ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

venerdì 31 maggio 2019

Là dove brizzolano gli orsi

Caso McCarrick: nuova intervista, nuove rivelazioni. Quali le ricadute?

Qualche giorno fa Papa Francesco ha rilasciato una importante intervista a Valentina Alazraki, una vaticanista di lungo corso, corrispondente della TV messicana Televisa. L’intervista ha toccato tanti argomenti. Quello che però ha suscitato immediate reazioni è stato su Theodore McCarrick, ora ridotto allo stato laicale, da cardinale che era, a causa degli abusi sessuali, anche su minori.
Phil Lawler, scrittore e giornalista, riflette su alcuni passaggi dell’intervista secondo il suo consueto stile, molto asciutto e tagliente.
Ecco il suo articolo nella mia traduzione.
Papa Francesco intervistato da Valentina Alazraki di Televisa 28 05 2019
Papa Francesco intervistato da Valentina Alazraki di Televisa 28 05 2019 (screenshot)
 Nella sua ultima intervista Papa Francesco dice di non ricordare se l’Arcivescovo Viganó gli abbia parlato della cattiva condotta sessuale di Theodore McCarrick. Insiste anche sul fatto che non sapeva “niente, ovviamente, niente, niente, niente” della cattiva condotta di McCarrick. Queste due affermazioni non si conciliano facilmente l’una con l’altra.

