ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 29 aprile 2019

Imbiancare il sepolcro del Vaticano II?

GLOSSE ALL'INTERVENTO DI RATZINGER SULLO SCANDALO DEGLI ABUSI SESSUALI


I. Gli Anni Sessanta

L’intervento del card. Joseph Ratzinger, intitolato La Chiesa e lo scandalo degli abusi sessuali (qui), indica negli anni Sessanta il terminus post quem al deflagrare del problema, sottolineando come in alcune nazioni si fossero intraprese, anche a livello ufficiale, iniziative volte a rivoluzionare il concetto della morale comune in materia di sessualità. Ma questo, come sappiamo, è un progetto a lungo termine teorizzato dalla Massoneria, che considera la libertà sessuale come uno dei più potenti ed efficaci strumenti per manovrare le masse e corrompere l’infanzia e i giovani. 
La corruzione dei costumi doveva però andare di pari passo con la perversione delle menti, indottrinate al verbo massonico ed incitate alla rivolta a qualsiasi forma di autorità: Né Dio, né Stato, né servi, né padroni. Il grido della scelesta turba è sempre lo stesso: Regnare Christum nolumus. Ma a ben vedere, basta scardinare l’Autorità - religiosa, civile, scolastica, familiare, militare, professionale - per dar libero sfogo a tutte le passioni e scardinare dalle fondamenta l’intera società. L’anarchia proclamata dal Sessantotto covava da tempo, e per affermarsi ebbe bisogno anche che le due Guerre Mondiali - o meglio, la Guerra Mondiale nelle sue due fasi - prima privasse le Nazioni europee dell’Impero e delle Monarchie cattoliche, e poi le colonizzasse ideologicamente, importando quei modelli sociali ed economici che gli Stati Uniti d’America avevano fatto propri già alla fine dell’Ottocento. Lo stesso Sessantotto nacque in America, e da lì passò immediatamente in Francia, per poi diffondersi in tutto il mondo. 

II. Il Concilio (1962-1965)


Si tende a dimenticare però che, se il Sessantotto poté deflagrare in Europa ed in particolare nelle Nazioni cattoliche, questo fu possibile a causa di un evento che lo precedette di pochi anni: mi riferisco al Concilio Ecumenico Vaticano II, celebrato dal 1962 al 1965 sotto il Pontificato di Giovanni XXIII e Paolo VI. É innegabile che sin da allora l’ala progressista della Chiesa smaniasse di dar prova di fedeltà al mondo, per dimostrarsi non più domina gentium com’era avvenuto sino a Pio XII, ma serva ed ancella del secolo, complice della Rivoluzione ed anzi teorizzatrice essa stessa di nuove basi dottrinali a supporto delle rivendicazioni sociali e politiche. Al di là degli atti conciliari, fu soprattutto la temperie ch’esso seppe suscitare negli animi degli intellettuali Cattolici e  laici, lasciando intendere che, finalmente, anche la Chiesa aveva compreso - dopo secoli di arroccamento su posizioni ormai divenute antiquate ed insostenibili - la necessità di svecchiarsi nella sua dottrina, nella sua morale, nella sua liturgia. 

A quanti obbiettano che il Concilio non volesse minimamente alterare la Liturgia, basta ricordare che il processo di analfabetizzazione e di indottrinamento trovò in Italia prontissima esecuzione nella riforma della Scuola Media nel 1962, concordata tra Democrazia Cristiana e Partito Comunista durante il Governo Fanfani III e IV. L’insegnamento del Latino, ancora previsto, fu reso facoltativo l’anno successivo e definitivamente abolito nel 1977. L’esito di questa riforma fu che la maggioranza dei giovani Italiani diplomati dalla scuola dell’obbligo fosse privata della conoscenza basilare della lingua che, teoricamente, nessuno immaginava potesse esser cambiata nella Liturgia della maggioranza assoluta dei cittadini. Se un governo democristiano decise di abolire lo studio del Latino nelle scuole medie, questo avvenne senza alcun dubbio con l’avvallo, se non del Vaticano, quantomeno di chi al suo interno aveva ben chiare le imminenti riforme che intendeva realizzare. Ancora una volta, questa rivoluzione non partì minimamente dalla base, ma da un démi-monde di sediziosi progressisti collusi con ambienti marxisti. 

