Come ha notato giustamente Il Giornale la situazione è talmente paradossale che farebbe ridere, se non fosse che di mezzo ci siano le vicende di abusi legati agli affidi di minori a Bibbiano e nella zona della Val d’Elsa.
Nonostante ad essere coinvolti sia il sindaco del PD di Bibbiano, nonostante siano coinvolti per abuso d’ufficio altri due ex sindaci di Montecchio e di Cavriano sempre della stessa area, a condurre la cosiddetta “Commissione d’Inchiesta” sono escluse praticamente le forze di opposizione più decise. Per decisione della Giunta, cioè del PD, nella commissione vi sono solo il PD stesso, un membro di Sinistra Italiana ed uno del M5s. Esclusi Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia.
Una commissione d’inchiesta ridicola, fatta ad hoc per assolvere l’operato della giunta, con un solo membro dell’opposizione e di quella fetta che, comunque , appoggia la politica Gender della maggioranza.
Solitamente le commissioni d’inchiesta vengono guidate dalle opposizioni. In Emilia Romagna no, questo non succede, la maggioranza deve “Indagare” su se stesa. Una mossa che fa sospettare ci sia ben di peggio nascosto nei meandri della burocrazia regionale, quella che NON ha controllato le stranezze come i famosi dati statistici sugli affidamenti:
Già le anomalie di questo grafico mostrano come qualcuno in regione si sia girato dall’altra parte. Concedere ora praticamente SOLO a chi governa la possibilità di indagare è SCANDALOSO. Sarebbe meglio che partisse una commissione d’inchiesta parlamentare NAZIONALE ed una ministeriale del ministero per la Famiglia. Perchè le responsabilità anche amministrative della Regione sono troppo grosse per far finta di nulla.
Guido da Landriano
Caso Bibbiano, la testimonianza choc di Stefania: "Così mi hanno portato via la mia bambina"
“Io non so neanche dove sia. Non so se sta bene. Non so se piange, se mi cerca. Sono disperata"
“Io non so neanche dove sia. Non so se sta bene. Non so se piange, se mi cerca. Sono disperata"
“Hanno rapito mia figlia”. Inizia così la conversazione con Stefania che, al telefono con la voce rotta dal dolore, ci racconta di come i servizi sociali di Reggio Emilia le hanno strappato via la sua bambina di appena due anni.
”Una mattina - dice - mentre ero sola in casa, sento dei rumori venire dal giardino. Dopo poco qualcuno inizia a bussare forte alla porta”. Era il 3 aprile. Stefania va a controllare chi è. Sono un uomo e una donna. Si presentano e le dicono di essere dell’Enpa, l’Ente Nazionale Protezione Animali, e affermano di essere intervenuti dopo una segnalazione del vicino di casa: “I cani abbaiano troppo”. Ma Stefania non si fida. Come erano arrivati in giardino i due? E perché volevano entrare con la forza in casa sua alle 10 del mattino? “Ero perplessa - continua - e ho chiesto spiegazioni, ma loro mi continuavano a dire che dovevo aprire”.
Marco, il compagno di Stefania, aveva installato alcune telecamera nel giardino dopo aver subito un furto. È proprio dalle immagini di quei monitor che la madre comincia a sospettare che ci sia qualcosa di strano, quando si accorge che stanno arrivando anche altre persone. Poi il buio. “Tutto d’un tratto mi accorgo che le telecamere si erano spente - spiega in lacrime Stefania - mi avevano staccato la corrente. Ero terrorizzata.”
Stefania decide di chiamare sua madre, che subito raggiunge la figlia a casa e riattiva immediatamente la luce. Da quel momento le telecamere riprendono a registrare. Nel frattempo, però, erano arrivati anche i poliziotti: “Era surreale, non capivo cosa stesse succedendo”. Così Stefania si ritrova cinque persone dentro casa. “Mi chiedono i libretti dei miei cani. E io inizio a cercare per darglieli", spiega la mamma. Ma mentre Stefania cerca di soddisfare le richieste della polizia qualcuno inizia a salire le scale della sua casa. Al piano di sopra dormiva la bambina. Passano pochi minuti e Stefania sente piangere la piccola. Un pianto di terrore. La mamma si precipita a vedere cosa è successo: “Mia figlia era tra le braccia di un uomo che la teneva come un pacco. A testa in giù. E intanto correva per le scale.” La mamma allora inizia a rincorrere l’uomo e cerca di strappargli via la piccola. “Ho iniziato a correre più forte che potevo. Nessuno può capire cosa scatti nella mente di una madre in una situazione simile. Non capivo più niente - continua la mamma -. L’avevo quasi raggiunta, ma loro sono stati più veloci. L’hanno caricata sulla macchina e se ne sono andati”. L’auto dei servizi sociali si allontana dalla casa mentre Stefania, in lacrime, guarda sua figlia sparire tra i palazzi. Da quel giorno i due genitori non hanno più visto la loro bambina. “Io non so neanche dove sia - grida al telefono la madre -. Non so se sta bene. Non so se piange, se mi cerca. Sono disperata. Tutto questo mi sta uccidendo.”
