Da nord a sud, da ovest a est, stanno accendendosi fiaccole per tenere viva l’attenzione sui fatti orrendi di tutte le Bibbiano d’Italia, emerse e sommerse, perché i pennivendoli di un regime alla canna del gas cercano in ogni modo di distrarre le masse verso falsi bersagli mediatici creati in laboratorio a fini di stordimento collettivo. Dalle piratesse tedesche all’oro di Mosca agli estenuanti tira e molla su autonomie e alte velocità, tutto fa brodo pur di cancellare dal palinsesto le schiere di bambini sequestrati, in nome del popolo italiano, da bande di criminali rivestiti dei panni autorevoli dell’Istituzione.
STATO BIFRONTE Bene ha fatto, benissimo, il ministro dell’Interno a manifestarsi, in rappresentanza dell’altro Stato, nel territorio dove regnano incontrastate le cosche del governo ombra eterodiretto dalla centrale di Bruxelles, con le sue sacche periferiche di potere febbrilmente impegnate a preservare le proprie rendite di posizione. Fino a ieri regnava l’omertà, a Bibbiano, a blindare il marchingegno diabolico che finalmente le forze dell’ordine hanno portato allo scoperto. E il governo legittimo si è materializzato tra tanta gente che troppo a lungo ha subìto, impotente, i disumani esperimenti di ingegneria sociale dell’officina assistenziale emiliana.
C’è tutto un mondo politico, accogliente e inclusivo per definizione, che si regge e si ingrassa sullo sfruttamento di esseri umani – bambini, anziani, migranti – a mezzo cooperative sociali. È lo stesso mondo politico che batte bandiera arcobaleno e, sotto quella bandiera, inzuppata nel brodo torbido della ideologia libertaria, pacifista e umanitaria a cui si abbevera anche la chiesa invertita, si è intestato la missione improrogabile di fabbricare l’uomo nuovo, apolide senza identità: meticcio, asessuato, sradicato, sciolto da ogni legame che rischi di tenerlo aderente alla realtà e, magari, di renderlo refrattario al monopensiero obbligatorio. Tutto quel mondo – è da capirlo – non ha gradito la visita istituzionale del ministro a Bibbiano, accusato (lui) di strumentalizzare i bambini e il dolore delle famiglie. Solito tranfert, ed è da capirli dopo tutti gli sforzi fatti per intestarsi il monopolio della bontà. Non può non dare fastidio come, nonostante la propaganda in onda giorno e notte a reti unificate, ci sia ancora un’Italia incurante delle catechesi televisive appaltate ai sacerdoti del nuovo evangelo, e capace di ereticamente indignarsi, persino di mobilitarsi per i propri simili vittime della tortura umanitaria.
Qualcosa è sfuggito di mano, ai signori delle cooperative sociali e del nuovo ordine famigliare, e ogni fiaccola che si accende per le strade d’Italia rigira il coltello nella piaga.
IL LABORATORIO ASSISTENZIALE DELLA VAL D’ENZA La loro piaga, quella che brucia agli artefici del sistema Bibbiano, è fatta di bambini che ritornano a casa, di genitori che riabbracciano i propri figli, di castelli accusatori che crollano svelando verità raccapriccianti, di lettere d’amore dei bambini per i loro genitori, e di regali dei genitori per i loro bambini, tenuti nascosti dagli orchi per inculcare nei cervelli in formazione un’altra accezione d’amore. È fatta di uno Stato che – incredibile visu – si muove in difesa di quei cittadini che esso stesso, sotto altre spoglie, aveva barbaramente vessato. La piaga di lorsignori si allarga, cioè, mentre pian piano si rimargina quella della gente normale. E la bella notizia è che esiste ancora una normalità.
Si scopre così che l’orizzonte dei riprogrammatori faustiani dell’ordine del creato è il negativo perfetto dell’orizzonte che appartiene all’uomo comune e che rischia di erompere di prepotenza quando accusa un intollerabile insulto. Dietro i paramenti sacri dei depositari della bontà, dell’inclusione, dell’accoglienza, di fatto allignano le atrocità che non avremmo voluto vedere, generate da un sistema di valori artefatto e capovolto, dove il male è chiamato bene e dove la tensione verso un maggior bene possibile è inibita a priori dal furore mistico dell’ideologia.
Il modello di ricombinazione socioaffettiva teorizzato dagli evoluti “esperti” di età evolutive e realizzato grazie a un esercito gerarchicamente ordinato di fornitori di carne fresca – amministratori, magistrati, funzionari pubblici titolari dello ius vitae ac necis su sudditi inermi – puntava a demolire l’immagine della famiglia come formazione naturale e cellula sociale primigenia: lo faceva attraverso lo screditamento e la dissoluzione delle famiglie in carne ed ossa, da sostituire arbitrariamente con altrettante controfigure sintetiche pescate nel giro dei soci in affari. Sì che la famiglia di sangue ne uscisse come luogo di violenza a causa dei suoi odiosi retaggi patriarcali, e la “famiglia” affidataria risplendesse per contrasto come luogo dell’accoglienza e dell’amore disinteressato. Uno teorema efficace per un’industria fiorente e remunerativa. A prezzo di una violenza inaudita.
LA GUERRA ALLA FAMIGLIA È GUERRA AL PADRE Ma tanto vero è che il sistema apparecchiato in Val d’Enza è figlio di una ossessione ideologica prossima al fanatismo, che – sulla scia della perseveranza “erinnica” della direttrice dei servizi sociali nello smistare i bambini presso le amiche lesbiche dopo avere estorto loro false testimonianze di abusi inesistenti – l’espertissimo Claudio Foti, persino dopo l’avvio dei procedimenti a suo carico, non rinuncia a spacciarsi per vittima delle sue vittime, ribadendo il programma che lo ispira: «Cinquant’anni fa queste reazioni di odio non si manifestavano. Si sono generate e sono cresciute mano a mano crescevano gli interventi sociali e psicologici per sostenere i genitori, ma anche per limitare la loro onnipotenza (della serie “come ti ho fatto, ti disfaccio!”). Le reazioni anche violente contro gli operatori si sono sviluppate mano a mano che nella società maturava una consapevolezza critica nei confronti della famiglia» […] «Per una parte della comunità sociale la famiglia è sacra ed intoccabile. E guai a chi la tocca! La famiglia è sempre e comunque un microcosmo idealizzato dove i bambini sono protetti e benvoluti! E gli operatori che si occupano di tutela, di abusi, che mettono in discussione l’immagine sacra ed idealizzata della famiglia diventano il bersaglio di una rabbia talvolta cieca e distruttiva!» (lo sproloquio completo può leggersi qui).
