Pubblichiamo la nostra traduzione approvata dal Cardinale Gerhard Müller di una sua dichiarazione che appare contemporaneamente in lingua inglese su LifeSiteNews, in lingua tedesca su Die Tagespost e in lingua spagnola su InfoVaticana.
“Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente” (Rom. 12:2)
Sul Processo Sinodale in Germania e il Sinodo per l’Amazzonia
del Cardinale Gerhard Müller
1. La secolarizzazione della Chiesa è la causa della crisi e non il suo rimedio
Colui che crede che “Cristo abbia amato la Chiesa e abbia dato Sé stesso per lei, affinché potesse santificarla” (Ef 5, 25), non può non essere scosso dalle ultime notizie provenienti dalla Germania, e cioè che nel 2018 oltre 216.000 Cattolici hanno lasciato la loro casa spirituale abbandonando esplicitamente la Chiesa, voltando bruscamente le spalle alla madre nella Fede. Può darsi che i motivi delle singole persone membra del Corpo ecclesiale di Cristo in virtù del loro Battesimo siano svariati come diversi sono semplicemente gli esseri umani tra di loro. È chiaro, tuttavia, che la maggior parte di loro lascia la Chiesa con lo stesso spirito con cui si annulla l’appartenenza a un’organizzazione secolare; o quando ci si dissocia dal proprio partito politico di sempre, dal quale ci si è allontanati o da cui si è profondamente delusi. Non sono nemmeno consapevoli – o non è mai stato detto loro – che la Chiesa, sebbene composta da uomini imperfetti fino ai suoi massimi rappresentanti, è, nella sua essenza e nel suo mandato, un’istituzione divina. Perché Cristo ha fondato la sua Chiesa come Sacramento per la salvezza del mondo, come “segno e strumento sia di un’unione molto stretta con Dio sia dell’unità dell’intera razza umana” (Lumen Gentium 1)
L’autore della Lettera agli Ebrei è ben consapevole della difficoltà pastorale “di riportare di nuovo al ravvedimento coloro che una volta erano stati illuminati, che avevano gustato il dono celeste e che erano stati fatti partecipi dello Spirito Santo e avevano gustato la bontà della parola di Dio e le potenze del mondo a venire, e poi commettono apostasia, in quanto crocifiggono il Figlio di Dio per loro conto nuovamente e lo espongono a infamia” (Ebr 6: 4-6).
La ragione principale per lasciare la Chiesa senza la sensazione di peccare tanto gravemente contro l’amore di Cristo nostro Redentore e mettere così a rischio la propria salvezza eterna, è l’idea che la Chiesa sia un’associazione secolare. Non sanno nulla del fatto che la Chiesa pellegrina è necessaria per la salvezza e che è indispensabile per ciascuno che è venuto alla Fede Cattolica. “Non è salvato,tuttavia, colui che, sebbene parte del corpo della Chiesa, non persevera nella carità. In verità, rimane nel seno della Chiesa, ma, per così dire, solo in maniera “fisica” e non “nel suo cuore”. (Lumen Gentium 14)
Questa crisi di una massiccia uscita dalla Chiesa e del declino della vita della Chiesa (una scarsa partecipazione alla Messa, pochi battesimi e cresime, seminari sacerdotali vuoti, il declino dei monasteri) non può essere superata attraverso un’ulteriore secolarizzazione e auto-secolarizzazione della Chiesa. Non è perché il vescovo è così gentile e incoraggiante – vicino al popolo e mai timoroso di esprimere ovvietà – che il popolo ritornerà nella comunità salvifica di Cristo o parteciperà devotamente alla celebrazione della Divina Liturgia e dei Sacramenti; ma piuttosto perché ne riconoscono il vero valore come mezzo di Grazia. Se la Chiesa dovesse tentare di legittimarsi davanti a un mondo scristianizzato in modo secolare come lobby natural-religiosa del movimento ecologico, o tentare di presentarsi come un’agenzia di soccorso per i migranti che elargisce denaro, perderebbe ancora di più la sua identità di Sacramento universale di salvezza in Cristo, e non riceverà affatto quel tanto desiderato riconoscimento da parte dell’opinione corrente verde di sinistra.
La Chiesa allora può solo servire gli uomini nella loro ricerca di Dio e di una vita nella Fede proclamando a tutti gli uomini il Vangelo nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, e rendendoli discepoli di Gesù attraverso il Battesimo. Lei è il Corpo di Cristo, perciò Gesù Cristo è il suo Capo e rimane presente attraverso di Lei e in Lei, fino alla fine del mondo (vedere Matt. 28:19 seq.). Cristo ci parla attraverso le parole dell’omelia; rende presente il proprio sacrificio sulla Croce nella Santa Messa; e si dona a noi come cibo per la vita eterna; perdona i peccati e trasmette lo Spirito Santo – nel nome di Gesù Cristo, Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza ai servitori della Chiesa vescovi e sacerdoti ordinati – che agiscono e pertanto Lo rendono visibile nella parrocchia (Sacrosanctum Concilium 41).
Il cosiddetto percorso sinodale della classe dirigente della Chiesa in Germania, tuttavia, mira a un’ulteriore secolarizzazione della Chiesa. Anziché su un rinnovamento dello spirito del Vangelo, attraverso catechesi, missione, cura pastorale, mistagogia [una spiegazione mistica] dei Sacramenti, ora si fa conto piuttosto – e questo è già andato avanti per mezzo secolo – su altri temi, attraverso i quali si spera di ricevere l’approvazione dell’opinione pubblica del mondo occidentale e si auspica di compiacere quel modo di pensare che riduce l’uomo a un’immagine materialistica.
Nella sua essenza, il percorso sinodale verte: 1. sul cambiamento del Sacramento degli Ordini Sacri in un sistema professionale di funzionari ben retribuiti; 2. sul passaggio del “potere” percepito come politico, da vescovi e sacerdoti ai laici, con una clausola aggiuntiva che prevede che, a parità di qualifiche, le donne dovranno essere preferite. Ciò che per loro è irritante è (3.) che la morale cristiana poiché scaturisce dalla nuova vita in Cristo, ora viene squalificata in quanto si pone “contro il corpo”, e, presumibilmente, non è compatibile con gli standard della moderna scienza sessuale. La pietra d’inciampo dopo la Riforma protestante e il naturalismo dell’Illuminismo è (4.), ovviamente, il celibato sacerdotale; così come le raccomandazioni evangeliche (povertà, castità, obbedienza) per la vita consacrata con voti solenni. In una Chiesa che – come mera istituzione umana con scopi puramente secolari – ha abbandonato la sua identità di mediatrice della salvezza in Cristo, e che ha perso ogni riferimento trascendentale ed escatologico alla Venuta del Signore, il celibato liberamente scelto “per amore del regno (Mt 19,12) o, finalizzato ad “occuparsi dell’opera del Signore” (1 Cor. 7:37) è ora percepito come un imbarazzo – come un elemento alieno o un rifiuto residuo dal quale ci si debba liberare il più rapidamente e scrupolosamente possibile. Al massimo, questo celibato potrebbe essere concesso ad alcune persone stravaganti come forma masochistica di un’autodeterminazione estremamente autonoma.
2. I Tedeschi e il popolo Amazzonico su un’unica Barca
Come già accaduto con i Sinodi sulla Famiglia, la “Chiesa Tedesca” rivendica l’egemonia sulla Chiesa Universale e si vanta orgogliosamente e arrogantemente di essere colei che decide la direzione che un Cristianesimo in pace con la modernità debba prendere – nonostante la Lettera al Popolo di Dio Pellegrino in Germania, di Papa Francesco del 29 giugno 2019. Tuttavia, non è stato spiegato – ed è anche difficile capire per un osservatore interessato – perché, di fronte a uno stato di desolazione della Chiesa nel proprio paese, essa la si consideri ora chiamata ad essere un modello per le altre. Si usa l’espressione neutrale e che ben suona della “sana decentralizzazione” (Instrumentum Laboris 126) e della de-Romanizzazione della Chiesa Cattolica (in precedenza, questa era chiamata avversione anti-Romana); ma si valorizza effettivamente e unicamente, invece, la mitologia dell’Amazzonia e la teologia ecologica occidentale, al posto dell’Apocalisse; così come l’egemonia dei loro ideologi, anziché l’autorità spirituale dei successori degli Apostoli nell’ufficio episcopale.