Se mi dicessi che hai studiato francese al liceo, forse non me lo ricorderei cinque anni dopo; non mi verrebbe in mente. Ma se mi dicessi che hai lottato contro un orso brizzolato, che io ti abbia creduto o meno, certamente mi ricorderei dell’affermazione. Il Papa sta forse suggerendo che la notizia che l’arcivescovo Viganó dice di avergli trasmesso – cioè che un cardinale arcivescovo era stato a letto con seminaristi, e che gli era stato ordinato dal precedente Pontefice di ritirarsi dalla vita pubblica – non si sarebbe impressa nella sua memoria?
Eppure anche questo stravagante suggerimento non è sufficiente a coniugare le due affermazioni del Papa in maniera convincente. Perché se l’arcivescovo Viganó lo avesse informato, allora anche se il Papa in qualche modo si fosse dimenticato, non potrebbe dire in modo veritiero che non sapeva “nulla” dello scandalo McCarrick.
L’arcivescovo Viganó, senza mezzi termini, ha espresso perfettamente la sua posizione in risposta alla nuova intervista papale: “Quello che il Papa ha detto sul non sapere nulla è una menzogna“.
Così ancora una volta ci troviamo a chiederci: La testimonianza dell’arcivescovo Viganó è credibile? A settembre, quando la maggior parte del clamore si era attenuato dopo la prima esplosione dello scandalo McCarrick, ho riassunto le prove disponibili e ho scoperto che erano molto a favore dell’arcivescovo. (I difensori di papa Francesco hanno preferito non esaminare quelle prove, mettendo in discussione le motivazioni dell’arcivescovo Viganó ). Papa Francesco, da parte sua, si è rifiutato di discutere la testimonianza di Viganó , finché, durante questa nuova intervista, Valentina Alazraki della rete televisiva messicana gli ha detto che il suo silenzio era diventato gravoso per i giornalisti, così ha provveduto a liberarsi.
Per coincidenza (o è stata una coincidenza?), lo stesso giorno in cui è stata resa pubblica l’intervista a Televisa, sono emerse nuove importanti prove, fornite da un chierico che non potrebbe essere facilmente descritto come nemico del Pontefice. Mons. Anthony Figueiredo, ex segretario di McCarrick, ha professato il suo “immutato affetto, lealtà e sostegno a Papa Francesco“, anche quando ha rilasciato una serie di informazioni che confermano importanti elementi della testimonianza di Viganó. Mons. Figueiredo ha rivelato:
  • che nell’agosto 2008, McCarrick aveva ricevuto istruzioni dal Vaticano, che gli ordinavano di allontanarsi dalla vita pubblica;
  • che McCarrick aveva riconosciuto l’azione disciplinare e promesso di non fare altre apparizioni pubbliche;
  • che copie della corrispondenza pertinente dovrebbero essere prontamente disponibili negli archivi della Congregazione vaticana per i vescovi e quelli del nunzio apostolico a Washington;
  • che le restrizioni su McCarrick erano note al cardinale Wuerl, suo successore a Washington, e al cardinale Bertone, segretario di Stato vaticano, tra gli altri;
  • che a McCarrick era stato proibito di recarsi a Roma; e
  • che nonostante le restrizioni vaticane e nonostante la sua promessa, McCarrick aveva continuato a fare apparizioni pubbliche, aveva visitato Roma e aveva agito come rappresentante vaticano in Cina, in Iran, in Iraq e altrove.
I fascicoli di Figueiredo non affrontano direttamente la questione se l’Arcivescovo Viganó avesse parlato a Papa Francesco delle restrizioni su McCarrick. Ma chiariscono che l’azione disciplinare era una questione seria: il tipo di argomento che un nunzio apostolico (Viganó) avrebbe probabilmente discusso con un pontefice (Francesco) in visita alla città in cui McCarrick viveva.
Ma papa Francesco dice di non ricordare una simile conversazione. Si noti, ancora una volta, che non nega che la conversazione abbia avuto luogo; dice semplicemente che non la ricorda. Questa affermazione mette a dura prova la credibilità, allo stesso modo dell’affermazione dell’ufficio stampa vaticano che, in una trascrizione dell’intervista, il vuoto di memoria professato dal Papa è stato omesso fino a quando i giornalisti non hanno richiamato l’attenzione sull’omissione. (Un articolo riassuntivo sull’intervista, pubblicato sul servizio di Vatican News, tocca a malapena l’affare McCarrick, e non menziona la mancanza di memoria.)
