Il Sinodo Pantedesco celato dietro al Sinodo Panamazzonico: quella vecchia voglia di dare moglie ai preti in una Chiesa visibile superba e cieca che non vuole imparare dagli errori della storia e dagli errori altrui
Insomma: si può essere così empi da usare come pretesto l’Amazzonia per celebrare un Sinodo il cui unico scopo è di portare a compimento l’ennesimo colpo di stato di quella frangia di episcopato tedesco che di cattolico, ormai, ha solo il nome? La cosa è infatti a tal punto evidente nella propria palese sfacciataggine, che due sole sono le soluzioni: o abbiamo a che fare con ingenui, oppure — Dio non voglia! — con autentici delinquenti. Perché a chi davvero non fosse chiaro è bene ricordare che questo non è il Sinodo Panamazzonico, bensì null’altro che il Sinodo Pantedesco che, usando a pretesto l’Amazzonia e la rassicurante formula ad experimentum, vuol dare l’ennesimo colpo di grazia all’intera Chiesa universale.
Tra la fine del 2019 e gli inizi del 2020 si terranno due grandi eventi: dal 6 al 27 ottobre 2019 il Sinodo Panamazzonico, dal 21 al 26 febbraio il carnevale di Rio de Janeiro. Considerando che in Brasile il sincretismo religioso è ufficiosamente riconosciuto, ci si potrebbe attendere una sintesi di unione tra questi due eventi.
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Per quanto riguarda l’uso che da alcuni anni s’è cominciato a fare dei sinodi, il quesito lo posi già in un mio articolo pubblicato nell’ottobre del 2018, dove domando:
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«Se infatti la Corte dei Miracoli, come la chiamo io, oppure il Cerchio Magico, come invece lo chiama il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, ha già un’agenda pronta con tutta una serie di questioni già stabilite, ma soprattutto e di fatto già approvare, perché convocare dei sinodi? Forse per dare la parvenza di collegialità allo stesso modo in cui il giovane dittatore della Corea del Nord, Kim Jong, vuol dare una parvenza di democrazia parlamentare? E che fine hanno fatto i dissidenti coreani, sono forse finiti legati sulle testate dei missili, poi lanciati appresso per le prove sperimentali?» [cf. vedere articolo, QUI].
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Se possiamo facilmente presumere la fine che hanno fatto i dissidenti della Corea del Nord, meno facilmente possiamo immaginare quella riservata ai dissidenti all’interno della Chiesa. In ogni caso, ciò che cambia sono solo le forme, perché la sostanza è quella: nella Corea del Nord i dissidenti sono giustiziati, nella Chiesa visibile odierna, i dissidenti sono invece misericordiati. Nella Corea del Nord, ogni forma di pacato dissenso è bollata come azione operata dai nemici asserviti al potere liberal-capitalista; nella Chiesa visibile, ogni forma di pacato dissenso è bollata dal Cerchio Magico, o Corte dei Miracoli,come «ostilità dei nemici del nuovo corso della Chiesa», il tutto attraverso le trombe di un giornalismo schierato che ha rinunciato da tempo immemorabile alla verità.
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Il Sinodo Panamazzonico — attraverso il quale l’equipollente clerico-parlamento della Corea del Nord pare intenzionato a sdoganare il sacerdozio per gli uomini sposati —, è proprio giocato tutto su questo: sulla pressoché totale falsificazione storica e su quella emotività che non ragiona, perché non impara dagli errori del passato, ma vive un presente cieco, senza prospettiva futura, nel quale ciò che solo conta è il tutto e subito. Solo con queste chiare premesse potremmo parlare di quel fenomeno di sincretismo che darà vita ad un pericoloso connubio tra questo Sinodo e il Carnevale di Rio de Janeiro.
