ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

lunedì 29 luglio 2019

La stagione bergogliana

GENDER ANDANTE
Se Avvenire difende l’indifendibile legge Lgbt

In un articolo del 25 luglio, il quotidiano della Cei parla dell'ideologica legge «contro le discriminazioni», approvata due giorni dopo dal parlamento dell'Emilia Romagna a maggioranza Pd, come di un testo con qualche ombra ma tutto sommato positivo. Segno di una deriva da tempo in atto ad Avvenire, sempre più appiattito su posizioni non cattoliche.


Giornale: Avvenire di giovedì 25 luglio 2019. Titolo: «Legge antidiscriminazioni in Emilia, Pd schierato contro l’utero in affitto». Svolgimento: la legge presenta qualche ombra, ma tutto sommato è discreta e dobbiamo ringraziare i cattolici del Pd (che l’hanno votata) per aver depotenziato «gli acuti più ideologici».


Ebbene, dopo la clamorosa inversione a U che ha portato il quotidiano della Cei ad aprire alla triptorelina, nel suo uso come farmaco blocca-pubertà (clicca qui), Avvenire fa un altro balzo in avanti, pur tra alcuni distinguo, nell’accettazione dell’agenda Lgbt, che trova nel Pd il suo grande sponsor politico italiano (in compagnia del Movimento 5 Stelle). E lo fa con un commento a firma, anche stavolta, di Luciano Moia (clicca qui), giunto nel pieno della battaglia in aula sulla tanto discussa legge bavaglio, approvata nella notte tra il 26 e il 27 luglio.

Dunque, nell’edizione di giovedì, dopo aver parlato della presunta compattezza trovata sul tema dal partito di Zingaretti (ditelo a Lo Giudice, Cirinnà e seguaci), Moia scriveva che «se tutto andrà come deve, entro stasera […] avremo probabilmente la prima legge regionale contro le discriminazioni e le violenze di genere in cui si dice anche che l’utero in affitto è pratica da combattere perché offende la dignità della donna e riduce il figlio a pratica commerciale». Grassetto come nell’originale. Le parole usate lasciano pensare che i cattolici debbano quasi quasi stappare lo spumante per festeggiare tanta grazia venuta fuori da una legge pensata per mettere a tacere le idee… cattoliche.

Primo: la legge non parla né di «combattere» l’utero in affitto né dice che questo offende «la dignità delle donne». Queste due parti erano già state cancellate - due settimane prima dell’articolo di Moia - con la nuova versione degli emendamenti del Pd, presentati il 9 luglio e poi approvati in commissione Parità il giorno 11. Lo si può verificare leggendo il testo (clicca qui) licenziato dalla stessa commissione, che è uguale a quello poi definitivamente approvato il 27 luglio dall’aula. In sostanza, rispetto agli emendamenti firmati ad aprile da Giuseppe Paruolo e altri otto cattodem, è stata cancellata la parte relativa al «contrasto» dell’utero in affitto ed è stato eliminato ogni giudizio morale sulla pratica. Parti inaccettabili per chi comanda nel Pd. È rimasta, peraltro indebolita, solo la parte che prevede di non finanziare le associazioni pro maternità surrogata (vedi art. 12), e solo in ragione di un compromesso interno al Pd, che rischiava di spaccarsi e perfino di non avere i numeri per portare a casa la legge gradita alla lobby gay.

Secondo: anche se fossero rimasti i passaggi del testo che Moia, erroneamente, credeva presenti, la legge sarebbe stata comunque inaccettabile. Perché al di là dell’utero in affitto, la legge usa il linguaggio arcobaleno sull’«orientamento sessuale» e «l’identità di genere» e dunque nega di fatto la complementarità maschile-femminile, rappresenta un pericolo per la libertà d’espressione, crea corsie preferenziali nel mondo del lavoro per le persone Lgbt che saranno ritenute «vittime di discriminazione», favorisce l’insegnamento dell’ideologia gender nelle scuole, il controllo - da regime - dei contenuti diffusi dai media, ecc.

Invece, per la firma di Avvenire, il passaggio contro l’utero in affitto «non sarebbe comunque l’unico degno di nota» e cita come esempi la cancellazione del termine «omotransnegatività» e del pazzesco riferimento alle discriminazioni «potenziali»: ma questi non sono mica punti buoni della legge, “degni di nota”, semmai si tratta di pericoli scampati.