Nel corso dell’intervista a Televisa Papa Francesco fa altre affermazioni che dovrebbero far alzare le sopracciglia dei giornalisti scettici. Dice di aver portato a Roma il vescovo argentino Gustavo Zanchetta, sollevandolo dai suoi doveri pastorali, perché “il clero non si sentiva ben trattato da lui” – non a causa delle accuse di abusi emerse in seguito. Ha descritto le critiche del cardinale Oscar Maradiaga, presidente del Consiglio cardinalizio (il C9, ndr), come “calunnie” – la stessa affermazione che ha fatto diciotto mesi fa sulle critiche del vescovo cileno Juan Barros, e che alla fine è stato costretto a ritrattare (a causa degli abusi dimostrati, ndr) – pur facendo anche l’affermazione molto meno convincente che “non c’è niente di certo” contro il cardinale honduregno. E quando gli è stato chiesto di un famigerato colloquio con una divorziata argentina, in cui l’avrebbe incoraggiata a ricevere la Comunione nonostante un nuovo matrimonio illecito, il Papa dice ancora una volta che non ricorda la conversazione, “ma devo averle sicuramente detto: ‘Guarda, in Amoris Laetitia c’è quello che devi fare”. (Come ha sottolineato Chris Altieri sul Catholic World ReportAmoris Laetitia non è stata promulgata che due anni dopo la conversazione riportata).
Tuttavia, la sezione più rivelatrice dell’intervista di Televisa è la spiegazione del Papa sul perché è rimasto in silenzio, fino ad ora, sulla testimonianza di Viganó. Spiega che, invece di difendersi, ha scelto di affidarsi ai giornalisti per esporre le sue ragioni per lui:
E questo avete fatto, perché il lavoro l’avete fatto voi, e in questo caso è stato fantastico. Ho fatto molta attenzione a non dire cose che non erano lì ma poi le ha dette, tre o quattro mesi dopo, un giudice di Milano quando lo ha condannato.
La menzione da parte del Papa del “giudice di Milano” è un riferimento alla disputa legale dell’arcivescovo Viganó con il fratello, una questione sfortunata che non ha alcuna attinenza con le rivendicazioni dell’arcivescovo sullo scandalo McCarrick. Sta forse il Papa Francesco rivelando di aver fatto affidamento sui mass media affinché facessero il loro lavoro sporco per lui, per trovare informazioni poco lusinghiere sul suo accusatore, per distogliere l’attenzione dalle prove? Papa Francesco dice di non aver mai letto per intero la testimonianza di Viganó, ma descrive la critica dell’arcivescovo come “cattiveria” e sembra, in una frase particolarmente confusa, implicare che Viganó sia stato pagato per attaccarlo. Così, proprio mentre si paragona a Gesù, come vittima innocente e silenziosa, il Pontefice sferra il suo attacco feroce al personaggio del suo accusatore.
L’Arcivescovo Viganó, nella sua originale testimonianza-bomba, ha detto che Papa Francesco era a conoscenza, e ha scelto di ignorare le accuse contro McCarrick. E’ sicuramente rilevante, quindi, che nella sua nuova testimonianza appena rilasciata, Mons. Figueiredo dice di aver reso pubbliche le sue prove solo dopo aver tentato inutilmente, dallo scorso settembre, di portare quelle prove all’attenzione di Papa Francesco e di altri funzionari vaticani.
Ironia della sorte, Mons. Figueiredo rivela che la sua decisione di rendere pubblica la sua corrispondenza è stata incoraggiata – indirettamente – da Papa Francesco. Nel rilasciare il suo nuovo motu proprio, Vos Estis Lux Mundi, il Papa ha sottolineato che la copertura degli abusi è di per sé un crimine canonico, e ha esortato chiunque abbia informazioni su un insabbiamento a farsi avanti. Così Mons. Figueiredo si è fatto avanti. “E’ mia speranza”, ha scritto, “che la mia trasparenza incoraggi e aiuti altri sacerdoti, religiosi e seminaristi, che si sono trovati intrappolati in simili abusi di autorità e di copertura da parte di vescovi e superiori”. Amen a questo.
By Sabino Paciolla