Nell’ecclesiologia cattolica, tuttavia, non si tratta di un equilibrio di potere tra centro e periferia, ma piuttosto della responsabilità comune del Papa – che viene assistito dalla Chiesa Romana sotto forma di Collegio dei Cardinali e della Curia Romana – nonché dai vescovi per la Chiesa Universale, che consiste in e di chiese specifiche sotto la guida di un vescovo (Lumen Gentium 23).
La mia proposta è la seguente: se si desidera veramente fare del bene alla Chiesa riguardo entrambi gli elementi, allora ci si dovrebbe astenere, ad esempio, dal licenziare dei vescovi senza una regolare procedura canonica (che include il diritto a un’auto-difesa) e astenersi dal chiudere i monasteri senza nemmeno fornire motivazioni – con il pretesto che non si è sussidiari di Roma – e dal minare il giusto primato magisteriale e giurisdizionale del Papa. Si tratterebbe anche di affrontare in modo cristiano fratelli e impiegati che non hanno commesso alcuna colpa, tranne quella di aver difeso una posizione lecita, nel quadro di una legittima pluralità di opinioni e di linee, che si discosta, tuttavia, dall’opinione privata dei loro superiori.
Il processo sinodale nell’ambito della Conferenza Episcopale Tedesca viene ora collegato al Sinodo per l’Amazzonia, e questo viene fatto per motivi politico-ecclesiali e come leva per la ristrutturazione della Chiesa universale. Inoltre, in entrambi gli eventi i protagonisti sono quasi identici e sono persino collegati finanziariamente e organizzativamente tramite le agenzie umanitarie della Conferenza Episcopale Tedesca. Non sarà facile controllare questa valanga devastatrice. Dopo, nulla dovrà essere più come prima, ed è stato detto che dopo la Chiesa non sarà nemmeno più riconoscibile. Così ha parlato uno dei protagonisti rivelando quindi i veri scopi.
Forse si fa un errore di calcolo, proprio come fece il re Creso di Lidia (590-541 a.C.). Una volta egli chiese all’Oracolo di Delfi quali fossero le sue possibilità di vittoria se avesse attaccato l’Impero persiano e poi fraintese la risposta profetica: “quando passi Halys, distruggerai un grande impero”. I nostri Halys sono la costituzione divina della dottrina, vita e culto della Chiesa Cattolica, (Lumen gentium).
Sfortunatamente, anche nell’America meridionale un tempo quasi completamente cattolica, i Cattolici, proprio come in Germania, hanno lasciato la Chiesa Cattolica a milioni, senza che ciò abbia portato a nessuna valutazione delle radici di questa catastrofe, né a una seria determinazione volta a favorire il suo rinnovamento in Cristo. Anche qui la soluzione non è una pentecostalizzazione della Chiesa, vale a dire la sua protestantizzazione liberale in modo latinoamericano, ma la riscoperta della sua Cattolicità. I vescovi ora possono, come nel “Santo Sinodo” del Concilio Vaticano II, rivolgere la loro “attenzione in primo luogo ai fedeli Cattolici. Basandosi sulla Sacra Scrittura e sulla Tradizione, si insegna che la Chiesa, attualmente in esilio sulla terra, è necessaria per la salvezza. Cristo, presente con noi nel Suo Corpo, che è la Chiesa, è l’unico Mediatore e l’unica via di salvezza. …. Sono pienamente inseriti nella società della Chiesa coloro che, possedendo lo Spirito di Cristo, accettano il suo intero sistema e tutti i mezzi di salvezza che le sono stati dati, e sono uniti a lei come parte della sua struttura corporea visibile e attraverso lei con Cristo, che la governa attraverso il Sommo Pontefice e i vescovi. I legami che uniscono gli uomini alla Chiesa in modo visibile sono la professione di fede, i sacramenti, il governo ecclesiale e la comunione”. (Lumen Gentium 14).
La pittoresca diversità di opinioni contraddittorie e l’arbitrarietà della decisione in coscienza non sono cattoliche davanti alla Santa Volontà di Dio, ma è cattolica piuttosto l’unità nella Fede di molti popoli che ci introduce all’unione con il Padre e il Figlio nello Spirito Santo. “perché tutti siano una sola cosa. Come tu, Padre, sei in me e io in Te, siano anch’essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che Tu mi hai mandato”. (Giovanni 17:21). Ed è per questo che ci viene detto di prendere a cuore la seguente esortazione: “sforzatevi di conservare l’unità dello Spirito con il vincolo della pace. Vi è un corpo solo e un solo Spirito, come pure siete stati chiamati a una sola speranza, quella della vostra vocazione, vi è un solo Signore, una sola fede, un solo battesimo, un solo Dio e Padre di tutti, che è al di sopra di tutti, fra tutti e in tutti (Efesini 4: 3-6).
Come via d’uscita dalla crisi della Chiesa, l’Instrumentum Laboris e il processo sinodale in Germania contano entrambi su un’ulteriore secolarizzazione della Chiesa. Quando, nell’intera ermeneutica del Cristianesimo, non si inizia con l’auto-rivelazione storica di Dio in Cristo, ma piuttosto con l’inclusione della Chiesa e della sua liturgia in una visione mitologica del mondo intero; o quando si trasforma la Chiesa nella parte di un programma ecologico per il salvataggio del nostro pianeta, allora la sacramentalità – e in particolare l’ufficio ordinato di vescovi e sacerdoti nella successione apostolica – è vago, indefinito. Chi vorrebbe davvero costruire un’intera vita che richiede totale dedizione su una base così instabile?
3. Il Sacramento degli Ordini Sacri come Fulcro Centrale della Crisi
Attraverso la concessione da parte di Cristo della Sua Ordinazione e Missione (Lumen gentium 28), gli apostoli e i loro successori nell’ufficio episcopale – che rappresenta anche l’unità della Chiesa locale con i sacerdoti, i diaconi e tutti i fedeli battezzati – esercitano la loro autorità in Nome e autorità di Cristo (Lumen Gentium20). Questo non è un potere politico-sociologico, ma l’autorità data dallo Spirito Santo per santificare, insegnare e governare il Popolo di Dio. “I vescovi, quindi, con i loro aiutanti, sacerdoti e diaconi, sono assunti al servizio della comunità, presiedendo sul gregge come pastori al posto di Dio, come insegnanti di dottrina, come sacerdoti per l’adorazione sacra e come ministri per il governo.” (Lumen Gentium 20) Qui, non si tratta di tre diversi uffici che sono stati raggruppati insieme per casualità storica, per cui ora sarebbe possibile anche smontarli o riassemblarli in un modo diverso.
Non è neppure appropriato fare un paragone con il potere del mondo dei monarchi assoluti contro cui giustamente – e riferendosi al barone di Montesquieu – si reclama il modello della separazione dei poteri (di governo, legislativo, giurisdizionale). Perché qui si tratta del servizio unico di Cristo Maestro, Pastore e Sacerdote, che viene esercitato dagli Apostoli e dai loro successori nel Nome di Cristo e nella potenza dello Spirito Santo. E non è una forma di potere sugli altri, ma piuttosto un servizio per loro e la loro salvezza (Mt. 23:11). Ecco perché la prontezza dichiarata pubblicamente da alcuni vescovi con la quale rinuncerebbero liberamente al “potere” non è espressione della loro modestia, ma, piuttosto, un segno della loro mancanza di comprensione di ciò che realmente è un vescovo cattolico. La forma di “potere” a cui ora desiderano rinunciare è qualcosa che sarebbe stato meglio non avessero avuto fin dall’inizio; e l’autorità spirituale che hanno ricevuto da Cristo alla loro ordinazione, non possono darla via, dal momento che non è una loro proprietà a cui ora possano proporre di rinunciare. Al massimo, potrebbero chiedere di essere sollevati dalla giurisdizione della loro diocesi, perché non sono più in grado di far fronte alle proprie responsabilità.