Uno spaccato esemplare, dai toni ossessivi, di quel medesimo impianto ideologico di matrice antifamilista su cui fanno leva il femminismo e l’omosessualismo militanti. Il perno di questo impianto coincide con la demonizzazione della famiglia cosiddetta patriarcale, ovvero della famiglia fondata sulla distinzione dei ruoli tra il padre e la madre, che è esattamente l’obiettivo cui mirava l’organizzazione criminale della Val d’Enza: sostituire la famiglia con la sua parodia monosessuale, previa neutralizzazione della figura paterna.
Nella mente distorta delle femmine devote alla memoria di Shulamith Fireston e formate alla bottega nostrana delle Boldrini e delle Cirinnà, è il pater familias a dover essere definitivamente annientato, in quanto dispensatore di ogni violenza. Da incarnazione dell’autorità, investito del ruolo fondamentale di guida e di protezione sui suoi famigliari, il padre diventa, per definizione, il delinquente seriale in pectore cui va vietato l’accesso nel tempio domestico della pace.
Dunque, al maschio non ci si può “affidare”, a meno che non sia debitamente svirilizzato o aggiornato all’ultimo modello di mammo pro quota (si ricordi, solo per inciso, che le affidatarie omofile e accoglienti del girone emiliano si sono rivelate – loro! – colpevoli di abusi e angherie sui minori sottratti alla famiglia d’origine).
Certo, per poter confezionare un bel quadretto parafamigliare in assenza di complementarietà sessuale, delle due l’una: o si procede ex novo alla compravendita un essere umano fabbricato in provetta previo eventuale affitto di utero (all’estero, per il momento), oppure si ricorre alla soluzione scelta dalla banda emiliana, quella cioè di rubare i figli altrui. Tertium non datur. I bambini, insomma, per gli amorevoli aspiranti alla “omogenitorialità” sono una merce come un’altra, e uno se li può procurare o di prima o di seconda mano, posto che la seconda mano si presta meglio della prima a mascherare la natura strumentale e commerciale dell’operazione dietro l’afflato altruista e umanitario di cui riesce ad ammantarsi.
NON BASTA IL RAVVEDIMENTO OPEROSO Se tutto questo è vero, come è, per poter incidere sul serio su quello che abbiamo visto essere non un bubbone localizzato, bensì il sintomo di una malattia sistemica che ha già aggredito vari organi dell’apparato, bisogna innanzitutto avere piena contezza dell’estensione e del radicamento dei germi patogeni.
Sull’onda del sacrosanto sdegno popolare verso la agenzia pilota di demolizione famigliare con sede in Val d’Enza, appare relativamente facile istituire commissioni parlamentari d’inchiesta o “squadre speciali di giustizia”, come annunciato dal governo in carica. Che le più alte istituzioni dello Stato manifestino la propria presenza a fianco e a sostegno dei cittadini offesi è di conforto per tutti e restituisce a molti la speranza di ricevere pur tardivamente giustizia.
Tuttavia, non si può pensare di circoscrivere gli arbìtri, attuali e potenziali, ai danni dei minori se non si prende coscienza, innanzitutto, della rete capillare che è stesa sopra tutti gli ambienti educativi, nessuno escluso, e che vede quale protagonista incontrastata la casta intoccabile degli “esperti” in quelle pseudo-scienze cosiddette “umane” che spaziano dalla pedagogia alla psicologia alla psicanalisi a certa psichiatria (allo psicodramma, nel caso tutto speciale di Foti): un esercito poderoso e potentissimo, dotato di armi tremendamente appuntite e di strumenti spropositati (specie se commisurati all’analfabetismo morale e culturale diffuso nell’ambiente), utilizzabili arbitrariamente al di fuori della capacità di controllo delle famiglie e al di là del loro raggio di intervento.
Se non è lecito, in via di principio, estendere a tutti costoro il pregiudizio negativo che la stragrande maggioranza si merita, è altrettanto vero che la formazione stessa dei pretesi “esperti” di vite altrui, per come è concepita nelle accademie che li sfornano a getto continuo, è strutturalmente intrisa di quelle categorie concettuali distorte e distorsive – trasfuse in un lessico iniziatico e beota capace di conferire a chi ne fa sfoggio un certo tono di promozione culturale a buon mercato – in nome delle quali si possono infliggere danni enormi, anche irreparabili, ai destinatari del servizio, specie se di giovane età.
Tutti i nostri figli sono esposti a prestazioni invasive, anche se non richieste, di soggetti portatori (più o meno sani) di un’ideologia penetrante spacciata per “scienza” e suscettibile di degenerare in vero e proprio fanatismo morboso. Rappresentanti di questa casta, muniti di patentino istituzionale, sono infiltrati nelle scuole di ogni ordine e grado, sopraordinati rispetto ai docenti delle materie fondamentali (relegati in posizione ancillare perché non altrettanto “esperti”), liberi di interferire senza alcun genere di controllo nell’ambito educativo che compete naturalmente (e costituzionalmente) alla famiglia. Vengono a contatto con i minori attraverso corsi curricolari ed extracurricolari, progetti, incontri collettivi o anche individuali. Spesso e volentieri a totale insaputa dei genitori.
Le storie agghiaccianti che stanno emergendo un po’ ovunque dovrebbero sollevare un qualche tipo di allarme non solo dalle parti del Viminale, ma anche, per esempio, dalle parti del Ministero della Pubblica Istruzione.
SERVE INIZIARE A RISALIRE LA CORRENTE Se questo è lo strato profondo, dove pullula un vivaio inesauribile, c’è poi il livello successivo, che si sviluppa in verticale fino alle famose “punte dell’iceberg” e che si snoda nella filiera kafkiana (finalmente portata alla luce dall’inchiesta di Bibbiano) con tutti i suoi bachi non certo casuali, quali a titolo di esempio: lo strapotere di figure subalterne e proteiformi come quelle degli “assistenti sociali”; i vizi strutturali della magistratura minorile, sia per la composizione dell’organo giudicante (che implica il reclutamento di giudici onorari), sia per la procedura dei giudizi, sia per la fisionomia delle decisioni (inappellabili in quanto formalmente provvisorie); la intersezione endemica tra interessi pubblici e interessi privati, con il proliferare di conseguenti conflitti; il ruolo determinante dell’apparato burocratico e amministrativo e l’ingerenza prepotente della politica nelle dinamiche assistenziali.
Un sistema elefantiaco e tentacolare, insomma, incistato nel corpo delle istituzioni e brulicante di interessi personali, corporativi o di bottega. Un mostro che si nutre come un parassita vorace della ideologia strisciante sedimentata nella stessa opinione pubblica, grazie all’azione indefessa della propaganda.
