I diritti umani sono diventati un credo distruttivo? Ronald Dworkin e il "pregiudizio razzista" delle O.n.g. Non è affatto naturale che uno stato si faccia carico dei diritti negati in un altro stato, ma questa è oggi la prassi
di Francesco Lamendola
I diritti umani sono diventati una sorta di religione distruttiva, un credo indiscutibile, ma astratto e velleitario, capace d’inceppare gravemente il funzionamento della società e di seminare a profusione il disordine, in luogo dell’ordine senza il quale non esiste vera civiltà? E, soprattutto, sono diventati, o stanno diventando, un’arma di cui si servono i nemici della società per infliggerle ancora del male, oltre a quello che già le infliggono i soggetti violenti, o strutturalmente parassitari, e incapaci d’una civile convivenza? È possibile, in altre parole, che quanti violano consapevolmente la legge e quanti calpestano scientemente le regole della società, si servano poi dei diritti umani per minimizzare le proprie colpe, per attenuare le proprie responsabilità e sottrarsi al meritato castigo, offendendo in maniera grave il senso della giustizia nelle vittime e nei loro parenti?
I diritti umani sono diventati un credo distruttivo: imperversa la "Falsa religione dei diritti umani". Perfino Bergoglio parla sempre e solo dei diritti umani; di Cristo ovviamente non parla più!
Uno dei massimi guru di questa nuova religione è il filosofo americano Ronald Dworkin (1931-2013), autore di un’opera che i suoi ammiratori considerano fondamentale per la cultura contemporanea, I diritti presi sul serio (Taking Rights Seriously, Harvard University Press, 1977, tradotto in italiano dall’editore bolognese Il Mulino nel 1982). In un articolo concesso al quotidiano britannicoThe Guardian, egli così ribadiva la sua fede nei diritti umani e nella loro natura imprescrittibile (cit. in: A.A.V.V. Agorà. Manuale di filosofia, Milano, Edizioni Scolastiche Bruno Mondadori, 2007, vol. 2, L’età moderna, pp. 228-229):
Quando invocano un equilibrio tra libertà e sicurezza, i politici ricorrono a un mezzo irresponsabile. (…) Le persone accusate di terrorismo possono avere dei diritti, dice Blair [primo ministro inglese nel 2006], incluso il diritto di non essere detenuti indefinitamente senza processo e di non essere mandati in paesi dove verrebbero ammazzati. Ma anche il popolo inglese ha dei diritti e un nuovo equilibrio deve essere individuato tra i due gruppi di diritti. La metafora dell’equilibrio è pericolosa perché non suggerisce alcuna base di principio per decidere quanta tortura dovremmo ammettere, o per quanti anni dovremo tenere in carcere delle persone senza processo. La metafora è profondamente fuorviante perché implica che noi dovremmo decidere quali diritti umani riconoscere attraverso una sorta di analisi costi benefici, nel modo cioè in cui decideremmo quali limiti di velocità adottare. Essa suggerisce che il criterio dovrebbe essere il bene del popolo inglese, come Blair ha dichiarato (…) affermando che “le domande della maggioranza rispettosa della legge devono aver la precedenza”. Questa stupefacente affermazione rappresenta una minaccia per l’idea stessa di riconoscere dei diritti umani:; essa equivale a dire che non esiste qualcosa come i diritti umani.
Il filosofo americano Ronald Dworkin
La maggior parte delle decisioni politiche richiedono un bilanciamento dei costi e dei benefici, in cui gli svantaggi per alcuni siano compensato da maggiori vantaggi per l’interesse generale della comunità. Costruire un nuovo aeroporto porta inevitabilmente degli svantaggi ad alcune persone, ma il danno è giustificato se rappresenta la miglior scelta per la nazione. Tuttavia, alcune offese agli individui sono così pesanti che non possono esser giustificate dicendo che esse sono ciò che la gente vuole. Una società civilizzata riconosce i diritti precisamente per proteggere gli individui da questi gravi danni. Insistiamo su questi diritti, anche se la maggioranza sarebbe più sicura e tranquilla se li ignorassimo. Naturalmente è terribile quando (…) terroristi o criminali in attesa di giudizio uccidono persone innocenti. Ma l’aumento del rischio che ognuno di noi corre è marginale e inferiore, se rafforziamo i diritti umani, piuttosto che se li abbandoniamo solo perché si sono mostrati scomodi. È una delle più onorevoli tradizioni della Gran Bretagna di accettare l’incremento marginale di rischio, come prezzo per il rispetto della dignità umana degli individui. (…) Le tirannie del XX secolo ci hanno insegnato che proteggere la dignità degli esseri umani, uno per uno, è un valore nonostante la scomodità e il rischio che deriva al largo pubblico dal rispetto dei diritti umani.
La fotografia dell’Europa dei nostri giorni: un continente moribondo o già morto, distrutto moralmente da materialismo e consumismo, dai disordini sessuali e dalla mercificazione di ogni rapporto umano; il paradiso di tutti i deviati, i degenerati, i pervertiti, gli artisti falliti, i poetastri incomprensibili, i pittori senza talento, i filosofi senza idee, i preti senza vocazione, i figli senza rispetto dei padri!
