, che poi magari si fa una capatina sotto il balcone di Giulietta».
Andrea Zambrano
Dio, patria e famiglia: che meraviglia
BENE VS MALE
Verona segna il ritorno dei principi non negoziabili
I temi trattati al Congresso mondiale delle Famiglie ribadiscono, pur in assenza di un richiamo diretto, l’importanza dei principi non negoziabili. L’evento veronese ha sfatato l’illusione di certo cattolicesimo “dialogante” che pretende di essere solo “per” e non “contro”: impossibile, perché chi è “per” la famiglia deve dire inevitabilmente no a tutto ciò che va “contro” di essa.
Il Congresso mondiale delle Famiglie di Verona si è occupato direttamente di Dottrina sociale della Chiesa, anche se non l’ha chiamata direttamente in causa. I temi del Congresso sono centrali per la Dottrina sociale della Chiesa, nonostante oggi vengano spesso e volentieri messi da parte: a Verona, in fondo, si è ribadita l’esistenza moralmente e politicamente vincolante dei “principi non negoziabili”. A conclusione dello scoppiettante e contestatissimo Congresso, tra le tante cose che altri diranno, scelgo due argomenti che mi sembrano indicativi di una prassi da seguire in futuro. Dalle esperienze bisogna infatti imparare.
Anche in occasione di questo Congresso sono emerse da parte cattolica le posizioni delle “anime belle” che condividevano i contenuti ma non i metodi. In altre parole non erano d’accordo con le posizioni affermate e avrebbero voluto posizioni dialogate. Secondo loro non si trattava di ribadire delle verità e di chiamare a raccolta quanti volevano impegnarsi per difenderle, ma sarebbe stato utile creare un tavolo di confronto in vista di passi condivisi. Si tratta dell’idea secondo cui il cattolico dovrebbe sempre proporre soluzioni aperte e mai dichiarare delle verità o condannare degli errori. Insomma, dovrebbe essere sempre “per” e mai “contro”. Non faccio qui i nomi di coloro che si sono così pronunciati. Tutti li abbiamo letti sui giornali o sui social network nei giorni scorsi. Si tratta dello stile di chi dice che non si devono mai usare parole ostili. Sotto sotto c’è l’idea che il modo (il come) sia importante quanto e forse più del contenuto (il cosa), ossia il pastoralismo.
Ora, i fatti verificatisi attorno al Congresso hanno completamente sfatato questa illusione pastoralista. Mentre le “anime belle” del cattolicesimo non ostile rimproveravano gli organizzatori del Congresso e i partecipanti, gli altri - ossia coloro verso cui si sarebbe dovuto aprire un dialogo - puntavano le loro artiglierie e sparavano a man salva; preparavano i loro agguati e i loro trabocchetti, mobilitavano le loro truppe pagandone il viaggio in pullman a Verona per manifestare, aggredivano, insultavano e denigravano, seminavano bugie, mobilitavano conduttrici e conduttori della Rai, precettavano gli intellettuali di grido… insomma facevano la guerra. Nei confronti di questo bombardamento belligerante, nessuna delle “anime belle” è intervenuta con parole di condanna o di dissociazione, anzi hanno continuato a criticare gli organizzatori del Congresso perché non avevano gettato “ponti” e perché avevano usato stili ostili.
Il Congresso di Verona, per questi motivi, è stato la confutazione piena del cattolicesimo pastoralmente (e pregiudizialmente) dialogante, ha ribadito che per dialogare bisogna essere in due e se l’altro spara non è possibile mettersi a dialogare con lui, che è in atto una lotta non disciplinata da nessuna regola - Carl Schmitt direbbe una “lotta partigiana” - e che la controparte mette in campo tutte le sue potenti legioni. È una lotta in cui, come in ogni lotta, ci sono le defezioni e i tradimenti. Una lotta in cui, come in ogni lotta, il pericolo principale è il “fronte interno”. La richiesta del dialogo sistematico e preventivo è - per usare una espressione militare - una forma di connivenza col nemico.
A Verona, poi, è emerso un altro interessante insegnamento. Proprio perché si dovrebbe agire “per” e mai “contro”, ci sono stati molti - anche autorevoli - interventi da parte cattolica per ricordare che la famiglia è insostituibile. Non è venuta però nessuna affermazione a sostenere che gli altri “tipi di famiglia” non devono essere riconosciuti. Questo parlare “per” e non “contro”, questo indicare dei “sì” e mai dei “no”, non è sufficiente. Sarebbe come dire che il riconoscimento giuridico di una coppia di fatto o di un’unione civile sarebbe possibile, a patto che tali unioni non venissero equiparate alla famiglia. La legge Cirinnà considera le unioni civili una “aggregazione sociale” e si rifà all’articolo 2 della Costituzione e non agli articoli 29 e 30.