È sorprendente che, sia l’Instrumentum Laboris per il Sinodo sull’Amazzonia, sia il percorso sinodale tedesco non prendano l’avvio da basi bibliche per poi orientarsi secondo l’insegnamento emergente della Chiesa nella Tradizione e le decisioni dottrinali definitive dei Concili e del Papa. Invece traggano norme e regole dalle presunte necessità sociologiche del mondo globale o dalle forme tradizionali di organizzazione delle tribù amazzoniche.
Se in Amazzonia si ordinano al sacerdozio uomini stimabili che vivono unioni dichiaratamente stabili (che si tratti di matrimoni canonicamente validi o no?), al fine di fornire (!) i Sacramenti alla comunità – anche senza una formazione teologica (IL 129, 2) – perché questo non dovrebbe infine rappresentare anche la leva per introdurre i viri probati in Germania, dove il celibato non è più accettato nella società e dove molti teologi sposati sarebbero disponibili ad occupare, come sacerdoti, i posti vacanti all’interno del clero celibe?
Non si può dedurre dalla chiamata “dei sette uomini di buona reputazione che erano pieni di Spirito e Verità” (Atti 6: 3) al servizio delle mense (Atti 6: 1-7) – a cui venne in seguito collegato il grado dei diaconi ordinati sacramentalmente – la conclusione clericale-teologica che la Chiesa possa ora creare in qualsiasi momento nuovi uffici sacramentali per necessità sociologiche (IL 129), o che non si possa fare affatto. Il triplice ufficio ordinato è scaturito, da un lato, dalla necessaria successione degli Apostoli e dal loro mandato di proclamare il Vangelo, per mediare sacramentalmente la Grazia e per guidare, come buoni pastori, l’ovile di Cristo. Dall’altro lato, nasce dalla creazione di chiese specifiche quali rappresentanti locali della Chiesa Universale. Qui, pertanto, Uno dei sacerdoti è il Primo nel Collegio dei Presbiteri, insieme ai diaconi; e, a partire dal II secolo, viene sempre più frequentemente chiamato solamente vescovo (Ignazio di Antiochia, Mag. 6,1). Nel vescovo, l’unità della chiesa locale è rappresentata in modo sacramentale e l’unità con le origini apostoliche, nella misura in cui l’insieme dei vescovi, con il Papa alla testa, segue il Collegio degli Apostoli con San Pietro a capo (Prima Lettera di Clemente, 42:44; Lumen Gentium 20 seq.)
4. Un Ufficio Sacramentale per le Donne?
Il triplice ufficio – nel modo in cui ha avuto storicamente origine dall’apostolato nella Chiesa Primitiva come istituito da Cristo – esiste in virtù di una “istituzione divina” (Lumen Gentium 20), ed è esercitato da coloro che, secondo la terminologia attuale, sono “chiamati vescovi, presbiteri/sacerdoti, diaconi” (Lumen gentium 28). In tempi migliori, i vescovi tedeschi all’unanimità si opposero al Kulturkampf di Bismarck e dichiararono: “La costituzione della Chiesa si basa, in tutti i punti essenziali, sull’ordine divino ed è esente da qualsiasi arbitrarietà umana” (DH 3114). Parte di ciò è anche la visione che vescovo, sacerdote e diacono siano solo gradi dell’unicoSacramento dell’Ordine Sacro. “Nessuno può dubitare che la santa ordinazione sia veramente ed essenzialmente uno dei sette Sacramenti della Santa Chiesa – unum ex septem sacramentis“. (Trento, Decreto sul Sacramento degli ordini sacri: DH 1766; 1773). Questo è il motivo per cui non ha senso dare all’ “Ordinatio sacerdotalis” (1994) l’interpretazione speciosa secondo cui non è stata presa alcuna decisione sull’indivisibile Sacramento dell’Ordine Sacro nel suo insieme, ma piuttosto meramente sui gradi dell’episcopato e dell’ufficio sacerdotale che solo gli uomini possono ricevere.
Quando si fa un’analisi teologica dei fatti dottrinali ed ecclesiastico-storici, nel contesto delle dichiarazioni vincolanti riguardanti il Sacramento degli Ordini Sacri, si vede chiaramente che l’ordinazione sacramentale, nel grado e con il titolo ufficiale di “diacono” nella Chiesa Cattolica non è e non è mai stata conferita alle donne.
Deriva dalla “costituzione divina della Chiesa”, come ha responsabilmente deciso Papa Giovanni Paolo II, che la Chiesa non ha l’autorità di conferire alle donne l’ordinazione sacerdotale. Questa non è una conclusione che discende dalla storia, ma piuttosto deriva dalla costituzione divina della Chiesa. Questo ovviamente si applica a tutti e tre i gradi sacramentali. È diventata consuetudine nel grande pubblico ed è in uso nella Chiesa utilizzare la parola aperta “servo” nella versione greca “diakonos” come termine tecnico per il primo dei tre gradi di ordinazione. Pertanto, non è utile ora parlare di diaconi femminili non-sacramentali, creando in tal modo l’illusione che si tratti di far rinascere un’antica -ma solo temporaneamente e regionalmente limitata- istituzione delle diaconesse della Chiesa Primitiva.
Ciò contraddice anche l’essenza dell’ufficio episcopale e dell’ufficio sacerdotale quando viene ridotta alla santificazione per consentire ai laici – vale a dire a uomini e donne in un servizio non sacramentale – di tenere l’omelia durante la Messa celebrata da un sacerdote o da un vescovo. In tal modo i sacerdoti diventerebbero “altaristi” [“Altaristen“: una parola umiliante per i sacerdoti che celebrano la Messa senza omelia e cura pastorale; questo fu un abuso che Lutero individuò e usò per le sue polemiche; G.M.], qualcosa che all’epoca causò la protesta della Riforma. La Messa è – in quanto Liturgia della Parola e del Corpo e il Corpo di Nostro Signore – “un solo atto di adorazione” (Sacrosanctum Concilium 56). Ecco perché spetta ai vescovi e ai sacerdoti predicare e, al massimo, a volte lasciare che il diacono ordinato tenga un’omelia. Il servizio nella Parola e nel Sacramento ha un’unità interiore. L’ufficio più importante dei vescovi è l’annuncio, da cui derivano per logica interna anche i doveri sacramentali (Lumen Gentium 25). Proprio come gli Apostoli sono “servitori della Parola” (Lc. 1: 2; Atti 6: 2), anche il compito dei sacerdoti (vescovi, presbiteri) viene definito come servizio nella “Parola e nella Dottrina” (1 Tim. 5:17).
All’ordinazione, non vengono trasferite competenze particolari individuali senza alcun ordine interno e interconnessione. È un unico servizio nella Parola, attraverso il quale la Chiesa viene riunita come comunità di Fede, in cui vengono celebrati i Sacramenti della Fede e attraverso i quali il gregge di Dio è governato dai suoi pastori nominati, nel Nome e Autorità di Cristo. Ecco perché gli uffici sacerdotali nella dottrina, adorazione e governo sono uniti alla radice e sono semplicemente diversi nei loro aspetti teologici, in base ai quali li osserviamo (Presbyterorum Ordinis 4-6). Nella prima descrizione del rito della Messa a Roma intorno al 160 d.C., il martire e filosofo Giustino afferma che durante la liturgia domenicale – dopo le letture dei libri biblici – il presidiante (vescovo, presbitero) tiene l’omelia, e in seguito celebra la Santa Eucaristia con Offertorio, Consacrazione e Comunione (vedi Giustino, II. Apologia 65-67).
