ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

mercoledì 12 giugno 2019

Memento



ISLAM: UN PROBLEMA POLITICO. Magistrale articolo dell’islamologa francese M-T. Urvoy


marie-therese_urvoyIl numero 2 (2019) del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” ora in distribuzione [vedi qui il sommario] contiene tra l’altro un magistrale saggio della professoressa Urvoy, islamologa francese di fama. Docente di islamologia, di storia medieale dell’islam, di arabo classico e di filosofia araba all’Institut catholique de Toulouse, di islamologie e filosofia araba all’Institut de philosophie comparée (IPC) di Paris2,  professore associato all’École doctorale de l’université Bordeaux III.. Le sue pubblicazioni riguardano la filologia, la storia del pensiero arabo, la mistica mussulmana, il Corano, il contributo dei cristiani arabi d’Oriente e d’al-Andalus al pensiero filosofico, religioso, scientifico.

Riportiamo qui di seguito alcuni passi dell’ampio studio della professoressa Urvoy da noi pubblicato. Per acquistare il fascicolo o per abbonarsi alla rivista scrivere a: ordini@edizionicantagalli.it oppure ; oppure a : info@vanthuanobservatory.org.
*****
IL VERO SIGNIFICATO DELLA « UMMA » MUSULMANA
« Nel Corano ritroviamo questo primo uso del verbo âmana nel senso di “fidarsi gli uni degli altri”. Vi si dice infatti che il profeta «si fida dei muʼminûn », mentre non «si fiderà per niente» di quanti si tirano indietro e trovano delle scuse per non impegnare i loro beni e le loro persone nella lotta sulla strada di Allah (IX, 41, 44, 73 et 81).
Gli affidati «sono una umma unica, ad esclusione degli altri uomini», dice l’incipit della Carta. Nel grande dizionario classico Lisân al-ʽarabumma questa parola significa prima di tutto gruppo, o raggruppamento umano in senso neutro. Qui, essa non designa un raggruppamento etnico o tribale, ma nel contesto dell’Arabia di allora indica la federazione dei Qurayshiti della Mecca, giunti a Medina con il profeta, e i vari clan e tribù della zona di Medina. Questa confederazione è di natura politica, unita dall’adesione al profeta di Allah. Essa si caratterizza per il fatto di essere esclusiva. La finalità di questa organizzazione è di garantire l’efficacia del comune sforzo guerriero. Ciò è espresso fin dall’inizio della Carta con la parola jihâd, che verrà più tardi precisata con l’espressione “il combattimento sulla strada di Allah”. Una stretta regolamentazione e una casistica minuziosa stabiliscono che un affidato possa evitare una sanzione, anche se è colpevole, se la vittima è estranea al gruppo. Questa solidarietà nasce prima di tutto dallo spirito di sopravvivenza del gruppo – dirà lo storico Muhammad Talbi, per giustificare le violenze degli inizi della storia dell’Islam, – «perché si trattava della difesa e della sopravvivenza della ummaprimitiva». Non per caso quando il Corano dice: «i credenti sono dei fratelli» (XLIX, 10) utilizza la particella grammaticale innamâ che contiene un significato esclusivo, ma anche un effetto amplificante che dinamizza la frase nominale. Essa è da mettere in relazione con la particella illâ, propria del credo monoteista «nessuna divinità eccetto Allah», che carica la frase nominale, qui negativa, di un esclusivismo ferreo. In questi due esempi abbiamo ben più che delle questioni tecniche, abbiamo delle vere e proprie strategie stilistiche che mirano ad un solo effetto: la valorizzazione dell’aspetto assoluto con la relativa ricaduta nella mente dei credenti. Del resto, il commentatore al-Râzî afferma che la particella innamâ comporta restrizione: «nessuna fraternità se non tra Musulmani». Egli spiega la sua interpretazione basandosi sulle prescrizioni legali che negano una qualunque fraternità tra un Musulmano e un infedele, il quale non può in nessun caso ereditare da un Musulmano.
Allah ricorda a più riprese ai Musulmani che essi sono i soli credenti nel Corano: «voi siete la comunità migliore che sia mai stata creata per gli uomini; voi ordinate di fare il bene e vietate di fare il male, voi credete in Allah» (III, 110). A partire da qui, l’islam ha considerato la susperiorità della comunità dei credenti come il primo legame tra di loro: essi hanno come segno distintivo la capacità di distinguere tra fede e infedeltà, bene e male.
Dall’invincibile affermazione dell’unicità di Allah discende il senso vivo del Musulmano per l’unità con i suoi fratelli nella medesima fede. Essi sono inviati da Allah per difendere i suoi diritti sulla terra. Sono dei servitori eletti e incaricati dell’esecuzione di un piano divino che coincide con le prescrizioni sociopolitiche scese sul suo profeta a beneficio dell’umanità e per il trionfo dell’islam su tutte le religioni (IX, 33).
Questi brevi richiami alle fonti dell’Islam a Medina permettono di comprendere la nozione di “terra dell’islam” (dâr al-islâm) nei suoi rapporti con gli infedeli. L’espressione designa l’insieme delle terre dove viene osservata la legge islamica ed è la rappresentazione concreta dell’organizzazione politica dell’Islam. Accanto alla terra dell’islam c’è “la terra della guerra” (dâr al-harb), chiamata anche “terra dell’infedeltà » (dâr al-kufr). Conquistarla è un «dovere collettivo» per installarvi la umma che difende i diritti di Allah.
Una simile divisione del mondo fa sì che un aggiornamento sia tecnicamente difficile perché il Diritto islamico classico è strutturato secondo uno schema preciso proprio di tutte le società islamiche: 1. uomini e donne; 2. liberi e schiavi; 3. Musulmani e non musulmani. Non hanno tutti gli stessi diritti e gli stessi doveri. La comunità dei credenti è privilegiata a motivo della sua origine sacralizzata nel Corano. Uno Stato islamico va inteso di trascendenza divina, coranica e  chariatica. Le sue terre sono le terre di Allah, del Corano e della legge di Allah. Questa sottomissione ad una trascendenza si trova nella disposizione, per costituzione, che l’islam “è la religione dello Stato”, e non solamente “religione di Stato”.  Lo Stato fa professione di islam. In uno Stato islamico l’adesione alla comunità non pone direttamente la questione di una vita nuova, nel senso del rinnovamento individuale tramite la grazia (quella dell’uomo nuovo di San Paolo), perché l’islam è la religione di una collettività. Essa è essenzialmente uno stato, uno statuto giuridico (hukm), direttamente voluto e decretato da Allah. Gli individui che vi si sottraggono sono braccati, perseguitati, e perfino messi a morte dall’islam ufficiale tradizionale ».
(Marie-Thèrese Urvoy)


