ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

giovedì 23 maggio 2019

La pia illusione

Ancora sul proselitismo, che tanto allarma Bergoglio



Il post di ieri sull’ennesima bordata di papa Francesco contro il “proselitismo” ha  dato spunto alla seguente lettera. L’autore, il professor Leonardo Lugaresi, è specialista dei Padri della Chiesa. Di lui i lettori di Settimo Cielo hanno recentemente apprezzato un illuminante commento sul tema dell’”ira di Dio”.
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Caro Magister,
ho trovato quanto mai opportuno il suo articolo del 22 maggio sul “mito del proselitismo” e ho particolarmente apprezzato il richiamo a una lettura non riduttiva e fuorviante della “Evangelii nuntiandi” di Paolo VI.
Che la missione possa esaurirsi, in sostanza, nella silenziosa testimonianza – certo imprescindibile, su questo non si discute – di una vita cristiana virtuosamente praticata è un equivoco che attualmente viene sempre più coltivato nella Chiesa, e ad esso si connette la pia illusione – che poi non è neppure tanto pia, a ben vedere – che, in questo modo, i cristiani potrebbero essere meglio accettati dal mondo, evitando contrasti e divisioni che nuocerebbero alla diffusione del Vangelo e suscitando invece una benefica attrazione dei “lontani” a desiderare spontaneamente di aderire alla fede in Cristo.

Certo, questo in singoli casi può succedere, e d’altro canto è innegabile che vi siano nel mondo Paesi e situazioni concrete in cui ai cristiani non è possibile fare altro. Ma fare della “testimonianza silenziosa” la norma della missione cristiana è un vero e proprio tradimento del mandato di Cristo, che è inequivocabile: “Andate e ammaestrate (mathetéusate) tutte le nazioni, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo, insegnando (didáskontes) loro ad osservare tutto ciò che vi ho comandato” (Mt 28, 19-20).
I Padri della Chiesa, che vivevano in un mondo non certo più facile del nostro, ne erano pienamente consapevoli. Mi piace riportare un’acuta osservazione di Tertulliano, che ritengo assai pertinente alla questione. All’inizio dell’”Apologeticum” (3.1) egli commenta così gli effetti di un certo tipo di “buon esempio” dei singoli cristiani su una società complessivamente ostile al cristianesimo:
“Che dire poi del fatto che i più, a occhi chiusi, arrivano a un tale odio [per il nome cristiano] che, pur rendendo a uno buona testimonianza, vi mescolano la condanna del nome? [Uno dice:] ‘Brava persona Gaio Seio, soltanto che è cristiano’ (Bonus vir Gaius Seius, tantum quod Christianus). E un altro: ‘Io mi meraviglio che Lucio Tizio, che è un uomo così sapiente, a un tratto sia diventato cristiano’ (Ego miror Lucium Titium, sapientem virum, repente factum Christianum). Nessuno si ferma a riflettere se Gaio è buono e Lucio è saggio proprio perché cristiano o se è cristiano perché saggio e buono (Nemo retractat, ne ideo bonus Gaius et prudens Lucius, quia Christianus, aut ideo Christianus, quia prudens et bonus)”.
In un mondo non cristiano, anzi, ostile al cristianesimo, come era quello in cui viveva Tertulliano e come è quello in cui viviamo noi, la testimonianza silenziosa della “vita buona” dei cristiani non basta. Non basta perché viene “sterilizzata” dal mondo, che la derubrica a fenomeno individuale, “privato”, culturalmente e socialmente irrilevante.
La testimonianza non basta, se non diventa “critica” – e quindi inevitabilmente “pubblica” – cioè se non provoca gli altri a porsi il problema del nesso tra il bene, di cui la vita del cristiano è innegabilmente segno e testimonianza, e il fatto di Cristo che di quel bene è la sola ragione adeguata.
La domanda scomoda enunciata da Tertulliano è precisamente quella che il mondo non vuol porsi. Per questo è del tutto illusorio sperare che la testimonianza cristiana – se è vera, cioè apportatrice di “krisis” della posizione mondana – possa andare esente da ostilità e da contrasti.
La vita cristiana è, di per se stessa, un giudizio, e non può fare a meno, nelle forme e nei limiti che di volta in volta le circostanze rendono possibili, di una “presa di parola” che  – come dice benissimo “Evangelii nuntiandi” nel passo che lei ha citato, richiamando 1 Pt 3, 15 – “dia le ragioni” su cui quella vita e quel giudizio si fondano.
Cordialmente,
Leonardo Lugaresi
Settimo Cielo di Sandro Magister 23 mag

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