I Sacramenti sono segni e strumenti della Grazia Divina, con l’aiuto dei quali Dio costruisce il singolo Cristiano e la Chiesa nel suo insieme. Ecco perché non ci si può rivolgere alle autorità secolari e rivendicare, in nome dei diritti umani, il diritto ad essere ordinati (né come uomo né come donna), perché i diritti umani sono infusi nella natura dell’uomo. Sull’ordine della Grazia e l’ordine della Chiesa, tuttavia, l’autorità civile non ha alcuna competenza. Solo un Cattolico di sesso maschile può essere ordinato – se riceve la chiamata e se la Chiesa, rappresentata dal vescovo, riconosce l’autenticità di questa vocazione e quindi ordina come vescovo, sacerdote o diacono un candidato idoneo secondo le condizioni canoniche.
Solo coloro che considerano la Chiesa al massimo come un’istituzione secolare e che successivamente non riconoscono l’ufficio ordinato come un’istituzione divina, hanno difficoltà ad accettare questa visione. Queste persone, piuttosto, riducono il titolare dell’ufficio cristiano a un semplice funzionario di un’organizzazione religioso-sociale. Con quanta facilità si potrebbe, in questo caso, esortare i fedeli con le parole: “Obbedite ai vostri capi e sottomettetevi a loro; poiché vegliano sulle vostre anime, come uomini che dovranno renderne conto. Lasciate che facciano questo con gioia, e non tristemente, perché non sarebbe di alcun vantaggio per voi” (Ebr 13:17)
Il Magistero del Papa e dei vescovi non ha alcuna autorità sulla sostanza dei Sacramenti (Trento, Decreto sulla Comunione sotto entrambe le specie, DH 1728; Sacrosanctum Concilium 21). Pertanto, nessun sinodo – con o senza il Papa – e neppure nessun concilio ecumenico, o neanche il Papa, anche se parlasse ex cathedra, potrebbero rendere possibile l’ordinazione delle donne come vescovi, sacerdoti e diaconi. Verrebbero in contraddizione con la chiara dottrina della Chiesa. Non sarebbe valida. Indipendentemente da ciò, c’è l’uguaglianza di tutti i battezzati nella vita della Grazia, e nella vocazione a tutti gli uffici e funzioni ecclesiali per i quali non è necessario esercitare il Sacramento degli Ordini Sacri.
5. Su cosa è importante riguardo all’Ufficio sacerdotale
Nel corso di 2000 anni di storia della Chiesa, anche le costellazioni culturali e le condizioni politico-sociologiche per la vita della Chiesa sono cambiate in maniera sensibile. Tuttavia, l’ufficio sacerdotale è sempre stato lo stesso nei suoi elementi essenziali, sia in una società feudale, o nel sistema di chiesa ad etichetta tedesca, durante l’istituzione della corte e dei principi vescovi, o al tempo dell’Ufficio di Pietro fino al 1870 con i vantaggi e gli oneri dello Stato Pontificio. Come oggi questo ufficio riguarda servire la Parola e i Sacramenti per la salvezza del mondo ed è cura del pastore che, come Gesù, “il pastore e vescovo delle vostre anime” (1 Piet. 2:25), il “Pastore Supremo”, dia la vita per le pecore che gli sono state affidate (1 Pietro 5 1: 4). La sostanza dei Sacramenti non è soggetta all’autorità della Chiesa. E non si può costruire un nuovo modello di sacerdozio, con il supporto di elementi remoti della Scrittura e della Tradizione omettendo di distinguere le decisioni dogmaticamente vincolanti dalle valorizzazioni di aspetti minori. Né sono importanti le immagini sacerdotali sviluppate dagli strateghi pastorali, ma solo l’unica Immagine di Cristo, il Sommo Sacerdote della Nuova Alleanza, che è eternamente impressa nelle anime dei consacrati e nel Cui nome e forza santificano, istruiscono e governano i fedeli (Presbyterorum Ordinis 2; 12).
Tuttavia, gli acuti pensatori tedeschi coinvolti nel processo sinodale hanno diffamato l’affermazione centrale secondo cui i sacerdoti agiscono – in virtù della natura che hanno ricevuto alla loro ordinazione – proprio come gli Apostoli, “in persona Christi” (2 Cor. 2:10; 2 Cor. 5:20), capo della Chiesa (Presbyterorum ordinis 2), definendola la causa del clericalismo e persino la causa dell’abuso sessuale dei giovani. Questo non è solo un insulto incredibile a molti pastori diligenti. Questa affermazione significa invece credere a Gesù che ha detto prima ai 12 Apostoli e poi agli altri 72 discepoli: “Chi ascolta voi, ascolta Me, e chi rifiuta voi, rifiuta Me e chi rifiuta Me rifiuta Chi mi ha mandato” (Lc. 10,16). Un professore di liturgia tedesco si è involontariamente messo in cattiva luce e apertamente in contraddizione con il Concilio Vaticano II, quando ha affermato che la celebrazione quotidiana dell’Eucaristia – in cui il sacrificio di Gesù sulla Croce, per amore dell’umanità, diventa presente al mondo – è la ragione dell’abuso pedofilo e omofilo della sessualità. Perché il Concilio dice: “Nel mistero del Sacrificio Eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono il loro più grande compito, è quando l’opera della nostra redenzione viene costantemente portata avanti; e quindi la celebrazione quotidiana della Messa è fortemente incoraggiata” (Presbyterorum ordinis 13).
Quando durante il processo sinodale in Germania, non si discuteranno anche argomenti essenziali sulla trasmissione della Fede, il declino sarà sempre più accelerato.
Forse stiamo per diventare un “piccolo gregge”. Ma queste parole di Gesù non sono intese in senso sociologico e non hanno nulla a che fare con numeri piccoli o grandi. Dio “desidera che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della Verità” (1 Tim. 2: 4), con l’aiuto dell’unico mediatore Gesù Cristo, all’interno della “famiglia di Dio, che è la Chiesa del Dio vivente, pilastro e baluardo della verità” (1 Tim. 3:15).
La Chiesa è il Popolo di Dio in mezzo ai popoli. E, se in una nazione la maggioranza delle persone è cattolica, e quindi la comunità e lo Stato sono permeati dalla cultura cristiana, è certamente Volontà di Dio. Siamo un “piccolo” gregge in mezzo alla maggioranza o in una diaspora, perché essere Cristiani imitando il Signore Crocifisso non è una questione di adattamento alla cultura dominante, o un modo di contraddire quella cultura, ma, bensì, una decisione personale.
È certamente tanto bello essere sul Reno e sognare l’Amazzonia. Ma gli scenari di fiumi maestosi non possono calmare il desiderio del cuore umano, né le loro acque possono placare la sete di vita eterna. Solo l’acqua, che Gesù, Verbo di Dio Incarnato, ci dà, diventa in noi “una sorgente d’acqua che fluisce fino alla vita eterna” (Giovanni 4:14).
In vista del Sindo dell’Amazzonia, il card. Brandmüller, che era già autorevolmente intervenuto, ritorna sulla questione del celibato sacerdotale prendendo spunto da un articolo di Hubert Wolf sul celibato: “Matrimonio e consacrazione non si contraddicono a vicenda”. Affronta la questione secondo la sua competenza, cioè dal punto di vista storico. Dice il card. Brandmüller: “Così i primi discepoli di Gesù, che poi chiamò apostoli (inviati), secondo quanto dice il Vangelo lasciarono casa, fattoria, moglie e figli, padre e madre, per seguire Gesù. (…) L”abbandono di tutto’ per il Vangelo è, in ogni caso, lo stile di vita dei discepoli di Gesù del primo secolo”.
Dalla Germania Alessandra Carboni Riehn ci ha inviato nella sua traduzione l’articolo che il card. Brandmüller ha scritto per Frankfurter Allgemeine Zeitung.