È questo forse l’aspetto più inquietante, quello per così dire “culturale”, perché è senza dubbio il più difficile da affrontare, tanto i presupposti (pseudo)concettuali delle mostruosità appena emerse dalle cronache sono radicati e impastati nella testa del suddito collettivo, inconsapevole dell’indottrinamento subìto. Ci sarebbe infatti da risalire una corrente impetuosa, che guadagna giorno per giorno in forza e velocità, ed è lavoro improbo.
Ma l’agenda omosessualista e genderista che, monopolizzato ogni spazio mediatico ed educativo, punta ad annientare la famiglia e ogni legame identitario, penetra proprio attraverso l’onnipresente quanto surreale piagnisteo femminista a cui partecipa ogni parte politica, sostenitrice o succube (a seconda dei casi) dei canoni inderogabili della più trita correttezza politica. Così tutti indistintamente, anche quanti oggi si schierano con i bambini rapiti e le loro famiglie, contribuiscono senza requie ad alimentare il brodo di coltura vischioso, di matrice falsamente egualitaria, in cui proliferano le idee degenerate che stanno alla base di tante pratiche barbare perpetrate a danno dei più deboli.
Perché l’essenziale è inoculare erga omnes la convinzione apodittica della urgenza di un riscatto universale della donna, sul presupposto che questa versi ovunque (specie in Occidente) in una condizione di atavica inferiorità psico-fisico-socio-culturale, conseguenza del “genere” in cui è stata ingabbiata a forza. Affinché tutti siano persuasi che tale supposta subordinazione della donna debba essere rimossa con ogni mezzo, in quanto causa prima della violenza esercitata nei suoi confronti, ad ogni latitudine del globo, dal maschio oppressore. Un destino crudele, al quale guardacaso sono miracolosamente sfuggite tutte le signore, più o meno alfabetizzate, che, per grazia ricevuta dalle magiche quote rosa, strillano e brigano e starnazzano di discriminazioni e altre scemenze dai loro scranni dorati.
Non bastava la firma dell’Italia alla Convenzione di Istanbul, non bastava il monstrum della legge 119/2013 (la cosiddetta legge sul femminicidio), non bastavano tutte le leggi che rinviano a quel monstrum, a partire dalla legge 107/2015 cosiddetta “buona scuola”, non bastava la pioggia battente dei provvedimenti europei. No. Ci voleva il Codice Rosso (ddl 1200/2019) partorito dalla Bongiorno, cioè (quantomeno formalmente) dalla forza politica che sta con le famiglie e che combatte il gender (è così?). E come già avvenne per il famigerato femminicidio, anche questo ennesimo tributo normativo all’ideologia femminista e genderista è passato proprio in questi giorni con zero voti contrari. Zero: che significa, tutti dentro. D’altra parte, i dogmi sono dogmi (tranne che per la neochiesa) e si sa che la nuova religione globale non conosce misericordia per il trasgressore.
Ma bisognerebbe stare attenti a questo incauto strabismo operativo – con una mano aiuto le famiglie reali, con l’altra ne scredito l’immagine – perché, dove vige incontrastato il fondamentalismo dell’ideologia, le commissioni di inchiesta, le squadre speciali di intervento, e persino le conclamate riforme, finiranno per portare nulla più che piccoli ritocchi cosmetici in un volto ormai sfigurato. Buoni solo per salvarsi la coscienza.
Elisabetta Frezza Luglio 27, 2019
SU BIBBIANO SI VEDANO ANCHE:
- INCHIESTA “ANGELI E DEMONI”
Bibbiano, un mese dopo: i fatti che molti vogliono insabbiare
Un mese e un giorno dopo quel 27 giugno in cui è emerso, grazie al lavoro della procura di Reggio Emilia, lo scandalo affidi della Val d’Enza, è bene fare il punto sulla vicenda che da più parti si cerca di minimizzare. All’origine dei bambini sottratti ingiustamente ai genitori non ci sono solo interessi economici ma anche un’ideologia anti-famiglia alimentata da attivisti Lgbt, vicini a esponenti del Pd. Dal «deus ex machina» dei servizi sociali, Federica Anghinolfi, a Claudio Foti del centro Hansel e Gretel, ecco i numeri e i fatti principali emersi finora dall’inchiesta, che conta ad oggi 29 indagati tra assistenti sociali, medici, psicologi e politici.
È passato un mese e un giorno da quando, il 27 giugno, è venuto alla luce lo scandalo di Bibbiano, emerso grazie all’inchiesta “Angeli e Demoni” coordinata dal pubblico ministero Valentina Salvi (sostituto alla procura di Reggio Emilia) e avviata nella seconda metà del 2018 per l’anomala quantità di presunti maltrattamenti su minorenni, di cui i servizi sociali dell’Unione Val d’Enza avevano accusato i genitori.
A distanza di un mese - per evitare i soliti tentativi, del resto in atto fin da subito, di minimizzare o insabbiare fatti e responsabilità - può essere utile fare il punto sulla vicenda, che unisce indebiti giri di denaro pubblico, coperture politiche e un’ideologia ostile alla famiglia che vede in prima linea esponenti del movimento Lgbt.
Sei i fascicoli relativi ad affidi (per sette bambini in totale) passati al vaglio degli inquirenti e oggetto dell’ordinanza di 277 pagine firmata dal giudice per le indagini preliminari, Luca Ramponi. Ma nei giorni scorsi, come ha riferito il Corriere, il Tribunale dei minori di Bologna ha disposto di estendere i controlli a oltre 70 casi, relativi agli ultimi due anni.
Tra gli indagati ci sono assistenti sociali, medici, politici, psicologi e psicoterapeuti, accusati a vario titolo di maltrattamenti su minori, abuso d’ufficio, depistaggio, falso in atto pubblico, frode processuale, peculato d’uso, tentata estorsione, violenza privata. Alcuni dei minori strappati alle loro famiglie manifestano oggi segni di profondo disagio quali tossicodipendenza e autolesionismo, ragion per cui tra le accuse vi è quella di lesioni gravissime in relazione ai traumi procurati.
Negli ultimi giorni le cronache hanno raccontato che alcuni dei bambini ingiustamente sottratti ai genitori sono potuti tornare in famiglia.
