ACTA APOSTATICAE SEDIS : come, cambiando un po' qua e un po' la, si può cambiare tutto...

domenica 4 agosto 2019

Suona surreale?

Al via la gender school. Prima fermata, Bibbiano



Partiamo da lontano, precisamente da un reportage pubblicato tre anni fa sulla Stampa, che il 31 luglio 2016 titolava: Un bambino su dieci molestato dai pedofili: “Allo Stato non importa”. Vale la pena di rileggere il pezzo oggi per intero, o almeno il florilegio che segue (i neretti sono nostri):
C’è un posto in Italia dove la lotta alla pedofilia è una priorità assoluta. E i risultati si vedono. È un fazzoletto di terra in provincia di Reggio Emilia dove gli otto comuni della Val d’Enza – 62mila abitanti, 12mila minorenni, 1900 in carico ai servizi, 31 seguiti per abusi sessuali – hanno costituito un’Unione guidata dal sindaco di Bibbiano, Andrea Carletti, per tutelare i minori. E magari cambiare anche la testa di chi non vede il problema. «Abbiamo fatto rete e lavoriamo con operatori specializzati capaci di dare risposte rapide. La variabile tempo è decisiva», dice Carletti. È seduto di fianco al medico legale Maria Stella D’Andrea e all’assistente sociale Federica Anghinolfi. «Noi la volontà politica l’abbiamo avuta. E nonostante i tagli abbiamo anche trovato i soldi». Come li hanno spesi? Facendo formazione sugli operatori per renderli in grado di leggere in anticipo i segnali di malessere, spesso aspecifici, dei bambini, rivalutando la figura dell’assistente sociale, lavorando con gli ospedali e con le scuole e appoggiando in modo esplicito le vittime della violenza. Ad esempio costituendosi parte civile in un processo contro una madre che faceva prostituire la figlia dodicenne. Favoloso. Ma i soldi? «Abbiamo cercato di ricorrere meno alle comunità (che pure sono fondamentali) dove per seguire un bambino servono 50mila euro l’anno. E abbiamo incentivato il ricorso agli affidi, che costano molto meno». Le idee. Un piano capillare. La professionalità degli operatori. «Per noi è decisiva la riumanizzazione delle vittime. E per questo servono empatia e competenze specifiche.Ma sa quanti sono i corsi di laurea, a medicina o a psicologia, che prevedono la materia: “vittime di violenza”? Zero», dice Maria Stella D’Andrea, che chiede al governo interventi non solo teorici. 
In questo Paese è ancora troppo forte l’idea della famiglia patriarcale padrona dei figli», dice Anghinolfi. Così in provincia di Reggio insistono con il fai da te. E a settembre, grazie anche alla consulenza del centro studi Hansel e Gretel di Torino, apriranno un Centro di Riferimento per minori che garantirà formazione, tutela, ascolto e assistenza. Venite qui, vi diamo una mano. Il sistema? Lo chiamano “riciclo delle emozioni”. Come se i bambini finissero dentro una lavatrice sana e cominciassero a lavarsi dentro. Ora, il modello degli otto comuni dell’Unione Val d’Enza è lì, basta allungare una mano e prenderlo. Interessa?
DA PRODIGIO A MOSTRO: IL MODELLO INVERTITO Oggi, tre anni dopo, sotto il cerone spalmato dalla propaganda amica, è emerso il vero volto di quel “modello”. Visto senza trucco, appare il mostro. Bibbiano è solo uno dei suoi mille tentacoli. Del resto, tutto torna, nel teorema Bibbiano: l’associazione a delinquere istituzionale – fatta di psico-esperti, educatori, assistenti sociali, giudici togati e giudici onorari (cioè, di nuovo psico-esperti), amministratori, politici – individua le famiglie in difficoltà, si impossessa dei figli, li distribuisce presso affidatari del giro e in tal modo lucra denaro, voti, soprattutto materiale umano necessario per ingegnerizzare i nuovi tipi di “famiglia”, agglomerati arcobaleno con prole finta, vale a dire fabbricata ad hoc o rubata già pronta. Carne fresca da sfruttare per fini commerciali e ideologici, in primis quello di ristrutturare artificialmente l’immagine della famiglia, ma non solo. Il pioniere di questo modello fu Fiesoli, col suo Forteto, applicazione del donmilanismo e palestra di pedofilia frequentata da clientela altolocata.
