Dopo il Tweet shock del prete anti-Wojtyla (“insabbiò abusi e lussuria”), e l’attacco sul giornale dei vescovi “Avvenire” ai professori dell’Istituto (nemici di papa Francesco) arriva l’accusa del teologo progressista più in voga (e in carica in una Università Pontificia): “Istituto cortigiano, fondamentalista e ideologico!”
di Miguel Cuartero Samperi
Karol Wojtyla non avrebbe mai immaginato che a mettere le mani sull’Istituto da lui fondato per approfondire gli studi teologici su matrimonio e famiglia alla luce dell’insegnamento di Humanae Vitae, Familiaris Consortio e Veritatis Splendor,sarebbe stato un suo successore sul Soglio Pontificio. Ma la nomina di mons. Vincenzo Paglia a Gran Cancelliere dopo i due Sinodi sulla Famiglia e la pubblicazione di Amoris Laetitia, non faceva presagire nulla di buono sul futuro dell’Istituto. Per questo chi si sorprende delle recenti decisioni dei nuovi vertici dopo la pubblicazione dei nuovi Statuti (licenziamenti eccellenti, drastica riduzione della teologia morale, accentramento di potere, aggiunta di nuove materie e nuovi professori lontani dallo spirito e dalla vocazione originaria dell’Istituto) pecca di ignoranza o di ingenuità.
In ballo c’è molto di più di un, pur prestigioso, polo accademico. Ciò che è in ballo è l’eredità teologica di Paolo VI, di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI sulla morale, sulla sessualità, il matrimonio e la famiglia.
Come sottolinea Matteo Matzuzzi su Il Foglio la guerra contro Giovanni Paolo II “non è solo questione di istituti soppressi o riformati”, ma – canonizzato Wojtyla – “la battaglia è tra chi vuole salvarne l’eredità e chi la vuole archiviare in nome dello spirito del tempo”. In un puntuale articolo – sempre pubblicato su Il Foglio, che si è largamente occupato della vicenda – Luca dal Pozzo riprende lo storico discorso che Giovanni Paolo II rivolse ai giovani nel 1985 durante la sua visita in Olanda. Di fronte alle perplessità e alle accuse di “arretratezza” (in modo particolare nel campo della morale sessuale), Wojtyla ricordò ai ragazzi che “il Vangelo ci presenta un Cristo molto esigente che invita alla radicale conversione del cuore” e che se “se oggi la Chiesa dice delle cose che non piacciono, è perché essa sente l’obbligo di farlo. Essa lo fa per dovere di lealtà […]. Per questo il papa esortava i giovani: “amate Cristo e accetterete le esigenze che la Chiesa in nome suo vi pone […]. Il rigore del precetto e la gioia del cuore possono conciliarsi perfettamente fra loro, se la persona che agisce è mossa dall’amore ”.
Ciò che Wojtyla affermava in senso generale sul Vangelo e sulla radicalità del suo messaggio, vale nel particolare nel campo della morale sessuale e famigliare che include argomenti seri e decisivi come l’adulterio, l’uso degli anticoncezionali, l’aborto, i rapporti sessuali matrimoniali ed extra-matrimoniali, le relazioni e i rapporti omosessuali.
Un discorso necessario oggi – e ha fatto bene Dal Pozzo a riproporlo – non tanto per i giovani, ma per i teologi e giornalisti cattolici che – accecati da un certo prurito di aggiornamento – applaudono ogni novità e apertura, anche nella direzione di un “permissivismo” sessuale mentre dispensano odio e rancore (ma, sia ben inteso, sempre in nome della misericordia) contro la tradizione e chi ne rispetti e ne difenda le plurisecolari istanze in campo morale. La battaglia sull’Istituto Giovanni Paolo II (vinta senza appello da mons. Paglia con la complicità di p. Sequeri) non è dunque altro che una delle tappe di una guerra al passato e ai cosiddetti conservatori “nemici di Francesco”, “tradizionalisti” e “anti-concilio”…
«Guai ai vinti», dunque, che – a detta dell’ex-preside J. Granados – che ora guardano affranti il nuovo istituto in mano a chi li detestava e da anni aspettava questa resa dei conti. «Sono più di dieci anni che bisognava mettere mano ai programmi di studi, con una teologia del matrimonio tutta sbilanciata sulla morale e la bioetica» afferma su twitter un certo sig. Greco, una dichiarazione che, seppur semplicistica e priva di rigore accademico (cosa significhi “sbilanciata sulla morale” non ci è dato di sapere) è stata condivisa dal prof. Gilfredo Marengo docente di Antropologia Teologica (ovviamente) ri-confermato nell’incarico dalle autorità accademiche del nuovo istituto. Il fatto che poi il signor Greco aggiunga «non scambio opinioni sugli ordinamenti delle facoltà di teologia con chi non ha almeno il primo grado accademico del baccalaureato» la dice lunga sulla parresia in cui si sta svolgendo il “dibattito” tra addetti ai lavori e simpatizzanti: all’insegna del dialogo e della misericordia.