Chi chiede solo che la famiglia non sia privata della sua esclusività, nulla dice a proposito dell’illiceità del riconoscimento di altre forme di unione anche se non equiparate alla famiglia. Quanto accaduto attorno al Congresso di Verona mostra quindi che non si può essere “per” senza essere anche “contro”: tutto il resto è mistificazione. Ed è stato questo insegnamento a dare fastidio, sia fuori dal mondo cattolico sia dentro. “Perché non vi limitate a promuovere la vostra idea di famiglia e non lasciate che altri facciano valere la propria?”. Questa posizione espressa da Cecchi Paone a Jacopo Coghe nel “video dell’agguato”, è condivisa anche dai cattolici non ostili, quelli che vogliono fare solo proposte positive e inclusive e mai contrapporsi a quelle negative ed esclusive.
Stefano Fontana
http://www.lanuovabq.it/it/verona-segna-il-ritorno-dei-principi-non-negoziabili
Congresso delle famiglie o della libertà d’espressione
Al centro dell’appuntamento veronese ci sarebbe dovuta essere la famiglia, ma il fuoco di fila mediatico delle ultime settimane aveva già fatto intuire che non sarebbe stato così: le bugie più fantasiose sono state spacciate per vere, gli organizzatori sono stati insultati e denigrati, e in moltissimi si stanno organizzando da tutta Italia per una grande contromanifestazione contro quello che viene definito «il ritorno al Medio Evo». Non c’era da stupirsi dunque se le decine di giornalisti appostate fuori dalla Gran Guardia fossero sul piede di guerra già dalla prima mattina di ieri: alla ricerca spasmodica della dichiarazione fuori posto, come avvoltoi piombavano sui convegnisti cercando di strappare quelle posizioni così inaccettabili che da sole avrebbero squalificato l’evento, posizioni che sono opinioni, come quella di essere contro l’aborto, contro le cosiddette unioni civili, contro l’utero in affitto, contro il divorzio, ovvero gli intoccabili dogmi del politicamente corretto.
Perché il tema centrale nel primo giorno del congresso a Verona non è stata la famiglia, ma la libertà di espressione, la libertà di poter parlare pubblicamente di famiglia, la libertà di poter affermare che la famiglia è una sola, quella fondata sull’unione tra un uomo e una donna aperta alla vita. Il clima era così surreale che in difesa della libertà in mattinata ha fatto la sua comparsa a sorpresa l’irriverente Giuseppe Cruciani, non certo un custode dell’ortodossia cattolica: «Io non sono uno di voi, non ho una famiglia tradizionale, penso anche che esistano tanti tipi di famiglia; mi sono battuto per anni per cose che voi probabilmente avversate: il matrimonio tra omosessuali, l’aborto, il divorzio, persino per l’utero in affitto, ma mi sento uno di voi oggi perché molti vorrebbero spegnere questo microfono da cui io sto parlando adesso. Abbiamo assistito ad una vera e propria campagna di criminalizzazione di quello che è un convegno, un incontro tra persone che parlano, che esprimono i loro pensieri. Qualcuno ha compilato addirittura una lista degli alberghi di cui siete ospiti per boicottarla, qualcuno ha detto che bisogna fare la lista dei traduttori come fossero criminali. Vedete io mi sono formato in un ambiente radicale, dei Radicali, e mi hanno insegnato una cosa: quando vuoi combattere un’idea la cosa peggiore che puoi fare è proibirla. La conclusione è semplice: ovunque cercheranno di vietare a voi di esprimere le vostre opinioni, io a quel punto sarò uno di voi, pur non condividendo nulla di quello che voi dite o pensate».
Parole a cui hanno fatto eco poco dopo quelle della giornalista Maria Giovanna Maglie che ha ricordato le sue battaglie femministe ma poi ha spiegato: «Che ci sarebbe stata polemica io lo sapevo dall’inizio, ma non immaginavo di sentire attacchi così violenti e bugie così palesi. C’è una grande volontà di espulsione della libertà di espressione. Alcuni di voi sostengono idee ultra tradizionaliste che io personalmente ritengo poco replicabili oggi, ma tra queste non rientra il diritto di una donna di avere figli pur realizzando il proprio sogno di lavoro e anche quella di avere figli e realizzarsi per scelta a casa per la famiglia, non è una bestemmia. Se io penso che l’utero in affitto sia un disgustoso mercimonio – e lo penso – perché devo dirlo a voce bassa o immediatamente faccio parte dei beghini e degli antistorici? Non ci sto»
E non ci stanno nemmeno i convegnisti giunti da tutta Italia e da diversi paesi del mondo che esplodono in un applauso fragoroso quando il vescovo della città Giuseppe Zenti afferma che «ogni figlio ha il diritto di nascere da un papà e da una mamma». Come fossero tutti lì semplicemente a testimoniare di voler solo difendere un principio di realtà. Così ha continuato Zenti: «Papà e mamma sono chiamati a prendersi cura del figlio come nessun altro poiché è di loro primariamente che un figlio ha necessità vitale, del loro amore fedele, della loro presenza, di sentirsi qualcuno ai loro occhi, ai fini del senso stesso del suo vivere. Un figlio è sempre un grido esistenziale all’unità del papà e della mamma». Anche se il mondo non vuole sentirselo dire.