LA POSIZIONE DI CARLETTI
Uno dei 27 indagati della prima ora è il sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, del Pd, delegato per le politiche sociali dell’Unione Val d’Enza e accusato di abuso d’ufficio e falso. Secondo l’ordinanza, Carletti e altri, in concorso di reato, avrebbero omesso di fare «una procedura ad evidenza pubblica per l’affidamento del servizio di psicoterapia avente un importo superiore a 40.000€» e così «intenzionalmente procuravano un ingiusto vantaggio patrimoniale al centro studi Hansel e Gretel, i cui membri Foti Claudio, Bolognini Nadia e Testa Sarah esercitavano sistematicamente, a nessun titolo, l’attività di psicoterapia a titolo oneroso con minori asseritamente vittime di abusi sessuali e/o maltrattamenti». Agli stessi Foti, Bolognini e Testa era concesso «l’utilizzo gratuito dei locali della pubblica struttura “La Cura” di Bibbiano, messi a loro disposizione dall’Unione Comuni Val d’Enza (che pagava il canone annuale di locazione)».
In particolare Carletti agiva «in costante raccordo con la Anghinolfi [Federica]» ed essendo «pienamente consapevole della totale illiceità del sistema». Sempre il sindaco del Pd, intanto autosospesosi dal partito, che gli ha espresso solidarietà, «si era personalmente occupato» dell’istituzione del centro La Cura e ne aveva «assunto la paternità in diverse occasioni pubbliche», anche promuovendo convegni in cui lui stesso faceva da relatore e ai quali «venivano invitati a partecipare (retribuiti) Foti e la Bolognini», con il fine di sostenere e ampliare le attività del centro piemontese Hansel e Gretel. Rispetto al quale, scrive il gip, «forniva copertura politica».
ALTRI 2 INDAGATI: EX SINDACI DEL PD
Ai 27 indagati iniziali se ne sono aggiunti presto altri 2, anch’essi, come Carletti, provenienti dal Pd: si tratta di Paolo Colli e Paolo Burani, ex sindaci rispettivamente di Montecchio Emilia e di Cavriago, entrambi comuni della Val d’Enza. L’accusa per loro è di abuso d’ufficio.
IL RUOLO DI FEDERICA ANGHINOLFI
Persona chiave dell’inchiesta è la già citata Federica Anghinolfi, dirigente dei servizi sociali della Val d’Enza nonché nota attivista Lgbt, ritenuta dal giudice «il deus ex machina della gestione dei presunti abusi». La Anghinolfi ha per anni partecipato a manifestazioni e convegni vari per promuovere la causa degli affidi e delle adozioni per persone gay, insistendo sulla necessità di combattere l’«omofobia» e la «transfobia» di chi difende la famiglia naturale, verso cui manifesta avversione. Nella stessa ordinanza si legge che «sono state la sua stessa condizione personale e le sue profonde convinzioni ad averla portata a sostenere con erinnica perseveranza la “causa” dell’abuso da dimostrarsi ad ogni costo». Evidentemente anche quando questi presunti abusi, in famiglia, non esistevano.
È in ragione di questa ideologia, emergente dalle stesse carte dell’inchiesta, che la Anghinolfi, in concorso con altri, ha prodotto «una sistematica pluralità di falsi in atto pubblico» al fine di allontanare i minori dalle loro famiglie. Sempre a questo scopo, diversi degli indagati operavano per indurre falsi ricordi nei bambini e spingerli a confessare abusi o maltrattamenti mai subiti. Così, oltre a falsificare le relazioni, la Anghinolfi operava «in collaborazione con gli psicologi […] nel costruire una avversione psicologica dei minori per la famiglia d’origine».
La Anghinolfi aveva fatto promesse di affidi senza scadenza (stravolgendo così il senso stesso dell’affido) e, riferisce Il Resto del Carlino, si sarebbe servita di una lavoratrice precaria per documentare affidi fantasma, facendo transitare denaro pubblico verso il centro Hansel e Gretel.
NO ELETTROSHOCK
Gli psicologi non si sarebbero comunque serviti dell’elettroshock, come hanno riportato le prime cronache dei giornali. La tecnica usata è quella dell’EMDR, una tecnica lecita come ha spiegato Silvana de Mari su questo quotidiano, se usata in modo rigoroso e con domande neutre.
BAMBINI A COPPIE LESBICHE
Uno dei casi oggetto dell’indagine riguarda una bambina con crisi epilettiche, data in affidamento a una coppia lesbica, quella formata da Daniela Bedogni e Fadja Bassmaji, quest’ultima in passato compagna della stessa Anghinolfi. Sia la Bedogni che la Bassmaji sono a loro volta indagate per maltrattamenti nei confronti della bambina loro affidata. Altri due bambini erano stati affidati a una coppia lesbica, formata dalla madre dei due e dalla compagna per la quale la prima aveva lasciato il marito, che solo in questi giorni ha potuto rivedere i suoi figli, dai quali era stato allontanato con falsi pretesti, tra cui un’accusa di «omofobia» (clicca qui).
CLAUDIO FOTI E IL CENTRO HANSEL E GRETEL
Altra persona chiave è Claudio Foti, direttore del centro Hansel e Gretel, a cui sono stati nel frattempo revocati gli arresti domiciliari (sostituiti con un obbligo di dimora a Pinerolo) perché il tribunale del Riesame, in merito a uno dei capi d’accusa, cioè la presunta manipolazione della mente di una ragazza, non avrebbe trovato, come riferisce il suo avvocato, «gravi indizi di colpevolezza» a suo carico. Rimane l’accusa di abuso d’ufficio in concorso. Inoltre, poco dopo la revoca dei domiciliari, è emerso che Foti è indagato ora anche per maltrattamenti nei confronti della seconda moglie, Nadia Bolognini (indagata a sua volta), e dei figli, sulla base di intercettazioni in cui si sente tra l’altro la Bolognini dire all’uomo: «E poi andiamo a fare convegni sulla tutela dei minori…».
Foti, con il suo centro Hansel e Gretel, è la stessa persona coinvolta in altre drammatiche vicende recenti, come quella avvenuta nella Bassa Modenese sul finire degli anni Novanta (oggetto dell’inchiesta giornalistica “Veleno”, pubblicata su Repubblica), quando la sua onlus prestò alcune delle consulenze che condussero all’allontanamento di 16 bambini dalle loro famiglie, con i genitori che vennero accusati falsamente - come emerse negli anni successivi - di aver compiuto riti satanici sui piccoli.
I NUMERI
Secondo i dati di un documento contabile dell’Unione Val d’Enza, riferiti da Reggio Sera, i minori «dati in affidamento sono stati 0 nel 2015, 104 nel 2016, 110 nel 2017 e 92 nei primi sei mesi del 2018». Questo aumento improvviso dei casi di affido era stato denunciato l’anno scorso da Natascia Cersosimo - esponente del Movimento 5 Stelle - dopo che aveva ottenuto di accedere ai documenti dell’Unione Val d’Enza, perché intanto era stata avanzata la richiesta di varare un aumento di spesa di 200.000 euro per i servizi sociali. Dalle carte, si scoprì pure che i minori in strutture d’accoglienza erano 18 nel 2015, 33 nel 2016, 40 nel 2017, 34 nei primi sei mesi del 2018. Sempre Reggio Sera riferisce che quel documento indicava una spesa per gli affidi di 245.000 euro nel 2015, 305.000 nel 2016, 327.000 nel 2017 e, in proiezione, 342.000 per il 2018. Altra progressione era stata quella delle spese per le psicoterapie: 6.000 euro nel 2015, 31.000 nel 2017, 27.000 nei primi sei mesi del 2018. Un’impennata anche per le prese in carico per violenza: 136 nel 2015, 183 nel 2016, 235 nel 2017, 178 nel primo semestre del 2018.