Ma facciamo un passo indietro. Tutto inizia molti anni fa, quando Stefania all’età di vent’anni cade nel tunnel della droga. “I miei - ci confessa - si erano da poco separati. Stavo videndo una situazione difficile. Ho iniziato a fumare eroina. In realtà non sapevo neanche cosa stessi facendo.” Ma la donna capisce subito che quella strada le avrebbe rovinato la vita, e così inizia a curarsi: “Dopo poco decisi di smettere e mi rivolsi al Sert”. Ed è proprio lì, tra medicinali e crisi di astinenza, che la donna conosce un uomo. I due si incontrano a Parma, nella clinica in cui lei si stava disintossicando. Usciti dalla struttura i due si sposano e, dal matrimonio, nasce una bambina. Dopo due anni e mezzo la mamma decide di tornare in una clinica. Questa volta per liberarsi dalla dipendenza di Subutex, un farmaco molto invasivo che le avevano dato per curare la dipendenza dagli oppiacei. “Mentre ero in clinica - aggiunge - la bambina stava con mia madre, che per starle dietro aveva chiesto aiuto a mia zia.” Ed è da lì che iniziano i problemi. La zia sostiene che la nipote non sia in grado di gestire la figlia. E, tramite alcune conoscenze, decide di far intervenire gli assistenti sociali. Con un provvedimento d’urgenza la bambina viene affidata ai servizi sociali e collocata presso la zia. Ma, al tempo, Stefania, lontana da casa, decide di subire questa situazione: “Ero troppo giovane e non avevo le risorse economiche per difendermi nelle sedi opportune. Ho sbagliato, ho lasciato correre.”
Per lei da quel giorno inizia un’altra vita. Conosce Marco e, dopo poco, esce definitivamente dalla droga. Nel 2016 Stefania rimane incinta della sua seconda figlia. Una gravidanza felice, questa volta, accanto all’uomo che l’ha aiutata ad uscire da ogni tipo di dipendenza. Una mattina la madre, che da giorni non riusciva a dormire, decide di andare al pronto soccorso. E lì, per la mamma, inizia l’inferno. La struttura ospedaliera avverte il reparto di psichiatria e si rivolge agli assistenti sociali. Gli stessi che già avevano agito contro di lei dopo le segnalazioni della zia con la prima figlia e che, questa volta, chiedono esplicitamente di essere richiamati quando la madre verrà ricoverata per il parto. E così è stato.
“Dopo il parto mi hanno chiesto di sottopormi alle analisi tossicologiche. Io non capivo perché. Erano già tre anni che ero pulita. Non c’era nessun motivo per controllarmi ancora", racconta. Ma Stefania decide di collaborare, ha paura che il gioco-forza non giovi alla situazione. Le analisi sono negative, sia per lei che per la bambina: “Ero contenta, pensavo che a quel punto mi lasciassero stare. Credevo che finalmente mi sarei goduta la mia bambina”. Racconta la mamma. Ma non fu così. Le analisi non bastarono. I servizi sociali obbligarono la madre ai controlli domiciliari: “Le assistenti venivano da me ogni giorno. Mattina e pomeriggio.” Nonostante le continue pressioni, le visite giornaliere e il dispiacere di essere considerata una madre inaffidabile dopo tutti gli sforzi e gli obiettivi raggiunti per rimettere in piedi la sua vita, la mamma non si oppone e fa tutto quello che le viene chiesto. Fino a quando non le annunciano che dovrebbe andare in una casa famiglia insieme a sua figlia: “Mi rifiutai. Non potevo accettare una cosa del genere. Non c’erano motivazioni valide per allontanarci da casa. Sono anni che sto bene. Vivevamo felici, tutta la famiglia insieme, nella nostra casa. Mi stavano togliendo tutto, senza spiegarmi perchè. Dovevo lottare per la mia felicità.”