L’elogio abbraccia anche «l’articolo relativo alle politiche del lavoro e della formazione» (le corsie preferenziali di cui sopra) e poi ricorda il richiamo all’articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti umani e all’articolo 30 della Costituzione sulla priorità educativa dei genitori. Per carità, a danno fatto, è meglio che quest’ultimo richiamo ci sia (se ne potranno avvalere i genitori più consapevoli, a beneficio dei loro figli, ma quanti altri dovranno sorbirsi concetti devastanti per effetto di questa legge?), ma è chiaro che in un Paese normale sarebbe superfluo (la Costituzione è la carta fondamentale) e poi le cronache ci dicono che insegnanti e dirigenti gay-friendly hanno in questi anni bellamente ignorato la priorità educativa dei genitori, basandosi su circolari ministeriali e a volte nemmeno su quelle. Figuriamoci ora che c’è una legge di questo tipo.

Solo verso la fine dell’articolo, Moia fa qualche appunto alla legge, parlando di «ombre» non dissipate e rilevando, con un linguaggio comunque ambiguo, una contraddizione interna alla teoria del gender. Un po’ come mettere una pezza dopo aver allagato un’intera casa. L’impressione finale per il lettore - ed elettore? - è che appunto questa legge non è poi così male e per certi aspetti è perfino lodevole.

Il giornalista è tornato sull’argomento nell’edizione del 27 luglio (clicca qui), a legge approvata, stavolta facendo qualche critica in più, accompagnata però da affermazioni inconcepibili per la dottrina cattolica, come quando - in modo simile a quanto fatto nel primo articolo - avalla l’idea Lgbt che quella di «omosessuali e transessuali» sia «una condizione strutturale e costitutiva della personalità».

Eh sì, del resto l’improvviso via libera alla triptorelina era stato rivelatore dell’accelerazione di una deriva già in atto da tempo. «Maschio e femmina li creò» non si sa più cosa voglia dire negli ambienti di Avvenire. E quindi non sorprende che non si sia capaci di dire che il parlamento dell’Emilia Romagna, in pieno scandalo affidi, ha appena approvato una legge malvagia. Al più si dice che «non è un testo esemplare».

Gesù ci ha avvertiti: «Sia invece il vostro parlare sì, sì; no, no; il di più viene dal maligno» (Mt 5, 37).

Ermes Dovico

http://www.lanuovabq.it/it/se-avvenire-difende-lindifendibile-legge-lgbt

Gandolfini (Family Day): Legge Emilia Romagna su omotransnegatività crea super cittadini. Appoggeremo forze pronte ad abrogarla


“Dopo mesi di pressioni delle solite lobby del pensiero unico, l’Assemblea regionale dell’Emilia Romagna ha approvato la liberticida legge sull’omotransnegatività che nulla ha a che fare con la lotta contro le discriminazioni verso tutti gli individui. Una normativa che va a creare super cittadini detentori di diritti senza pari nel mondo del lavoro, della scuola e persino nella comunicazione e nei media locali”, così il leader del Family Day Massimo Gandolfini.
“L’ideologia Gender viene istituzionalizzata proprio mentre nella stessa regione, lo scandalo degli affidi di Bibbiano mostra la portata dei danni fatti dalla visione ideologicacontraria alla famiglia naturale” prosegue Gandolfini.
“Siamo grati ai membri dell’opposizione che hanno portato avanti una dura battaglia in aula, terminata la scorsa notte dopo tre giorni di discussioni. Fin da ora dichiariamo il nostro sostegno alle forze politiche e ai candidati che, alle elezioni regionali, metteranno nel loro programma l’abrogazione di questa legge, il sostegno alle famiglie emiliane e il ritorno ad una democrazia vera che non consenta classi privilegiate” conclude Gandolfini.
Roma, 27 luglio 2019                                                                        Associazione Family Day – CDNF

EFFETTO BERGOGLIO
L’irresistibile ascesa della Comunità di Sant’Egidio

La nomina di Matteo Bruni a direttore della Sala Stampa costituisce solo l’ultima delle dimostrazioni di fiducia che papa Francesco ha riservato all’“Onu di Trastevere”. Esponenti di punta della S. Egidio occupano sempre più ruoli di prestigio, come monsignor Zuppi a Bologna e soprattutto Paglia, uno degli uomini simbolo della stagione bergogliana.


Sono giorni di cambiamenti in via della Conciliazione 54 con la fine dell'interim di Alessandro Gisotti e la direzione assunta dall’ex responsabile dei media in occasione dei Viaggi Apostolici, Matteo Bruni. Il neodirettore della Sala Stampa della Santa Sede, nella sua prima intervista concessa a Roberto Piermarini, ci ha tenuto a ricordare il suo legame di lunga data con la Comunità di Sant'Egidio. La sua recente nomina costituisce solo l’ultima delle dimostrazioni di fiducia che Francesco ha riservato all’“Onu di Trastevere” durante il suo pontificato.

