ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 31 maggio 2019

Dio è passato di moda

L'IPERTROFIA DELL'EGO


Il tipo del prete narcisista? Il problema è sempre quello: l’ipertrofia dell’ego. Le anime orgogliose si servono dell’amor di Dio per coltivare lo smodato amor di sé. Oggi il Signore è divenuto un estraneo nella sua stessa casa 
di Francesco Lamendola  

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Gira e rigira, il problema è sempre lo stesso, che si parli di politica, di arte, di scienza, di sport, di tempo libero o… di religione: il problema è sempre la crescita patologica, ipertrofica dell’ego, il suo bisogno compulsivo di autoaffermazione, la sua dipendenza dall’altrui riconoscimento, dall’altrui approvazione, anche a costo di tradire i proprio valori e i propri principi, anche a costo di calpestare i diritti altrui e di ricorrere alle scorciatoie più discutibili e umilianti. Sì, anche a proposito di religione. Osiamo anzi affermare che uno dei problemi più gravi che affiggono il cattolicesimo, o meglio ciò che ne resta in questi tempi di apostasia generalizzata e d’instaurazione di una contro-chiesa massonica e satanica al posto della vera e purissima Sposa di Cristo, è proprio l’io meschino, avido, incontenibile di molti prelati, vescovi, teologi e comuni sacerdoti, ciascuno dei quali si sente gratificato dal fatto di disporre d’un palcoscenico, l’altare del Santissimo Sacramento e di un pubblico, l’assemblea dei fedeli, per dire tutto quel che gli passa per la testa; per abbandonarsi ai gesti più inconsulti, esibizionisti, narcisisti; di poter ricorrere a qualsiasi stratagemma pur di piacere alla mentalità laicista, edonista e materialista dei “credenti” formali ed esteriori, quelli che vengono alla santa Messa non per devozione autentica ma per abitudine, e che gongolano se odono dalla bocca stessa del prete ciò che, fino a qualche anno fa, non avrebbero mai osato sperare di sentire.


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Gira e rigira, il problema è sempre lo stesso, che si parli di politica, di arte, di scienza, di sport, di tempo libero o… di religione: il problema è sempre la crescita patologica, ipertrofica dell’ego, il suo bisogno compulsivo di autoaffermazione, la sua dipendenza dall’altrui riconoscimento, dall’altrui approvazione, anche a costo di tradire i proprio valori e i propri principi, anche a costo di calpestare i diritti altrui e di ricorrere alle scorciatoie più discutibili e umilianti!

E cioè basta, una volta per tutte, con questo attaccamento morboso verso le cose del tempo che fu; è ora di applicare finalmente lo spirito del Concilio, lasciar andare la tradizione (con la minuscola o con la maiuscola?), scendere coi piedi sulla terra e lasciar perdere le astrazioni metafisiche: e perciò di dire che il peccato non è più peccato, che il male non è più male, che la Confessione è una semplice formalità, tanto è vero che, se si prova imbarazzo, si può anche omettere di parlare dei propri peccati; che Dio perdona e assolve tutti, anche senza bisogno di pentimento; che gli istinti sono tutti sostanzialmente buoni, e che è male cercare di reprimerli; che Gesù Cristo ci ama e ci accetta così come siamo, anche sprofondati nel vizio e dediti a una vita dissoluta, senza la minima idea di conversione; che ogni occasione terrena cui si rinuncia, è persa per sempre; che è giusto cercare la felicità in questa vita, senza troppo preoccuparsi di quell’altra, che non si sa bene neppure se esista davvero; che i Santi, tutto sommato, devono essere un po’ tocchi, e che specialmente i mistici, quelli più lontani – in apparenza! – dall’impegno sociale, forse farebbero meglio a rimboccarsi le maniche e darsi da fare per scodellare la minestra ai poveri e raddrizzare le storture politiche e sociali; che la preghiera sarà una bella cosa, ma vuoi mettere con un pasto caldo e un letto assicurato a tutti i migranti che abbiano voglia di venire in Italia, pasto e letto da allestire preferibilmente nelle chiese e nelle basiliche, togliendo i banchi da preghiera e trasformandole in mense e dormitori (grazie, comunità di sant’Egidio: esempio insuperabile di vera accoglienza e vero amore al prossimo!); che accogliere costoro è cosa bella e buona, anzi doverosa e ineludibile per ogni vero cristiano, perché anche Cristo era un migrante, e dunque chi accoglie i migranti, accoglie Gesù Cristo; che non c’è un traffico di esseri umani nel Mediterraneo, e non c’è il business dell’accoglienza da parte di persone e associazioni interessate, ma solo un grande problema umanitario, morale, religioso, al quale solo gli animi egoisti e insensibili chiudono le porte del loro cuore; che il Rosario si può sempre rimandare, ma lo sciopero per la riduzione delle emissioni di anidride carbonica bisogna farlo assolutamente; che la grazia può aspettare, ma il clima non aspetta, e noi dobbiamo essere uomini del presente, cristiani attivi e sensibili ai problemi ecologici e sociali del nostro pianeta; e via di questo passo, magari con sottofondo di chitarre, tamburelli e nacchere, perché l’organo è roba d’altri tempi e il canto latino è addirittura archeologia. Infine, basta coi pregiudizi e le chiusure verso le altre religioni, è tempo di unirsi nella grande fratellanza umana (massonica) e lasciar cadere tutti i muri e gettare solo ponti, così come Dio vuole che facciamo, riconoscendo pari dignità e verità a ogni fede e qualsiasi credo.