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Se nella Corea del Nord il parlamento serve per dare esecuzione a quanto stabilisce e vuole Kim Jong, nella Chiesa visibile i sinodi servono ormai per dare esecuzione a quanto stabilisce e vuole il nostro Kim Jong. Però, anche in questo caso, la differenza e ancóra una volta sostanziale: mentre tutti sappiamo che la Corea è governata da Kim Jong che impone le proprie decisioni, per quanto ci riguarda noi sappiamo sì, chi governa la Chiesa Cattolica universale, ma non sappiamo però chi è o chi sono i vari Kim Jong che impongono le loro decisioni, servendosi dei sinodi nello stesso modo in cui questo giovane dittatore si serve del Parlamento della Corea.
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Prendiamo come esempio l’ultimo Sinodo sulla Famiglia: tra il 5 e il 19 ottobre del 2014 si tenne una assemblea generale per discutere sulle «sfide pastorali sulla famiglia nel contesto dell’evangelizzazione», il tutto per raccogliere testimonianze e proposte. Dal 4 al 25 ottobre del 2015 si svolge il sinodo ordinario incentrato su «La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo», scopo del quale era ricercare e poi tracciare nuovi modelli pastorali della persona e della famiglia. Dopodiché, il 19 marzo 2016, è pubblicata la esortazione apostolica post-sinodale Amoris Laetitia.
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Quando tra il 2014 e il 2015 si incominciò a percepire verso che cosa miravano alcune frange di episcopato tramite i propri rappresentanti al sinodo, non si è tardato ad assistere a vere e proprie levate di scudi, ma soprattutto a decise opposizioni da parte dei rappresentati di altre e ben più maggioritarie frange di episcopato. Dopodiché, tra il 2015 e il 2016, nella Chiesa in dialogo, aperta, accogliente e includente, s’è assistito a diversi lanci di missili, sulle testate dei quali erano stati legati — in modo tanto fraterno quanto misericordioso —, uomini di profonda e solida dottrina come il compianto Cardinale Carlo Caffarra e il Cardinale Gerhard Ludwig Müller, mentre sul missile di lancio campeggiava da cima a fondo la scritta: misericordia.
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A riguardo delle scritte su missili e bombe merita ricordare che durante la Seconda Guerra Mondiale, quando sugli aerei i prodi Alleati caricavano le bombe da sganciare sulle città d’Europa per distruggere vite umane di civili inermi assieme a opere d’arte d’inestimabile valore, i buoni soldati liberatori scrivevano varie dediche sulle bombe, solitamente omaggi ironici ad Adolf Hitler e al Nazismo, per esempio quando rasero inutilmente al suolo Dresdren e München nel febbraio del 1945, perché la Germania era già sconfitta, non occorreva decimare le popolazioni di queste due Città e distruggerne ricchezze storiche e artistiche di inestimabile valore. Come non era necessario che degli ufficiali britannici legati da affiliazione alle logge massoniche più esasperatamente anti-cattoliche della Gran Bretagna distruggessero l’Abbazia di Montecassino, la quale non fu affatto ricostruita coi soldi degli americani, che offrirono sì contributi, ma a patto però che l’Arciabate cassinense mentisse dichiarando che dentro il perimetro del grande monastero si trovavano truppe tedesche. L’Arciabate si rifiuto di affidare un falso alla storia, così, la storica abbazia, fu sì ricostruita, ma coi soldi del Governo della Repubblica Italiana, tanto per essere chiari.
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Quando dopo i massicci bombardamenti sinodali la Chiesa dovrà essere ricostruita, la grazia di Dio metterà sulla nostra strada un uomo giusto e veritiero che negherà di affidare alla storia una menzogna, proprio come fece l’Arciabate cassinense; e la Chiesa sarà ricostruita sopra le macerie coi soldi dei fedeli, vale a dire con la fede autentica dei credenti.
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Dopo il Sinodo sulla Famiglia, tra bombardamenti e missili caduti che recavano sopra la scritta «misericordia» e «tenerezza», si è andato formando un episcopato molto debole, anche perché alla data del 2013 l’età media dei vescovi sparsi per il mondo era piuttosto elevata e nel corso degli ultimi sei anni sono stati rinnovati con centinaia di nomine i vescovi di molte diocesi del mondo.