C’è poi la seduta della Commissione parlamentare per l’infanzia e l’adolescenza, di cui era presidente la piddina Sandra Zampa (grande sostenitrice delle “unioni civili”): è il 14 luglio 2016 e la Anghinolfi viene invitata, insieme al sindaco Carletti, a parlare del modello Val d’Enza, incensato in apertura di seduta dalla stessa Zampa. La Anghinolfi dava questi dati: «Per quanto riguarda la Val d’Enza, è un’Unione che ha 62.000 abitanti, 12.000 dei quali minorenni; in carico come area della tutela ne abbiamo circa 900, di questi circa 90 sono vittime di abusi sessuali, gravi maltrattamenti, violenza assistita e violenza psicologica […]. Nella casistica dei 90 prima citati, 31 sono di violenza sessuale, 26 di violenza assistita, 19 di maltrattamento fisico». Pochi giorni dopo un articolo della Stampa esaltava il modello Val d’Enza, con dichiarazioni di Carletti e Anghinolfi, la quale lamentava la mancanza di soldi pubblici e se la prendeva con «l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli».
LA COMMISSIONE REGIONALE D’INCHIESTA
Ieri il parlamento dell’Emilia Romagna ha votato per istituire una commissione d’inchiesta sul sistema di tutela dei minori. Il voto è arrivato solo dopo l’approvazione, da parte della stessa assemblea regionale, della legge «contro le discriminazioni» delle persone Lgbt, con Roberta Mori del Pd - estranea all’inchiesta “Angeli e Demoni” ma sostenitrice degli stessi eventi su adozioni e affidi per gay cui partecipavano tre delle indagate (Anghinolfi, Bassmaji, Bedogni) - come relatrice di maggioranza e i 5 Stelle a votare con il centrosinistra. Una legge che nel suo articolato, al di là dei fini ‘ufficiali’, riflette la stessa cultura anti-famiglia emersa nello scandalo affidi e rappresenta una minaccia alla libertà d’espressione (clicca qui). Il che è come dare la risposta contraria a quella necessaria.
Errmes Dovico
MINORI: UN BUSINESS GIUDIZIARIO
Il Business Giudiziario sulla pelle dei bambini. Un sistema affaristico in cui i servizi sociali costruiscono con la collaborazione di psicologi e psichiatri compiacenti premeditate menzogne per portar via dei minori alle famiglie
di Marco Della Luna
La regola generale del comportamento economico è confermata: dove è possibile realizzare un business, lecito o illecito, anche sui bambini, qualcuno lo realizza, e col profitto così ricavato acquisisce rapporti politici e il controllo anche di coloro che non vorrebbero partecipare agli abusi.
Già nel 2013 il dottor Francesco Morcavallo si era dimesso da giudice del Tribunale dei Minori di Bologna (quello competente per Bibbiano) denunciando traffici che osservava nei tribunali e intorno ad essi, con sistematiche violazione della legge finalizzate ad assecondare il traffico dei bambini da parte dei servizi sociali, e particolarmente la prassi dei tribunali di accettare come oro colato e non mettere mai in discussione le affermazioni (indimostrate e spesso palesemente inverosimili) poste dai servizi sociali a fondamento delle richieste di togliere i bambini alle famiglie per collocarli in strutture a pagamento: https://www.panorama.it/news/in-giustizia/scandalo-affidi-minori-bologna/ Questo è avvenuto anche nei casi di Bibbiano, proprio con provvedimenti emessi dal Tribunale dei Minori di Bologna, quello segnalato sei anni fa dal giudice Morcavallo!
Fino ad ora, tutti gli scandali della Giustizia minorile, come quello sollevato allora da Morcavallo, sebbene autorevolmente dimostrati e denunciati, sono stati sottaciuti dai mass media; ora però uno è stato fatto scoppiare mediaticamente – chissà perché – forse è una decisione collegata a quella di far scoppiare lo scandalo del Consiglio Superiore della Magistratura.
L’inchiesta-scandalo partita dal Comune di Bibbiano, provincia di Reggio Emilia, porta all’opinione pubblica la conoscenza di un sistema affaristico in cui i servizi sociali costruiscono, con la collaborazione di psicologi e psichiatri compiacenti, mediante premeditate menzogne, false diagnosi e accuse di abusi e inadeguatezza a carico dei genitori, allo scopo di portare loro via i minori e poterli gestire per profitto, collocandoli in struttura private che li tengono a caro prezzo pagato dai contribuenti o dai genitori stessi (200-400 euro al giorno) e di farli curare pure a pagamento.
La realtà non ancora annunciata dai mass media, è che questo sistema opera in tutta Italia, che fattura circa 2 miliardi all’anno su circa 50.000 fanciulli sottratti, e non solo col collocamento dei minori in strutture private, ma anche con terapie a pagamento imposte senza bisogno e col traffico delle adozioni.
La realtà non ancora annunciata è anche che tutte queste cose vengono disposte, direttamente o indirettamente, dai Tribunali dei Minori, dai Tribunali ordinari in materia di famiglia, dalle procure della Repubblica presso i Tribunali dei Minori; e che quindi il guasto non è da cercare solo nei servizi sociali, nelle onlus, nelle cooperative e tra psicologi e medici, bensì anche negli uffici giudiziari, proprio come segnalava il dr Morcavallo.
La realtà è anche che non pochi giudici onorari che si occupano dei minori hanno cointeressenze con le suddette strutture private in cui i tribunali e i servizi sociali collocano i minori a lauto pagamento. Hanno interessenze sia come direttori sanitari, sia come soci, sia come consulenti a fattura. Inoltre partecipano (anche magistrati togati) alla rete dell’aggiornamento professionale a pagamento, obbligatorio per medici, psicologi, avvocati, assistenti sociali; rete della quale accade che, per esempio, il giudice, il medico e lo psicologo che si occupano del collocamento dei minori e delle adozioni sono ingaggiati e pagati da associazioni o società private che organizzano i corsi di aggiornamento, e questi soggetti privati sono diretti va avvocati che si occupano di minori nei Tribunali per cui lavorano quei giudici, medici e psicologi.
