Ma quale riforma della curia, in Vaticano si vuole sapere come andrà l’appello del cardinale australiano
Il cardinale non ha voglia di parlare della riforma della curia – “Sì, è quella che si è vista sui giornali, non mi pare tutta questa gran cosa, obiettivamente. Vedremo poi all’atto pratico” – perché mi dice che c’è ben altro di cui parlare.
A pranzo si mangia di magro pur non essendo venerdì e non essendo di Quaresima – “approfitto quando sono in casa per tenere sotto controllo i valori, finché si può” – ma l’attenzione più che al branzino va al tema che più sta a cuore all’eminenza: “A giorni sapremo il destino del cardinale George Pell. Inizierà l’appello (è iniziato mercoledì, ndr) e si vedrà cosa accadrà. Se la condanna di primo grado fosse confermata, sarebbe l’apocalisse. Pell non è come McCarrick, che la punizione l’ha subita quand’era ormai vecchio e pensionato da molti anni. Pell fino a pochi mesi fa era il prefetto della Segreteria per l’Economia, uno dei pezzi da novanta della curia, chiamato a Roma appositamente da Papa Francesco”.
Come la vede, eminenza? “Male. Io non penso che Pell sia colpevole, lo conosco e ho seguito bene l’iter processuale. Le basti sapere che la prima giuria non riuscì a pronunciare alcun verdetto, divisa com’era. Poi la gogna, i giornali, le televisioni, hanno portato a questa situazione. Speriamo bene”.
Ma non crede che in caso di assoluzione la chiesa sarebbe vista di nuovo come l’epicentro di tutti i mali, una grande casa dove comunque la si fa sempre franca? “Non mi pare mica. Da anni la chiesa è sotto attacco e non fa altro che chiedere scusa e punire. Sarebbe anche ora di mettere qualche puntino sulle ‘i’”.
In morte di Elio Sgreccia, il cardinale che aveva previsto la caduta nell’abisso
Dall’obiezione di coscienza alle cellule staminali, dall’eutanasia alla procreazione artificiale, il porporato vedeva arrivare l’onda mortifera nel ricco occidente
Foto Imagoeconomica
Roma. E’ morto il cardinale Elio Sgreccia, oggi avrebbe compiuto 91 anni. Presidente emerito della Pontificia accademia per la vita, è stato uno dei massimi bioeticisti a livello mondiale. Stimato ovunque, intra ed extra moenia, perché quando parlava lo faceva sì con la sapienza dell’uomo di fede, ma soprattutto con l’argomentazione di chi conosceva come pochi altri il tema sul quale andava ad esprimersi.
Dall’obiezione di coscienza alle cellule staminali, dall’eutanasia alla procreazione artificiale. Sgreccia vedeva arrivare l’onda mortifera nel ricco occidente, un’onda “assolutista” che avrebbe travolto tutto. Un anno fa, mentre in Inghilterra si decideva il destino di Alfie Evans, il bambino destinato a morte per ordine di un giudice contro il parere dei genitori – “è una vita inutile”, disse il magistrato Anthony Hayden – Sgreccia invitava a fermarsi un attimo e a pensare: “Bisogna riflettere sul fatto che non si sta solo mettendo da parte il senso umano e di compassione per dei genitori che hanno chiesto di tenere in braccio il proprio figlio”, diceva conversando con il Foglio. Il problema, aggiungeva, “è che stiamo entrando in un'epoca di obbedienza a un’idea assolutista in cui ciò che conta è il profitto che ha ogni diritto sull’uomo. Oggi quando si sente parlare di Adolf Hitler vengono i brividi, giustamente. Ma non ci rendiamo conto che stiamo andando in quella direzione, verso una società che ha gli stessi princìpi. Si stabilisce se una vita è utile o no, si decide chi è degno di rispetto e chi no. Si vuole staccare il respiratore a un bambino in ossequio al principio dell’utile. E questo non lo si vuole confessare”. Quindi, l’ammonimento finale, profetico: “Il mondo deve temere questa perversione. Si è succubi di un assolutismo statalista, una dittatura del pensiero che travolge tutto, e si badi bene: non si parla solo di fede, ma anche della laica libertà di due genitori sulla vita del proprio figlio”.
Una società, un mondo sull’“orlo dell’abisso”, con un piede già proteso nel vuoto. L’aveva denunciato sempre negli anni in cui era presidente dell’Accademia, dal 2005 al 2008 (ma ne era stato vicepresidente e anima dal 1994), trovandosi in mezzo ai grandi cambiamenti antropologici d’inizio secolo. Fu Benedetto XVI a crearlo cardinale nel 2010, onorandolo della porpora quando era ultraottantenne e quindi senza più diritto di voto in un ipotetico conclave. Papa Francesco lo volle ai due Sinodi sulla famiglia del 2014 e 2015. Prolifico scrittore, la sua opera più nota è il “Manuale di bioetica per medici e biologi”, opera in due volumi tradotta in dieci lingue.
Abisso chiama Abisso
C’è un solo dato certo, nella storia di Noa Pothoven, la diciassettenne olandese che cinque giorni fa ha ottenuto il suicidio assistito perché segnata da un’esperienza devastante come possono essere tre violenze subite (la prima a 11 anni, l’ultima a 14): quella giovane è morta quattro volte. Tre per mano di bestie dalle sembianze umane, una tramite una barbarie dalla sembianza di Stato. Ed è su quest’ultima morte – quella definitiva, purtroppo – che dovremmo riflettere chiedendoci se alla povera Noa, con essa, sia stato dato un sostegno o una scorciatoia, un abbraccio o un colpo di grazia. Il fatto che lei non sia più tra noi, e soprattutto tra quelli che le hanno voluto bene, credo basti e avanzi per capire che il suicidio assistito non è stato che l’ennesimo orrore toccatole.
Invece i nostri bravi giornalisti sono tutti lì – rigorosamente allineati e falsamente commossi – a raccontare la storia di questa giovane donna osannando la «sua lotta», la sua «lunga battaglia per l’autorizzazione alla dolce morte». Come se le cose dovessero per forza andar così; come se si potesse parlare di autodeterminazione nella scelta di morte di una ragazza che dalla morte, nella vita, era stata tallonata. Non so se ve ne siete accorti, ma stiamo allegramente passando dall’eutanasia come rimedio al dolore terminale al suicidio assistito come estremo rimedio allo stupro: il tutto senza provare quel minimo di schifo. Una volta speravo, davanti a certe follie, in chi avesse avuto il coraggio di alzare la voce. Oggi sarebbe già qualcosa se qualcuno avvertisse il bisogno di turarsi il naso. Spero di non chiedere troppo.
Invece i nostri bravi giornalisti sono tutti lì – rigorosamente allineati e falsamente commossi – a raccontare la storia di questa giovane donna osannando la «sua lotta», la sua «lunga battaglia per l’autorizzazione alla dolce morte». Come se le cose dovessero per forza andar così; come se si potesse parlare di autodeterminazione nella scelta di morte di una ragazza che dalla morte, nella vita, era stata tallonata. Non so se ve ne siete accorti, ma stiamo allegramente passando dall’eutanasia come rimedio al dolore terminale al suicidio assistito come estremo rimedio allo stupro: il tutto senza provare quel minimo di schifo. Una volta speravo, davanti a certe follie, in chi avesse avuto il coraggio di alzare la voce. Oggi sarebbe già qualcosa se qualcuno avvertisse il bisogno di turarsi il naso. Spero di non chiedere troppo.
di Giuliano Guzzo
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