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A giorni di distanza dalla sua pubblicazione, il breve, conciso e drammatico documento del Cardinale Walter Brandmuller sullo Instrumentum laboris del Sinodo panamazzonico è passato del tutto sotto silenzio [vedere testo, QUI]. Compatta più che mai, la cosiddetta “stampa di regime” ha taciuto. Un silenzio che ricorda quello della stampa comunista e dei grandi partiti e circoli ad essa legati, quando nel 1968 i carri armati russi invasero la Città di Praga, dopo i moti di liberazione della cosiddettaPrimavera di Praga. E si tratta di un silenzio insolito, quantomeno assordante, perché l’anziano Cardinale, considerato uno tra i più grandi storici della Chiesa ed ecclesiologi al momento viventi, non ha mosso semplici e ordinarie critiche, ma ha spiegato che il testo contiene delle eresie che costituiscono un atto di apostasia dalla fede cattolica. Inutile commentare il tutto, basta prendere il testo del Cardinale Walter Brandmuller e leggerlo, perché chiunque non consideri la teologia un’emozione, un sentimento soggettivo e una poesia, non potrà che dargli ragione: quel testo è una istigazione alla apostasia dalla fede cattolica.
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Sorge adesso una domanda a dir poco legittima:perché mandare avanti un lucido e determinato Cardinale novantenne? Capisco che nessun cardinale elettore gradisce correre il rischio di decadere da questo diritto prima ancora del compimento dell’80° anno di età; capisco che i vescovi diocesani non gradiscono correre il rischio di essere rimossi dalle loro cattedre episcopali. Per seguire con un esercito di presbìteri che non vogliono correre il rischio di essere rimossi dai loro incarichi pastorali, per seguire con tutti quei laici impegnati all’interno delle strutture ecclesiastiche che con la Chiesa non si limitano a mantenere la famiglia, ma con essa si arricchiscono, sino a risultare per questo più pavidi ancòra degli ecclesiastici stessi.
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Tempo fa cercai di spiegare il tutto con la tragica — ma penso realistica — immagine del “processo di Norimberga” [vedere articolo QUI]. Da tempo temo che abbiamo a che fare con un esercito di cardinali, vescovi e preti che pensano di superare domani il grande esame del giudizio di Dio affermando in serena coscienza, come i gerarchi nazisti, di avere solo ubbidito a ordini superiori. Sempre ammesso che credano alla verità di fede che il giudizio di Dio sarà immediato dopo la nostra morte, poi universale alla fine dei tempi, quando il Cristo tornerà nella gloria per giudicare i vivi e i morti.
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Il fatto provato, doloroso e realistico, come a volte molto dolorosa è la realtà, ormai dovrebbe brillare alla luce del sole, fatta unicamente eccezione per chi decide di non vedere il sole che brilla nel cielo: partecipare ai Sinodi dei Vescovi vuol dire fare da comparse a una tragedia classica, oppure a una commedia comica del cinema italiano degli anni Settanta, dove i tre o quattro protagonisti principali che reggono tutta la sceneggiatura hanno bisogno di un certo numero di figuranti. In questo genere di rappresentazioni teatrali o filmiche, le comparse hanno un’unica utilità: porre in risalto gli attori principali. Che si tratti del giovane Vittorio Gassman che recita per due ore il Prometeo di Eschilo a testa all’ingiù nel teatro greco di Siracusa, o che si tratti del non meno grande Alberto Sordi nel film satirico Vacanze intelligenti, il principio che regge il tutto è lo stesso. Detto questo: possono, comparse o figuranti, incidere in qualche modo? No, perché il loro ruolo è silenzioso e limitato a una pura presenza, finalizzata in un modo o nell’altro a far risaltare l’attore od i due o tre attori principali.