Una battaglia estenuante. A ottobre del 2018 il Tribunale dei minori di Bologna emette un decreto provvisorio. Le motivazioni, a suo dire, sono false: “Dichiaravano che vivevo in uno scantinato, cosa assolutamente non vera. Ribadivano la mia tossico dipendenza, ormai superata da anni.” Con quel decreto la piccola sarebbe stata strappata dalle braccia dei suoi genitori. Non ci sta ad essere stata raggirata. E Stefania, oggi, rivuole sua figlia.
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/bibbiano-storia-stefania-hanno-portato-mia-bambina-linganno-1735966.html
La guerra contro i bambini
Omofobia, xenofobia, islamofobia… E se l’emergenza dei nostri giorni fosse invece la puerofobia? Non sopportiamo più i bambini, li maltrattiamo, li usiamo e li abusiamo, calpestiamo i loro affetti primari, la loro natura e la loro indole infantile. Meglio i cani o i gatti che avere bambini tra i piedi. Siamo alla guerra civile contro l’infanzia.
La triste storia di Bibbiano dei bambini sottratti con la forza e la menzogna alle loro famiglie è la punta di un iceberg inquietante ma anche l’emblema di una guerra ai bambini e alla famiglia naturale. Su altri piani sono quotidiani i casi di violenze e sevizie, anche mortali, inflitte ai bambini nella più tenera età. Genitori solitamente tossici si accaniscono coi loro figli con crudeltà inumane, insofferenti alle loro minime turbolenze.
Nello stesso tempo emergono periodicamente siti pedofili, traffici di bambini e tentativi di adescarli su strada.
Intanto perdura inattaccabile l’industria dell’aborto, la soppressione dei bambini indesiderati. E il racket delle adozioni, le battaglie contro la fertilità, la maternità e le famiglie naturali. Storie diverse, piani differenti, ma vanno tutte in una direzione: la guerra molecolare contro i bambini. È ormai a pieno regime l’Opera Nazionale contro la Maternità e l’Infanzia.
Il bambino è considerato l’Intruso, l’Intralcio alla nostra vita e alla nostra libertà, o semplicemente un pacco postale da rispedire, un materiale da smaltire, come un rifiuto tossico, o un oggetto di consumo, di sfogo sessuale, di perversione o una vittima sacrificale su cui scaricare la vita, il lavoro e il mondo che non ci piace. Ma quando metti insieme la campagna assordante contro la famiglia naturale e tradizionale, il pregiudizio che si cresca meglio demolendo le figure genitoriali e ripudiando i padri e le madri naturali più il controllo invasivo della struttura pubblica sulle famiglie, il risultato è quello.
Quel che resta della brutta storia di Bibbiano, oltre le responsabilità penali e civili dei protagonisti, è il rifiuto della famiglia. Non è più considerata il focolare ma il focolaio di tutte le infezioni sociali, dal sessismo al razzismo, dal familismo all’omofobia. Dunque sottrarre i figli alla famiglia naturale è progresso, è emancipazione. Meglio genitori adottivi, magari omosessuali o lgbt, meglio le strutture pubbliche, le costosissime case-famiglie, che l’alveo naturale in cui sono nati.
A tutto questo si aggiunge il connotato di fondo, la denatalità, l’assenza di futuro delle nostre società imbevute di presente, l’egoismo dei genitori, eterni ragazzi che non vogliono cedere quote di vita e piacere all’egocentrismo sovrano dei bambini che competono coi capricci degli adulti ed esigono rinunce. L’unica forma di natalità compatibile è quella dell’utero in affitto; tutto meno che la procreazione secondo natura. Gli unici bambini su cui si esercita ancora una tenerezza umanitaria sono migranti; i bambini restanti in Africa nella miseria più nera, interessano assai meno. Lontani dal video, lontani dal cuore.
Bambini plagiati e venduti nel nome dell’infanzia guidata da assistenti sociali e psicologi, bambini violentati nel nome del piacere sessuale, perfino bimbi malati eliminati nel nome dell’eugenetica o della dolce vita dei loro genitori.
E bambini vietati nei luoghi della vacanza e del divertimento. Un posto fashion è per definizione proibito ai bambini, ai passeggini, alle famiglie tradizionali coi marmocchi. A malapena sono ammessi i vecchi, purché potenti, abbienti o travestiti da giovani. Ma i bambini no, in assoluto, perché sono per definizione proletari, non sono elettori e tantomeno eletti, e non sono consumatori attivi della droga, del sesso, dei viaggi, dei consumi, ma solo vittime passive. I pochi superstiti del regno infantile sono trattati coi guanti gialli, ipernutriti, benvestiti e tecnologicamente accessoriati, anche se poco educati alla vita reale e alle buone maniere; sono specie protetta, tecnologicamente avanzata, macchinette accessoriate, dotate di ogni comfort, eccetto i genitori e la comunità intorno.