Lo spot della famiglia felice “omogenitoriale”, virtuosa per definizione in quanto “affidataria” e dunque salvatrice dell’infanzia offesa, serve oggi a creare casistica. La casistica (per il principio di effettività), insieme alla pedagogia da esercitare in via mediatica e in via educativa, è il presupposto imprescindibile della definitiva istituzionalizzazione delle famiglie sintetiche, che coincide con la definitiva disintegrazione dell’istituto famigliare. Che coincide, anche, con la definitiva corruzione dell’infanzia indifesa e infine, grazie all’addestramento precoce delle nuove generazioni al sesso libero e variegato nella grande orgia senza frontiere, con la diffusione della pederastia. Ecco allora che l’articolo della Stampa del 2016, a partire dal suo incipit, assume i contorni di una agghiacciante parodia. Il neoliberismo produce anche questo: la concorrenza industriale tra esercenti la perversione, pederastia compresa.
THE SHOW MUST GO ON Un po’ alla volta dell’officina emiliana sta venendo a galla tutto, grazie a Dio. Conferma dopo conferma, con buona pace dei negazionisti, il quadro si fa sempre più nitido. E più terrificante. Ha vuotato il sacco anche una assistente sociale “pentita”, alla quale come premio è stata revocata la misura cautelare: relazioni false per togliere i bambini alla loro famiglia, “l’ho fatto a causa delle pressioni che subivo dai miei superiori”. A causa del metodo Anghinolfi, insomma, quello contro l’idea della famiglia patriarcale che vuole essere padrona dei figli.
Ma non solo. Dopo il giudice (togato) del Tribunale dei minori di Bologna, Francesco Morcavallo, che già nel lontano 2013 denunciava i vizi del sistema che lo aveva ostracizzato per la sua resistenza ad adeguarvisi, costringendolo addirittura alle dimissioni dalla magistratura, ora parla ora anche un giudice onorario, Mauro Imparato, psicologo e psicoterapeuta, per denunciare le angherie subìte dai colleghi e dai superiori gerarchici a seguito dei tentativi di arginare le malepratiche dell’organo di cui faceva parte, con particolare riguardo agli allontanamenti facili e ad altri interventi de potestateprivi di fondamento.
Tutto viene a galla, si diceva, malgrado le sinistre, che hanno fatto l’uovo, frignino di fakenews, e malgrado i media compiacenti si affannino a stendere veli pietosi da tutte le parti, nel tentativo disperato di declassare la questione a cronaca spicciola di provincia, in modo da non pregiudicare l’avanzata della macchina tritatutto telecomandata da Bruxelles.
La macchina infatti, lungi dall’arrestarsi, nemmeno rallenta. Anzi, accelera. Ed è sconcertante tanto l’impudenza di chi la spinge avanti, quanto la miopia di chi, a parole, afferma di volerla contrastare.
È qui che sorge la preoccupazione maggiore. Se pare difficile che, a questo punto, si arresti l’ondata di sdegno per i crimini seriali commessi sulla pelle dei bambini e delle loro famiglie – anche perché il prototipo emiliano vanta troppi cloni in giro per l’Italia – è facile che la regia, sacrificata alla causa una manciata di capri espiatori, imponendo una narrazione fuorviante dell’incidente di percorso riesca ancora a prendere tutti nel sacco giocando su più tavoli le proprie (solite) carte. Così, mentre gli occhi sono puntati su Bibbiano e sul business degli affidi, in altre stanze si fanno andare altre “lavatrici”…
LE NUOVE TAPPE DEL POTERE A dimostrare la pervicacia degli sponsor del sistema capovolto che ha avuto in Val d’Enza uno dei suoi laboratori d’eccellenza, sta la maratona ingaggiata per la approvazione – proprio sulla scena dei delitti – del disegno di legge regionale sulla cosiddetta “omotransnegatività” (ribattezzata “legge regionale contro le discriminazioni e le violenze determinate dall’orientamento sessuale o dall’identità di genere”), piccolo clone locale di quel bavaglio Scalfarotto che mai è diventato legge dello Stato, ma che, di fatto, mai ha smesso di produrre effetti strepitosi. D’altra parte, l’obiettivo fondamentale di lorsignori è quello da un lato di creare un clima psicopoliziesco di incombente intimidazione, dall’altro di implementare la promozione della omosessualità come valore assoluto. Da questo punto di vista, i colpi sono andati perfettamente a segno. E tanto potenti sono le coperture, che nulla frena la protervia di una Roberta Mori – consigliere regionale legata a doppio filo all’industria di lavaggio dei cervelli diretta da Foti e all’harem gestito dalla Anghinolfi – la quale, insieme ai suoi sodali politici, è riuscita a portare a casa il risultato in regione, anche sotto le bombe.