Pertanto, vi è il problema sistematico nazionale (di una minoranza) di magistrati e loro consulenti, che hanno interessenze economiche nella sottrazione e gestione economica dei minorenni.
Come avvocato mi occupo anche di questi casi e ho visto e appreso cose incredibili e, come il caso di un padre astemio -ripeto: astemio– di tre bambini, che una mattina se li vide asportare per ordine della procura della Repubblica presso il Tribunale dei Minori, poi confermato dal Tribunale Minorile, in base al rapporto mendace dei servizi sociali comunali che lo descrivevano come “dedito all’alcol e violento quando ubriaco”. Per anni combattemmo davanti al Tribunale dei Minori e alla Corte di Appello affinché ascoltassero i numerosi testimoni che avrebbero riferito che il padre era astemio da sempre, nonché per ottenere una perizia che avrebbe accertato che in lui non vi era traccia di alcool. Insistemmo invano: ogni volta i giudici rifiutarono di assumere che avrebbero smascherato le menzogne e il complotto dei servizi sociali, col quale i medesimi, oltre a distruggere la famiglia del pover’uomo, avevano ottenuto di far guadagnare molto denaro alla struttura privata a cui il tribunale affidò i tre bambini. Portavamo ai giudici plichi di analisi di laboratorio per dimostrare che il padre non assumeva alcolici e altri documenti clinici per dimostrare che le botte le aveva prese e non date, ma i giudici non ne tenevano conto. Fecero fare una consulenza tecnica d’ufficio sul padre e anche il consulente si rifiutò di esaminare le prove che il padre era astemio.
Alla fine, provvidenzialmente, mi capitò in mano su un fascicolo riservato del Tribunale e riuscii a fotocopiare documenti piuttosto compromettenti per il Tribunale stesso, con i quali feci reclamo. Solo grazie a ciò ottenni in appello la riabilitazione del padre, ma il danno era ormai fatto.
Questo è un caso tipico in cui i giudici che si occupano di bambini proteggono le attività del personale dei servizi sociali, delle strutture private, e degli psicologi e medici complici. Sicuramente molte volte i giudici non lo fanno con l’intenzione di coprire o consentire attività illecite, ma piuttosto per obbedienza ai superiori e solidarietà istituzionale: adottano la regola di credere sempre e solo ai servizi sociali e di non permettere che le loro affermazioni vengano sottoposte a prove contrarie; così, oltre a tutelare l’autorevolezza della pubblica amministrazione, si semplificano anche il lavoro. I servizi sociali sgravano i giudici del lavoro di accertamento della realtà, e i giudici coprono i servizi sociali con la loro autorità, così nessuno è responsabile, anzi nessuno può essere colto in fallo.
Questo è il focus: i tribunali di regola impediscono ai genitori di portare prove per smentire le false accuse dei servizi sociali.
Appunto per questo motivo la prima misura legislativa da prendere per porre fine al business sulla pelle dei bambini e delle famiglie è quella di imporre ai tribunali di verificare le accuse, e di ammettere le prove richieste dai genitori, cioè testimonianze, documenti, perizie, per verificare o confutare le affermazioni dei servizi sociali e dei loro consulenti.
Come seconda misura legislativa, bisogna proibire che i magistrati e i medici, psicologi e assistenti sociali che si occupano di minori prestino servizi (di consulenza, formazione o altro) pagati da soggetti privati.
Ben venga, naturalmente, anche la commissione di inchiesta invocata da Salvini.
Tuttavia, la storia mostra che, se si riformano le regole ma si lasciano le persone, le prassi non cambiano. Un mio professore universitario reperì l’equivalente del nostro detto “fatta la legge trovato l’inganno” in ben 72 lingue, incominciando col sumero, su tavolette di argilla di 5.000 anni or sono. L’apparato giudiziario che si occupa di minori comprende una grande quantità di persone -giudici e non giudici- che sono abituati ad avere un reddito dalle attività economiche suddette, lo considerano un loro diritto, sicché troverebbero il modo di aggirare le regole, come le hanno sempre aggirate, ignorandole o interpretandole a modo loro– lo descrive l’ex giudice Morcavallo nell’articolo sopra linkato. Perciò bisognerebbe -lo dico consapevole che è irrealizzabile dati i troppi pingui interessi in gioco- mettere nei ruoli riguardanti i minori gente nuova, sostituendo tutto il personale attuale: sceverare chi ha effettivamente colpe e chi no, sarebbe troppo complicato; inoltre, anche coloro che si sono comportati o hanno cercato di farlo, e sono ovviamente molti, si sono in qualche modo sottomessi alla prassi in questione, quindi hanno acquisito abitudini incompatibili.
Per concludere, faccio presente un problema ulteriore e moralmente più inquietante, perché va al di là dei normali abusi di potere compiuti per profitto. Mi vengono segnalati non pochi casi, e di qualcuno sono anche testimone diretto, in cui c’era una madre che richiedeva ai magistrati competenti di sentire testimoni su abusi sessuali subiti dalla figlia piccola da parte del padre, e i magistrati rifiutavano od omettevano tacitamente di indagare, di sentire i testimoni e le bambine, di ascoltare le registrazioni.
In un caso, non solo si sono rifiutati di ascoltare i testimoni degli abusi ma, di fronte alla madre che continuava a raccogliere prove e indizi seri degli abusi sessuali, segnalati a lei dalla scuola, e alla stessa bimba che riferiva e disegnava contatti intimi col padre, il tribunale, davanti a me, per bocca del suo presidente, ingiunse alla madre apertis verbis, però senza metterlo a verbale, di smettere di raccogliere queste prove e di ritirare la denuncia perché altrimenti le avrebbero tolto la figlia e l’avrebbero messa in una struttura dichiarandola madre conflittuale, quindi nociva alla figlia e inidonea come madre.
So che spesso cose simili vengono segnalate anche in altri paesi europei. Sembra che esista, nell’Europa occidentale, un ordine di scuderia, una direttiva generale, di chiudere un occhio, di scoraggiare e non prestar fede a denunce per atti sessuali di questo tipo, a condizione che gli abusi avvengono senza violenza o eccessivo turbamento per i minori. Forse è una direttiva finalizzata a creare un clima culturale più accettante nei confronti di certi rapporti tra genitori e figli nell’ambito di una complessiva riforma della moralità e dei costumi della vita familiare e riproduttiva, portata avanti dal Movimento LGBT, e proiettata verso il superamento della famiglia tradizionale, quella composta da genitori di sesso diverso e regolata da determinati tabù sessuali come quello dell’incesto, dopo il già avvenuto superamento dei tabù delle nozze gay, dell’affitto di utero e delle adozioni da parte di coppie omosessuali.
