Don Gabriele, il prete che da solo sfida il titano aborto
Lui è don Gabriele Mangiarotti: dice di ispirarsi a San Giovanni Paolo II: «Ci alzeremo in piedi ogni volta che la vita umana viene minacciata» e risponde senza esitazioni ai politici, come ha fatto con la presidente della Commissione Affari istituzionali citando il V Comandamento, ma anche il non cattolico Norberto Bobbio. C’è una Repubblica che sta discutendo seriamente l’approvazione di una legge sulla depenalizzazione totale dell’aborto. Ed è una repubblica con 1700 anni di indipendenza sulle spalle, fondato da un santo e che oggi si ritrova con un difensore in più: a San Marino la proposta di legge popolare per dare il via libera all’aborto è praticamente in dirittura d’arrivo vista la debole l’opposizione del partito di ispirazione cristiana, la Dc che, pur essendo contraria, ha avviato al suo interno un dibattito acceso. Il campo è così lasciato libero a Repubblica Futura e Ssd, partiti di Sinistra e di governo, e Rete, una sorta di grillini locali.
Ad opporsi con tutte le sue forze è invece un sacerdote coraggioso, che dalle colonne del suo sito Cultura Cattolica ha ingaggiato una battaglia contro la legge, guadagnandosi anche l’attacco - una medaglia in realtà - del Fatto Quotidiano.
Facile fare politica dal pulpito, come sta accadendo sempre più spesso per molti preti invasionisti che si guadagnano l’applauso facile e la copertina dei giornaloni. Più difficile è sfidare un potere antiumano che anche in cima al Monte Titano minaccia dal 2005 di introdurre la legge e stavolta sembra avere i numeri per farlo. Don Mangiarotti ha scelto la seconda strada, mettendoci la faccia e non scendendo in campo per il politicamente corretto di certo clero di Sinistra impermeabile ormai a qualunque tipo di rivoluzione ideologica. Da solo - e da gigante - reagisce e si ribella a un potere superiore titanico: la cultura dell'aborto.
Così ha cominciato a combattere senza complessi di inferiorità né con le facili scorciatoie concesse dal suo status di religioso: a viso aperto e con il solo appoggio delle associazioni pro life.
Mangiarotti alla Nuova BQ spiega anche la genesi di questa proposta di legge: «Vanno ad abortire a Rimini - spiega - e con questa scusa si sta forzando la mano con una decisione da Stato totalitario, ciò che San Marino non è mai stato», ci spiega ricordando di vivere da italiano sammarinese da 15 anni.
Così - proprio in punta di diritto - Mangiarotti ha affilato le armi e ha fatto ciò che il potere locale gli sta ancora rimproverando: coinvolgere un giurista italiano di razza. Il commento di Giacomo Rocchi, Consigliere della Corte di Cassazione e mebro del Centro Studi Livatino pubblicato a fine luglio sul suo sito ha svelato il grande inganno di una legge che si presenta come una scimmiottatura della 194 italiana. «Si tratta di proposta di carattere palesemente ideologico, che scimmiotta in alcune parti il testo della legge italiana n. 194 del 1978, ma liberandosi di quelle norme presenti nella legge italiana frutto della sensibilità ancora vigente a quell’epoca e della dura opposizione parlamentare che fu operata», ha detto prima di affondare la lama. Rocchi infatti ha spiegato che la legge è figlia di una «visione individualista e libertaria» nella quale «il “vero” diritto è quello garantito sempre, accessibile gratuitamente, indiscutibile ad abortire, la via di uscita per tutte le gravidanze indesiderate».
La tutela della vita umana fin dal suo inizio - infatti - viene cancellata: «Brutalmente - rimarca il giurista - perché il bambino scompare e di feto si parla esclusivamente nell’articolo 6». «In questo modo se la vittima dell’aborto scompare, qualsiasi “paletto”, qualsiasi limitazione alla sua soppressione non può che cadere». E infatti in questa proposta di legge di “paletti” ce ne sono davvero pochi.
«Ad esempio - prosegue don Gabriele - il padre del bambino è totalmente cancellato e la normativa sull’obiezione di coscienza viene alterata in chiave di cooperazione morale al male. E ancora: propugna un’educazione sessuale pubblica obbligatoria in tutte le scuole, violando gravemente i diritti dei genitori all’educazione dei loro figli e impedisce ogni richiamo alla verità della gravidanza e dell’aborto a tutto il personale, in modo che il bambino ucciso resti nascosto e dello stesso non si parli». E ancora: «E’ stato completamente inascoltato il parere del Comitato di bioetica che aveva dato parere negativo».