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Abbiamo capito da tempo che i Sinodi servono a far risaltare un pastoralismo divenuto ormai “pastoralismo selvaggio”, ed assieme ad esso quel cosiddetto conciliarismo che sin dalla stagione del post-concilio ha perduto ogni genere di parentela, persino alla lontana, col Concilio Vaticano II. E l’operazione, in corso da anni, oggi non è neppure più evidente, ma decisamente sfacciata: la dottrina non si tocca, però, pur lasciando inalterata la dottrina, si muta la prassi pastorale. O per meglio chiarire il tutto con un esempio: la carrozzeria della Ferrari rimane tale e quale, nessuno la tocca e la modifica, però, dal suo interno, si toglie il motore sostituendolo con quello della nuova Fiat 500. Poi, se qualcuno solleverà proteste, si risponderà che la carrozzeria della Ferrari è rimasta tal quale. Ovviamente c’è una domanda che dinanzi a questo dovrebbero porsi tutti: ma una Ferrari, esiste in quanto tale per la sua carrozzeria, o per il motore che racchiude dentro? E dinanzi a questa operazione evidente, anzi sfacciata, chi rimane dietro le quinte e manda avanti a sollevare quesiti un Cardinale novantenne, dovrà risponderne veramente, ma soprattutto molto seriamente davanti a Dio.
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Il Sinodo Panamazzonico servirà per sdoganare in qualche modo il clero sposato. Forse, in questa assenza sempre più inquietante di memoria storica, pochi ricordano che l’attore principale di questo Sinodo, il Cardinale tedesco-brasiliano Clàudio Hummes, voluto e nominato Prefetto della Congregazione per il Clero dal Sommo Pontefice Benedetto XVI nel 2006, appena giunto a Roma dichiarò che il celibato è una disciplina ecclesiastica, non un dogma della fede cattolica. Cosa vera, anzi ovvia. Ma siccome il tutto fu espresso in un certo modo, ossia nel modo ambiguo tipico di queste persone, sulla stampa internazionale si ingenerarono numerosi dibattiti. Così, pochi giorni dopo, lo stesso Prefetto chiariva e smentiva, dando implicita colpa ai giornalisti bisognosi di lanciare sempre sulla stampa titoli a effetto [vedere QUI]. In ogni caso il messaggio era stato lanciato, il Cardinale Clàudio Hummes doveva solo pazientare altri sette anni, per poi poter dire al nuovo eletto al sacro soglio nel 2013: «Non dimenticare mai i poveri!» [cf. video QUI]. Quindi agire di conseguenza, con tutta la fiducia ed i benefici che già i cardinali delle famiglie Orsini, Colonna e Farnese riconoscevano ai propri fedeli elettori in conclave. Il tutto con buona pace di chi non perde occasione per disprezzare Roma, la sua storia ed i suoi personaggi, salvo però comportarsi nei concreti fatti tal quale, se non peggio. Infatti, gli Orsini, i Farnese e i Colonna, Roma la amavano, basti vedere come l’hanno arricchita d’opere d’arte di valore inestimabile, non hanno certo trasformato il colonnato del Bernini in dormitorio per barboni, i dintorni di San Pietro in un pisciatoio a cielo aperto e le chiese storiche in osterie gestite dai radical chicdalla Comunità di Sant’Egidio [cf. vedere precedenti articoli, QUI, QUI].
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Il Cardinale Clàudio Hummes e gli altri sodali,hanno avuto la pazienza davvero ammirevole di attendere anni. Allo stesso modo in cui i modernisti hanno avuto la pazienza di avere atteso per dei decenni, lavorando frattanto in modo sottile e accorto. Giunto infine il momento propizio, con la scusa della Regione del Rio delle Amazzoni, ecco sortire fuori confezionata a meraviglia l’idea dei viri probati: uomini adulti sposati scelti e consacrati sacerdoti per zone nelle quali c’è molta penuria di clero. E siccome, certe radicali rotture con l’antica tradizione della Chiesa, nella quale il celibato affonda le radici sin dalla prima epoca apostolica, vanno quanto più possibile mitigate, ecco servita la rassicurazione … tranquilli: il tutto, solo ad experimentum!