Ronald Dworkin imposta tutto il suo ragionamento partendo dall’assunto che i diritti umani esistano oggettivamente e quindi anteriormente allo sviluppo storico della società: proprio come facevano i giusnaturalisti del XVII secolo, i quali, in effetti, sono gli inventori del concetto dei diritti innati e imprescrittibili della persona umana. Ma quello dei diritti umani è un concetto che scaturisce dall’idea, e poi da una pratica, sfocianti in una convenzione giuridica, la quale, nel corso del XIX e del XX secolo, per impulso della Rivoluzione francese, si è estesa a livello internazionale. Tale convenzione prevede che ad ogni essere umano vadano riconosciuti dei diritti fondamentali e inalienabili, anche nel caso che violi la legge e anche nel caso che cada, come prigioniero di guerra o come sospetto di intelligenza col nemico, nelle mani di un’altra giurisdizione. In natura, non esiste nulla del genere, così come non esiste in molte società primitive. Nelle società evolute dell’antichità e nel medioevo non c’era l’idea dei diritti umani, ma c’erano delle convenzioni che fissavano i diritti degli stranieri, delle donne, dei servi, senza però che questi diritti potessero mai giungere a minacciare la sicurezza della società. Nel medioevo è stata l’affermazione cristiana del concetto di persona, con i valori spirituali ad essa collegati, che ha fatto compiere un passo avanti nel trattamento più umano dei soggetti deboli, degli stranieri, dei criminali e dei prigionieri di guerra, abolendo o moderando gli istituti più crudeli, come la facoltà paterna di sopprimere alla nascita i figli indesiderati, specialmente se portatori di malformazioni; ma, di nuovo, entro un confine ben preciso, e cioè senza mai giungere a rompere l’equilibrio sociale in favore delle minoranze infide o solo parzialmente assimilate e a danno della maggioranza dei cittadini.
La cultura dei diritti umani, assolutizzata, estremizzata e portata oltre il limite del giusto e del ragionevole, è una delle manifestazioni della malattia mortale che sta uccidendo l’Europa. Che fare, allora? Forse dovremmo preoccuparci meno dei diritti umani e un po’ più delle situazioni concrete, puntando al bene comune e non al bene di pochi!
Il caso degli ebrei, soggetti a limitazioni sia professionali, sia giuridiche, è esemplare: essi erano tutelati dalla legge, ma in subordine all’esigenza di tutelare la maggioranza della popolazione, tanto sul piano economico (questione dell’usura) che su quello della sicurezza (questione della loro propensione a far fronte comune coi nemici della società cristiana, ad esempio gli eserciti islamici e le flotte ottomane che premevano ai confini e minacciavamo continue invasioni), senza contare l’elemento religioso che, facendone una minoranza inassimilabile, automaticamente li rendeva un fattore di potenziale instabilità, in un mondo che faceva della stabilità la sua norma essenziale. Negli ultimi due secoli, i secoli della società post-cristiana, vi è stata una continua estensione del concetto dei diritti umani a sempre nuove categorie e in sempre nuovi ambiti. Chi avrebbe potuto immaginare, anche solo venti anni fa, che l’essere omosessuale avrebbe comportato automaticamente uno statuto di tutela speciale, per cui se uno straniero si dichiara omosessuale e perseguitato in patria a causa del suo orientamento, gli viene riconosciuto lo status di rifugiato per ragioni umanitarie? Eppure, oggi la cosa pare semplice e naturale, anche se naturale non è. Non è affatto naturale che uno stato si faccia carico dei diritti negati in un altro stato, ma questa è la prassi innescata da quando, nel 1789, l’Assemblea nazionale costituente francese promulgò solennemente la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino. Non è difficile capire che, una volta passato questo principio, diventa giusto e naturale che un miliardo di africani, i quali si vedono negato o minacciato, in patria, il rispetto dei diritti umani, si presentino alle nostre frontiere per ottenere, insieme all’ospitalità, anche il riconoscimento di quei diritti. Ragion per cui, continuando l’esempio precedente, l’Italia potrebbe diventare la mecca di tutti gli omosessuali africani e degli altri continenti,provenienti da quei Paesi nei quali l’omosessualità è considerata un crimine e viene punita come tale. Con quali effetti, a lungo andare, sulla stabilità e sulla coesione della nostra società, anche questo non è difficile da immaginare: eppure si direbbe proprio che ciò non importi affatto ai paladini dei diritti umani unilaterali, cioè dei diritti umani sciolti da ogni impegno e da ogni responsabilità nei confronti della società che li garantisce a tutti, anche a soggetti provenienti dall’esterno.
Ai volontari delle O.n.g. che pattugliano il Mediterraneo per “salvare le vite”, non importa cosa ne sarà di quelle migliaia di sradicati che, grazie a loro, vengono fatti sbarcare in un Paese ad essi estraneo: se diverranno dei delinquenti, o degli sfruttati, costretti a raccogliere pomodori come moderni schiavi, o se impazziranno dalla nostalgia e dalla frustrazione!
I diritti umani sono diventati un credo distruttivo
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