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Ormai non dicono più: cattolico, perché da quando il signore argentino ha detto che Dio non è cattolico, quella parola sembra sia diventata una parolaccia!

Vale la pena di rileggersi questa pagina di uno psicologo tedesco, Wilhelm Pöll, in un’opera certamente datata, ma che conserva sostanzialmente la sua validità, quantomeno per la parte che a noi qui interessa (da: W. Pöll, La suggestione; titolo originale, Die Suggestion. Wesen und Grundformen; traduzione dal tedesco delle benedettine del Monastero di S. Maria di Rosano, Roma, Edizioni Paoline, 1960, pp. 138-141):
Ma se il consenso ai valori religiosi non deriva dall’interesse religioso o dal pensiero guidato da questo stesso interesse, ma dall’amor proprio e dall’orgoglio, queste convinzioni pur non essendo errate, sono formate per suggestione, perché il consenso non deriva dai motivi della logica religiosa (la quale può procedere discorsivamente, intuitivamente o in altro modo) ma da motivi estranei e persino opposti, da motivi egoistici. In una simile forma di autosuggestione, è caduto chi crede di essere pio e pieno di timor di Dio nonostante che i contenuti e le usanze religiose gli servano unicamente da cornice per la propria importanza, anzi, proprio per questo.  (…)
In un simile egocentrismo o errato amor di sé la teologia ascetica scorge “la fonte di tutte le delusioni della vita spirituale”, per mezzo delle quali il demonio tesse i suoi inganni. “Si ha un vivo desiderio di consolazioni spirituali, il demonio ne procura di false che alimentano la sensualità e l’orgoglio. Si è avidi di ricevere grazie straordinarie, il demonio si trasforma in angelo della luce e simula le operazioni divine. Si interroga curiosamente Dio sullo stato della propria anima, o di quella altrui, o sul futuro occulto, il diavolo fa sentire interiormente delle parole, che si prendono per una risposta celeste” (P. Grou). Se si lascia da parte la denominazione, teologicamente fondata, dell’avversario quale causa ultima, si giunge al fondamento psicologico del fenomeno dell’autosuggestione nel campo religioso. Quel che determina la sua comparsa non è l’interesse religioso, ma l’interesse dell’io, o, in linguaggio ascetico, l’amore errato di sé.
Tutto questo non sembra che contribuisca a chiarire la questione della partecipazione motivante della vitalità alla trasmissione auto-suggestiva di contenuti di significato estetici o religiosi. Perché si esita prima di identificare l’affermazione del proprio io o egocentrismo con l’efficacia determinante della vitalità o dell’interesse vitale. Una simile identificazione potrebbe far pensare che l’io sia definibile solo vitalmente, con una conseguente universalizzazione dei motivi vitali, che non sarebbe assolutamente conveniente per i fenomeni della vita spirituale. L’eros platonico per le idee eterne non si preoccupa sicuramente della conservazione e dello sviluppo dei fondamenti organici dell’esistenza e la “vita eterna” a cui aspira l’uomo religioso è un’altra cosa dalla vita terrena nella carne. Egli preferirebbe piuttosto “partire dal corpo e tornare al Signore”, sa che vive ancora sotto la “tenda”, che deve esser distrutta prima che si ridesti “un corpo spirituale” e che quel che è “mortale deve esser assorbito dalla vita” – queste sono le espressioni di Paolo (1 Cor. 15,42 ss.; 2 Cor., 5,1 ss.). è indubitato che esistono atti e comportamenti dell’io che non sono determinati vitalmente. Il riferimento necessario dell’intera vita psichica ad un io che esperimenta non autorizza all’affermazione di una posizione di predominio altrettanto universale della vitalità. Ma anche quando si parla di affermazione dell’io e di egocentrismo, non si intende alludere a questo riferimento centrale di tutto lo psichico all’io. L’io come centro di riferimento degli atti e delle funzioni psichiche non ha alcuna importanza nell’esperienza irriflessiva, e tanto meno ne ha nei procedimenti logici, che, fondandosi su una relazione vera, reclamano una oggettiva valutazione – indipendentemente da un comportamento psichico di qualsiasi genere.
Ben diversamente vanno le cose con quell’io, che agisce nell’”affermazione dell’io” o nell’”egocentrismo”, il quale si sente al primo posto nell’esperienza e si comporta come se – per usare un linguaggio diplomatico – vedesse colpito i suoi “interessi vitali” dappertutto. Si trova in una specie di risentimento del suo primato, sempre “en vogue”. Il quadro viene stimato bello per la ragione più o meno cosciente che mi appartiene, che l’ho acquistato a caro prezzo, che fin dal principio mi sono pronunciato per la sua bellezza, che ho trovato consenso, che non vedo alcun motivo per abbandonare quest’opinione. Per quanti altri motivi del genere si possano addurre, è facile vedere che in questo miscuglio di argomento in realtà l’amor proprio, il “nervus rerum” e l’auto-affermazione, forniscono dei motivi hanno importanza per l’esistenza vitale.(…) Il carattere di invidia e di rancore dell’autoaffermazione come pure il suo risentimento e la sua perversione si manifestano proprio nel fatto che essa porta ad un apice mai raggiunto l’indice vitale. Nell’egocentrismo la vitalità costituisce sempre di bel nuovo la questione essenziale, derivante dall’aprioristica certezza di non esser mai abbandonata.