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Gli ultimi cinquant’anni di storia della Chiesa ci insegnano in modo esauriente che cosa accade quando si parte col concetto ad experimentum, basti prendere la sacra liturgia nella quale, quelli che mezzo secolo fa erano considerati gravi abusi, oggi sono elementi non solo intangibili, ma da molti considerati indiscutibili molto di più delle fondamentali verità della fede. Infatti, per cercare di sanare degli abusi gravi, si ricorse alle concessioni ad experimentum affinché, quegli stessi abusi, fossero corretti. Invece, quegli stessi abusi, sono finiti dogmatizzati. Un solo esempio tra i tanti: l’abuso della ricezione della Comunione sulle mani, a cui riguardo rimando all’opera di un mio confratello canonista e storico, Federico Bortoli [vedere video QUI] che in un suo libro spiega e chiarisce come il tutto nasca da un abuso e come non sia affatto vero che questo modo di ricevere la Santissima Eucaristia fosse la prassi nella Chiesa delle origini [cf. scheda libro, QUI].
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Se questo sinodo, coi suoi attori principali e le sue silenti comparse, stabilirà il tutto ad experimentum per la Regione del Rio delle Amazzoni, entro breve questoexperimentum sarà esteso alla Germania, alla Francia, all’Olanda, al Belgio … Quindi, come avvenuto in passato per vari altri generi di abusi, anche in questo caso ci ritroveremo in siffatta situazione: sarà possibile salire sulla cattedra di una università pontificia e definire come elemento allegorico la risurrezione di Cristo e la sua ascesa al cielo, ma non sarà possibile discutere sulla disastrosa inopportunità d’aver dato vita a un clero sposato, che in modo appunto disastroso sarebbe destinato a sovvertire radicalmente la struttura pastorale stessa della Chiesa.
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Perché un clero sposato è da evitare? Se i teologi e gli ecclesiologi del para-concilio, dal quale nacque il post-concilio, fossero onesti, dovrebbero ricordare che sia gli scismatici Ortodossi sia gli scismatici Anglicani, invitati assieme ad altre Comunità Cristiane separate dalla comunione cattolica come osservatori al Concilio, quando alcuni periti sfiorarono solo questo argomento, per tutta risposta, ed in specie gli Ortodossi, replicarono: «Voi che avete il celibato sacerdotale, tenetelo e conservatelo». Quindi procedettero a spiegare, a quanti intendevano rifare la Chiesa Cattolica attraverso trasformazioni radicali, che cosa comportava per loro, come vescovi di chiese autocefale, dover gestire, con gravi difficoltà, il clero sposato. Gli Anglicani fecero invece presente: «Se voi deste vita al clero sposato, vi ritrovereste come noi a dover fare i conti con ecclesiastici che avranno come prima priorità la cura delle loro famiglie e la crescita e la sistemazione dei loro figli, dedicando alle comunità un tempo limitato ai servizi domenicali di culto. Poi, se nella famiglia di un prete vi fossero problemi, il tutto si ripercuoterà in modo negativo sulla comunità ed i fedeli ch’egli dovrebbe curare e accudire». Nessuno ricorda proprio questi discorsi e queste esortazioni, avvenute durante la celebrazione di quello che taluni definiscono come il più grande concilio dell’intera storia della Chiesa? Evidentemente, anche dai cosiddetti “fratelli separati”, si tende a prendere solo ciò che si vuole, operando a volte vere e proprie manipolazioni della realtà. Infatti, la lezione delle loro esperienze e ciò che ci dissero durante la assise del Concilio Vaticano II, è stata talmente recepita che mezzo secolo dopo, qualcuno, ha persino deciso di istituire una commissione di studio per valutare la opportunità di una qualche forma di diaconato femminile, il tutto mentre il ripristinato diaconato permanente dei viri probati è di fatto ormai fallito, nonché divenuto in molte regioni del mondo, a partire dalla stessa Diocesi di Roma, un appannaggio e una egemonia della setta para-cattolica dei Neocatecumenali. Proprio così: in molte diocesi non si riesce a diventare diaconi permanenti se non si fa parte della setta dei Neocatecumenali, che gestiscono questo ministero riproducendosi tra di loro.