Se il Concilio fosse stato celebrato secondo gli schemi preparatori, la Storia avrebbe forse conosciuto altro svolgimento. Ma questo non avvenne, e se la Provvidenza volle permettere la crisi, non possiamo che inchinarci umilmente dinanzi agl’imperscutabili piani di Dio. Eppure l’accettazione della prova non ci esime dal saper riconoscere i fatti, dall’identificare le cause, dal constatarne gli effetti e dall’additarne i responsabili. A questo serve infatti la ragione di cui ci ha dotato il Creatore. 

III. La responsabilità del Concilio


Credo che l’intervento del card. Ratzinger presenti alcuni punti deboli. Il primo consiste senza dubbio nel non voler denunciare il Concilio comefons et origo della crisi presente, limitandosi ad analizzare il contesto storico generale degli anni Sessanta. Ma chi ha memoria degli anni Cinquanta, specialmente in Nazioni che non erano a maggioranza cattolica come ad esempio gli Stati Uniti, può testimoniare che le comunità cattoliche costituivano un’eccezione solida e compatta al dilagare della Rivoluzione, grazie a santi Pastori e all’opera indefessa della Santa Sede, zelante nella predicazione della Verità e vigilantissima nel condannare gli errori. L’inizio della fine - per così dire - si deve collocare con l’ascesa al Soglio di Roncalli, che diede chiarissimi ed inequivocabili segni di cedimento, se non dottrinale, quantomeno disciplinare: nonostante le condanne comminate dal Sant’Uffizio, l’entourage del Papa buono lasciava comprendere che a breve un grande cambiamento le avrebbe rese obsolete. «Via libera», si diceva allora tra gli esponenti dell’intelligencija progressista, che si rallegrava dell’elezione di un vecchio estimatore di Buonaiuti. L’opera fu completata da Montini, che volle accanto a sé proprio quei teologi e quegli intellettuali che sino a Roncalli, almeno ufficialmente, erano bollati come contestatori o eterodossi notori. 

IV. Il linguaggio non scolastico nella disputa teologica

Un altro punto debole consiste nel non aver utilizzato nell’analisi quel linguaggio chiaro e conciso che è proprio dell’eposizione cattolica, preferendogli un eloquio prolisso, tipico del discorso della Nouvelle Théologie e, più in generale, della prosa conciliare. Eccone un esempio: «Sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalistica­mente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto. Nella lotta ingaggiata dal Concilio per una nuova compren­sione della Rivelazione, l’opzione giusnaturalistica venne quasi comple­tamente abbandonata e si esigette una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia». Queste affermazioni risentono purtroppo dell’idem sentire ratzingeriano con un’impostazione ideologica che ha ben poco di cattolico. Anzitutto perché non è vero che «sino al Vaticano II la teologia morale cattolica veniva largamente fondata giusnaturalistica­mente, mentre la Sacra Scrittura veniva addotta solo come sfondo o a supporto»; questa fu piuttosto l’accusa dei Novatori, sulla base della quali essi cercarono di imporre «una teologia morale completamente fondata sulla Bibbia», proprio perché essi volevano «una nuova compren­sione della Rivelazione», per ottenere la quale ingaggiarono «una lotta» senza quartiere. Ma una nuova comprensione è una comprensione diversa, un’altra cosa, che tocca la Rivelazione in ciò che la rende tale, ossia compresa per ciò che è. In pratica, un’altra Rivelazione. 

Andrebbe anche detto che giusnaturalismo è un termine laico e che la Chiesa ha sempre preferito richiamare il diritto naturale in sé, anziché la dottrina che su questo si fonda; non dimentichiamo che il giusnaturalismo trova le proprie basi in Cartesio, svincolandolo dalla quella Rivelazione che ha nella Sacra Tradizione e nella Sacra Scrittura le proprie fonti. Ma il Modernista, infetto degli errori del Protestantesimo e del razionalismo, non tollera che vi sia una legge morale immutabile sancita da Dio: quale modo migliore di demolire l’intera Morale cattolica, se non abbandonando «l’opzione giusnaturalistica» e conservando solo i precetti morali che si trovano nella Scrittura, per poi interpretarli ed annacquarli sulla base del libero esame o di un’esegesi progressista che riduce a mito la stessa Resurrezione del Salvatore ed oggi si appresta - consenziente Bergoglio, ovviamente - ad una riabilitazione dei Farisei, dopo aver pagato il tributo alla Sinagoga con Nostra Ætate e la nuova dottrina sugli Ebrei? Se qualche teologo riuscirà a dimostrare che le invettive di Nostro Signore contro la razza di vipere e i sepolcri imbiancati erano un’interpolazione della comunità primitiva, cosa gli impedirà di censurare altri passi divinamente ispirati, adducendo simili pretesti?   