Bambini in affido a padri pedofili

Solo grazie alle denunce di due “sopravvissuti” sta venendo alla luce anche sui media tedeschi quello che finora era rimasto un caso noto ma poco pubblicizzato. Ne è protagonista una star tedesca dell’educazione progressista e in particolare della liberazione dai tabù sessuali – dai primi anni 60 fino al suo pensionamento nel 1996: l’omosessuale protestante Helmut Kentler. Professore universitario e autore di perizie psichiatriche in cause di pedofilia, diede in affido ragazzi di strada a pedofili dichiarati per “stabilizzarli”, nell’ambito di un progetto sostenuto dall’Ufficio per la tutela dei minori della citta di Berlino e quindi pagato con i soldi dei contribuenti.
Leggendo l’articolo che segue si capisce perché abbia suscitato un vespaio – anche in Vaticano – quanto Benedetto XVI ha recentemente scritto sulle origini degli abusi anche all’interno della Chiesa cattolica: il Papa emerito ha chiamato per nome quello che nessuno vuole ammettere, dicendo che una delle cause di tanto male fu proprio la liberalizzazione della sessualità esplosa durante il ’68 con la “pedagogia” dell’emancipazione da regole e norme morali, i cui effetti si vanno facendo sempre più evidenti ai nostri giorni.
Interessante che col tempo proprio i Verdi, il partito più antiautoritario negli anni 80 in Germania, che ora sta vincendo le elezioni ovunque per la sua lotta contro la “catastrofe climatica”, siano stati tra i più attivi sostenitori della campagna di liberalizzazione di qualsiasi atto sessuale in qualsiasi relazione, quindi anche della pedofilia. Infatti, come riporta l’ANSA, “I Verdi tedeschi alla loro fondazione nel 1980 inserirono nel programma la liberalizzazione dei rapporti sessuali con i bambini. (…) La legalizzazione della pedofilia rientrava in una cultura post sessantottina di rivoluzione sessuale e sparì dal programma solo nel ’93”. La Humanistische Gesellschaft, che anche dopo la pubblicazione delle prime titubanti critiche a Kentler ha continuato fino al 2004 a difenderlo, ha tra i suoi membri illustri rappresentanti della cultura e della politica (particolarmente Verde) tedesca.
Questa “società umanistica” esiste ancora e fu tra i più virulenti contestatori dell’invito a Papa Benedetto XVI a parlare davanti al Parlamento tedesco.
Nel 2008 Kentler morì senza essere mai stato messo seriamente in discussione (nonostante già dalla metà degli anni Novanta fossero emerse critiche e attacchi da parte del movimento femminista). Lo “Jugendzentrum für Evangelische Jugendarbeit in Josefstal e.V.” [Centro di studi per la pastorale giovanile evangelica sito nella località bavarese Josefstal (https://www.josefstal.de)] lodò ancora Kentler, che vi aveva a lungo lavorato, per la sua attività volta a rendere accetta l’omosessualità all’interno della chiesa.
Oggi, a 60 anni di distanza dai primi passi di queste teorie, stiamo raccogliendo i loro frutti amari per le nostre famiglie e i nostri bambini.
Per dare una rappresentazione plastica a quanto ho accennato più sopra, vi propongo la lettura dell’articolo di Claudia van Laak, pubblicato su Deutschlandfunk, nella mia traduzione dal tedesco.
                                      Alessandra Carboni Riehn
Orsacchiotto di peluche
 Per anni gli Uffici per la tutela dei minori (Jugendamt) di Berlino hanno affidato bambini a padri pedofili. Le vittime soffrono fino ad oggi per le conseguenze degli abusi. La responsabile delle politiche per l’infanzia e i giovani del Senato di Berlino [organo esecutivo della città stato di Berlino] vuole sottoporre i casi a una revisione critica. Quando al risarcimento per le vittime, però, l’Ufficio distrettuale di Tempelhof-Schöneberg [distretto di Berlino] oppone resistenza.
 di Claudia van Laak  (Deutschlandfunk, 28/05/2019)
Hanno comprato una torta di mele e l’hanno messa sul tavolo. Ma nessuno tocca la torta questo pomeriggio, in un piccolo appartamento di Berlin-Steglitz, in cui Marco e Sven raccontano la loro storia a dir poco incredibile. Entrambi non vogliono sentire il loro vero nome alla radio. Sono sui 35 anni, hanno trascorso quasi metà della loro vita con il padre affidatario Fritz H. “Con un mostro”, dicono oggi.
“Siamo stati allevati da quest’uomo semplicemente per soddisfare i suoi desideri, per esserci quando questi desideri dovevano essere soddisfatti.”
Sven era un trovatello. Arrivò smagrito e malato dal padre affidatario, che nel frattempo è morto, e lì conobbe Marco.
“C’erano ordini cui bisognava obbedire. Conversazioni tra noi, come facciamo ora, non ce n’erano.” Lì siamo stati isolati in modo sistematico. Di conseguenza non c’erano altri influssi dall’esterno.”