D’altra parte, l'apprezzamento di Bergoglio per il movimento laicale d’ispirazione cristiana è precedente alla sua elezione al soglio pontificio e risale agli anni argentini. Non a caso, il 6 settembre del 2008, fu proprio l’allora arcivescovo di Buenos Aires a celebrare la Messa per il quarantennale della S. Egidio nella cattedrale della capitale. In quell'occasione, il futuro pontefice ebbe parole al miele per la Comunità e per la sua propensione all’arte della diplomazia con i ‘grandi’, affiancata dalla carità verso gli ‘ultimi’: “Per un cristiano”, disse Bergoglio nella sua omelia, “progredire non è scalare posti, avere una buona reputazione, essere considerato, per un cristiano progredire è ‘abbassarsi’ in questo compito di essere mediatore”. Questo non ha impedito, però, agli esponenti di punta del movimento di andare a ricoprire incarichi sempre più prestigiosi all'interno della Chiesa cattolica negli ultimi anni. 

L'attuale arcivescovo di Bologna, ad esempio, è quel monsignor Matteo Zuppi che fu prima viceparroco e poi parroco della Basilica di Santa Maria in Trastevere, casa madre e quartier generale della realtà fondata da Andrea Riccardi. Nel 2015, papa Francesco lo scelse come successore del cardinal Caffarra, riscontrando nel suo profilo le caratteristiche giuste per trasmettere l’idea di “Chiesa in uscita, povera per i poveri” a lui tanto cara e condivisa anche dalla Sant’Egidio. I due, peraltro, si conoscevano e stimavano sin dai tempi di Buenos Aires dove avevano modo di incontrarsi almeno una volta l’anno.

Ma monsignor Zuppi non è l'unico prelato della Comunità tenuto in grande considerazione dal papa argentino: monsignor Vincenzo Paglia, primo assistente spirituale e grande animatore del movimento, è uno degli uomini-simbolo della stagione bergogliana in Vaticano.

All'ex parroco di Santa Maria in Trastevere - ruolo che lasciò proprio a Zuppi - Francesco ha dato in questi sei anni piena fiducia, affidandogli compiti che a lui stavano particolarmente a cuore, come quello di fare da postulatore della causa per la canonizzazione di monsignor Romero. Nel 2016, con la cessazione delle attività del Pontificio Consiglio per la Famiglia di cui era presidente dal 2012, Bergoglio lo ha messo a capo della Pontificia Accademia per la Vita e lo ha fatto Gran Cancelliere del Pontificio Istituto “Giovanni Paolo II” per Studi su Matrimonio e Famiglia, attribuendogli pieni poteri al suo interno. Un incarico particolarmente importante se si tiene conto della materia di trattazione di questi due organismi che era stata in cima all'agenda degli ultimi due pontificati, finendo inevitabilmente per caratterizzarli.

La guida di monsignor Paglia ha impresso una linea di discontinuità rispetto al passato, che ha mandato in soffitta la stagione della difesa dei principi non negoziabili. Ulteriori cambiamenti sembrano attendersi nel futuro prossimo dopo l’approvazione in questi giorni degli Statuti e dell’Ordinamento degli studi dell’istituto voluto da Giovanni Paolo II, di cui La Nuova BQ ha parlato qui, e dopo l’allontanamento di monsignor Livio Melina, del filosofo Stanislaw Grygiel e altri (clicca qui e qui).

Ma il grande credito di cui gode la Comunità durante questo pontificato non è dimostrato soltanto dalla carriera ecclesiastica dei suoi due religiosi più noti: è un po’ tutto il modello Sant'Egidio ad aver fatto proseliti nella Chiesa negli anni di questo pontificato. Lo si è visto, ad esempio, con la diffusione in tutte le diocesi della consuetudine dei pranzi per i poveri all’interno delle chiese, un tempo prerogativa degli edifici gestiti dall’“Onu di Trastevere”. Ma anche con i diversi appelli di Francesco in favore dei corridoi umanitari, iniziativa ideata e portata avanti proprio dal movimento fondato da Riccardi e indicata dal papa come la soluzione più efficace di fronte alla questione migratoria.

La designazione di un laico della Sant’Egidio come Matteo Bruni nel ruolo cruciale di ‘portavoce’ papale, così come le numerose udienze concesse in Vaticano al fondatore Riccardi e la nomina a membro del Dicastero Pontificio per i Laici, la Famiglia e la Vita del presidente Marco Impagliazzo, sono ulteriori prove dell'apprezzamento che Bergoglio riserva per lo stile di apostolato prediletto dalla Comunità nata 51 anni fa a Roma. Uno stile che, essendogli noto sin dagli anni argentini, il papa probabilmente sente anche un po’ suo. 

Nico Spuntoni

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