Quel che il card. Ratzinger rimprovera - ossia il non tenere insieme conto e della legge di natura e dei precetti divini rivelati - parte da un presupposto erroneo, e cioè che la Religione preconciliare avesse tradito il mandato ricevuto da Cristo, e che occorresse un’operazione di rifondazione e di ricostruzione che la riportasse ad una presunta purezza del messaggio originale: il Cattolico sa benissimo che questi sono gli argomenti degli eretici di ogni tempo. Ovviamente Padre Schüller si rese conto «che non era possibile elaborare sistemati­camente una morale solo a partire dalla Bibbia. Egli tentò successiva­mente di elaborare una teologia morale che procedesse in modo più pragmatico, senza però con ciò riuscire a fornire una risposta alla crisi della morale». Ma la risposta alla crisi della morale, quando viene da un orgoglioso tentativo intellettuale umano e non trova la propria origine in Dio, è destinata a fallire. Così come fallisce oggi la presunta risposta alla crisi dottrinale, anch’essa improntata alla stessa mentalità, anzi allo stesso pregiudizio anticattolico ed al medesimo senso di inferiorità dinanzi alle istanze del mondo. 

V. Morale oggettiva e situazionista


Ratzinger ricorda: «Infine si affermò ampiamente la tesi per cui la morale dovesse essere de­finita solo in base agli scopi dell’agire umano. Il vecchio adagio il fine giustifica i mezzi non veniva ribadito in questa forma così rozza, e tut­tavia la concezione che esso esprimeva era divenuta decisiva. Perciò non poteva esserci nemmeno qualcosa di assolutamente buono né tantome­no qualcosa di sempre malvagio, ma solo valutazioni relative. Non c’era più il bene, ma solo ciò che sul momento e a seconda delle circostanze è relativamente meglio». Eppure il suo Successore, nel corso di un’intervista concessa a Eugenio Scalfari, risponde con termini esattamente opposti: «Ciascuno di noi ha una sua visione del Bene e anche del Male. Noi dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene» (qui). Questo è relativismo, come è relativismo affermare che la legittimità della pena capitale possa esser stata valida in altre circostanze, ma che oggi non lo sia più e che perciò essa vada condannata come contraria al Vangelo (qui). Sulla base di questo principio, che invade facilmente qualsiasi ambito della dottrina e della morale, si potrà domani affermare che l’impossibilità di conferire gli Ordini alle donne valesse in passato ma che «alla luce del Vangelo» e di una nuova consapevolezza della dignità della figura femminile, questa dottrina pur ratificata anche recentemente dai Sommi Pontefici possa esser cambiata. 

Come si vede, il criterio di oggettività cui fa riferimento il card. Ratzinger è contraddetto pubblicamente da Bergoglio, il quale non si limita a farlo nei suoi impromptu ma vi conferisce ufficialità modificando il Catechismo della Chiesa Cattolica o - come nel caso della Lettera ai Vescovi Argentini a proposito di Amoris lætitia - facendola pubblicare come magisterium authenticum sugli Acta Apostolicæ Sedis. Anche qui, l’oltracotanza dell’Argentino non teme di contraddire l’autorevole voce dei Predecessori, perché di quell’autorità egli ha un concetto distorto e tirannico, com’è proprio di tutti i dittatori. Non si sente custode del Depositum Fidei, ma suo arbitro e padrone assoluto.  

Va evidenziato inoltre che il pur composto contributo del card. Ratzinger all’incontro dei Presidenti delle Conferenze Episcopali sugli scandali del Clero tenutosi a Roma a fine Febbraio non fu consegnato ai Vescovi per ordine di Bergoglio o del card. Parolin, e che Ratzinger si è visto costretto a divulgarlo dopo più di un mese di boicottaggio vaticano (qui), nel silenzio della stampa d’Oltretevere. Come giustamente commenta Sandro Magister, «Il silenzio è reazione tipica di Jorge Mario Bergoglio ogni volta che è seriamente messo alla prova. L’ha adottato con i “dubia” dei quattro cardinali, con le domande scomode dell’ex nunzio negli Stati Uniti Carlo Maria Viganò e ora con questo intervento del papa emerito» (qui). 