Ciò che provoca dolore e sconforto vedere tra gli “sconfitti” il santo papa polacco contro cui oggi si concentrano le accuse mentre, defunti i suoi più fidati collaboratori (i cardinali Caffarra e Sgreccia), viene smontata un’opera a cui si dedicò personalmente con estrema cura e molta fatica.
L’attacco a Wojtyla passa sui social dove in queste ore si scatenano senza pudore accuse frontali anche da parte di preti e teologi. Scioccante è a questo proposito la presa di posizione di don Alessio Leggiero, un sacerdote campano della diocesi di Teano, molto attivo sui social, che accusa san Giovanni Paolo II di gravissimi delitti come “insabbiare lussuria e pedofilia”, mentre minaccia chi critica l’operato di mons. Paglia nei confronti dell’Istituto GP2 di vendicarsi “sbizzarrendosi” contro Benedetto XVI e il suo “imprudente segretario”. Parole dure, che a qualunque altro sacerdote – in altri tempi – sarebbero bastate per ottenere, per lo meno, un richiamo dal proprio vescovo. Se questo significa essere fedeli a papa Francesco lo giudichi il lettore…
Sulle pagine di Avvenire, il giornale della Conferenza Episcopale Italiana, si scatena il caporedattore Luciano Moia, incaricato dal Direttore del giornale di rispondere a L. Melina, l’ex Preside ora licenziato da Paglia e Sequeri con motivazioni “inconsistenti” (p. José Granados). Sollecitato da mons Melina che chiede rispetto e lamenta “calunnie” e “diffamazioni” che sul suo conto comparse su Avvenire, Moia aumenta la dose accusando Melina e gli altri professori di “minimizzare la svolta di Papa Francesco” e, con scritti e conferenze, di rappresentare una frangia di opposizione alla svolta pastorale targata Amoris Laetitia“. Un’analisi mirata di testi e parole pronunciate dai suddetti professori negli ultimi sei anni offre al giornalista di Avvenire l’occasione per sentenziare il severo giudizio di insubordinazione e irriverenza nei confronti del magistero papale e di motivare così il loro licenziamento dal mondo accademico. Una motivazione che non corrisponde a quella ufficiale (che adduce motivi di cattedre soppresse e di doppi incarichi incompatibili) ma che sembra – a ragion del vero – l’unica capace di spiegare i licenziamenti di professori-simbolo come Melina e Noriega.
Eppure nel libro intervista “Ho scommesso sulla verità” (Solferino 2018), interpellato sull’argomento il card. Scola smentì prudentemente un’azione di rivalsa contro l’Istituto «non adeguatamente aperto a una nuova visione della famiglia e alle nuove pratiche pastorali»: «Questa, in effetti è l’interpretazione più diffusa dai mass media, ma non credo sia la più corretta. Certo, so bene che in occasione delle due assemblee sinodali sulla famiglia era emersa una forte dialettica tra alcuni docenti dell’Istituto e i sostenitori di un approccio considerato più pastorale al matrimonio e alla famiglia. Non mi risulta tuttavia che l’eccellente lavoro svolto dall’Istituto a livello internazionale sia stato misconosciuto. Tanto è vero che tutti i docenti (sic!), a partire dagli ordinari di cattedra, sono stati riconfermati» (pp. 152-153). Così rispose il cardinale nel 2018, ex preside dell’Istituto. Si sarà ricreduto?
