“La civiltà del mondo occidentale è il prodotto di un matrimonio singolarmente fecondo tra fede e ragione, tra Gerusalemme e Atene. Purtroppo quel matrimonio è ormai in crisi, e un divorzio finale sarebbe catastrofico. Gregg ha ragione; una civiltà non può sfuggire alla sua eredità spirituale. Ma una civiltà può morire”.
È quello che scrive Phil Lawler su Catholic Culture a commento dell’ultimo libro di Samuel Gregg. L’articolo di Lawler è molto interessante e per questo lo propongo all’attenzione dei lettori del blog nella mia traduzione.
Nella sua conferenza di Regensburg (Ratisbona, ndr) del settembre 2006 – un discorso che dovrebbe essere riconosciuto tra le più importanti dichiarazioni pubbliche della nostra epoca – Benedetto XVI ha spiegato come il connubio tra fede e ragione venga messo in pericolo: da una forma di fede che rifiuta la ragione da una parte e un tipo di ragione che rifiuta la fede dall’altra. In Ragione, Fede e lotta per la civiltà occidentale, Gregg concretizza quell’argomento e le sue implicazioni: implicazioni che sono critiche per il nostro futuro.
Nella Conferenza di Ratisbona, come in quasi tutto questo lavoro, papa Benedetto XVI ha trattato temi difficili con uno stile disarmantemente semplice, rendendo il suo argomento facile da comprendere. Purtroppo, il discorso è stato scarsamente coperto dai mass media, che si sono concentrati quasi esclusivamente sulla reazione arrabbiata dei musulmani militanti – che, altrettanto tristemente, hanno confermato il punto di vista del Pontefice, nel momento in cui hanno cercato di soffocare una critica ragionata e rispettosa con una violenza irrazionale. Questa reazione squilibrata ha allontanato l’attenzione dalla critica incisiva del Papa nei confronti dello sterile razionalismo materialistico che è arrivato a dominare il mondo un tempo conosciuto come cristianità.
Anche Gregg scrive con uno stile semplice e accattivante e, pur trattando temi profondi, si rivolge al lettore comune piuttosto che allo specialista. Si tratta di un libro breve e accessibile, che potrebbe servire come introduzione all’argomento.
La ragione e la fede non sono rivali naturali, osserva Gregg, almeno non nella tradizione intellettuale occidentale. L’eredità ebraica, ereditata dal cristianesimo, si concentra sul Logos: la Parola, la Verità. L’Antico Testamento è ricco di riferimenti alla Sapienza, partner di Dio nella creazione. E poi naturalmente “il Verbo si è fatto carne, ed è venuto ad abitare in mezzo a noi”, e vediamo il Logos in forma umana. Nella comprensione scritturale, nota Gregg, “La sapienza è considerata anche una qualità più che umana. È un dono divino”.
I filosofi dell’antica Grecia non fecero alcun riferimento alla Rivelazione. Tuttavia, anche Platone parlò della sapienza come qualcosa di divino. Il Logos della filosofia greca si conciliava facilmente con la comprensione degli ebrei e dei cristiani. Verità e sapienza erano viste come benedizioni da perseguire e accettare con gratitudine. La ragione potrebbe contribuire secondo la sua specificità verso il Logos, ma si arresterebbe poco prima dell’ultimo stadio, che potrebbe essere afferrato soltanto nella contemplazione – ed anche allora, fugacemente e parzialmente. Dal punto di vista sia di Atene che di Gerusalemme, la sapienza implicava una componente spirituale: qualcosa di non solo logico, non solo cognitivo.
Il matrimonio tra fede e ragione produsse le grandi università, il fiorire delle arti, l’esplosione del sapere scientifico che ha costruito la Civiltà occidentale. Ma nessuno sforzo umano è perfetto, e anche questa collaborazione ha sempre avuto i suoi momenti critici. Una deformazione della fede ha generato ostilità verso la ragione, e viceversa, in episodi infelici e ricorrenti della storia occidentale.