VI. La conciliarità dei Vescovi


L’analisi del card. Ratzinger sembra un po’ troppo focalizzata sull’aspetto accademico del problema, e troppo poco sulla risposta della Gerarchia; mentre è innegabile la responsabilità che questa ebbe nell’aprire il sacro recinto alla mentalità secolarizzata che portò inesorabilmente agli scandali. L’ammette egli stesso quando afferma: «Poiché dopo il Concilio Vaticano II erano stati cambiati pure i criteri per la scelta e la nomina dei vescovi, anche il rapporto dei vescovi con i loro seminari era differente. Come criterio per la nomina di nuovi vescovi va­leva ora soprattutto la loro conciliarità, potendo intendersi natural­mente con questo termine le cose più diverse. In molte parti della Chie­sa, il sentire conciliare venne di fatto inteso come un atteggiamento cri­tico o negativo nei confronti della tradizione vigente fino a quel momen­to, che ora doveva essere sostituita da un nuovo rapporto, radicalmente aperto, con il mondo». 

Sarebbe opportuno nondimeno notare che gli scandali per criminicontra Sextum da parte di chierici non possono limitarsi ai casi in cui al peccato grave e al delitto canonico si aggiunge anche il crimine penale secondo la legge degli Stati: se la pedofilia è un reato punito dal foro secolare, va ricordato che la sodomia è un peccato che grida vendetta al cospetto di Dio e che costituisce una fattispecie a parte in foro ecclesiastico. Laddove in un futuro non remoto la legislazione civile dovesse depenalizzare la pedofilia, così come già ha fatto per il reato di sodomia, questo non renderebbe meno gravi le colpe del Clero. Né meno gravi sono i delitti contra naturam per il solo fatto che siano compiuti da persone consenzienti, e che nella legislazione civile della maggioranza degli Stati essi non costituiscano un crimine. Eppure sembra che per alcuni esponenti della setta conciliare le molestie di un Cardinale o di un Vescovo nei confronti di seminaristi maggiorenni vadano considerate dinanzi all’opinione pubblica come colpe quasi marginali da derubricarsi. In questo atteggiamento non si può non notare una gravissima mancanza di senso del soprannaturale, a tutto vantaggio di quella mentalità secolarizzata che è la causa prima dell’immoralità del Clero a tutti i livelli. 

Certo, non in tutti i Seminari si ebbero Rettori - poi consacrati Vescovi! - che facevano vedere film pornografici ai giovani leviti, come riferisce Ratzinger; ma l’abbandono della disciplina, la proibizione dell’uso della talare dopo l’abolizione della Sacra Tonsura; la dissipazione e lo svago in antitesi allo spirito di raccoglimento; la derisione della mortificazione e dell’ascesi, se non addirittura la turpe caricatura della penitenza in chiave masochista; la sistematica demolizione della spiritualità e dell’amore per la divina Liturgia, divenute materia di sospetto e motivo di allontanamento dei candidati agli Ordini; l’abolizione dello studio della Scolastica e l’introduzione di un insegnamento infetto di Modernismo in tutte le discipline ecclesiastiche; la scomparsa del Latino; il continuo riferimento alla sessualità ed ancor più alla relativa venialità dei peccati contra Sextum; l’affermazione che «Dio ci ama per come siamo», in opposizione al cammino ascetico di perfezione; la cancellazione del rapporto gerarchico imposta dai Superiori, sino a forme di familiarità e confidenza al limite della promiscuità; il non dover render conto dei propri spostamenti né dei viaggi o delle vacanze, soprattutto in assenza di un segno distintivo quale l’abito ecclesiastico; tutto questo dimostra che quella conciliarità indicata da Ratzinger consisteva essenzialmente nel far propria la mentalità dell’Illuminismo, di Rousseau, considerando l’uomo - e con esso anche il chierico - immune dal peccato originale e dalle sue dolorose conseguenze, prima tra tutte l’inclinazione al male. Un’inclinazione che non è cancellata dal Battesimo, e contro la quale vanno schierate tutte le virtù, ciascuna opposta ad un vizio. Senza la Grazia di Dio, il fallimento è assicurato. Anzi andrebbe ricordato che lo stato clericale è di per se stesso soggetto allo scatenarsi dell’azione del Maligno, perché quanto maggiore è il bene soprannaturale che un chierico può compiere nella Chiesa, tanto più forte sarà l’azione tentatrice del Nemico. 