San Marino sforna mediamente circa 200 bambini all’anno. Quante sono le donne che chiedono di abortire? «Non si può sapere, ma non credo che siano tante, ovviamente questo aspetto è tenuto nascosto e viene enfatizzata una richiesta che in realtà non esiste».
Ora la palla passa ai Capitani Reggenti e soprattutto al Consiglio Grande e Generale, che dovrà esprimersi.
Domenica don Gabriele ha incassato anche il sostegno del suo vescovo Andrea Turati: «Noi cattolici siamo a favore della vita, quello che succede a San Marino ci preoccupa», è stato il senso delle sue parole pronunciate al pellegrinaggio del Risveglio. Ma i toni concilianti non fanno per don Gabriele: «No, a me non basta il bon ton! Se si parla della difesa della vita innocente, non mi basta che se ne parli con pacatezza! Apriamo gli occhi e guardiamo in faccia chi stiamo per uccidere».
Andrea Zambrano
L'aborto a San Marino
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Riportiamo una approfondita analisi della Proposta di legge, sperando che la ragionevolezza delle affermazioni aiuti nella chiarezza di un giudizio
Aggiornamenti:
COMMENTO AL DISEGNO DI LEGGE «NORME IN MATERIA DI PROCREAZIONE COSCIENTE E RESPONSABILE E DI INTERRUZIONE VOLONTARIA DELLA GRAVIDANZA»
1. Si tratta di proposta di carattere palesemente ideologico, che scimmiotta in alcune parti il testo della legge italiana n. 194 del 1978, ma liberandosi di quelle norme presenti nella legge italiana frutto della sensibilità ancora vigente a quell’epoca e della dura opposizione parlamentare che fu operata.
2. In particolare, si deve sottolineare che l’art. 1 richiama il diritto alla procreazione cosciente e responsabile, come fa l’art. 1 della legge 194, ma elimina significativamente il riferimento al «valore sociale della maternità» e alla «tutela della vita umana fin dal suo inizio»: sono entrambe eliminazioni significative.
La parola “sociale” (il valore sociale della maternità) non può trovare posto in una proposta di legge come questa, che è basata esclusivamente su una visione individualista e libertaria, nella quale l’unica preoccupazione è la possibilità di scelta della donna, mentre l’aspetto sociale attiene esclusivamente alla prevenzione delle gravidanze indesiderate e della trasmissione delle malattie o infezioni a trasmissione sessuale.
Eppure, l’art. 12 della Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sanmarinese riconosce il valore sociale della maternità, prevedendo che «ogni madre ha diritto all’assistenza e alla protezione della comunità»; l’art. 3 del disegno di legge, invece, è generico e residuale nel prevedere le disposizioni per la prevenzione dell’interruzione volontaria di gravidanza, mentre il disegno nel suo complesso indica l’esatto contrario: il “vero” diritto – quello garantito sempre, accessibile gratuitamente, indiscutibile – è quello ad abortire, “quella” è la via di uscita per tutte le gravidanze indesiderate.
La tutela della vita umana fin dal suo inizio, poi, viene brutalmente cancellata: e in effetti, il bambino scompare e di feto si parla esclusivamente nell’art. 6, per l’aborto dopo la dodicesima settimana, nel caso di presenza di gravi anomalie e malformazioni o di possibilità di vita autonoma.
Se la vittima dell’aborto scompare, qualsiasi “paletto”, qualsiasi limitazione alla sua soppressione non può che cadere: ma, in questo progetto, di “paletti” ce ne sono davvero pochi.
3. La natura ideologica del disegno di legge traspare da molte previsioni:
- il padre del bambino è totalmente cancellato, nel pieno riconoscimento della autodeterminazione della donna: cancellazione paradossale rispetto alla previsione dell’art. 2, secondo cui l’educazione sessuale dovrebbe promuovere il concetto di «procreazione cosciente e responsabile riconoscendo l’eguaglianza e la pari responsabilità dell’uomo e della donna».
Quale sarebbe l’uguaglianza, se l’uomo non viene nemmeno interpellato?
Ma, soprattutto, rovesciando la prospettiva, la proposta di legge promuove la irresponsabilità degli uomini, anche giovani, che si potranno “giovare”, nel caso in cui la gravidanza della loro partner sia a loro “indesiderata”, del mancato coinvolgimento nella procedura abortiva: «veditela tu, io non c’entro»; non è forse un modello di maschio che conosciamo fin troppo bene e che diventa “il” modello?