Avvenire promuove la "Guida all'islam per persone pensanti"

Sulla prima pagina di Avvenire spunta la promozione di un libro del principe giordano Gazi Bin Muhammad: "L'essenza dell'islam in 12 versetti del Corano"

La dialettica interreligiosa scandisce i nostri tempi: cattolicesimo e islam, soprattutto, non hanno mai dialogato in maniera così assidua e sostanziale.
Perché Avvenire, il quotidiano dei vescovi, dovrebbe fare eccezione? "Guida all'islam per persone pensanti. L'essenza dell'islam in 12 versetti del Corano" può finire in prima pagina, in basso a destra.
Del resto alcune comunità islamiche del Belpaese, per l'ultima festività di Eid, che coincide con il termine del Ramadan, hanno scelto una dedica speciale: Papa Francesco come artefice principale di una rinnovata fase di confronto. C'è una parte di Chiesa, quella chiamata "tradizionalista", che insiste nel sostenere come le due confessioni non possano essere equiparate da un punto di vista teologico-gerarchico. Il cardinal Raymond Leo Burke, il cardinal Pujats e altri lo hanno specificato di nuovo per il tramite di una "dichiarazione", ma forse poco importa: l'autore del libro segnalato in bella vista dal quotidiano della Conferenza episcopale italiana è il principe giordano Gazi Bin Muhammad, che fece parte dei trentotto sottoscrittori di una lettera inviata a Benedetto XVI dopo il celebre discorso di Ratisbona, come si può approfondire in questo articolo di Sandro Magister.
Non si trattò di una missiva critica, ma certo rispetto ai tempi di Joseph Ratzinger oggi è possibile segnalare almeno un'accelerata tesa alla sincronia tra le parti. Pure Benedetto XVI era un universalista dedito al dialogo - capiamoci - , ma forse non avrebbe mai firmato in modo congiunto il "Documento sulla Fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune" con il grande imam di Al Azhar, che si era distinto per non aver troppo apprezzato la pronuncia riguardante pure alcuni aspetti della religione musulmana dell'allora pontefice regnante nella città bavarese.
Non si tratta di essere teorici dello "scontro di civiltà", ma di appurare, come fece notare in questa intervista il professor Alberto Ventura, l'esistenza di un diverso approccio, quello portato avanti dal pontefice argentino, che sembra ricercare "in un’altra visione religiosa un potenziale alleato per contrastare la secolarizzazione selvaggia del pianeta". Come se cattolicesimo e islam potessero, insomma, allearsi in nome dell'anti-relativismo, dell'anti-capitalismo esasperato e dell'anti-globalismo, superando così gran parte degli steccati dottrinali.