VII. Alcuni suggerimenti pratici


La vita del chierico - e del religioso - deve scorrere alla presenza di Dio, sotto lo sguardo benigno e soccorritore della Santissima Vergine, nella rinuncia al mondo e nel rinnegamento di sé: l’esatto contrario di quanto avviene non solo nei Seminari e nei Conventi, ma anche nelle Curie e in Vaticano. E questo habitus del chierico deve coniugarsi con quelle virtù naturali che formano il necessario corredo di un buon cristiano: onestà, rettitudine, lealtà, umiltà, coraggio, onore, erudizione. Ed anche educazione, visto che i rudimenti del vivere civile paiono esser stati cancellati nella furia iconoclasta del Concilio. 

L’umiltà della persona non deve confondersi con l’umiliazione del ruolo: se il sacerdote è alter Christus, questi dovrà sparire per lasciar apparire Nostro Signore; se il Vescovo è Sacerdos magnus, dovrà comportarsi coerentemente con il proprio ruolo, con decoro e dignità, perché anche i gentili portino rispetto al Salvatore di cui egli è eminentemente rappresentante; se il Papa è Vicario di Cristo, Re dei Re, potrà vivere nella povertà più austera tra le quattro mura della propria camera, ma dinanzi al mondo egli dovrà realmente apparire come colui che ha ricevuto da Cristo il potere delle Sante Chiavi, il Sommo Pontefice, al quale giustamente i sovrani della terra piegano il ginocchio e baciano il piede. 

Sovvertire quest’ordine sacro, voluto da Dio e custodito per millenni dalla Chiesa, è opera diabolica, perché compie esattamente il contrario di ciò che è giusto: che il centro di tutto sia Cristo, e non l’uomo. L’uomo deve solo prostrarsi e adorare la Divina Maestà, implorando con fiducia quel perdono che il Salvatore gli ha messo a disposizione con la propria Passione e Morte. In questo non c’è nulla da inventare: basta ricominciare a fare quel che la Chiesa ha sempre fatto, finché non è stata invasa dai nemici di Cristo. 

VIII. La vita comune come presidio contro la mondanizzazione


Un altro aspetto importantissimo nella vita clericale dovrebbe essere la vita comune. Il Clero secolare si trova oggi - anche per la drastica diminuzione delle vocazioni - abbandonato a se stesso, isolato dai confratelli e dai Superiori. Mentre sarebbe quantomai opportuno che i sacerdoti diocesani vivessero in comunità, al modo delle antiche Collegiate ad esempio, condividendo la dimora, la mensa e ovviamente la recita di alcune Ore del Breviario. Sembra una visione desueta, ma questo è il modello adottato dalla Fraternità San Pio X e dimostra, pur nel moltiplicarsi degli impegni pastorali, che la disciplina del Clero va aiutata dalla presenza di un Priore che vigili e sappia guidare paternamente una piccola comunità, anche solo di pochi chierici. In un tale contesto, i sacerdoti potrebbero aiutarsi vicendevolmente, sia con la preghiera sia anche in modo concreto: dividere gli impegni materiali, trascorrere tempo insieme per confrontarsi, avere dei momenti di ricreazione senza cadere nella dissipazione o nelle facili tentazioni offerte dal mondo secolarizzato. Queste Collegiate avrebbero anche l’utilissima funzione di consentire periodi di vita parrocchiale ai candidati al Sacerdozio, permettendo ai Superiori di valutare le loro attitudini umane e la solidità della loro vocazione.

IX. La Santissima Eucaristia cuore dell’anima sacerdotale


Osserva l’Emerito: «Il nostro rapporto con l’Eucaristia non può che destare preoccupazione». A giudicare da come lo stesso suo Successore tratta l’Augusto Sacramento, la preoccupazione è ben più che giustificata. Ma anche qui le cause sono da ricercarsi nella rivoluzione conciliare, che per compiacere i Luterani è riuscita a demolire la Sacra Liturgia e la Messa in particolare, facendo sì che i gesti esteriori di adorazione fossero ridotti al punto da indurre istintivamente il fedele - e il celebrante - ad una minor fede nella Presenza Reale, se non addirittura alla persuasione che il Pane Eucaristico sia solo un simbolo di unità tra i partecipanti ad un banchetto. E di questo dobbiamo ringraziare i teologi del Concilio, i suoi liturgisti, i suoi periti, che all’amore adorante per il Santissimo Sacramento, tesoro inestimabile che solo la Chiesa Cattolica custodisce, hanno preferito il plauso del secolo e la più facile sequela delle dottrine degli eretici. 