Le punizioni corporali erano la norma

All’inizio della nostra conversazione, Marco esce improvvisamente dal salotto. Un attacco di panico, tachicardia, terrore mortale. Dopo essersi calmato, racconta di un totale di otto fratellastri che l’Ufficio per la tutela dei minori affidò a Fritz H. durante tutti quegli anni. Alcuni restarono solo poco, altri 15 anni, come lui stesso. Marco e Sven non hanno mai conosciuto genitori affettuosi, che li sostenessero. Per loro quello che il padre affidatario faceva con loro era la normalità.
“Punizioni corporali. Ci picchiava. La sua massima era che picchiava il diavolo in noi. Non noi, ma il diavolo. E poi l’abuso sessuale, che è iniziato quando avevo sei anni.”
Dal 1989 al 1996 – così conferma anche la Procura di Stato – Marco è stato abusato sessualmente. Dei più vecchi il nostro padre affidatario non si interessava più, solo dei piccoli, dice Marco.
“A un certo punto ti spegni interiormente. Fino ai 13, 14 anni. Se non conosci null’altro e sei isolato dal mondo. Non ero mai stato in vacanza, neanche al parco giochi. La scuola veniva spesso trascurata.”

Un progetto degli anni Sessanta

 L’amministrazione cittadina di Berlino Ovest autorizzò già negli anni Sessanta un progetto nel cui ambito bambini di strada venivano dati in affido a uomini pedofili. L’iniziatore: Helmut Kentler, che allora era direttore di reparto del Pädagogisches Zentrum. Il futuro docente all’Università di Hannover era un sostenitore della legalizzazione di pratiche sessuali con bambini, redigeva perizie per conto di tribunali e Uffici per la tutela dei minori, anche su Marco. Presso l’Ufficio per la tutela dei minori del distretto berlinese di Schöneberg Kentler, che nel frattempo è deceduto, sostenne la causa di Fritz H., il presunto abusatore sessuale e padre affidatario. La responsabile delle politiche per l’infanzia e i giovani del Senato di Berlino, Sandra Scheeres, osserva:
“Quello che trovo davvero terrificante è l’argomentazione che Kentler usò allora, ovvero che da un lato i giovani avrebbero avuto una casa e i padri affidatari avrebbero appunto ricevuto prestazioni sessuali, e che entrambe le parti ne avrebbero tratto vantaggio. Ed è chiarissimo che qui è stato compiuto un crimine sotto la responsabilità dello Stato.”
La responsabile delle politiche per l’infanzia e i giovani del Senato di Berlino Scheeres ha ora dato incarico di sottoporre lo scandalo a revisione scientifica. Sono ancora molte le domande senza risposta. Le più importanti: quanti criminali c’erano? E quante vittime? All’inizio si è parlato solo di un progetto degli anni Sessanta o Settanta. Ma il caso di Marco e Sven dimostra che l’Ufficio per la tutela dei minori affidò bambini al presunto abusatore Fritz H. per 30 anni consecutivi, almeno fino al 2001. L’Ufficio distrettuale di Berlin-Schöneberg gli affidò addirittura un bambino gravemente pluridisabile.

La sua vita? “Miserabile. Semplicemente miserabile.”


“Il piccolo è morto, possiamo esser contenti di esserne usciti vivi. È morto sotto i miei occhi, sotto i nostri occhi, di una semplice influenza. Perché il padre affidatario rifiutava per principio tutti i medici, per nascondere gli abusi sessuali”, si ricorda Marco.
Oggi 36enne, Marco non è in grado di lavorare, la diagnosi è di sindrome grave da stress post-traumatico unita a disturbi compulsivi e gravi difficoltà di adattamento sociale. Anche Sven non è in grado di provvedere da solo al suo mantenimento, percepisce un sussidio per disoccupati a lungo termine, raccoglie bottiglie [per incassare il reso, N.d.T.]. Così definisce la sua vita:
“Miserabile. Semplicemente miserabile.”
Che aiuto hanno ricevuto i due dallo Stato di Berlino, dall’istituzione che si è assunta la responsabilità di questo scandalo? Al riguardo la responsabile delle politiche per l’infanzia e i giovani del Senato di Berlino Sandra Scheeres (SPD), ha già detto nell’autunno dell’anno scorso:
“Si tratta di chiarire questi fatti e di sostenere le vittime.”
L’amministrazione per l’infanzia e i giovani del Senato di Berlino aiuta i due interessati a richiedere le prestazioni previste dalla Legge per l’indennizzo delle vittime e da un fondo speciale – così ha comunicato per iscritto una portavoce. Alcune migliaia di euro sarebbero già state pagate da questo fondo. Ma la situazione giuridica sarebbe complicata, l’amministrazione del Senato non disporrebbe di un budget per poter pagare un eventuale indennizzo. La segretaria di Stato incaricata del caso ha rifiutato di farsi intervistare.

L’Ufficio distrettuale si richiama a motivi specialistici

 Le vittime si sentono abbandonate a se stesse.
“Dov’è qui la giustizia? Io questi danni me li porto dietro per tutta la vita. Non riesco a mettere un piede a terra da nessuna parte. Non c’è alcun aiuto.”
Marco e Sven ora vogliono far causa allo Stato di Berlino per ottenere un risarcimento e hanno richiesto il patrocinio a spese dello Stato. Il tribunale non ha ancora deciso al proposito, ma l’Ufficio distrettuale di Tempelhof-Schöneberg in una memoria di aprile ha comunicato che per la sistemazione dei bambini presso Fritz H. erano stati determinanti motivi di natura puramente specialistica. Inoltre l’inabilità al lavoro potrebbe essere dovuta anche ai maltrattamenti subiti nella prima infanzia dai genitori biologici. Conclude quindi l’istituzione che per anni diede in affido bambini al presunto abusatore Fritz H.: la richiesta di patrocinio a spese dello Stato deve essere respinta.
“Sono arrivato al punto in cui devo davvero dire che sono terribilmente stanco. Se non avessi la mia fede, me ne sarei già andato a dormire da un pezzo.”

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