Fonte: http://marcodellaluna.info/sito/ del 25 Luglio 2019
IL BUSINESS GIUDIZIARIO SULLA PELLE DEI BAMBINI
di Marco Della Luna
MAZZUCCO live - Puntata 57 (Figli rubati dallo Stato: ospite Francesco Miraglia 27-7-2019) BN TV
MAZZUCCO live - Puntata 57 (27-7-2019) BN TV
Il caso Bibbiano è solo la punta dell’iceberg: insieme all’avvocato Francesco Miraglia parliamo dei bambini rubati dallo Stato ai loro genitori naturali
https://www.youtube.com/watch?v=SNv_W0CtEVw
Convegno “Figli sottratti”: intervento del Prof. Alessandro Meluzzi
18 luglio 2019 – Convegno alla Camera “Angeli e demoni: un omicidio non dei corpi ma delle anime”: intervento del Prof Alessandro Meluzzi, Medico Psichiatra Forense Criminologo.
Nel convegno, organizzato da Fratelli d’Italia in collaborazione con http://www.imolaoggi.it, si è parlato della vicenda dei bambini sottratti ai genitori e dati in adozione utilizzando metodi illegali.
Sono intervenuti l’On. Maria Teresa Bellucci, Capogruppo di Fratelli d’Italia in Commissione Bicamerale per l’Infanzia e l’Adolescenza; la Prof.ssa Vincenza Palmieri, Presidente dell’Istituto Nazionale di Pedagogia Familiare; il Prof. Alessandro Meluzzi, Medico Psichiatra Forense Criminologo; l’Avv. Francesco Moncavallo, già giudice del tribunale dei minori di Bologna; l’Avv. Francesco Miraglia, esperto di Diritto di Famiglia e Diritto Minorile e l’On. Giovanni Donzelli (FdI) Moderatore Armando Manocchia, Direttore di ImolaOggi.it.
Giovanardi (Idea), “dopo Angeli e Demoni stop ad incarico a Cismai”
“Sulla delicata e controversa questione della tutela dei bambini, tema di grande attualità dopo l’indagine ‘Angeli e demoni’, chiediamo al Governo italiano di chiarire come sia possibile che vengano spesi dati agghiaccianti sull’abuso nel nostro Paese che hanno come fonte la ‘Indagine nazionale sul maltrattamento dei bambini e degli adolescenti in Italia’, promossa nel 2015 dall’allora Presidente dell’Autorità garante per l’infanzia e adolescenza, l’attuale sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Vincenzo Spadafora e affidata all’Associazione Terre de Hommes ed al chiacchieratissimo Cismai (Coordinamento italiano servizi maltrattamenti infanzia – ndr)“. Lo dichiara Carlo Giovanardi (IdeA), già Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alla Famiglia nel governo Berlusconi, invocando l’intervento del Governo “sulla Garante perché revochi immediatamente l’incarico affidato al Cismai“.
“Nella ‘Indagine nazionale’ – spiega Giovanardi , che denunciò a suo tempo in Parlamento le gravissime anomalie delle inchieste sui Diavoli della bassa modenese e le maestre di Rignano Flaminio – vengono sparati dati secondo i quali un adulto su quattro nel mondo è stato abusato fisicamente da bambino, e una donna su cinque e un uomo su dieci avrebbe subito abusi sessuali da bambino, mentre in Europa di ben 18 milioni di bambini sarebbero vittime di abusi sessuali (13,7% delle bambine, 5,7% dei bambini). L’attuale Garante per l’Infanzia Filomena Albano – continua Giovanardi – ha affidato nuovamente al Cismai l’incarico di aggiornare l’Indagine nazionale, da cui emerge fra l’altro che il costo per la collettività dei servizi a tutela dell’infanzia ammonta nel nostro paese complessivamente a 13 miliardi di euro, con un aumento di spesa annuale di circa un miliardo di euro per i nuovi casi che emergono, come quelli di Bibbiano”.
“Chiediamo pertanto al Governo – conclude l’ex sottosegretario – di intervenire sulla Garante perché revochi immediatamente l’incarico affidato al Cismai, le cui teorie sugli abusi, riprese dall’Associazione Hansel e Gretel di Claudio Foti, secondo il quale gli abusi riguarderebbero addirittura il 75% dei bambini italiani, sono duramente contestate dal mondo scientifico, per incaricare associazioni e istituzioni che diano garanzia di imparzialità e rigore professionale per combattere quell’immondo crimine costituito dai veri abusi”.
Anche Peppone chiederebbe verità
di Giorgio Enrico Cavallo
Ogni estimatore dei racconti di Guareschi può affermare che la caratteristica che distingue le storie di don Camillo e Pepponeda tutte le altre è l’intesa che i due nemici-amici hanno nei momenti di pericolo. Don Camillo e Peppone si combattono sul piano politico, ma sono alleati sul piano umano. Di fronte ad emergenze, di fronte ai lutti, di fronte alle difficoltà della guerra, don Camillo e Peppone diventano insolitamente alleati. È anche questa sincera umanità dei due protagonisti che fa apprezzare i racconti di Guareschi a distanza di tanto tempo.
Don Camillo e Peppone, personaggi di fantasia, sembrano più umani di tanti protagonisti dell’oggi, incapaci di comprendere quando sia il caso di cessare il (triste) dibattito politico per fare fronte comune. Lo si vede ogni giorno leggendo come viene trattata la vicenda di Bibbiano, di gravità estrema, per la quale ogni aggettivo è incapace di rendere l’orrore. Ebbene, sarebbe logico aspettarsi che tutta la politica italiana fosse concorde nel fare fronte comune, perché qui si tratta di decine (centinaia? Migliaia? Negli anni, oltre a Bibbiano, quante sono state le famiglie rovinate dai servizi sociali corrotti in tutta Italia?) di famiglie spezzate, alle quali sono stati sottratti i bambini senza alcun motivo apparente, se non quello dei soldi e dell’ideologia. Un caso che, per complessità, vastità e gravità costituisce a ben vedere il più nauseabondo scandalo mai avvenuto in Italia da molti anni a questa parte. Episodi che, per la loro barbarie motivata in buona parte da una ideologia malata, gridano vendetta e di fronte ai quali il minimo sarebbe stato un fronte comune tra i don Camillo ed i Peppone di oggi. Quantomeno, per la nausea che ogni persona normale dovrebbe provare dopo aver letto queste notizie.