Il card. Ratzinger continua: «A ragione il Vaticano II intese mettere di nuovo al centro della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa questo Sacra­mento della presenza del Corpo e del Sangue di Cristo, della presenza della Sua persona, della Sua Passione, Morte e Risurrezione». Un’affermazione che sconcerta, perché - sempre in linea con lo spirito di cambiamento cui accennavo poc’anzi - egli lascia intendere che la Chiesa, sino al Concilio, non avesse messo «al centro della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa» il Santissimo Sacramento, ma che occorresse farlo «di nuovo», non si sa a partire da quando e per quale motivo. Mentre è vero semmai il contrario, e cioè che il Vaticano II e la sua spuria liturgia intrisa di Protestantesimo hanno confinato l’Augusto Sacramento - non solo simbolicamente, ma anche fisicamente - in un angolo «della vita cristiana e dell’esistenza della Chiesa», e con Amoris lætitia si giunge a legittimarne la profanazione, autorizzando la Comunione per chi si trova in istato di peccato mortale nel concubinato, oltre ad ammettere al Sacro Banchetto anche eretici e scismatici nel corso delle grottesche concelebrazioni ormai divenute prassi invalsa. 

«L’Eucaristia è declassata a gesto cerimoniale quando si considera ovvio che le buone maniere esigano che sia distribuita a tutti gli invitati a ra­gione della loro appartenenza al parentado, in occasione di feste familia­ri o eventi come matrimoni e funerali. L’ovvietà con la quale in alcuni luoghi i presenti, semplicemente perché tali, ricevono il Santissimo Sa­cramento mostra come nella Comunione si veda ormai solo un gesto cerimoniale». Ma quest’ovvietà - occorre ribadirlo, ed anzi gridarlo - non viene dal basso, ma dai sacerdoti, dai Vescovi, dallo stesso Sedicente che gioca equivocamente con le parole parlando di «carne di Cristo, corpo di Cristo» riferendosi ai poveri, cui si prostra, mentre rimane in piedi davanti al vero Corpo di Cristo presente sotto le Specie Eucaristiche. E tutto questo col supporto ideologico della corte di eretici quali padre Cantalamessa, teorizzatore coram Pontifice di questa aberrante deviazione che sovverte il cuore stesso della Chiesa. 

X. Pro eligendo Pontifice


Con questo clero, questa Gerarchia, questi timorosi Prelati che pur credono ma non osano ripudiare l’idolo conciliare, c’è ben poco da fare, umanamente. Ma è certo che occorre una purificazione drastica ed impietosa dell’intera casta dei Leviti. E questa operazione deve iniziare dall’alto, non appena la Provvidenza si degnerà di concedere alla Sua Chiesa un nuovo San Pio X, un Papa che abbia come suo unico scopo quello di piacere a Dio, e che aborrisca qualsiasi compromesso con lo spirito del mondo che ha infettato la Sposa di Cristo. Un Papa che allontani senza falsa pietà gli indegni, i lussuriosi, gli eretici, i dissipati, i carrieristi, gli ignoranti, i ricattatori e i simoniaci. Ad iniziare dai tanti che affollano il Sacro Collegio e la Curia Romana, le Conferenze Episcopali, gli Atenei, le Congregazioni religiose, i Seminari, i Conventi, le Diocesi, le Parrocchie, le Associazioni cattoliche. Extra omnes. Abbiamo bisogno di pastori che non siano ricattabili, che abbiano una condotta integerrima, una pietà sana, una solida formazione dottrinale e morale, e soprattutto un grande amore e timore di Dio. Che tremino all’idea di poterGli mancar di rispetto, di offenderLo, di non onorarLo abbastanza. Ministri rivolti con l’anima e con il corpo verso il Signore, che sappiano condurre il gregge loro affidato ponendovisi a capo, e non spingendolo nel dirupo. Vescovi che trattino da pari a pari con i potenti, levando alta la voce per predicare la Verità e condannare l’errore. 

XI. Conclusione


Chiede l’Emerito: «Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo creare un’altra Chiesa affinché le cose possano aggiustarsi? Questo esperimento già è stato fatto ed è già falli­to». Mi permetterei qui di glossare che «questo esperimento» è stato il Concilio, «ed è già fallito». Sarebbe il caso che ne prendessero atto tanto Ratzinger quanto gli Eminentissimi e gli Eccellentissimi che continuano a guardare ad esso come ad un punto imprescindibile di riferimento, mentre è evidente che il suo cadaverejam fœtet e si impone una sepoltura definitiva senza ulteriori indugi. Imbiancare il sepolcro del Vaticano II sarebbe operazione davvero farisaica, che nessun esegeta riuscirà mai a render presentabile. 


Dominica in Albis 2019
In Octava Paschæ

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