- in effetti, se l’educazione sessuale, così come la concepisce la proposta di legge all’art. 2, non fa che promuovere l’attività sessuale libera anche dei giovanissimi, promuovendo l’accesso alla contraccezione anche d’emergenza, e permettendo l’aborto libero anche alle minorenni, è evidente che, implicitamente, ad essere promosso è il “tipo” di maschio disponibile a plurimi rapporti sessuali e pronto a scomparire in caso di effetti indesiderati.
Particolarmente grave è la definizione di educazione sessuale presente nel secondo comma dell’art. 2: non solo l’educazione sessuale è pubblica e obbligatoria fin dalle elementari («nei programmi didattici delle scuole di ogni ordine e grado»), ma è palesemente diretta a un’informazione esclusivamente “tecnica” nella quale è escluso ogni riferimento all’amore vero tra uomo e donna. Si potrebbe dire che l’amore è stato sostituito dall’affetto.
- in questo manifesto ideologico libertario, non a caso, le uniche «pressioni» vietate sono quelle «di carattere morale o religioso»: in un mondo fittizio in cui tutti sono assolutamente liberi – ma, in realtà, vengono palesemente indottrinati – ogni richiamo alla responsabilità personale e alla natura dell’atto abortivo e alla sua gravità è ovviamente vietato; risibile è, all’art. 4, lett. a) la contrapposizione tra informazioni fornite in maniera «chiara, oggettiva e comprensibile» e, appunto, le pressioni di carattere morale e religioso. Viene da chiedersi: tra le informazioni ci saranno anche quelle sullo sviluppo del bambino durante la gravidanza, sulla sua sensibilità, sull’inizio della vita fin dal concepimento?
L’art. 11, nella stessa ottica, «tutela la libertà della donna da qualsiasi giudizio morale o pressione psicologica che possa subire dal personale medico-sanitario in relazione alle sue scelte personali»: ma questa “libertà” viene volutamente sganciata da ogni rapporto umano, perché la donna viene lasciata sola, non può contare sul padre del bambino e non può avere parole “vere” che la aiutino a comprendere davvero il peso della scelta che sta per fare.
- sempre in un’ottica del tutto ideologica, viene redatta la normativa sull’obiezione di coscienza: non solo l’obiettore deve prontamente indirizzare la donna a personale non obiettore – è pur sempre una compartecipazione all’atto abortivo – ma la norma non è affatto chiara nel distinguere tra le attività coperte dall’obiezione («L’obiezione esonera solo dal praticare l’interruzione volontaria della gravidanza») e quelle escluse («L’assistenza pre e post intervento»).
Particolarmente grave è la previsione di esclusione degli obiettori di coscienza dalle assunzioni da parte dell’ISS: se l’obiezione di coscienza è un diritto – che è tutelato dalla Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo ma soprattutto dall’art. 6 della Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sanmarinese – evidentemente non può dar luogo a discriminazioni nei confronti di chi lo esercita: altrimenti non viene garantita, come prevede l’art. 6, la libertà di coscienza della persona;
- infine, è del tutto ideologica l’equiparazione alla contraccezione di quella cd. D’emergenza, trattandosi di preparati criptoabortivi: ma la scelta non stupisce, alla luce della cancellazione del bambino dallo scenario.
4. Scendendo all’analisi della regolamentazione dell’interruzione di gravidanza, risulta evidente che si è seguita interamente la linea dell’autodeterminazione assoluta: in effetti, l’art. 5 cancella tutta la procedura che la legge 194 in Italia detta per l’aborto nei primi novanta giorni, affermando semplicemente che la richiesta di abortire non necessita di alcuna motivazione.
Da questo punto di vista, la proposta sanmarinese è meno ipocrita della legge italiana, che giunge allo stesso risultato, fingendo che l’aborto venga eseguito per tutelare la salute della donna (così come pretendeva la sentenza della Corte Costituzionale italiana n. 27 del 1975).
Particolarmente grave è la previsione dell’autodeterminazione assoluta anche per le minorenniche si accompagna al pieno accesso ai contraccettivi: ci si chiede come la Repubblica di San Marino dovrebbe, con questa disciplina, «attuare le politiche attive finalizzate alla prevenzione delle gravidanze indesiderate» e «evitare che l’aborto sia utilizzato ai fini della limitazione o del controllo delle nascite»; al contrario, l’aborto così come regolamentato – o meglio: così come assolutamente liberalizzato – sarà certamente usato per il controllo delle nascite (cioè come un contraccettivo), atteso che sarà usato tutte le volte in cui il contraccettivo – se adottato – non avrà “funzionato” (o non sarà stato adottato: c’è forse un obbligo di adottare metodi contraccettivi?).