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Anglicani e protestanti, con la istituzione delle “donne-prete” e delle “donne-vescovo” si sono ulteriormente fratturati. E, pur essendo in profonda crisi e con una vera e propria emorragia di fedeli in corso dagli anni Sessanta, con queste trovate liberal-femministe hanno solo perduto ulteriori fedeli. Perché non dire quanto numerosi furono gli anglicani che dopo la istituzione delle “donne-prete” e delle “donne-vescovo” entrarono nella Chiesa Cattolica? O forse si dimentica che il Sommo Pontefice Benedetto XVI pubblicò a tal fine nel 2009 la lettera apostolica Anglicanorum coetibus [cf. QUI] per dettare le necessarie norme utili al rientro degli anglicani che, sempre più numerosi, chiedevano di essere ammessi alla comunione cattolica, dopo la carnevalata liberal-femminista della donne-prete e delle donne-vescovo?
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Gli anglicani che chiedevano di entrare nella comunione cattolica, da quali ragioni erano spinti? Forse da ragioni che non sono state spiegate bene e per tempo dal Cardinale Walter Kasper al Pontefice regnante, prima che Sua Santità partisse per Lund dove nel 2017, proprio nel centenario delle apparizioni della Madonna di Fatima, si è recato ad abbracciare una donna mascherata da arcivescova durante i festeggiamenti dei cinquecento anni della pseudo-riforma di Martin Luther, che lungi dall’esser tale — vale a dire una riforma — fu un drammatico scisma, con tutte le peggiori conseguenze religiose, teologiche e infine anche politiche.
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Anziché un discorso di carattere teologico, a tutti quei laicisti che non conoscono neppure la preghiera delPadre Nostro, che sono distanti dalla vita ecclesiale e sacramentale, ma ai quali tanto preme dare moglie e figli ai preti, desidero fare un discorso di carattere molto pratico, a partire da una domanda: al mantenimento di questi nuclei familiari, intendono forse provvedere loro? Perché forse è il caso di chiarire che la Chiesa Cattolica universale non è la opulenta e ricca Chiesa catto-protestante tedesca, che con la Kirchensteuer – la tassa di culto – giunge a incamerare circa dieci miliardi di euro, oltre a tutte le proprietà e quote di partecipazioni aziendali e bancarie di cui essa beneficia. In Germania, sono stipendiati anche i catechisti ed i membri dei consigli pastorali delle parrocchie, tanto per intendersi. La Chiesa Cattolica universale, non è però tutta quanta una grande Germania: in molte parti del mondo ci sono preti che per potersi sostenere devono lavorare. Per esempio, in varie regioni dell’America Latina possiamo trovare preti di varie zone — che io stesso ho conosciuti —, dediti a vari lavori o piccoli commerci: dal parroco che alleva le galline e vende uova, al parroco che coltiva il terreno di proprietà della parrocchia e vende ortaggi al mercato della frutta. C’è il parroco che ha acquistato, o avuto in dono quattro o cinque vacche e che vende latte, il parroco che fa lezioni private agli studenti, quello che lavora come traduttore e via dicendo. In questi contesti, i preti più fortunati — ma sono invero pochi — sono quelli che sono riusciti ad avere un posto come insegnanti nelle scuole, dopo avere conseguito, oltre ai titoli di studio ecclesiastici, anche dei titoli di studio civili nelle varie discipline. Posto quindi che la Chiesa Cattolica universale non è affatto una grande, opulenta e ricca Germania, a preti che già vivono in queste condizioni e che per sostentarsi ed esercitare il loro sacro ministero devono cercare di sbarcare il lunario, vogliamo forse dare anche il gravame di una famiglia, ma soprattutto di figli da cresce e mantenere?