Questi problemi si sono aggravati, tuttavia, quando i filosofi moderni hanno ridotto la sapienza alla conoscenza e i campioni dell’Illuminismo hanno insistito sul fatto che l’analisi scientifica dovesse sostituire la fede religiosa. Gregg si sforza di spiegare che, nonostante l’ostilità dei filosofi, le menti migliori della Chiesa sono rimaste dedite alla ricerca scientifica, e che è sciocco suggerire che “i devoti cristiani erano universalmente contrari ai vari Illuminismi”. Purtroppo il loro rispetto per la ragione non fu fatto fruttare, ed è molto più vicino alla verità dire che i pensatori dell’Illuminismo erano universalmente contrari alla fede.
Iniziò così una lunga deviazione nel mondo occidentale, un costoso errore filosofico. Poiché l’approccio illuminista era una deformazione della ragione così come era stata intesa dalla filosofia classica, ha prodotto risultati sempre più squilibrati. Da Voltaire e Rousseau, il flusso filosofico sfociò troppo rapidamente in Nietzsche, il cui esplicito rifiuto della ragione è, osserva giustamente Gregg, “l’antitesi dei migliori aspetti dell’Illuminismo”.
Nel nostro tempo il rifiuto della ragione si è trasformato in quella che papa Benedetto XVI ha definito la “dittatura del relativismo”. Nella sua conferenza di Ratisbona, Benedetto XVI ha detto:
In tali condizioni, la tolleranza non è più una questione di stabilire la libertà di esprimere le proprie opinioni e di discutere su ciò che è vero. Diventa invece uno strumento per chiudere la discussione insistendo sul fatto che nessuno può affermare che le sue posizioni filosofiche o teologiche sono vere. [enfasi nell’originale]
In assenza di una discussione razionale, il discorso pubblico scende nell’emotività. E quando il naturale desiderio di verità e di risposte alle domande è ulteriormente contrastato dalla correttezza politica, che chiude gli argomenti, la frustrazione sale, producendo esplosioni di violenza. La sfida che ci si presenta ora – affrontata nell’utile libro di Gregg – è se possiamo recuperare la nostra eredità spirituale, e con essa la nostra capacità di dialogo ragionato alla ricerca della sapienza, prima che la nostra civiltà si dissolva nel caos.
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Il suicidio in diretta: l’ultima trovata del Dottor Morte
“È tutto molto nuovo. Alcune persone che hanno programmato di fare questo passo sono state molto generose. A loro non importa essere osservate mentre muoiono, perché sono consapevoli che siamo tutti molto desiderosi di ottenere buone informazioni”.
La dichiarazione è di Phillip Nitschke, meglio conosciuto come Dottor Morte, fondatore del gruppo pro-eutanasia Exit International, e il nuovo “servizio” di cui parla è un sistema video che consente di guardare le persone mentre si suicidano.
Da quando il Dottor Morte si è fatto venire questa nuova idea già due persone, entrambe in Australia, hanno dato il permesso di trasmettere in diretta i loro suicidi.
Soprannominato anche il “guru dell’eutanasia”, Nitschke, australiano, nel 1996 è stato il primo medico a somministrare legalmente un’iniezione letale a uno dei suo pazienti, e l’anno dopo ha fondato Exit.
Se all’inizio considerava l’eutanasia come una soluzione per mettere fine alle sofferenze dei malati terminali, in seguito il Dottor Morte ha sostenuto che scegliere quando e come morire dovrebbe essere un diritto di tutti, indipendentemente dalle condizioni di salute.
Inventore di Sarco, una “macchina per il suicidio” che, a suo giudizio, permette alle persone di uccidersi “in pace”, Nitschke sostiene che scegliere di morire dovrebbe essere normale. “ Quando lavoravo alla legalizzazione dell’eutanasia in Australia, incontrai moltissime persone che volevano morire ma non avevano motivi medici per farlo. Una era una donna francese, un’ accademica, che aveva pianificato di morire a ottant’anni. Non perché fosse malata, ma perché pensava fosse una bella età per morire. Quando le manifestai il mio scetticismo mi rispose, e aveva ragione, che non era compito mio giudicarla. La decisione era sua e non aveva niente a che fare con le regole che seguivo io in quanto medico. Anche grazie a quella donna ho cambiato idea. Mi sono convinto che la morte deve essere un diritto per ogni essere umano sano”.
