Una rivoluzione (ambigua) chiamata Amoris Laetitia
«Il testo di Amoris laetitia è rivoluzionario e ambiguo, lo dimostra il fatto che è stato interpretato diversamente in Germania e in Polonia. Parte di responsabilità ce l'ha il inguaggio utilizzato che è allusivo e non dichiarativo. Chiamare il peccato “fragilità” è ambiguo. Ma è un'ambiguità che ha ragioni non casuali». La Nuova BQ intervista il professor Stefano Fontana, autore del libro Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris laetitia. «La novità di AL consiste nel cambiare la dottrina senza dirlo. Una rivoluzione».
Le vicende e le controversie legate alle sorti dell’Istituto Giovanni Paolo II per le Scienze del Matrimonio e della Famiglia impongono di ritornare a parlare dell’Esortazione Amoris laetitia di papa Francesco. È da lì, infatti, che sono emerse le prospettive di una nuova teologia del matrimonio e della famiglia contrapposta a quella voluta da papa Giovanni Paolo II per l’Istituto.
Per questo torna utile leggere un libro di Stefano Fontana appena uscito che riguarda proprio questo tema: Esortazione o rivoluzione? Tutti i problemi di Amoris laetitia. Il libro è pubblicato dalle Edizioni Fede & Cultura di Verona e, come altri libri dell’Autore (si pensi per esempio al fortunatissimo La nuova Chiesa di Kar Rahner), è breve, leggibile e incisivo: spiega con calma e denuncia in modo argomentato. L'autore, che è una firma di punta della Nuova BQ, ha risposto stavolta alle nostre domande.
Amoris laetitia è stata una esortazione o una rivoluzione?
L’unico punto sul quale concordo con il cardinale Kasper è che si tratta di una rivoluzione, come egli stesso disse sostenendo che dopo Amoris laetitia tutto cambierà perché è cambiata la prospettiva da cui considerare le cose.
Però molti – tra cui lo stesso cardinale Caffarra - hanno sostenuto che nel testo di Amoris laetitia non c’è nessuna novità dottrinale e che in nessun punto il papa dice, per esempio, che è permesso l’accesso all’eucarestia dei divorziati risposati.
È così. Caffarra si chiedeva: se papa Francesco, rispondendo ad un giornalista, ha confessato di non ricordarsi nemmeno la nota a piè pagina 351 che, secondo gli interpreti, aprirebbe a quanto lei dice, come è possibile che essa contenga un cambiamento dottrinale di quella portata? Così pensando, però, non si coglie la novità di AL che consiste nel cambiare la dottrina senza dirlo.
Ma come può cambiare la dottrina un testo pastorale come Amoris laetitia?
Direi anche meno di un testo pastorale se proprio papa Francesco specifica di averlo scritto per “orientare la riflessione, il dialogo e la prassi pastorale”. Eppure, nonostante questo aspetto non dottrinale, Amoris laetitia la aperto spazi a processi di prassi che comportano cambiamenti dottrinali. Per questo è ingenuo chiedere al testo di dire le cose chiaramente, se il papa avesse voluto farlo lo avrebbe fatto scrivendo l’Esortazione.
Sta accusando il testo di ambiguità?
Che il testo di Amoris laetitia sia ambiguo mi sembra evidente. Lo dimostra il fatto che è stato interpretato in modi molto diversi: in Germania si dà la comunione ai divorziati rispostati e in Polonia no. Nel mio libro dedico ampio spazio all’analisi del linguaggio del testo che è allusivo e non dichiarativo, improntato ad una nuova retorica, sfumato, esistenziale, immaginifico, poco chiaro teologicamente. Chiamare il peccato “fragilità”, tanto per fare un esempio, è ambiguo. Proporre il superamento del numero 84 di Familiaris consortio con una nota a piè pagina e nel contempo sostenere di dire cose in continuità con esso è evidentemente ambiguo. Tale ambiguità ha però delle ragioni teologiche e non è improvvisata o casuale.
Potrebbe dirci quali sono?
Amoris laetitia è l’applicazione della “conversione pastorale” indicata da Evangelii gaudium. Essa consiste nel partire non dalla dottrina – cosa che Amoris laetitia equipara a lanciare delle pietre verso gli altri o caricare i fragili di pesi insopportabili – ma dalla situazione esistenziale e da reinterpretare la dottrina. In questo modo la pastorale diventa fonte di nuova dottrina, ma senza dirlo. Anche il linguaggio deve adattarsi a questa nuova prospettiva e quindi deve essere impreciso e sfaccettato perché deve esprimere il vissuto e non precisi principi dottrinali. La rivoluzione linguistica di Amoris laetitia risponde ad una visione teologica. Infatti anche per dire che si fa teologia a partire dalla situazione esistenziale bisogna avere una teologia in mente.
Nel suo libro lei ricostruisce la storia del testo e sostiene che tutta la fase sinodale che ha portato ad Amoris laetitia era stata accuratamente programmata. C’era insomma un piano...
Sì, è così. Si pensi solo ad un fatto. Il 14 febbraio 2014 viene incaricato il cardinale Kasper di tenere ai cardinali una lezione sull’incipiente sinodo sulla famiglia. In quell’occasione il cardinale ripropose pari pari quanto già sostenuto in un suo notissimo testo del 1979, il quale si collocava in un contesto teologico già da lui definito negli anni Sessanta. Ciò che Kasper avrebbe detto ai cardinali, dando al sinodo una impronta indelebile, era arcinoto e per questo egli fu incaricato. Durante il doppio sinodo del 2014 e 2015 si cercò in tutti i modi di condurre i Padri verso quel risultato che incontrò qualche ostacolo ma che non fu mai messo da parte. Alla fine fu sancito da Amoris laetitia. Non so se il testo fosse già pronto nel febbraio 2014, ma i contenuti senz’altro sì.
Nel libro lei analizza anche la ricezione del documento. Cosa ne emerge?
Innanzitutto, come già detto, l’ingenuità di pensare che essendo Amoris laetitia di tono pastorale non attui cambiamenti dottrinali. In secondo luogo le estrosità, le improvvisazioni, la “creatività” che dopo la pubblicazione del testo si sono verificate senza che nessuno in Vaticano avesse detto nulla. In terzo luogo che questo documento, dal valore magisteriale intrinseco piuttosto modesto, sia considerato un dogma e l’inizio di una “svolta”, quando nella Chiesa di “svolte” non ce ne possono essere.
Giuseppe Tires
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