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Ovviamente, io non sono stato invitato al Sinodo,sono un prete fedele alla dottrina e al magistero della Chiesa, non sono né un eretico come Enzo Bianchi né tanto meno sono la suorina pace&amore che vive di surrealismo, mentre la sua congregazione ridotta ad un manipolo di quattro vecchie litigiose, grazie a Dio si sta estinguendo. Però, se fossi un partecipante al Sinodo, soprassedendo del tutto dal piano teologico, ecclesiologico e anche pastorale, porrei una domanda molto pratica, puntando anche i piedi e battendo i pugni sul tavolo affinché mi sia data una risposta. Perché proprio da questa Chiesa visibile ormai specializzata nelle non risposte o nelle risposte del tutto evase, una risposta chiara la esigerei: ma le famiglie, ed in particolare i figli, ai preti, chi glieli mantiene? E aggiungerei anche una seconda domanda: in contesti culturali molto delicati come quelli di certi Paesi dell’Africa o dell’India, dove sono sempre forti certe antiche tradizioni locali, vogliamo per caso creare, sullo stile dei vecchi capi tribù o su quello dei bramini, una casta sacerdotale che finirebbe trasmessa e tramandata di padre in figlio, dopo essere divenuta prerogativa di certi gruppi e famiglie?
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Insomma: si può essere così empi da usare come pretesto l’Amazzonia per celebrare un Sinodo il cui unico scopo è di portare a compimento l’ennesimo colpo di statodi quella frangia di episcopato tedesco che di cattolico, ormai, ha solo il nome? La cosa è infatti a tal punto evidente nella propria palese sfacciataggine, che due sole sono le soluzioni: o abbiamo a che fare con ingenui, oppure — Dio non voglia! — con autentici delinquenti. Perché a chi davvero non fosse chiaro è bene ricordare che questo non è il Sinodo Panamazzonico, bensì null’altro che il Sinodo Pantedesco che, usando a pretesto l’Amazzonia e la rassicurante formula ad experimentum, vuol dare l’ennesimo colpo di grazia all’intera Chiesa universale.
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A queste domande molto concrete, nessuno risponderà, perché a partire dal Cardinale Clàudio Hummes, per seguire col Cardinale Lorenzo Baldisserri, questi personaggi vivono nel mondo dell’irreale. E, come purtroppo sappiamo, nel mondo dell’irreale hanno la meglio le ideologie, o quelle che il Beato Apostolo Paolo chiamava favole per le quali, ed in nome delle quali, si voltano le spalle alla verità [cf. II Tm 4, 1-5] mentre la superbia cala sui nostri occhi un velo che impedisce di vedere:
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«Ma le loro menti furono rese ottuse; infatti, sino al giorno d’oggi, quando leggono l’antico patto, lo stesso velo rimane, senza essere rimosso, perché è in Cristo che esso è abolito. Ma fino a oggi, quando si legge Mosè, un velo rimane steso sul loro cuore; però quando si saranno convertiti al Signore, il velo sarà rimosso» [II Cor 3, 14-16].
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Devono convertirsi al Signore, ecco il punto. Purtroppo, per adesso, stanno però dimostrando di essersi invece convertiti al Principe di questo mondo, che li ha resi ciechi e quindi terribilmente dannosi.
Autore | Ariel S. Levi di Gualdo |
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dall’Isola di Patmos, 3 luglio 2019
Un sacerdote, dopo aver letto l’articolo del monaco dom Giulio Meiattini, ha voluto scrivere delle osservazioni, brevi ma molto nette. Le pubblico a beneficio di una maggiore riflessione e approfondimento sull’Instrumentum Laboris del prossimo Sinodo dell’Amazzonia.