Spirito nella bottiglia: i tempi della fioritura ecclesiastico-culturale sono sempre stati caratterizzati anche dalla fedeltà al celibato. Una risposta alle tesi di Hubert Wolf.
Proprio in tempo prima dell’inizio del controverso Sinodo amazzonico, convocato per ottobre, appare un articolo di Hubert Wolf sul celibato: “Matrimonio e consacrazione non si contraddicono a vicenda”. Nessuno che osservi attentamente la situazione attuale della Chiesa cattolica crederà seriamente che nel Sinodo di ottobre si debba trattare davvero del destino delle foreste amazzoniche e dei loro abitanti – non sono più che la metà degli abitanti di Città del Messico. “Amazzonia” è solo l’etichetta – lo “spirito nella bottiglia” ha un altro nome: ristrutturazione radicale della chiesa secondo il ben noto programma.
Un punto chiave è il celibato. Quando il celibato cade, dicevano già gli oppositori della Chiesa alla fine dell’Ottocento, allora anche la Chiesa è finita. In questa strategia vanno allineati anche l’articolo e il nuovo libro di Hubert Wolf. Invece di commentare criticamente le singole affermazioni di Wolf, sembra più propositivo fare riferimento ai fatti reali. Bisogna chiarire che il requisito del celibato per i candidati agli ordini maggiori non si basa semplicemente su una legge ecclesiastica che potrebbe essere abrogata o modificata dall’atto legislativo di un papa o di un concilio.
Gli apostoli hanno abbandonato ogni cosa.
Anche l’affermazione spesso letta che il celibato non è un dogma non è stringente. In effetti, il celibato non è un insegnamento della Chiesa. Tuttavia, è richiesta la disponibilità del candidato all’ordinazione a far propria, con il sacerdozio, la forma di vita di Cristo e dei suoi apostoli. Proprio per questo motivo il celibato è contenuto genuino della tradizione apostolica. Questo è ciò che gli apostoli “trasmettono attraverso la predicazione orale, l’esempio e l’istruzione, ciò che avevano ricevuto dalla bocca di Cristo, stando con lui e attraverso la sua opera, o ciò che hanno imparato dall’ispirazione dello Spirito Santo”. Questo è ciò che insegna il Concilio Vaticano II. Questa “tradizione” ha lo stesso valore vincolante della Sacra Scrittura: entrambe contengono una rivelazione divina.
Così i primi discepoli di Gesù, che poi chiamò apostoli (inviati), secondo quanto dice il Vangelo lasciarono casa, fattoria, moglie e figli, padre e madre, per seguire Gesù. Sarebbe incomprensibile supporre che gli autori dei Vangeli abbiano disegnato qui un ideale che la loro stessa vita reale avrebbe contraddetto. L'”abbandono di tutto” per il Vangelo è, in ogni caso, lo stile di vita dei discepoli di Gesù del primo secolo. Se vi aggiungiamo l’apostolo Paolo, che stima altamente il celibato per servire la “causa di Gesù”, è chiaro che il celibato corrispondeva – e corrisponde – al servizio del Vangelo.
Nel passaggio al periodo post-apostolico a partire dal 70 d.C. sorsero nelle città numerose comunità cristiane, motivo per cui nelle lettere a Tito e Timoteo già si ordina l’instaurazione di presbiteri – gli anziani – mediante l’imposizione delle mani (consacrazione). Tra le altre cose, al candidato si chiede di essere stato “sposato una sola volta”, il che esclude una persona sposata in un secondo matrimonio.
Tempi di fioritura ecclesiastico-culturale
Come si giustifica questa restrizione? Si credeva che chi, rimasto vedovo, si fosse risposato una seconda volta, non avrebbe avuto la forza di restare astinente come richiesto al presbitero. Per questo motivo venivano consacrati uomini che avevano figli già grandi. Così, dal momento della consacrazione, proseguiva la vita familiare, ma non la comunione sessuale coniugale.
E’ evidente che si trattava di una pratica vissuta molto prima che fosse formalmente prescritta come legge. Non c’è quindi alcuna traccia di discussioni al riguardo, come invece ci si sarebbe potuti aspettare se fosse stata imposta una nuova legge in modo autoritario. Al contrario, ben presto si cominciò a consacrare solo uomini più giovani non sposati. Una linea diretta collega le parole e l’esempio di Gesù e degli Apostoli attraverso il Corpus Iuris Canonici del Medioevo fino al Codex Iuris Canonici del 1983.
Questo percorso attraverso i secoli ha avuto indubbiamente le sue salite e discese. Ma a posteriori è chiaro che i tempi di fioritura ecclesiastico-culturale sono sempre stati segnati anche dalla fedeltà al celibato – e viceversa. C’è stato, ad esempio, il tempo di Carlo Magno e dei suoi discendenti, i tempi del “Rinascimento carolingio”, poi il fiorire ecclesiastico-culturale tra gli imperatori sassoni, che andrebbero qui menzionati.
L’ideale del celibato
Successivamente il Movimento Francescano, l’Ordine di San Domenico, che si diffuse epidemicamente nelle università allora sorgenti, e prima ancora la fondazione di centinaia di monasteri cistercensi fino in Polonia, testimoniarono la forza di attrazione dell’ideale del celibato per il Regno dei Cieli. Questi furono i potenti impulsi da cui fiorì la cultura dell’alto Medioevo. Questo vasto paesaggio di verità, bontà, bellezza, santità scompare quando i riflettori si rivolgono voyeuristicamente a quegli scandali, naturalmente presenti, che ai nostri giorni hanno lo scopo di screditare l’istituzione, il valore spirituale del celibato sacerdotale.
Qui non si può parlare di scienza storica seria, come non era storia quando si scrivevano solo vite dei santi e canti di eroi. Con quale motivazione Wolf ignora i risultati di autori riconosciuti come Henry Crouzel (1963), Roger Gryson (1970), Christian Cochini (1981/1990), Johannes Bours e Franz Kamphaus (1991), Alfons M. Stickler (1993), Stefan Heid (2003), Klaus Berger (2009) e Andreas Merkt (2015)?
Si può discutere su quale parte della storia si siano alternate luci e ombre – ma, per favore, secondo i requisiti del metodo storico-critico e non sotto l’influenza dell’adrenalina. Ora, però, in questo contesto, si fa sempre riferimento all’esempio delle chiese ortodosse o bizantino-orientali unite a Roma. Lì si richiede il celibato ai vescovi, ma non ai sacerdoti, motivo per cui i diaconi di solito si sposano prima dell’ordinazione sacerdotale.
Differenze tra vescovi e sacerdoti
In questa pratica “ambienti riformisti” ritengono di vedere un modello con cui rimediare alla carenza di sacerdoti nell’Occidente latino: una carenza di sacerdoti che, se si confronta il numero di sacerdoti con quello dei cattolici che partecipano alla vita ecclesiale, in realtà non esiste affatto. In realtà non si vogliono più quei sacerdoti ordinati che Martin Lutero definì oltraggiosamente semplici “idoli dell’olio”, essendo tutti i battezzati in quanto tali già papa, vescovo o sacerdote.
Ma anche il regolamento della Chiesa orientale suscita domande. È notevole che il celibato è ancora obbligatorio per i vescovi, mentre il matrimonio è permesso per i sacerdoti, ma in preparazione alla celebrazione eucaristica per un certo numero di giorni è richiesta l’astinenza coniugale. Non si esprime in questo regolamento una tensione tra azione liturgico-sacramentale e sesso coniugale?