Ed ora ecco il passo successivo: un “servizio” di streaming live con il quale si può guardare “in tempo reale” la morte di chi ha deciso di mettere fine alla propria vita. Tutto “nel nome della scienza”, sostiene Nitschke, precisando che i due suoi connazionali che già si sono lasciati osservare mentre si suicidavano erano entrambi di Brisbane e si sono uccisi nello scorso mese di maggio.
Nel corso di una conferenza del Dottor Morte, una donna di recente ha duramente attaccato Nitschke, sostenendo che con le sue iniziative strumentalizza persone malate e depresse, che in quanto medico dovrebbe vergognarsi, che è un irresponsabile e che con la sua attività porta alla morte persone spesso non in grado di decidere lucidamente, ma lui va dritto per la sua strada, che ora prevede, appunto, anche la possibilità di osservare in diretta un’eutanasia.
“Le convinzioni e le invenzioni di Nitschke sono del tutto depravate. Un servizio di streaming live sfrutta le persone vulnerabili mettendo in mostra il suicidio come se fosse qualcosa di elegante e glamour” ha detto Michael J. Robinson, direttore della comunicazione della sezione scozzese della Society for the Protecion of the Unborn Children, un’organizzazione pro-life. “Stiamo assistendo all’impatto devastante che Nitschke e il suo gruppo pro-eutanasia stanno avendo sulla vita delle persone vulnerabili”.
Aldo Maria Valli
Il dott. Phillip Nitschke è un creativo, ma con un unico problema: la passione per la morte. Infatti, è chiamato “Il dott. morte”. E’ un degno esempio di quella cultura nichilista che sempre più si sta diffondendo nei paesi occidentali.
Perchè il dott. Phillip Nitschke è un creativo della morte? Cosa ha inventato? Sempòlice, attrezzi e servizi per il sostegno al suicidio assistito e per l’eutanasia. E’ un chiaro esempio di dove può arrivare la cultura della morte.
Ad esempio, ha inventato la navicella che porta alla morte. E’ una “capsula del suicidio” stampata in 3D, vista per la prima volta nel 2012, prodotta per uccidere i pazienti con azoto. Essa contiene bombole di azoto liquido che viene rilasciato quando viene attivato dalla persona che è posta al suo interno, causando il crollo dell’ossigeno a livelli molto bassi tali da portare alla morte la persona. La bombola viene poi staccata dalla capsula che può essere usata come bara per l’occupante. Per tale motivo, tale capsula viene chiamata anche “camera a gas glorificata”.
Nitschke, orgoglioso della sua creazione, l’ha presentata al workshop chiamato ‘Disrupting Death’, nel Queensland, in Australia, finalizzato ad informare le persone su come porre fine alla loro vita. Rivolto a coloro che hanno più di 50 anni o ai malati terminali, il workshop sostiene che la capsula suicida può uccidere con “stile ed euforia”. Sì, proprio con “stile ed euforia”. Infatti, guardate lo stile ultima moda della navicella, una bara che prima ti uccide e poi accoglie le tue povere spoglie.
Parlando a Exit International, gruppo pro-eutanasia, di cui ne è il fondatore, Nitschke ha detto: “L’idea di usare una macchina per avere il controllo assoluto è stata davvero un mio interesse a lungo termine. Così, una persona può, con il minimo coinvolgimento, entrare nella macchina e premere un pulsante per una morte molto tranquilla, elegante e quasi euforica”.