Mi aggancio all’acutissimo articolo di Giulio Meiattini per aggiungere solo una nota che ritengo decisiva, ma che non emerge come tale dall’articolo.
Mi rifaccio a 1 Gv 4, 1-3: “4, 1 Carissimi, non prestate fede a ogni ispirazione, ma mettete alla prova le ispirazioni, per saggiare se provengono veramente da Dio, perché molti falsi profeti sono comparsi nel mondo. 2 Da questo potete riconoscere lo spirito di Dio: ogni spirito che riconosce che Gesù Cristo è venuto nella carne, è da Dio; 3 ogni spirito che non riconosce Gesù, non è da Dio. Questo è lo spirito dell’anticristo che, come avete udito, viene, anzi è già nel mondo”.
Meiattini denuncia molto bene che il documento presinodale abbandona ogni classico riferimento di carattere scritturistico teologico (a cui anche gli eretici non potevano un tempo non riferirsi), per rifarsi invece ad un supposto “luogo teologico” (il territorio amazzonico, la vita delle sue popolazioni, ecc.) che di fatto è un “luogo” semplicemente umano, al massimo con certe caratteristiche religiose, ma comunque al livello della “natura” creata, di una natura che però per il documento sembra non aver bisogno della “grazia” in quanto priva del “peccato originale” alla cui realtà ovviamente gli estensori non credono più. E non ci credono più, non tanto perché la spiegazione di questo limite creaturale sembri risultare oggi difficile, ma perché in fondo non credono nel maligno e nella sua opera (roba mitologica), e per loro l’origine del male è di fatto determinata dalle sovrastrutture che l’uomo impone alla natura (v. teologia della liberazione in salsa india), che di suo, se no, resterebbe incontaminata (da qui la denuncia contro il “colonialismo” della missione cattolica nel Sud America, ma prepariamoci alla denuncia dello sradicamento del paganesimo europeo dei Galli o dei Germani …). Sullo sfondo di questa visione sta il rahnerismo che non crede possibile possa avvenire una rivelazione del divino come tale dentro l’umano (Kant), destituendo così di valore ogni “luogo teologico”.
Tutto questo significa che nulla è accaduto in positivo (né può accadere) a quello che la Scrittura, e specie qui Giovanni, chiama carne, cioè all’uomo concreto e limitato dal peccato e dalla morte (secondo il giudizio cristiano), ma che invece nella visione presinodale altro non è che l’uomo “naturale”, di suo puro e innocente. Infatti, ciò che il documento presinodale elimina è il fatto di un Gesù (Verbo fatto carne) che appunto è “venuto nella carne” (1 Gv 4, 2) per salvarla, purificandone le scorie, e innalzarla al cielo (grazia). Per i teologi (?) amazzonici il fatto di Cristo è invece semplicemente una delle tante espressioni della religiosità umana, e nemmeno (come per la teologia liberale) la sua massima espressione, anzi, visti gli esiti “oppressivi”, forse una delle peggiori.
Tutto questo, e siamo al punto decisivo, è un vero affondo anticristico, direi finale, perché conduce all’evacuazione della singolarità e specificità di Cristo, destituendolo di ogni valore. Quindi, vera e propria apostasia. In sintesi, Cristo è assolutamente inutile, anzi, nocivo. E così la Chiesa. E ciò detto da coloro che si considerano cristiani mossi da “ispirazione”, mentre invece non sono che “falsi profeti” (1 Gv 4, 1). Accettare la visione presinodale significherebbe la fine del Cristianesimo. Chiaro poi che da qui tutte le derive sul piano sacramentale e liturgico (Eucarestia con la Yucca, preti sposati, donne diacono e via dicendo) e missionario (niente proselitismo e niente battesimi) non sono che conseguenze inevitabili, ma secondarie al vero problema. Dio ritorna ad essere inconoscibile (contro Gv 1, 18), e può avere quindi tutti i nomi, e alla fin fine noi cristiani non saremmo che scimmie diverse sullo stesso albero …
Un sacerdote
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