Quando, nel corso della soppressione sovietica della Chiesa cattolica di rito orientale in Ucraina e nelle regioni limitrofe nel 1946 a Lviv, per mezzo di uno pseudo-sinodo organizzato dal partito, queste chiese cattoliche furono unite forzatamente alla Chiesa ortodossa russa, i vescovi rimasero fedeli al Papa e alla Chiesa fino al martirio. Centinaia di sacerdoti si trovarono di fronte all’alternativa di rimanere in carica per sfamare le loro famiglie o di sprofondare, fedeli alla Chiesa e al suo giuramento, nella miseria. È facile immaginare quali tormenti di coscienza questi sacerdoti abbiano sofferto. Una scelta da cui il celibato li avrebbe preservati.
Il desiderio di unità
La pratica orientale descritta fu introdotta per la prima volta dal Concilio di Costantinopoli nel 691. Le disposizioni corrispondenti erano state emanate per volontà imperiale, ma non ottennero mai l’approvazione di Roma. In realtà, si trattò di una rottura con la tradizione apostolica che nessuno dei papi poteva ratificare. Con il consolidamento della frattura tra Oriente e Occidente, si creò anche in questo senso il fatto compiuto.
Quasi mezzo millennio dopo, nel corso della riunificazione delle diocesi precedentemente separate con la Chiesa d’Occidente, si venne a creare una nuova situazione. Se in tali circostanze i papi concessero al clero di continuare nella pratica come fino ad allora, ciò era nell’interesse superiore dell’unità riconquistata. Una situazione simile si è verificata ai nostri giorni, quando nel mondo anglicano è sorto un ampio desiderio di unità con la Catholica, che ha portato al ritorno di intere parrocchie e diocesi alla comunione con Roma. Fu Benedetto XVI che, in considerazione di questa situazione storica, permise all’ex clero anglicano, che ora cercava anche l’ordinazione sacerdotale, di restare nella loro situazione matrimoniale. Da allora in poi, tuttavia, solo i candidati disposti al celibato possono essere ammessi per l’ordinazione. Forse questa sarebbe stata una soluzione promettente anche per l’Oriente.
Negli ultimi centocinquant’anni non c’è stato quasi un Papa che non abbia sottolineato la dignità, la bellezza spirituale e la fecondità di questo modo di seguire Gesù. La vera ragione sta nella natura stessa del sacerdozio. Il sacerdote che celebra il sacrificio di Cristo sull’altare lo fa “in persona Christi” e in virtù del sacramento dell’Ordine che ha ricevuto con l’imposizione delle mani del Vescovo. Chiunque sia così esistenzialmente integrato nell’opera di redenzione di Cristo non dovrebbe vivere anche in “persona Christi”, assumendo la forma di vita del suo Maestro?
Informazioni sull’autore:
Il cardinale Walter Brandmüller, nato ad Ansbach nel 1929, è stato a capo del Pontificio Comitato per le Sienze Storiche dal 1998 al 2009.
Il vero “volto dell’Amazzonia”: una cultura di morte (prima parte)
L’articolo di Kathy Clubb1 è stato pubblicato su The Freedoms Project2 il 25/06/19 con il titolo “The real ‘face of the Amazon’: a culture of death”. Lo pubblichiamo nella traduzione di Marco Manfredini.
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Infanticidio e suicidio fanno parte tradizionalmente della cultura in molte zone della regione amazzonica. Per quale motivo quindi l’Instrumentum Laboris (IL) del Sinodo di ottobre invita la Chiesa Cattolica ad assumere un “volto amazzonico”?
Il Sinodo si focalizzerà su un gruppo di paesi che circondano il bacino amazzonico dell’America Latina: Bolivia, Brasile, Colombia, Ecuador, Guyana, Guyana Francese, Perù, Venezuela e Suriname. Nell’annunciare il Sinodo, Papa Francesco ha chiamato la chiesa a“trovare nuove vie per evangelizzare quella parte di popolo di Dio, specialmente indigena, spesso dimenticata e senza la prospettiva di un futuro di pace”. Quello che il Papa e i suoi collaboratori dimenticano di menzionare è che, oltre alle sofferenze causate dallo sfruttamento da parte di grandi aziende, sono le comunità stesse causa di questa mancanza di pace. Mentre particolare attenzione è data all’”ecocidio”, non si fa menzione di infanticidio, suicidio o parricidio, i quali fanno parte del tessuto vitale in Amazzonia.
Il Sinodo in arrivo a ottobre è stato causa di preoccupazione già dal suo documento preparatorio pubblicato nel 2018, con i suoi richiami a una “conversione ecologica” e all’ordinazione femminile. Da allora, la suggestione che le ostie potessero essere fatte di yuca anziché di farina di grano (rendendo quindi invalido il sacramento), ha fortunatamente perso credito. Ora che il documento di lavoro (IL) è stato reso noto, molti motivi di preoccupazione rimangono: il focus sull’ecologia integrale e l’eco-teologia, la promozione della teologia indiana (propaggine dell’eretica teologia della liberazione), e il tema ricorrente che la Chiesa avrebbe molto da apprendere dalla spiritualità pagana.
Sono stati scritti molti buoni articoli che evidenziano le minacce del Sinodo verso il celibato ecclesiastico, l’esclusiva ordinazione al sacerdozio di uomini, l’integrità dottrinale, perciò questo articolo si concentrerà sulle pratiche tribali contrarie alla vita in uso nella regione Pan-amazzonica. Secondo i documenti finora conosciuti il moderno colonialismo occidentale è accusato per l’aumento degli aborti, delle violenze famigliari e per l’uso delle droghe nell’area. Non si fa riferimento alla tradizionale accettazione di queste pratiche anti-vita nella cultura amazzonica.
INFANTICIDIO IN AMAZZONIA È difficile stabilire il numero preciso di infanticidi commessi nella regione, visto che molti casi non vengono riportati, e molti sforzi per indagare vengono ostacolati dalla teoria politica per cui qualsiasi intervento esterno è visto come “imperialista”, “colonialista” e “patriarcale”. I relativisti culturali sostengono che le popolazioni indigene debbano essere protette dall’essere perseguite dalla legge per l’attuazione di pratiche quali infanticidio ed eutanasia, e disapprovano qualsiasi tentativo di scoprire quanti bambini e adulti vengono in questo modo uccisi. Costoro affermano che la raccolta di dati “rappresenta in ogni caso un tentativo di incriminare ed esprimere un pregiudizio contro i popoli indigeni”, ed è una nuova forma di colonialismo.
Secondo un articolo del 20183, circa venti gruppi tribali brasiliani su un totale di trecento praticano l’infanticidio, e si stima che circa un centinaio di bambini venga ucciso ogni anno4.
Uno studio sull’infanticidio tra la tribù brasiliana degli Zuruahá getta luce sulla filosofia alla base della pratica5. Osserva che l’infanticidio è stato tollerato storicamente per diverse ragioni: come mezzo per liberare le comunità tribali, che vivevano in condizioni molto dure, del peso di prendersi cura dei membri più deboli o per assicurarsi che le madri fossero in grado di accudire adeguatamente i figli già avuti. Così gemelli, disabili o malati venivano uccisi (e vengono ancora uccisi) dopo la nascita. E se una madre muore durante il parto, anche il neonato spesso viene soppresso.
Anche la superstizione gioca tutt’oggi un ruolo in queste culture dell’America Latina contemporanea. I nati albini vengono considerati malvagi e vengono uccisi una volta scopertane la condizione. Nello studio si fa l’esempio di una famiglia della tribù Kuikúru che ha ucciso tre bambini affetti da albinismo. A un figlio avuto in precedenza, anch’egli affetto dalla malattia, era stato permesso di vivere solo perché i genitori pensavano che avrebbe cambiato colore crescendo.
Anche le norme sociali conducono all’infanticidio: i bambini nati da madri non sposate vengono solitamente uccisi, e viene comunemente accettata l’uccisione di un figlio del sesso non voluto (solitamente femmine, vista la preferenza per i maschi). Un’altra tribù consente l’infanticidio dopo quattro fratelli dello stesso sesso, indipendentemente da quale sia.