Le statistiche mondiali e italiane dimostrano che un’ampia percentuale di donne reitera, nel corso della propria vita, l’interruzione volontaria di gravidanza più volte, anche cinque o sei volte: appunto usandolo come strumento per il controllo delle nascite.
5. Anche l’aborto dopo le prime dodici settimane, regolamentato dall’art. 6 della proposta, è sostanzialmente lasciato all’autodeterminazione della donna.
In realtà, deve essere prima di tutto rigettata la divisione della gravidanza in due fasi, che è del tutto illogica e a cui non corrisponde nessun mutamento della natura umana del concepito.
In ogni caso, i «pericoli per la salute fisica e psicologica della donna» sussistono sempre quando la donna intende abortire, come dimostra l’esperienza italiana: se la salute corrisponde al «pieno benessere fisico e psichico», come la definisce l’OMS, è evidente che il rifiuto della gravidanza e della maternità e la volontà di abortire già pongono la donna in una situazione di «pericolo per la salute psichica»; analogamente deve dirsi quanto alle anomalie o malformazioni del nascituro: questa previsione (art. 6, lett. b) non fa che attuare quella guerra nei confronti dei bambini malati o affetti da difetti o sindromi che si sta attuando in tutto il mondo e che porta inevitabilmente al rifiuto sociale anche dei pochi soggetti che sono scampati all’aborto.
La previsione della libertà di aborto in caso di stupro o incesto si giustifica nell’ottica dell’autodeterminazione e – ovviamente – non tiene in alcun conto la vita del bambino, che dello stupro e dell’incesto non è responsabile.
6. Le sanzioni penali previste dall’art. 12 sono coerenti con il dettato.
Segnalo che la previsione generica di un aumento della pena nel caso in cui l’interruzione illegale comporti la morte della donna rischia di comportare pene assai lievi nel caso in cui la donna sia stata costretta ad abortire e poi muoia.
L’art. 12 lett. d), poi, conferma che, in questo disegno, il medico ha il compito di: a) non fare «pressioni» sulla donna, ma tacere; b) eseguire gli aborti richiesti, a rischio di essere discriminato sul lavoro; c) essere l’unico legittimato a procedere all’aborto. Davvero il medico non è questo!
7. In definitiva, il progetto deve essere interamente rigettato.
L’aborto libero e gratuito non è affatto una risposta ai problemi derivanti dalle gravidanze indesiderate; ogni soluzione legislativa non può che partire dalla presa di coscienza della realtà naturale: che ogni concepito è una vita umana e che l’aborto uccide una vita umana; che il concepimento avviene con il concorso di un uomo e di una donna e che, quindi, esiste sempre un padre del concepito, cui devono essere riconosciuti i diritti e i doveri.
La Dichiarazione dei diritti di San Marino afferma che la “madre” ha diritto all’assistenza e alla protezione della comunità: quindi l’ottica della norma fondamentale è totalmente diversa da quella della proposta di legge, perché la donna incinta non viene vista come un “problema”, che in qualche modo deve essere risolto, ma come un “bene” che riguarda tutta la comunità; perché un bambino – come sappiamo bene – è una speranza per tutta la comunità.
La proposta smentisce radicalmente questa impostazione, lasciando la donna sola e proponendogli soltanto la via (che sembra) più facile, quella di uccidere il suo bambino: ma è una soluzione che dimostra che la comunità si vuole disinteressare di lei e del suo bambino, vuole rinchiudersi nell’egoismo.
8. Un’altra previsione della Dichiarazione dei diritti dei cittadini e dei principi fondamentali dell’ordinamento sanmarinese deve essere sottolineato: quella del preambolo che, richiamando le «gloriose tradizioni di libertà e di democrazia della Repubblica», ripudia «ogni concezione totalitaria dello Stato».
La proposta di legge è un’evidente manifestazione di una concezione totalitaria dello Stato: quando propugna un’educazione sessuale pubblica obbligatoria in tutte le scuole, violando gravemente i diritti dei genitori all’educazione dei loro figli, e quando impedisce ogni richiamo alla verità della gravidanza e dell’aborto a tutto il personale, in modo che il bambino ucciso resti nascosto e dello stesso non si parli.