di Raffaella Frullone
http://www.iltimone.org/news-timone/congresso-delle-famiglie-della-liberta-despressione/
Piccola antologia delle menzogne contro il Congresso delle famiglie
«Ad oggi la misoginia e la violenza nei confronti delle donne sono quello che ha contraddistinto tutte le relazioni di potere in cui ci sono uomini e donne. Viviamo in un contesto non paritario in cui le donne non hanno alcun riconoscimento di dignità di esseri umani paritariamente ritenuti rispetto agli uomini». Per quanto sembri surreale, queste parole sono state pronunciate in Italia nell’Anno Domini 2019, e non da qualche troll o hater particolarmente scatenato sui social network, no. Queste parole le ha pronunciate un giudice, Paola Di Nicola, in diretta televisiva su La 7, intervistata da Lilli Gruber in una puntata dedicata al famigerato Congresso mondiale delle famiglie di Verona.
Di fronte a questa visione fantascientifica anche l’ultimo dei giornalisti sarebbe scattato sulla sedia chiedendo all’interlocutore almeno: «Scusi, può ripetere?». Ma la Gruber invece rincara la dose con l’ormai stanco refrain del “ritorno al Medioevo”, dove Medioevo è inteso ormai più come insulto che come riferimento temporale. A poco è valso l’intervento di Massimo Gandolfini – in collegamento nella stessa puntata – che ha elencato una serie di figure luminosissime di quella che la vulgata considera “epoca buia”: la Gruber non lo ha lasciato proseguire ribattendo che nel Medioevo “si bruciavano le streghe”, altro argomento con cui si attacca la Chiesa, quando la storiografia ha ampiamente demolito questa “leggenda nera”. Ma il siparietto appena descritto non è che un tassello delle enormità che i detrattori dell’appuntamento veronese stanno mettendo in campo per denigrarlo. Non che la cosa sorprenda, lascia però sconcertati la pochezza delle menzogne usate da pulpiti considerati illustri.
Tra questi anche il segretario del Pd, Nicola Zingaretti, secondo cui l’appuntamento di Verona mira a «costringere a casa le donne», dichiarazione “cugina” di quella dell’ex ministro Carlo Calenda che non solo condivide sui social network un programma fake costruito ad arte per denigrare l’appuntamento veronese (l’ha fatto apposta o non si è accorto? Cosa è più grave?), ma spiega che il programma prevederebbe «discriminazione, sottomissione per le donne, limitazione dei diritti e delle libertà per tutti». Da un ex ministro e da un segretario di partito – così come da una giornalista e da un giudice – è lecito aspettarsi opinioni basate su dati reali e non su bufale e/o visioni del mondo fantascientifiche? Per Zingaretti e Calenda comunque, così come per le femministe di Non una di meno che si preparano a manifestare contro il congresso il prossimo sabato, il problema sembra solo uno, la presunta volontà degli organizzatori di impedire alle donne di lavorare fuori casa.
Poco importa se non è così, poco importa se non è scritto da nessuna parte, poco importa se oggi in realtà il problema è l’opposto, ovvero che gran parte delle donne sono “forzate al lavoro” da capi che non danno permessi per accudire i figli, o i genitori anziani, o che trattengono una, due, tre ore dopo la fine del turno, magari senza riconoscere gli straordinari, poco importa se alle donne viene spesso negato il part time, o un orario a misura di famiglia, o le si licenzia se le esigenze famigliari sono considerate troppe, o le si paga troppo poco: quello che conta sembra essere soltanto la narrazione fatta da pulpiti considerati prestigiosi. Ma che mostrano il loro vero volto ogni volta che abdicano alla verità.
di Raffaella Frullone
http://www.iltimone.org/news-timone/piccola-antologia-delle-menzogne-congresso-mondiale-delle-famiglie/
SUPER EX COMMENTA I REPORTAGE DI AVVENIRE SU VERONA. E ALCUNE GIRAVOLTE.
1 Aprile 2019 8 Commenti --Marco Tosatti
Cari amici di Stilum Curiae, Super Ex (Ex di Avvenire, Ex del Movimento per la Vita e ex di varie altre cosucce, ma ancora non ex cattolico, nonostante….) ha letto su Avvenire l’articolo che il collega Moia, il “Famolo Stranista” ufficiale del quotidiano bollettino religioso del PD ha dedicato al Convegno di Verona sulle famiglie, e alla Marcia che l’ha concluso. Pensiamo che non gli sia piaciuto; almeno a giudicare da quello che ci ha scritto…
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Luciano Moia è il vice Bergoglio ad Avvenire. Da quando ha sposato Amoris laetitia le sue quotazioni, prima bassine, sono volate oltre le stelle. Così è chiamato lui, oggi, a commentare la marcia per la famiglia organizzata dal Congresso mondiale.