Questo testo sulla tribù Yanomámi spiega come giustificano l’infanticidio: “Le donne Yanomámi hanno piena autonomia nel decidere se i propri figli dovevano vivere o no. La madre si ritira nella foresta per dare alla luce il figlio, ma se non lo accoglie tra le braccia dopo la nascita è come se non sia mai venuto al mondo. Quindi si può dedurre che in quella cultura c’è una ‘nascita post-parto’, in altre parole un atto di ‘nascita culturale’: quando la madre non riconosce il neonato, non lo tocca e lo abbandona nella foresta. In questo modo il bambino è come se per la comunità non fosse nato”.
Un altro esempio mostra come queste pratiche si svolgono nella vita reale. L’episodio seguente ha luogo all’interno della tribù Surawaha, dove la famiglia Suzuki esercitava la missione cristiana negli anni ’90. I Surawaha non avevano avuto contatti con il mondo esterno fino agli anni ’70. “Ad un certo punto, durante la permanenza dei Suzuki tra i Surawaha, la tribù decise che due bambini, i quali sembravano avere problemi di crescita, dovessero morire. I genitori, piuttosto di uccidere i due figli, si suicidarono. La tribù allora seppellì vivi i due bambini, secondo la consuetudine (dice Suzuki). Una dei due, una ragazza di nome Hakani, riuscì a sopravvivere al calvario, ma la comunità decise di lasciarla morire di fame. Suo fratello maggiore la tenne in vita per qualche anno, fornendole i suoi avanzi di cibo di contrabbando, arrivando infine a portarla ai piedi dei Suzuki”.
I Suzuki adottarono la ragazza, una mossa che sollevò la questione della tolleranza all’infanticidio del Brasile a livello internazionale. Tolleranza che è alimentata dal supporto di celebrità hollywoodiane, alcune delle quali hanno adottato la causa culturale delle pratiche di morte quasi allo stesso modo in cui hanno adottato la causa dell’aborto legale. Questi relativisti culturali possono contare su accademici, eticisti ed antropologi a supporto delle loro convinzioni. Ad esempio, un antropologo dell’università di Brasilia descrive la giustificazione dell’infanticidio da parte dei nativi in questo modo: “Un bambino indigeno, appena nato, non è una persona. Lui o lei subirà un lungo processo di personalizzazione fino ad acquisire un nome, e con questo lo status di persona. Perciò, i casi molto rari in cui i neonati non vengono inseriti nella vita sociale della comunità non possono essere considerati come morti, in quanto non lo sono. Infanticidi, poi, non saranno mai”.
IL SUICIDIO È “IL PIÙ ALTO TRA TUTTI VALORI” Lo studio sull’infanticidio tra gli Zuruahá menziona anche il suicidio come questione correlata, siccome molti genitori i cui figli sono condannati a morte dalla comunità preferiscono commettere suicidio piuttosto che vedere uccisi i propri figli. Per l’occidentale medio, che non mette in questione la protezione della propria progenie, questa pratica appare estremamente aberrante e irresponsabile. Ma diventa più facile da capire quando viene spiegata la devozione tribale al suicidio:
“Il suicidio tra gli Zuruahá presenta caratteristiche storiche e religiose, oltre che crisi e tensioni sociali. Viene visto come una forma di esistenza umana, al punto che solo attraverso la morte è possibile raggiungere la vera esistenza. Gli indiani dicono che l’esistenza acquista senso solo se ha come scopo il suicidio. Le loro linee guida per comprendere la vita indicano che il suicidio è il più alto di tutti i valori.
La filosofia Zuruahá dice che ci sono solo due strade per condurre al fine l’esistenza umana: la prima tramite il suicidio per avvelenamento, chiamato kunaha, che conduce al paradiso chi ha ingerito il veleno […]. I loro riti, canti e preghiere si riferiscono a questo e conducono a questa vera esistenza. La seconda strada porta alla morte per vecchiaia, ma questa è considerata oggi ardua…
La filosofia Zuruahá dice che ci sono solo due strade per condurre al fine l’esistenza umana: la prima tramite il suicidio per avvelenamento, chiamato kunaha, che conduce al paradiso chi ha ingerito il veleno […]. I loro riti, canti e preghiere si riferiscono a questo e conducono a questa vera esistenza. La seconda strada porta alla morte per vecchiaia, ma questa è considerata oggi ardua…
Data questa interpretazione della vita umana, attendere di diventare vecchi non è sinonimo di saggezza. Per tale ragione, in questa cultura, i vecchi non godono dello status di uomini saggi e venerabili, come comunemente avviene tra altre comunità indigene. Qua vengono chiamati hosa, una parola che significa “inutili”, “esauriti”. Inoltre, molti di essi hanno alle spalle tentativi di suicidio non riusciti. Al fine di evitare un futuro di dolore e disprezzo in vecchiaia, i bambini iniziano molto presto a vivere considerando la possibilità di suicidarsi. Nei loro giochi, ragazzi e ragazze fingono di morire e si immaginano come sarà il loro funerale. Tutti sanno come usare il timbó, una specie di liana che contiene un veleno mortale, e ne considerano l’utilizzo come un atto di coraggio. Per questa ragione “i genitori vivono nella convinzione che un giorno i loro figli berranno veleno”.
Statistiche raccolte sulle tribù tra il 2003 e il 2005 mostrano che circa un sesto della popolazione ha commesso suicidio in quel periodo (vi sono anche due casi di infanticidio). Questa visione pagana della vecchiaia e della morte, unita all’assenza di una comprensione della vita umana come valore intrinseco, contraddice i numerosi riferimenti nell’IL riguardo alla “saggezza ancestrale”.
CANNIBALISMO Una delle usanze più sconvolgenti trovate in Amazzonia è il cannibalismo rituale. Ciò è ben documentato, essendo praticato dalle tribù Yanomami e Wari’. Secondo il sito di TFP6: “Un’usanza primitiva di questo gruppo etnico è il cannibalismo rituale. In un rito funerario sacro e collettivo, cremano il corpo del parente morto e ne mangiano le ceneri delle ossa, mescolandole con la pasta pijiguao, fatta con il frutto di una specie di palma. Credono che l’energia vitale del defunto risieda nelle ossa e venga con questo rituale reintegrato nel gruppo di famiglia. Allo stesso modo, uno Yanomami che uccide un avversario in territorio nemico pratica questa forma di cannibalismo per purificare sé stesso”.
In modo simile, le tribù Wari’ del Brasile mangiavano la carne dei propri vecchi morti e dei propri nemici, fino alla fine del ventesimo secolo. L’endocannibalismo (il cibarsi degli appartenenti alla propria tribù) era visto come un rito funerario, a riprova che il deceduto fosse veramente passato dalla terra. Per gli Wari’ non si trattava di cannibalismo, visto che i membri morti della tribù erano trascesi nell’”altro”. Per contrasto, l’esocannibalismo veniva affrontato con entusiasmo anziché rispetto, come segno di dominazione su una tribù più debole.
È interessante notare come Paul Erlich, autore del libro The Population Bomb e uno dei più grandi sostenitori del controllo della popolazione, ha annunciato nel 2014 che la sovrappopolazione e la scarsità di risorse finiranno per spingere gli esseri umani affamati al cannibalismo. Erlich è stato ospite alla Pontificia Accademia delle Scienze del Vaticano in una conferenza del 2017 sull’estinzione biologica, con grande disappunto dei fedeli cattolici di tutto il mondo.
L’USO DI DROGHE FA PARTE DELLE RELIGIONI TRIBALI In tutto l’IL i mali sociali come la violenza sulle donne e il traffico di droga sono costantemente attribuiti all’industria estrattiva e ai mega progetti. Ma è falso affermare che i progetti moderni sono l’unica causa di tali mali. La violenza contro le donne fa parte della cultura tribale di molte di queste comunità, e l’utilizzo di droghe nei rituali di guarigione spirituale è pratica comune. Di fatto, una nuova industria è sorta attorno alla cultura delle droghe allucinogene, l’ayahuasca7, tanto che stranieri si affollano per provare l’esperienza di alterazione mentale che queste producono. Si sono verificati molti tragici casi in cui turisti, sotto l’influenza dell’ayahuasca, hanno assassinato amici e colleghi8.