Invece, al posto della nausea e del fronte comune, assistiamo ad un teatrino penoso e surreale, nel quale molti Pepponi di oggi, con cieca ostinazione, continuano a minimizzare, a gridare al complotto e a puntare il dito contro chi è genuinamente scandalizzato. A sinistra parlano di macchina elettorale messa in moto a loro danno, e da quanto si apprende dai giornali sembra che le loro principali attenzioni siano volte a spedire querele. Insomma, nel vasto universo della sinistra italiana sembra tutto un fiorire di giustificazioni e di giudizi gratuiti, che vanno, a vario livello, dalla presa in giro di quanti hanno partecipato alla fiaccolata di solidarietà a Bibbiano fino alla bella trovata di qualche mente superiore, che nemmeno di fronte all’inferno dei bambini riesce a non dare del fascista a chi chiede verità. Altre superlative intelligenze hanno cercato di spostare l’attenzione sui fondi russi alla Lega, vicenda che sembra la brutta copia nostrana del banale film a stelle e strisce già poco apprezzato dagli americani. E tutti a sorprendersi se il filmaccio non è piaciuto e se gli italiani non hanno smesso di chiedere verità sullo scandalo della Val d’Enza. Giustamente. Perché di fronte a quanto avvenuto (ed avviene?) sul tema affidi, non potrebbe esserci altra reazione: chiedere verità. Di fronte alla necessità di tutelare i nostri figli dovremmo essere tutti d’accordo. È qualcosa che va oltre il colore politico.
Peppone lo sapeva. La tessera di partito non gli toglieva il buon senso, quel sano buon senso che lo portava a chiedere verità lui per primo, anche andando contro agli interessi immediati del suo partito. Sì, nel mondo di Guareschi si combatteva e le battaglie politiche erano vive e passionali, ma alla fine i clericali e i sinistri si trovavano d’accordo e marciavano insieme per il bene di tutti. Se Peppone vedesse l’ignobile isterismo suscitato da Bibbiano! Sarebbe sceso in piazza lui stesso a chiedere verità. Invece, le reazioni scomposte di una certa sinistra, quella stessa sinistra che ripete ossessivamente il mantra del “restare umani”, fanno pensare che la sua umanità si sia persa per strada. E dire che basterebbe fare pochi chilometri, recandosi in quel di Brescello per rinfrescarsi la memoria su una politica fatta di buon senso. C’è già troppo orrore nella vicenda di Bibbiano e di Moncalieri per dover inorridire anche degli starnazzi di una politica ridotta ad una surreale commedia.
Ogni estimatore dei racconti di Guareschi può affermare che la caratteristica che distingue le storie di don Camillo e Pepponeda tutte le altre è l’intesa che i due nemici-amici hanno nei momenti di pericolo. Don Camillo e Peppone si combattono sul piano politico, ma sono alleati sul piano umano. Di fronte ad emergenze, di fronte ai lutti, di fronte alle difficoltà della guerra, don Camillo e Peppone diventano insolitamente alleati. È anche questa sincera umanità dei due protagonisti che fa apprezzare i racconti di Guareschi a distanza di tanto tempo.
Don Camillo e Peppone, personaggi di fantasia, sembrano più umani di tanti protagonisti dell’oggi, incapaci di comprendere quando sia il caso di cessare il (triste) dibattito politico per fare fronte comune. Lo si vede ogni giorno leggendo come viene trattata la vicenda di Bibbiano, di gravità estrema, per la quale ogni aggettivo è incapace di rendere l’orrore. Ebbene, sarebbe logico aspettarsi che tutta la politica italiana fosse concorde nel fare fronte comune, perché qui si tratta di decine (centinaia? Migliaia? Negli anni, oltre a Bibbiano, quante sono state le famiglie rovinate dai servizi sociali corrotti in tutta Italia?) di famiglie spezzate, alle quali sono stati sottratti i bambini senza alcun motivo apparente, se non quello dei soldi e dell’ideologia. Un caso che, per complessità, vastità e gravità costituisce a ben vedere il più nauseabondo scandalo mai avvenuto in Italia da molti anni a questa parte. Episodi che, per la loro barbarie motivata in buona parte da una ideologia malata, gridano vendetta e di fronte ai quali il minimo sarebbe stato un fronte comune tra i don Camillo ed i Peppone di oggi. Quantomeno, per la nausea che ogni persona normale dovrebbe provare dopo aver letto queste notizie.
Invece, al posto della nausea e del fronte comune, assistiamo ad un teatrino penoso e surreale, nel quale molti Pepponi di oggi, con cieca ostinazione, continuano a minimizzare, a gridare al complotto e a puntare il dito contro chi è genuinamente scandalizzato. A sinistra parlano di macchina elettorale messa in moto a loro danno, e da quanto si apprende dai giornali sembra che le loro principali attenzioni siano volte a spedire querele. Insomma, nel vasto universo della sinistra italiana sembra tutto un fiorire di giustificazioni e di giudizi gratuiti, che vanno, a vario livello, dalla presa in giro di quanti hanno partecipato alla fiaccolata di solidarietà a Bibbiano fino alla bella trovata di qualche mente superiore, che nemmeno di fronte all’inferno dei bambini riesce a non dare del fascista a chi chiede verità. Altre superlative intelligenze hanno cercato di spostare l’attenzione sui fondi russi alla Lega, vicenda che sembra la brutta copia nostrana del banale film a stelle e strisce già poco apprezzato dagli americani. E tutti a sorprendersi se il filmaccio non è piaciuto e se gli italiani non hanno smesso di chiedere verità sullo scandalo della Val d’Enza. Giustamente. Perché di fronte a quanto avvenuto (ed avviene?) sul tema affidi, non potrebbe esserci altra reazione: chiedere verità. Di fronte alla necessità di tutelare i nostri figli dovremmo essere tutti d’accordo. È qualcosa che va oltre il colore politico.
Peppone lo sapeva. La tessera di partito non gli toglieva il buon senso, quel sano buon senso che lo portava a chiedere verità lui per primo, anche andando contro agli interessi immediati del suo partito. Sì, nel mondo di Guareschi si combatteva e le battaglie politiche erano vive e passionali, ma alla fine i clericali e i sinistri si trovavano d’accordo e marciavano insieme per il bene di tutti. Se Peppone vedesse l’ignobile isterismo suscitato da Bibbiano! Sarebbe sceso in piazza lui stesso a chiedere verità. Invece, le reazioni scomposte di una certa sinistra, quella stessa sinistra che ripete ossessivamente il mantra del “restare umani”, fanno pensare che la sua umanità si sia persa per strada. E dire che basterebbe fare pochi chilometri, recandosi in quel di Brescello per rinfrescarsi la memoria su una politica fatta di buon senso. C’è già troppo orrore nella vicenda di Bibbiano e di Moncalieri per dover inorridire anche degli starnazzi di una politica ridotta ad una surreale commedia.
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