Certo, è meglio vivere in società avare di bambini e piene di fobie, come la nostra, che in società in cui i bambini muoiono di fame o sono mandati a morire in guerra. Meglio vivere in una società come la nostra, dove vedi bambini confinati nei recinti dell’idiozia, squallida o lussuosa che sia, piuttosto che in paesi dove li usano come agnelli sacrificali, sgozzati o mandati a morire nel nome di Allah. Nei paesi islamici ho visto il sangue e il dolore dei bambini portati al piccolo macello rituale, per l’infibulazione o più frequentemente la circoncisione; li ho visti avvolti in panni di sangue, tra le lacrime; e ho pensato al sereno rituale dei nostri battesimi cristiani, prime comunioni e cresime, dove il massimo era un po’ d’acqua in faccia alla creatura in fasce o il buffetto rituale per diventare soldati di Cristo. Ma per il catechismo dominante, il male principale da rimuovere è la nostra religione coi suoi simboli e riti. Per questa ragione ai nostri bambini si preferisce negare pure il presepe e i canti di Natale, visti come segni di xenofobia…
Insomma su piani diversi siamo alla guerra all’infanzia. I bambini sono visti come i nemici dell’umanità perché ricacciano nel passato, ipotecano il presente e usurpano il futuro. E invece dovremmo riaprire le frontiere famigliari e accogliere i bambini, dar loro asilo. Mai parola fu più azzeccata per un popolo di piccoli profughi clandestini, costretto a lasciare la madrepatria e a vivere sotto mentite spoglie perché indesiderati. Di loro sarà il regno dei cieli; ma in terra da noi scarseggia chi è disposto ad accoglierli secondo natura e umanità.
MV, Panorama, n.32 (2019)
LA GARANTE DELL’INFANZIA – UNA DELLE “AUTORITA'” CHE DELEGITTIMANO LA DEMOCRAZIA
La (de)legittimazione democratica – le Autorità indipendenti
I. Le Autorità amministrative indipendenti e la loro latente incostituzionalità
Un tipico esempio di dissoluzione del circuito democratico è rappresentato dal proliferare delle c.d. “Autorità indipendenti” (o, con l’ennesimo vieto anglicismo, Authority). Soggetti palesemente eversivi rispetto al disegno costituzionale originario, incistatisi nell’ordinamento sulla scorta delle sempre più pervasive direttive comunitarie dei primi anni Novanta.
È stato scritto, con lodevole onestà: “le autorità indipendenti… operano… in aree in cui è prevalente il diritto europeo su quello nazionale, per cui trovano in un dato extra-statale la loro forza o legittimazione principale. La normativa comunitaria contribuisce anche a definire funzioni e modalità operative delle autorità indipendenti…. Per questo motivo, sono un fattore di disaggregazione dello Stato. Sono separate… dall’apparato amministrativo…, per cui non debbono né porsi problemi di coordinamento amministrativo, né operare ponderazioni di interessi pubblici configgenti. In questo senso contribuiscono alla frammentazione dello Stato. Sono sottratte all’influenza diretta del governo, nel senso che i titolari non sono nominati da esso, oppure nel senso che esso non può dar loro direttive. [Inoltre] … il finanziamento è parzialmente autonomo (a carico dei regolati). Rompono, quindi, l’unità della funzione amministrativa… Infine, svolgono funzioni di regolazione o aggiudicazione, non comunque redistributive. Dunque, per esse il principio di legalità opera in modo diverso. Queste caratteristiche ricorrenti, messe insieme, forniscono una prova della conclusione per cui le varie specie di autorità hanno potuto attecchire in un momento storico di cosiddetta «debolezza della politica». Un sistema politico nel pieno della sua forza non avrebbe acconsentito a vedersi sottrarre tante aree di influenza” (Cassese 2011).
La problematicità delle Authority rispetto al disegno costituzionale è risultata immediatamente chiara in dottrina, sia in termini legittimità(fuoriuscendo dal concetto classico di “amministrazione” di cui agli artt. 95, c. 1, e 97, cc. 2 e 3, Cost.), sia in termini di legittimazione (stante il loro ruolo di rottura del circuito democratico e la difficile individuazione di modalità di controllo sul loro operato): infatti “le Autorità…, in ragione della loro collocazione nel tessuto istituzionale e delle funzioni che sono chiamate a svolgere, derogano… ai… principi elementari del governo parlamentare” (Cheli 2001).