Nonostante l’uso diffuso di questi allucinogeni nelle “cure di assistenza sanitario-spiritica”, l’IL suggerisce che:“I rituali e le cerimonie indigene sono essenziali per la salute integrale perché integrano i diversi cicli della vita umana e della natura. Creano armonia ed equilibrio tra gli esseri umani e il cosmo. Proteggono la vita dai mali che possono essere causati sia dagli esseri umani che da altri esseri viventi. Aiutano a curare le malattie che danneggiano l’ambiente, la vita umana e altri esseri viventi” (IL, 87).
Qua c’è un po’ della tradizionale medicina amazzonica ayahuasca, dal sito del “Tempio della Via della Luce”:
L’uso dell’ayahuasca è largamente diffuso e rappresenta la base della pratica di medicina tradizionale per almeno 75 diverse tribù attraverso l’alta e bassa Amazzonia.
Tradizionalmente, l’uso di ayahuasca nelle pratiche di guarigione in Amazzonia è limitata ai guaritori, che la usano come strumento diagnostico per una varietà di compiti che riflettono una serie di valori culturali e psicologici molto diversi da quelli che conosciamo in occidente.
L’ayahuasca non viene presa direttamente dai pazienti, che assistono semplicemente alla cerimonia per ricevere la diagnosi e le successive cure. Identificando la causa della malattia (sfortuna e stregoneria, per esempio), e risolvendo il danno energetico causato dalla gelosia e dall’invidia, i guaritori indigeni riconoscono il potere distruttivo delle emozioni umane negative e il loro impatto non solo sull’individuo ma sulla salute dell’intera comunità.
L’ayahuasca è usata dai guaritori anche per altri scopi: aiutare a prendere decisioni importanti, chiedere consiglio agli spiriti, risolvere conflitti personali, tra famiglie e comunità, esercitare le proprie capacità divinatorie, chiarire misteri, furti e sparizioni, scoprire se abbiamo nemici e sapere se un coniuge è infedele.
L’ayahuasca viene anche usata per prescrivere trattamenti ai pazienti, guidando il guaritore nella somministrazione di ikaros[canti rituali di guarigione, ndt] e rimedi vegetali. Ma non è l’unico “spirito vegetale” coinvolto. L’Ayahuasca lavora tramite il guaritore in combinazione con una pletora di altri dottori dello “spirito vegetale” per fornire un trattamento. Essa è solo uno dei nodi all’interno di un sistema molto più ampio di assistenza sanitaria “spiritizzata” in Amazzonia. La guarigione tradizionale amazzonica offre soluzioni a malattie e disturbi che tipicamente non possono essere trattati con la medicina convenzionale.9
Tradizionalmente, l’uso di ayahuasca nelle pratiche di guarigione in Amazzonia è limitata ai guaritori, che la usano come strumento diagnostico per una varietà di compiti che riflettono una serie di valori culturali e psicologici molto diversi da quelli che conosciamo in occidente.
L’ayahuasca non viene presa direttamente dai pazienti, che assistono semplicemente alla cerimonia per ricevere la diagnosi e le successive cure. Identificando la causa della malattia (sfortuna e stregoneria, per esempio), e risolvendo il danno energetico causato dalla gelosia e dall’invidia, i guaritori indigeni riconoscono il potere distruttivo delle emozioni umane negative e il loro impatto non solo sull’individuo ma sulla salute dell’intera comunità.
L’ayahuasca è usata dai guaritori anche per altri scopi: aiutare a prendere decisioni importanti, chiedere consiglio agli spiriti, risolvere conflitti personali, tra famiglie e comunità, esercitare le proprie capacità divinatorie, chiarire misteri, furti e sparizioni, scoprire se abbiamo nemici e sapere se un coniuge è infedele.
L’ayahuasca viene anche usata per prescrivere trattamenti ai pazienti, guidando il guaritore nella somministrazione di ikaros[canti rituali di guarigione, ndt] e rimedi vegetali. Ma non è l’unico “spirito vegetale” coinvolto. L’Ayahuasca lavora tramite il guaritore in combinazione con una pletora di altri dottori dello “spirito vegetale” per fornire un trattamento. Essa è solo uno dei nodi all’interno di un sistema molto più ampio di assistenza sanitaria “spiritizzata” in Amazzonia. La guarigione tradizionale amazzonica offre soluzioni a malattie e disturbi che tipicamente non possono essere trattati con la medicina convenzionale.9
Quindi, lungi dall’essere una semplice questione di integrare la tradizionale medicina erboristica nell’assistenza sanitaria contemporanea, diventa ovvio che è impossibile separare gran parte della medicina popolare dell’Amazzonia dai propri rituali pagani e dall’utilizzo della divinazione e della stregoneria. Accoppiata all’uso di allucinogeni, questa diventa una proposta pericolosa, che presenta rischi per la salute fisica e spirituale dei pazienti.
Ma invece di lanciare un avvertimento sui pericoli che si corrono dilettandosi in pratiche occulte, l’IL raccomanda di emulare queste famiglie tribali, dove “[…] si impara a vivere in armonia: tra i popoli, tra le generazioni, con la natura, in dialogo con gli spiriti” (IL, 75).
E nel caso ci sia qualche dubbio sulla natura del potere di cui si servono questi sciamani pagani, il seguente esempio servirà da promemoria. Un missionario olandese ha raccontato la storia di un sacerdote mandato nella regione Amazzonica a predicare il Vangelo. Fu affrontato in diverse occasioni da uno stregone locale, il quale: “Aveva il potere di spostarsi in un modo incomprensibile, lasciando che il buon padre scendesse dal fiume da solo per incontrarlo di nuovo molto più a valle, insultandolo copiosamente nel suo dialetto nativo. Il missionario non aveva alcun dubbio sull’esistenza del demonio e sapeva da quale tipo di malignità stava cercando di convertire gli indiani”.10
1Kathleen Clubb è una donna australiana attiva nel mondo pro-life da sei anni. Coordinatrice in Melbourne di Family Life International, fondatrice dei siti Light up the Darkness e di The Freedom Project, con cui porta avanti le sue battaglie. É stata coinvolta in un contenzioso costituzionale per aver violato la legge del 2015 della Victoria che vieta di protestare in un raggio di 150 metri dalle cliniche abortive, condannata e sanzionata. Ha istruito in home-schooling i suoi ultimi sei figli (su tredici!) e considera la sua famiglia la sua attività pro-life più importante.
6https://www.tfp.org/a-mission-that-baptized-no-one-in-fifty-three-years-the-flawed-evangelization-model-of-the-pan-amazonian-synod/
7 Da wikipedia: “L’ayahuasca (aya-wasca, letteralmente “liana degli spiriti” o “liana dei morti” in lingua quechua), spesso detta anche, a seconda dei paesi di provenienza: Yage, Hoasca, Daime, Caapi; è un infuso psichedelico a base di diverse piante amazzoniche in grado di indurre un effetto visionario oltre che purgante”.
8 https://www.abc.net.au/news/2018-04-23/canadian-lynched-in-amazon-accused-of-shamans-murder/9688118
10https://panamazonsynodwatch.com/anticolonialism-and-pagan-spiritualities-in-the-preparatory-document-for-the-amazon-synod/
Kathy Clubb Luglio 26, 2019
C'è un passo del vangelo che è stato "dimenticato",direi"tolto"dalla lettura ai fedeli e dice così:"Vi sono eunuchi che nascono così nel grembo della madre, e ve ne sono altri che sono resi tali dagli uomini,e ve ne sono altri ancora che si sono resi tali per il Regno dei Cieli.Chi può capisca!(San Matteo 19,12)Ripeto:CHI PUO'CAPISCA
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