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Nella "Contro-chiesa" della grande fratellanza "massonica", Dio è passato di moda; la verità oggettiva non esiste più: siamo nel regno del soggettivismo esasperato e della coscienza individuale eretta a giudice supremo del bene e del male; in altre parole, siamo alla teologia dell’epidermide, all’etica delle emozioni. Gesù è il grande assente!

Ebbene: ciò che l’Autore ha delineato in queste righe è il perfetto ritratto, psicologico e spirituale, o piuttosto non-spirituale, di tantissimi preti, vescovi e teologi contemporanei: tutti quelli che si rifiutano di celebrare la santa Messa di Natale, per non mancare di sensibilità verso il dramma dei migranti; che si rifiutano di far recitare il Credo, perché dicono all’assemblea dei fedeli che, tanto, loro non ci credono; che si rifiutano di benedire, perché la benedizione cattolica esclude i non cattolici, mentre il vero cristiano (ormai non dicono più: cattolico, perché da quando il signore argentino ha detto che Dio non è cattolico, quella parola sembra sia diventata una parolaccia) deve essere sempre e comunque inclusivo verso tutto e verso tutti; che chiamano le coppie omofile sull’altare, per presentarle festosamente ai fedeli e indicare la loro unione come ammirevole esempio di reciproco amore; che auspicano quanto prima la totale abolizione di preghiere come l’Atto di dolore, considerate come l’espressione di una ormai sorpassata e non rimpianta pedagogia della paura; che tengono, con l’approvazione dei loro vescovi, corsi di affettività e fedeltà per coppie di amanti dello stesso sesso, se possibile dentro le mura di un convento di suore, giudicato evidentemente come il luogo più acconcio per una simile “pastorale”; e che tirano fuori la chitarra e si mettono a strimpellare, dall’ambone, intonando motivi di canzonette di Sanremo, per far vedere quanto sono aperti, spigliati e moderni. È la malattia dell’ego. Il pessimo esempio viene dall’alto: non è forse il signore argentino che parla continuamente di se stesso, e che ora dice di avere tanti dubbi di fede; ora di essere andato a farsi aiutare da una psicanalista ebrea; ora di non voler giudicare i peccatori; e ora di considerarsi un conservatore? Il ritornello è sempre lo stesso: Io, io, io: io faccio questo, io dico questo, io penso quest’altro. Per me è così, a me sembra che la verità sia questa. Dio è passato di moda; la verità oggettiva non esiste più: siamo nel regno del soggettivismo esasperato e della coscienza individuale eretta a giudice supremo del bene e del male; in altre parole, siamo alla teologia dell’epidermide, all’etica delle emozioni.Gesù è il grande assente, e il Vangelo si riduce a situazionismo: non , e nono, ma: bisogna vedere, dipende. Dipende da cosa? Da quel che mi sembra, dall’umore del momento. E questo sarebbe cattolicesimo?

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Il tipo del prete narcisista? Quasi sempre è un "sacerdote" progressista di rito bergogliano, che ha semplicemente perso la fede!

Il problema è sempre quello: l’ipertrofia dell’ego

di Francesco Lamendola



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