Non contento di questa invenzione, il dott. Nitschke ha creato un servizio video per poter vedere le persone che si uccidono in tempo reale. Secondo il Daily Mail, Nitschke ha sostenuto che il servizio video, che gli permette di vedere le persone che si suicidano in tempo reale, migliorerà la qualità della morte assistita. Nitschke ha detto: “Questo è tutto molto nuovo. Alcune persone che hanno pianificato di fare questo passo sono state molto generose. A loro non dispiace che la loro morte venga osservata perché sono consapevoli che siamo molto interessati ad avere buone informazioni”.
Da quando il servizio video è stato ideato, già due australiani hanno trasmesso in diretta streaming i loro suicidi a Nitschke , mentre altri due dovrebbero seguirli.
Persone vulnerabili
Il gruppo pro-eutanasia, Exit International, è stato fondato da Nitschke nel 1997 e sostiene il suicidio legale assistito e l’eutanasia. Nitschke ha recentemente partecipato ad una conferenza a Perth, in Australia, nella quale ha aggiornato i suoi seguaci sui metodi del suicidio, indipendentemente dalla salute fisica degli aspiranti. E’ stato in questa conferenza che il “dott. morte” si è trovato di fronte ad una giovane donna (guardate il video).
Sfidando Nitschke sul palco, la donna ha detto: “Ci sono giovani che sono morti, persone con depressione. È sbagliato, è totalmente irresponsabile, lui era un medico, è sbagliato. Chieda scusa per quello che è successo a mio padre. Le informazioni che lei pubblica uccidono le persone che non sono in uno stato d’animo razionale per prendere questa decisione”.
La donna ha affermato che suo padre, di 60 anni, si è suicidato due anni fa, dopo aver ricevuto consigli dal gruppo di Nitschke. Ha detto che suo padre soffriva di depressione ma non aveva una malattia terminale.
Vetrina del Suicidio
Michael Robisnon, SPUC Scotland Director of Communications ha detto: “Le convinzioni e le invenzioni di Nitschke sono oltremodo depravate. Creazioni come una capsula suicida o un servizio di live-streaming sono tattiche usate per sfruttare le persone vulnerabili mostrando il suicidio come se fosse elegante o glamour”.
Robinson ha continuato: “Stiamo ora assistendo al devastante impatto che Nitschke e il suo gruppo dedito all’eutanasia sta avendo sulla vita delle persone vulnerabili. Le creazioni e la pubblicità di Nitschke trasmettono un messaggio mortale: che alcune vite contano più di altre e che uccidere conta più del curare”.
di Sabino Paciolla
Transumanesimo: verso le nuove «dittature digitali»
(Mauro Faverzani) L’opinione pubblica non se ne rende conto, anche perché chi agisce, lo fa senza dar troppo nell’occhio, ma il transumanesimo avanza ed i suoi progetti stanno compiendo, purtroppo, passi da gigante. Gli scienziati dell’Ucsf-Università di California San Francisco, sovvenzionati da Facebook, hanno pubblicato nei giorni scorsi uno studio, in cui hanno evidenziato i risultati sin qui raggiunti nella messa a punto di un’interfaccia cervello-computer: l’attività dei neuroni viene trasmessa alla macchina mediante specifici innesti e decodificata grazie ad algoritmi in una selezione limitata di domande-risposte.
L’obiettivo finale è quello di realizzare impianti più comodi, meno invasivi e più pratici, come, ad esempio, un paio di occhiali a realtà aumentata, muniti di sensori e controllati direttamente dal pensiero: «Da qui ad una decina d’anni la facoltà di digitare direttamente dal nostro cervello verrà forse considerata normale», è scritto in un articolo online di Facebook, per fare il punto sul progetto lanciato due anni fa: «Non molto tempo fa, ciò era solo fantascienza. Adesso, invece, questa prospettiva è raggiungibile».