Moia è uno di quelli che dice finalmente quello che pensa, o uno che pensa quello che i superiori gli chiedono di pensare. Non saprei quale delle due è la versione giusta. All’epoca di Dino Boffo non avrebbe mai scritto quello che scrive oggi. Non è il solo, per la verità. Senza scomodare il big dei big dei contorsionisti, quello la cui bussola gira sempre verso il Potere, il pensiero corre a Paolo Rodari, ciellino che faceva il tradizionalista, almeno in fatto di etica, sul Riformista, e poi su Il Foglio di Giuliano Ferrara quando il quotidiano era super ratzingeriano. Oggi Rodari si iscrive tra i progressisti ad oltranza, e una qualche frecciata ai sostenitori della famiglia la ha tirata volentieri. Anche per lui vale la domanda: mentiva prima, o ha cambiato radicalmente idea poi? Ma se la risposta è la seconda, che sostanza hanno questi giornalistelli?
A Dio l’ardua sentenza, a noi basta tornare a Moia.
Il quale maramaldeggia, unendosi al coro dei caproni che rumoreggiano contro…. Scrive Moia: “La “Dichiarazione finale” del Congresso mondiale delle famiglie di Verona, sottoscritta solennemente stamattina al termine dell’ultima giornata di lavori, costruisce un altro, gigantesco, libro dei sogni”.
Per carità, chiedere aiuti per le famiglie, condannare l’utero in affitto, eccetera, sono cose condivisibili, spiega, ma dipende da chi le dice.
Gandolfini, Brandi, Coghe, Ruiu… non possunt. Non hanno il bollino Cei, mentre il bollino Bergy, quello non si sa: lui, dice, non si è accorto di nulla; non ha seguito. Forse sarebbe meglio dire: lui, queste cose non le segue mai.
In verità Bergy non si è filato mai un Family Day; questa volta, solo perché esplicitamente interrogato, si è rifugiato dietro le parole di Ponzio Pilato Parolin. Un colpo al cerchio, un colpo alla botte, senza dire nulla, né perché.
Bergy è fatto così: quando non vuole dire una verità di fede, invita a leggere il catechismo; quando deve rispondere su Viganò, invita a leggere il dossier (che tutti hanno già letto); quando gli chiedono del Family Day, invita a leggere le parole del suo abilissimo diplomatico (uno che se Gesù lo avesse avuto al fianco, sarebbe finita a tarallucci e vino, con i farisei, e avrebbero fatto crocifiggere non i due ladroni, ma qualche bravo passante).
E Moia? Ce lo siamo dimenticati. Perché i suoi articoli sai già dove vanno, prima di iniziare a leggerli.
Ebbene Moia spiega che alla marcia non c’era il Forum, quello di Gigi Di Palo. Quello sì che è roba seria, ben fatta: il Forum delle famiglie è “collaudato nel tempo e rappresenta davvero quattro milioni di famiglie attraverso 564 associazioni locali, 47 nazionali e 18 forum regionali” ! Invece alla marcia c’erano “diecimila persone forse”!
Credici, Moia, credici. Per quelli di Avvenire la fede è essenziale: credono davvero, per esempio, che il loro quotidiano venda le copie che dichiara, quando sanno tutti che la maggior parte di esse sono regali, abbonamenti quasi imposti ecc… Ci credono o fingono di crederci.
No, caro Moia, alla marcia c’erano molto ma molto più di diecimila persone, e il Forum non c’era, ma c’erano tanti, privatamente, che ne fanno parte, sordi alle sirene dei Moia, dei Parolin, dei vescovini piddini… Quanto alla forza del Forum ufficiale, quello elegante, che non sbaglia né la sostanza né i modi, quello con il frac, Moia deve aver chiara una sola cosa: il Forum ormai non ha più sostanza, per cui tutti i modi sono inutili.
Per un motivo semplice: chi in nome dei modi (quali poi? ce lo scrivete un Galateo?) dimentica la sostanza, prima o poi scompare o diventa insignificante.
E concludo: si erano già fatti un film in tanti. Pensavano che cinque anni di Bergoglio uccidessero il laicato cattolico. Ma il laicato cattolico, quando i suoi generali svaniscono, si sciolgono, se ne trova altri.
Molto, ma molto migliori; capaci di mobilitare le piazze, quelle che Bergy non riempie più da tempo. Quelle che Spadaro sogna per il suo partitino filo-Juncker!
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