Giacomo Rocchi, Consigliere della Corte di Cassazione
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Ha ragione l'ex ministro Fontana: l'aborto non è la soluzione
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L'ex ministro per la famiglia Fontana ha affermato: "C'è da dire che in molti casi è per una preoccupazione economica che alcune donne decidono di non avere figli. Mi piacerebbe che lo Stato fosse più vicino a queste donne per far capire loro che, nel dubbio, un figlio è meglio farlo".
E' una semplice verità anche prevista dalla legge 194/78 che impegnerebbe lo Stato a rimuovere le cause che spingono la donna a scegliere di abortire.
Art. 2 comma d) I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
Questa parte purtroppo è disattesa. Anche i dati della relazione ministeriale annuale e le informazioni raccolte dai CAV in tutta Italia confermano che circa il 50% delle donne che decidono di abortire lo fanno a causa di preoccupazioni e bisogni di tipo economico. Era ora che anche un ministro della Repubblica Italiana richiamasse lo Stato al suo compito e dovere. L’aiuto in situazioni in cui spesso le donne sono lasciate sole, l’affiancamento economico (col progetto di adozione pre-natale, raccolti nel 2016 più di 2.000.000 di euro da privati cittadini), la consulenza di esperti fanno spesso la differenza mostrando che aiutare le donne a prendere coscienza della loro realtà di mamme e accompagnarle è decisivo. Nessuna donna aiutata e che abbia poi deciso di tenere suo figlio se ne è pentita. Dovrebbe sconcertare il fatto che una donna rinunci al suo bambino per motivi economici.
Difendere la libertà delle donne è permettergli di scegliere la vita. La scelta dell'aborto è sempre terribile, innanzitutto per la perdita della vita del bambino ma è molto dolorosa e lascia profondi gravi traumi anche nelle donne. I traumi di questa scelta sono studiati e noti come sindrome post-aborto e spesso condizionano la vita futura di queste donne e in particolare le loro relazioni.
Giustamente Fontana ricorda anche l’importanza di favorire politiche di conciliazione lavoro-famiglia "per la donna è fondamentale poter godere della propria maternità senza dover rischiare carriera o lavoro. I dati confermano che se una donna diventa mamma mantenendo il proprio lavoro, non solo tende ad avere una seconda maternità ma contribuisce attivamente ad aumentare la produttività dell'azienda. Bisogna far capire alle imprese che il welfare è positivo per l'azienda stessa".
E' una semplice verità anche prevista dalla legge 194/78 che impegnerebbe lo Stato a rimuovere le cause che spingono la donna a scegliere di abortire.
Art. 2 comma d) I consultori familiari istituiti dalla legge 29 luglio 1975, n. 405, fermo restando quanto stabilito dalla stessa legge, assistono la donna in stato di gravidanza: d) contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza.
Questa parte purtroppo è disattesa. Anche i dati della relazione ministeriale annuale e le informazioni raccolte dai CAV in tutta Italia confermano che circa il 50% delle donne che decidono di abortire lo fanno a causa di preoccupazioni e bisogni di tipo economico. Era ora che anche un ministro della Repubblica Italiana richiamasse lo Stato al suo compito e dovere. L’aiuto in situazioni in cui spesso le donne sono lasciate sole, l’affiancamento economico (col progetto di adozione pre-natale, raccolti nel 2016 più di 2.000.000 di euro da privati cittadini), la consulenza di esperti fanno spesso la differenza mostrando che aiutare le donne a prendere coscienza della loro realtà di mamme e accompagnarle è decisivo. Nessuna donna aiutata e che abbia poi deciso di tenere suo figlio se ne è pentita. Dovrebbe sconcertare il fatto che una donna rinunci al suo bambino per motivi economici.
Difendere la libertà delle donne è permettergli di scegliere la vita. La scelta dell'aborto è sempre terribile, innanzitutto per la perdita della vita del bambino ma è molto dolorosa e lascia profondi gravi traumi anche nelle donne. I traumi di questa scelta sono studiati e noti come sindrome post-aborto e spesso condizionano la vita futura di queste donne e in particolare le loro relazioni.
Giustamente Fontana ricorda anche l’importanza di favorire politiche di conciliazione lavoro-famiglia "per la donna è fondamentale poter godere della propria maternità senza dover rischiare carriera o lavoro. I dati confermano che se una donna diventa mamma mantenendo il proprio lavoro, non solo tende ad avere una seconda maternità ma contribuisce attivamente ad aumentare la produttività dell'azienda. Bisogna far capire alle imprese che il welfare è positivo per l'azienda stessa".
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