Ma il lavoro più grosso lo stanno facendo altri in alto (e altro) loco. Guarnigioni di gnomi operosi e devoti infiltrati nel cuore dell’apparato non hanno mai smesso di adoperarsi per edificare le fondamenta del nuovo dispotismo in salsa umanitaria dove gli schiavi senza famiglia, senza sesso e senza identità possano davvero sentirsi appagati del loro essere finalmente liberi (di fare quasi tutto tranne che di pensare) e finalmente uguali. Queste instancabili maestranze hanno continuato a lavorare indisturbate, al riparo delle istituzioni e col tacito sostegno di ogni parte politica, malgrado i risultati devastanti del loro impegno si manifestino a ogni pié sospinto. Continuano anche oggi a lavorare, nei giorni dello scandalo emiliano, e presentano al pubblico i loro prodotti realizzati su commissione e tutti li accolgono con tanti complimenti, perché basta si allenti il collegamento tra persone, luoghi e circostanze e immediatamente si offusca la visione d’insieme e viene meno la imprescindibile consapevolezza di trovarsi nel bel mezzo di un piano eversivo imponente, di portata pervasiva e di matrice sovranazionale, dal quale tutto discende e al quale nulla sfugge. Funzionale alla buona riuscita di questo piano, prima ancora degli esperimenti di ingegneria sociale che ancora, forzando gli assetti costituiti, rischiano di generare reazioni contrarie, è il capillare e sistematico indottrinamento scolastico delle giovani generazioni.
LA BUONA GENDER SCHOOL Suona surreale, quindi, come proprio in questi giorni, mentre infuria la tempesta degli affidi illeciti, venga lanciato in grande spolvero, nell’indifferenza generale, il progetto “Gender school”. Come si legge nella presentazione, «attraverso la formazione del personale della scuola e dei docenti e mediante l’inserimento di un approccio di genere nella pratica educativa e didattica a favore degli studenti di diversa età su tutto il territorio nazionale» si punta all’obiettivo «di realizzare un programma di educazione alla parità e al rispetto delle differenze di genere allo scopo di superare gli stereotipi che riguardano il ruolo sociale, la rappresentazione e il significato dell’essere donne e uomini, ragazze e ragazzi, bambine e bambini».
Il repertorio c’è tutto e viene esibito senza veli. Pare di essere sotto il regno della Fedeli Valeria, e invece sul trono siede tale Bussetti, che bazzica in zona Lega, dicono. Elaborato dall’INDIRE (Istituto Nazionale di Documentazione per l’Innovazione e la Ricerca Educativa) e dal Dipartimento Pari Opportunità presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri, il progetto si presenta quale attuazione del Piano d’azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere adottato nel 2015 a surrettizia integrazione esterna della legge 107 (cosiddetta “la buona scuola”).
Del famigerato Piano di azione abbiamo ampiamente trattato, per primi su questo sito, sin dalla coeva entrata in vigore della riforma scolastica del governo Renzi, mettendo in evidenza la natura truffaldina del complessivo blocco normativo, stratificato in una serie di rinvii concatenati a fonti disomogenee.
La gestazione del monstrum, concepito a suo tempo nella fucina del governo Monti, fu portata termine dalle levatrici renziane, che lo diedero alla luce nell’estate 2015 corredato di tutte le componenti capaci, anche a effetto differito per non dare subito troppo nell’occhio, di sfigurare la fisionomia dell’educazione scolastica monopolizzandola con insegnamenti (appaltati a eserciti di esperti del settore appositamente addestrati) relativi a ogni tipo di pratiche sessuali. L’equipaggiamento completo, ovviamente, pesca nel bacino inesauribile di aberrazioni alimentato senza soluzione di continuità dalla tecnocrazia europea che è travasato nell’ordinamento italiano in forza del rinvio permanente (di secondo grado) contenuto nel comma 16 della legge 107.
D’altra parte, nella teologia europeista, il sessuocentrismo, l’ipersessualismo, l’omosessismo e il genderismo sono dogmi fondamentali, con tutte le loro applicazioni pratiche, compresa la pedofilia (promossa apertis verbis dalla Raccomandazione del Comitato dei ministri UE del 2010).
Ecco che «l’iniziativa, denominata“Gender School – Affrontare la violenza di genere”, prevede in una prima fase, in partenza il prossimo 18 settembre, l’avvio di unpiano nazionale diformazionedei docentie del personale della scuolasu unambiente online dedicato», come si legge ancora nella presentazione ufficiale.
Ma essa si inquadra in un progetto organico ben più ambizioso, poiché «la formazione online rappresenta solo il primo gradino di un programma educativo più ampio, pensato per aiutare gli insegnanti a portare in classe un nuovo “approccio di genere” capace di costruire relazioni non discriminatorie tra ragazzi e ragazze, sensibilizzare gli studenti ad anticipare e a prevenire i contrasti, superare gli stereotipi, rispettare le differenze e rafforzare la consapevolezza sui diversi aspetti che compongono la cultura delle pari opportunità».