Tuttavia non si può parlare di insubordinazione al Sommo Pontefice senza citare il professore Andrea Grillo del Pontificio Istituto sant’Anselmo di Roma (dove evidentemente non sono in vigore le epurazioni per insubordinazione al Pontefice), un teologo balzato agli onori delle cronache per la sua dichiarata e vigorosa opposizione al papa emerito Benedetto XVI. Grillo sferza la sua penna (o meglio la sua tastiera) contro i professori dell’Istituto Giovanni Paolo II rei di aver promosso, per quasi 40 anni, una «lettura fondamentalistica e integralistica della tradizione matrimoniale e familiare» rimanendo «all’interno di una lettura “antimoderna” della tradizione, alimentata dai fantasmi della lotta frontale alla cultura liberale». Un anti-modernismo risorto, dopo la felice pausa dell’immediato post-concilio, grazie a (o meglio, per colpa di) Giovanni Paolo II con la sua Familiaris Consortio e la fondazione dell’Istituto. Secondo il teologo Grillo (il cui cognome ricorda, paradossalmente, la collodiana “coscienza morale”, da lui reinterpretata ad libitum e non più come imperativo vincolante per il soggetto secondo la dottrina -“fondamentalista”?- della Chiesa Cattolica), secondo Grillo – dicevamo – l’Istituto è stato fino ad oggi una fucina del pensiero reazionario, ideologico, con parametri “ottocenteschi”, “spirito cortigiano”, diffondendo “una serie di barriere, di divieti, di blocchi, di ostacoli”. Con l’avvento di papa Francesco, i professori ora (finalmente) allontanati sono diventati acerrimi “detrattori” dello “sviluppo” nella dottrina e nella pastorale matrimoniale voluto dal papa argentino. Anche l’articolo di Grillo è stato ritwittato – e quindi condiviso – senza commenti dal prof. Marengo, docente (lo ripetiamo) confermato da mons. Paglia per il prossimo anno accademico ormai alle porte.
Si tratta di uno scontro duro e sanguinoso, che non risparmia Pontefici defunti o emeriti, che porta alla luce e svela i “desideri di molti cuori”. Una scontro che riguarda, non una singola cattedra o un singolo istituto, ma la missione stessa della Chiesa di fronte al mondo, la fedeltà al messaggio di cui essa è custode e non padrona, di quella verità di cui è depositaria e che non ha diritto (ne la missione) di modellare a misura dell’uomo di qualsivoglia periodo storico. Come affermava padre Pio a proposito di Humanae Vitae(documento sul quale si concentra, in grande parte, la diatriba teologica) in una lettera inviata al papa Paolo VI il 12 settembre del 1968, ciò che è in ballo è la custodia, la trasmissione e la difesa dei quella “eterna verità, che mai si cambia col mutar dei tempi”.
Riprendo alcuni stralci della lettera che Mons. Massimo Camisasca, vescovo di Reggio Emilia-Guastalla, ha inviato al quotidiano Avvenire in merito ai licenziamenti avvenuti all’Isituto Giovanni Paolo II.
(…)
La continuità del magistero è la chiave ermeneutica fondamentale della vita della Chiesa. Perché allora rappresentare oggi un’interruzione così profonda e traumatica nei confronti del lavoro svolto dall’Istituto Giovanni Paolo II? Perché offrire agli studenti l’impressione di una novità radicale che preoccupa e confonde, come alcuni di essi hanno manifestato?
Ogni Papa si radica, nella successione apostolica, sul depositum fidei e sull’insegnamento dei suoi predecessori. Non certamente per ripeterlo, ma per aprirlo, sotto la guida dello Spirito Santo, alle nuove necessità che i tempi e la vita della Chiesa urgono. Sono certo che questa è l’intenzione profonda di papa Francesco.
Il popolo cristiano deve essere aiutato a riconoscere questa continuità nella grande tradizione della Chiesa. Solo essa rende possibile ogni nuova apertura missionaria. L’evangelizzazione sempre avviene attraverso la testimonianza del bene per la vita dei fedeli, illuminandoli con la verità sull’uomo e sulla famiglia, che tutti abbiamo ricevuto da Cristo e che a noi, umili servitori del Regno, spetta di trasmettere con la gioia e la sicurezza che nascono da tale servizio.
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