Onde superare il problema, vi è stato chi ha ipotizzato una loro responsabilità di fronte alla Camere (Cerulli Irelli 2001), recisamente contestata da chi (Merusi-Passaro 2003, Cassese 2002) ne ha invece evidenziato le funzioni di garanzia (Niccolai 1996) volte a evitare la “tirannia della maggioranza” e le ingerenze politiche o partitocratiche (cioè, in altri termini, a prendere decisioni discrezionali, quando non schiettamente politiche, al “riparo dal processo elettorale”). Altri tentativi, certamente un po’ più fondati giuridicamente ma meno onesti intellettualmente, hanno fatto riferimento al controllo giurisdizionale che limiterebbe la discrezionalità delle Authority; o alla procedimentalizzazione della loro attività, che si legittimerebbe democraticamente grazie alla dialettica, in fase endoprocedimentale, coi soggetti coinvolti nelle decisioni stesse (Merusi-Passaro 2002 parlano di “litisconsorzio necessario”; Clarich 1999 fa riferimento al due process of law; Carbone richiama Cons. Stato, 2 marzo 2010, n. 1215; da prospettiva assai diversa cfr. Barra Caracciolo 1997); o, infine, all’esistenza di un più o meno realistico modello madisoniano (Clarich 2001, Elia 2002).
(L’INTEGRALE DELL’ARTICOLO QUI:
BUROCRAZIE “INDIPENDENTI” O INADEMPIENTI? – A PROPOSITO DI BIBBIANO
I rom che vogliono Salvini morto: "Non possono toglierci la casa abbiamo rubato tanto per costruirla"
La sinistra si indigna per il termine "zingaraccia". Ma la rom che vuole morto Salvini ammette di aver passato una vita intera a rubare
La sinistra si indigna per il termine "zingaraccia". Ma la rom che vuole morto Salvini ammette di aver passato una vita intera a rubare
"Io sono la zingaraccia...". È con aria sfrontata che, davanti alle telecamere di Stasera Italia(guarda il video), la rom del campo nomadi di via Monte Bisbino, alla periferia Nord di Milano, rivendica il termine affibiatole da Matteo Salvini.
È stata lei che, intervistata dal Giornale.it (guarda il video), ha detto che il ministro dell'Interno "si merita un proiettile in testa". E il leghista ha replicato, appunto, che "per questa zingaraccia c'è bisogno di una ruspa democratica", e la sinistra si è subito schierata al suo fianco. Adesso lei si vanta di aver passato la vita a rubare in giro tutto quello che le capitava a tito. "Ora - dice - sono agli arresti domiciliari".
"Polemica surreale e cori indignati perché ho detto che è una zingaraccia...". Agli attacchi di progressisti e radical chic ieri sera Salvini ha replicato durante un comizio a Cervia dove sta trascorrendo le proprie vacanze estive. "Ribadisco è una zingaraccia", ha scandito incassando gli applausi di tutta la piazza. D'altra parte è la stessa rom a confermare ai microfoni di Stasera Italia di aver passato la vita a delinquere. "Rubavo tutto quello che mi capitava", ha raccontato senza farsi troppi problemi. "Portafogli, tutto... Sono sette anni ai domiciliari e ho combattuto per tutta la vita affinché i miei figli non facciano la mia stessa vita". Gli arresti domiciliari, li trascorre nella sua casa al campo nomadi di via Monte Bisbino dove la scorsa settimana fa è entrata anche una troupe del Giornale.it. Non si tratta, però, di un'abitazione fatiscente. Al contrario. Come documentato da un servizio di Stasera Italia, infatti, si tratta di una sorta di villino con arredamenti in stile Gomorra. Ovunque marmo bianco, candelabri di cristallo, divani di pelle, ampi tavoli da soggiorno.
"Voglio un condono", grida il marito della rom. Lì dove hanno costruito la casa, c'era il divieto di edificazione. E adesso pretendono che lo Stato gli dia una mano a risolvere la questione. E quando gli chiedono con quali soldi abbia pagato i lavori, non si fa problemi a dire che anche lui ha "truffato e rubato" per potersela permettere. "Ma mica agli italiani, solo agli svizzeri...", dice. In passato è già stato in carcere. Più di una volta. Per furto e per truppa, appunto. Eppure la sinistra è tutta presa a condannare Salvini per aver definito la moglie "una zingaraccia". La donna, forte del soccorso dei radical chic, va in giro a rilasciar interviste in cui conferma che al leader leghista "servirebbe una pallottola" e in cui lo accusa di "voler sterminare il nostro popolo".
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