QUALCUNO AVVISI IL MINISTRO (E IL SUO PARTITO) La ricetta, dicevamo, è sempre la stessa ed è ben nota a questo ufficio. In pratica, si tratta della minestra già servita agli studenti inglesi e illustrata su Ricognizioni da Linda Manfredini un paio di giorni fa. L’unica differenza rispetto alla pietanza cucinata in versione anglosassone consiste nel fatto che, siccome qui siamo in Italia e siamo cattolici – e qualsiasi novità si afferma a condizione di essere filtrata attraverso una interpretazione rassicurante, intrisa delle buone intenzioni che la facciano apparire cristiana – ingredienti e procedimento di realizzazione sono formulati in termini ipocriti e bizantini. Laddove gli inglesi, nel pragmatismo che li contraddistingue, evitano i giri di parole e vanno dritti al sodo.
Il passepartout capace di assicurare il successo alla penetrazione del gender, e infallibile come trappola per i veri o finti sprovveduti è, al solito, la parola d’ordine delle pari opportunità fondata sull’equivoco della disparità di trattamento tra maschi e femmine attorno a cui ruota tutto l’armamentario lessicale satellite, che va dagli stereotipi all’inclusione, alla lotta alle discriminazioni, al rispetto delle differenze e via discorrendo. La parossistica progressione del dilagare delle formule precotte legate alla retorica femminista ha gradualmente depotenziato e disinnescato nell’immaginario collettivo lo spauracchio del gender, assorbito ad arte in concetti universalmente percepiti come innocui se non edificanti e virtuosi.
Al punto che oggi, al riparo dell’endiadi fissa con la violenza di genere, il gender non ha più nemmeno il bisogno di indossare la maschera e conquista la vetrina con il pornografico titolo di “gender school”.
Qualcuno dovrà avvisare della bella novità l’ex ministro Stefania Giannini e tutti i suoi supporter, chierici e laici, i quali andavano strillando che il gender non esiste e, se anche da qualche parte fosse esistito, comunque non c’è nella “buona scuola”. E chi osava affermare il contrario, secondo loro, meritava di essere denunciato.
Qualcuno, del pari, dovrà avvisare anche i sedicenti difensori dei nostri figli, che solo qualche mese fa annunciavano entusiasti che «abbiamo vinto! Stop gender nella scuola», spellandosi le mani per la ridicolissima circolare ministeriale sull’inutilissimo consenso informato.
A proposito, dov’è il Ministro? È in grado di capire cosa sta succedendo? Ci è o ci fa? Gioca al gioco delle Fedeli, delle Cirinnà, delle Bongiorno, o al gioco della Lega (ammesso che la Lega sia della partita)? Parla la lingua delle élite tecnocratiche o parla l’idioma del popolo italiano? Qualcuno dovrà spiegare almeno i fondamentali a lui e al suo entourage, affinché dicano almeno, una volta per tutte, da che parte stanno.
IL TEOREMA BIBBIANO ENTRA NEL PROGRAMMA MINISTERIALE Il sistema della Val d’Enza, insomma, coi suoi teoremi e i suoi corollari, è annunciato come programma scolastico da diffondere a tappeto nelle scuole di ogni ordine e grado, previo aggiornamento obbligatorio del corpo docente. Piccoli maniaci crescono, e cresceranno, grazie all’indottrinamento coatto portato a compimento dallo stesso governo che dice di voler combattere il sistema della Val d’Enza. Siamo al corto circuito conclamato, e aspettiamo solo di saltare in aria.
A conclusione di questo articolo suggeriamo al lettore di fare un esercizio semplice semplice: tornare alle righe iniziali e rileggere gli stralci della Stampa di tre anni fa, quando il modello emiliano era glorificato quale eccellenza indiscussa. Si potrà verificare come, per ogni passaggio, possano mettersi altrettante spunte. Benché qualcosa sia andato storto a Bibbiano, cioè, la missione è pressoché compiuta. La scuola italiana, neutralizzato il ruolo educativo della famiglia, sta funzionando senza sosta come una enorme “lavatrice” per risciacquare i cervelli in formazione e riprogrammarli in religioso ossequio alla legge fondamentale dei potentati internazionali, sbarcati un giorno anche in Val d’Enza.
Tra la gender school del governo gialloverde e la Bibbiano che lo stesso governo gialloverde pretenderebbe di debellare, i puntini da unire sono davvero pochissimi. “Allo Stato non importa”? Allo Stato va bene così.
Elisabetta Frezza
https://www.ricognizioni.it/al-via-la-gender-school-prima-fermata-bibbiano/

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