Quasi contemporaneamente anche Elon Musk, fondatore e amministratore delegato di Tesla e di Space X, nonché inventore dell’auto senza pilota, ha dichiarato con orgoglio che la sua start-up Neuralink è riuscita a far controllare un computer direttamente dal cervello di una scimmia. Dopo 3 mila innesti sui ratti, entro l’anno prossimo dovrebbero cominciare i test sui soggetti umani. Ovviamente, per giustificare tutti questi esperimenti agli occhi dell’opinione pubblica, si cerca di presentarli come tentativi per debellare alcune malattie cerebrali o relative al midollo spinale, vincendo problemi di paralisi, di lesioni o patologie neurodegenerative. Ma, come ogni coltello, anche in questo caso l’arma è quanto meno a doppio taglio ed il rischio di un utilizzo improprio è altissimo. Anche perché le premesse sono tutt’altro che incoraggianti, scontrandosi con i protocolli sinora applicati in campo medico. Basti questo: per vincere la paralisi, dovrebbero essere impiantati nel cervello umano circa 10 mila elettrodi contro i 10 soli approvati dalla FDA-Food and Drug Administration per i soggetti affetti dal morbo di Parkinson.
Ma non è tutto. I lavori fervono in un ambito estremamente rischioso. Il «progetto Steno», finanziato da Facebook Reality Labs nel contesto delle ricerche sulle tecnologie di realtà aumentata e virtuale, punta a progettare un’interfaccia in grado di decodificare 100 termini al minuto in tempo reale con un vocabolario da mille parole ed un tasso d’errore inferiore al 17%. Dal canto suo, Neuralink ha rivelato d’aver predisposto un chip, munito di fili talmente ultrasottili da poter essere impiantati nel cervello direttamente da un robot, al fine di raggiungere una simbiosi pressoché totale con l’intelligenza artificiale, come spiegato dallo stesso Musk. Che ha a che fare tutto questo con l’intento di fornire un semplice aiuto in caso di patologie cerebrali? È chiaro come l’obiettivo sia un altro…
Siamo di fronte, in realtà, al nuovo tentativo faustiano di trasformare l’essere umano in un robot con cervello “potenziato”, ottenuto dalla fusione con l’intelligenza artificiale. Un mostro, in buona sostanza, di cui non si avverte assolutamente la necessità e di cui non si possono assolutamente prevedere le conseguenze. Tutto qua? No. Benché la prospettiva risulti già in sé terrificante, non è tutto. Yuval Noah Hararari, saggista, docente di Storia medioevale e militare presso l’Università Ebraica di Gerusalemme ed autore del libro Homo deus. Breve storia del futuro, ha dichiarato già due anni fa al Forum Fnac-Federazione Nazionale dell’Acquisto per i Quadri: «Lo scopo non è quello di prevedere [la Storia], bensì di estendere l’orizzonte delle nostre possibilità. Tra 50 anni [la democrazia liberale] potrebbe essere completamente scomparsa. Il mondo potrebbe essere dominato da dittature digitali. Quindi la rivoluzione digitale in corso potrebbe condurre alla creazione di una nuova forma di regime autoritario». Il che rivela come i propositi non siano prima di tutto di carattere sanitario, ma corrispondano, in realtà, ad un vero e proprio programma politico, come confermato anche dal dott. Laurent Alexandre.
Il dott. Alexandre, oltre ad essere medico, presidente della Dna Vision, società belga di sequenziamento del Dna16, ed a capo del Gruppo Hima, società specializzata nella cybersicurezza e nelle soluzioni integrate, è stato a lungo anche segretario nazionale del partito Democrazia liberale, prima che si dissolvesse nell’Ump-Unione per un Movimento Popolare di Sarkozy. Ebbene, lui due anni fa, nel corso di una conferenza tenuta a Parigi presso gli Amici del Crif-Consiglio Rappresentativo delle Istituzioni ebraiche di Francia, si è detto convinto, senza tanti giri di parole, che nel XXI secolo «l’intelligenza in senso lato, che sia biologica o artificiale» rappresenti «la chiave di tutti i poteri: politico, militare, scientifico, intellettuale, eccetera», in quanto «stiamo vivendo un cambiamento di civiltà». Il che evidenzia, anzi spalanca scenari per nulla rassicuranti… Chi governerà, esattamente, questo cambiamento? E per fare cosa? Chi avrà la forza istituzionale d’imporre regole? (Mauro Faverzani)
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