Così il reddito di cittadinanza finisce in tasca all'ex islamista

Un'inchiesta di Panorama svela come all'ex radicalizzato venga garantito il reddito di cittadinanza: si tratta di 900 euro


I critici del reddito di cittadinanza continuano a nutrire più di un dubbio sulla natura della distribuzione: non è detto che tutti i cittadini che sono in diritto di riceverlo presentino requisiti morali inoppugnabili.
Cosa fare, per esempio, con un italiano che risultava essere un musulmano radicalizzato e che in passato ha pure associato la strage di Berlino, quella compiuta dai jihadisti, a un mero incidente stradale?
Con buone probabilità, si risponderà che Alfredo Muhammad, originario di Bari, ha seguito un cammino dalle connotazioni rieducative e culturali, un percorso dalla durata di un biennio, che lo ha portato ad abbandonare la visione del mondo che aveva abbracciato. Questa storia, che è stata seguita e riportata da più di un media per parecchio tempo, è approfondibile sull'ultimo numero di Panorama, dove vengono raccontate le ultime evoluzioni.
Dal medesimo settimanale apprendiamo come l'ex estremista islamico percepisca ora 900 euro di reddito di cittadinanza. I sospetti sul terrorismo, anche di natura internazionale, sembrano essere finiti nel dimenticatoio. Possibile che siano state rintracciate delle solide smentite rispetto a qualunque fattispecie ipotizzata. Per carità: nulla dunque sembra ostare alla ricezione del provvedimento governativo, ma magari qualcuno potrebbe sollevare delle eccezioni d'opportunità. Nonostante sembri che Alfredo Muhammad, per via delle istanze integraliste portate avanti, sia stato costretto a perdere il posto di lavoro.
Viene specificato ancora come Alfredo Muhammad sia stato sottoposto a una sorta di corso, durante il periodo in cui è stato un "sorvegliato speciale", che dovrebbe averlo portato ad abbandonare qualunque velleità estremista.
Tipo quando, da salafita puro qual era, aveva decisamente messo in discussione la bontà dell'equiparazione, la costituzionalmente tutelata uguaglianza, tra le persone di sesso femminile e quelle di sesso maschile. Ma il passato è il passato. Il presente è già condito da quel tanto discusso reddito di cittadinanza voluto dai pentastellati, mentre - come viene sottolineato sulla fonte citata - Alfredo Muhammad, sul suo caso, resta in attesa di un responso da parte della magistratura.
La storia di Alfredo Muhammad
Alfredo Santamaton, ex camionista barese di poco più di quarant'anni, ha deciso di farsi chiamare Mohammad quando si è convertito all'islam. La Corte d'Appello di Bari (leggi qui, su La Gazzetta de Il Mezzogiorno) optò per la sorveglianza speciale per via della natura delle sue posizioni, considerate tanto religiosamente estremiste quanto pericolose, e per il corso rieducativo e antijahidsta sopra descritto. Si era parlato, tra le questioni sollevate ai tempi della decisione, di "esplicitazione del proprio martirio". Su Repubblica, invece, viene specificato come tramite un suo profilo social avesse caldeggiato la infibulazione per le sue figlie, ma pure altri interventi come la predisposizione di una polizia religiosa che sarebbe servita all'applicazione della sharia.
Multiculturalismo, la Merkel ha fallito e lo ammette
Il tentativo della Germania di creare una società multiculturale è "completamente fallito". La Merkel ammette che permettere alle persone con differenti background culturali di vivere fianco a fianco senza integrarsi non ha funzionato in un paese che ospita circa quattro milioni di musulmani. Varato un pacchetto di espulsioni e giro di vite sugli ingressi legali. Il cambio di strategia non è solo politico, ma culturale.
                                  Giubbotti di salvataggio davanti a un palazzo tedesco
