Sinodo amazzonico: cavallo di Troia della Teologia della Liberazione
Abbiamo davanti a noi una finestra di opportunità che ci permetterà di andare avanti. Non dobbiamo proporre la Teologia della Liberazione. Spaventa molta gente. Dobbiamo parlare invece dei temi socio-ambientali. Fra i segni dei tempi, in questa linea, ecco il Sinodo Panamazzonico che si terrà ad ottobre. Questo è molto importante”.
Chi parla in questo modo è il frate domenicano Carlos Alberto Libânio Christo, noto come “Frei Betto”, durante il suo intervento all’11° Encontro Nacional Fé e Política, tenutosi a Natal, Brasile, dal 12 al 14 luglio.
Teologo della liberazione di linea marxista, Frei Betto è stato mentore dei governi Lula e Dilma Rousseff. Amico personale di Fidel Castro, vicino alla sinistra eversiva, egli è stato un fiancheggiatore della guerriglia comunista negli anni Sessanta, motivo per il quale trascorse un periodo in carcere. Si ricorda, per esempio, il suo tradimento al leader guerrigliero Carlos Marighella, che nel 1969 consegnò alla Polizia Militare in cambio di una riduzione della pena.
Causò scalpore una sua “Lettera aperta al Che Guevara” pubblicata sul quotidiano del Partito comunista cubano Granma il 2 luglio 2007. Iniziando con un “Carissimo Che”, il frate domenicano esalta la validità dell’esempio e del pensiero del comandante Ernesto Che Guevara, morto in uno scontro a fuoco con l’esercito boliviano nel 1967. E termina: “Dovunque adesso tu sia, caro Che, benedici tutti noi che condividiamo i tuoi ideali e le tue speranze”. Non bisogna dimenticare che tali “ideali e speranze” erano l’instaurazione di una dittatura bolscevica in America Latina.
Frei Betto non si è mai pentito della sua militanza marxista. Ancora nel 2012 affermava: “Il marxismo, con l’analizzare le contraddizioni e le carenze del capitalismo, apre una porta di speranza per una società che i cattolici, nella celebrazione eucaristica, caratterizzano come il mondo in cui tutti potranno ‘condividere la ricchezza della terra e dei frutti del lavoro umano’. (…) Marx non è morto, ed è necessario prenderlo sul serio” (Correio Braziliense, 13-04-12).
Rimarcando “la comune origine ebraica” di entrambi, Frei Betto ha sempre cercato di fondere cristianesimo e marxismo: “L’incontro storico tra cristianesimo e marxismo si è realizzato nella prassi liberatrice dei movimenti sociali e sindacali. È nella prassi liberatrice dei poveri che si trova il campo privilegiato dell’incontro fra cristiani e marxisti” (América Latina en Movimiento, 23-11-17).
Questo spostamento dei cristiani verso il marxismo, secondo Frei Betto, troverà un’eccellente opportunità nel Sinodo Panamazzonico che si terrà a Roma ad ottobre. Sarà l’occasione per la Teologia della Liberazione di mobilizzare le sue basi:
“Noi dobbiamo mobilizzarci. Dobbiamo approfittare di questo importantissimo evento. Un evento che irrita profondamente il governo Bolsonaro. Il Sinodo ci offre una finestra di opportunità per mobilizzare molta gente”.
Dopo l’auge degli anni Sessanta e Settanta, in cui il movimento della Teologia della Liberazione sostenne tutte le rivoluzioni socialiste e comuniste in America Latina, impugnando perfino le armi, come in Nicaragua ed El Salvador, le dure condanne di Papa Giovanni Paolo II, seguite dal crollo di ciò che costituiva la sua “prassi storica”, cioè il socialismo reale, costrinsero il movimento a un lungo periodo d’ibernazione. L’elezione di Jorge Bergoglio al Soglio Pontificio ha cambiato le regole del gioco, e la Teologia della Liberazione ha iniziato a rialzare la testa fino a “entrare a far parte della vita della Chiesa”, come dichiarò nel 2014 il portavoce del Vaticano Padre Federico Lombardi.
I teologi della liberazione, tuttavia, hanno imparato la lezione e sono diventati più scaltri: non proclamano più la guerriglia comunista e gli espropri proletari. Non esaltano più Che Guevara. Ciò “spaventa molta gente”, come ammette Frei Betto. Oggi, il movimento della Teologia della Liberazione avanza alla chetichella, cavalcando l’onda ambientalista e indigenista che sta spazzando il mondo. Molti dei suoi esponenti hanno cambiato la divisa rossa con quella verde. “Al grido dei proletari dobbiamo sostituire il grido della terra”, afferma Leonardo Boff.
E adesso, questo movimento troverà nel prossimo Sinodo Panamazzonico “una finestra di opportunità per mobilizzare molta gente”, come detto da Frei Betto.
Nell’analizzare il Concilio Vaticano II ormai si è soliti distinguere tre elementi: i Documenti; il “Concilio mediatico”, cioè la propaganda che si fece attorno all’evento; e la sua applicazione concreta, o meglio, l’uso e l’abuso che del Concilio fecero i settori progressisti. Dei tre, quest’ultimo è di gran lunga il più demolitore.
Un simile criterio di analisi si potrebbe applicare al prossimo Sinodo Panamazzonico. I Documenti (per adesso quelli preparatori), già destano parecchia preoccupazione. Il cardinale Walter Brandmüller li ha accusati nientemeno che di “eresia e apostasia”. Quanto al “Sinodo mediatico”, basta sentire le tube della macchina di propaganda ambientalista e indigenista. È evidente che questi movimenti stanno gioendo per tutta l’acqua che il Sinodo porterà ai loro mulini.
Poi c’è il terzo elemento: l’uso e l’abuso che del Sinodo farà il movimento della Teologia della Liberazione, soprattutto nelle sue versioni più aggiornate, l’Ecoteologia della Liberazione e la Teologia Indigenista. Questo elemento, quello più distruttivo, non potrà essere assente dalle nostre analisi della prossima assise romana.
(Fonte: https://panamazonsynodwatch.info/it/2019/08/13/sinodo-amazzonico-cavallo-di-troia-della-teologia-della-liberazione/)
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