Il tentativo della Germania di creare una società multiculturale è "completamente fallito", ha detto sabato scorso il cancelliere Angela Merkel a un incontro con i giovani membri della CDU a Potsdam. Dopo le dure critiche alla sua politica dell’accoglienza che ha determinato il suo declino politico, la Merkel ha ammesso che permettere alle persone con differenti background culturali di vivere fianco a fianco senza integrarsi non ha funzionato in un paese che ospita circa quattro milioni di musulmani.
"Questo approccio multiculturale è fallito, completamente fallito", ha detto cedendo quindi alle richieste interne al suo partito e alla CSU bavarese per assumere una linea più severa sugli immigrati che non mostrano la volontà di adattarsi alla società tedesca.
La Merkel ha affermato che l'educazione dei disoccupati tedeschi dovrebbe avere la priorità sul reclutamento di lavoratori dall'estero pur sottolineando che la Germania non potrebbe cavarsela senza lavoratori stranieri qualificati e aggiungendo i tedeschi devono accettare che le moschee sono diventate parte del loro paesaggio.
Il suo intervento sembra quindi tendere la mano ai suoi critici e soprattutto a Horst Seehofer, presidente della Christian Social Union (CSU), il partito gemello della CDU, e ministro dell’Interno che ha appena varato il cosiddetto “Migration Paket” che prevede espulsione immediata dei migranti illegali, ampliamento della detenzione preventiva per chi entra illegalmente in Germania e taglio del Welfare agli stranieri che potranno essere sottoposti a perquisizioni senza bisogno di mandato giudiziario.
Misure approvate dal Bundestag con il voto della SPD che ben fotografano il crescente malcontento dei tedeschi nei confronti delle continue violenze compiute da immigrati illegali per lo più di religione islamica.
Per comprendere come sia cambiata la Germania appena quattro anni dopo la “politica del benvenuto” rivolta dalla Merkel ai migranti illegali arrivati per lo più dalla “rotta balcanica”, basti pensare che ora chi è privo del permesso verrà espulso fisicamente dalla Germania 
Berlino si impegna quindi ad accogliere solo 260 mila migranti regolari all’anno, necessari all’economia nazionale e benchè le associazioni industriali sostengano che nella Repubblica Federale manchino 400 mila lavoratori specializzati, in molti ormai ritengono più utile motivare a venire a lavorare in Germania cittadini europei piuttosto che accogliere persone di culture diverse
Alle dure critiche dell’opposizione di Sinistra (e a quelle di Alternative fur Deutscheland – AfD che chiede misure ancora più rigide contro l’immigrazione) Seehofer ha replicato affermando che “non si tratta di calpestare i diritti umani ma piuttosto di eseguire le procedure previste. Ci sarà, in futuro, un modo legale di immigrare nel nostro Paese anche perché abbiamo bisogno di uomini e donne qualificati per il nostro mercato del lavoro”.
Non è forse un caso, sottolinea il quotidiano comunista Il Manifesto, che “il pacchetto-Seehofer supera il vaglio istituzionale esattamente il giorno dopo la pubblicazione dell’ultimo sondaggio Infratest che conferma come i Verdi sarebbero oggi il primo partito tedesco col 26% dei voti seguito dal CDU/CSU col 25%, AfD con il 13% mentre la SPD non supererebbe il 12%, i liberali l’8% e la Sinistra (Linke) il 7%.
Sarebbe però riduttivo interpretare il rapido cambiamento di approccio politico della Germania rispetto alla immigrazione extra europea, un mutamento determinato dai problemi sociali e di sicurezza ma che è innanzitutto culturale.
Ha suscitato scalpore il libro “Deutschland schafft sich ab” (traducibile in “La Germania abolisce sé stessa”) scritto dall'economista ed ex membro del consiglio di amministrazione della Deutsche Bundesbank Thilo Sarrazin che attribuisce agli immigrati musulmani l’abbassamento dell'intelligenza media nella società tedesca.
Sarrazin è stato censurato per le sue opinioni e licenziato dalla Bundesbank, ma il suo libro si è rivelato molto popolare e i sondaggi hanno mostrato che la maggioranza dei tedeschi era d'accordo con i suoi argomenti, come ha sottolineato un report dell’agenzia Reuters.
Gianandrea Gaiani

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.