Costruire la Chiesa del futuro?
«Come Gesù con gli apostoli»: questo inciso, buttato lì nel discorso in modo quasi inavvertito, è una conferma dell’intento dissimulato (ma non troppo) della gerarchia romana nominata da “Francesco”: «costruire la Chiesa del futuro» – come enunciato poche righe più su – ovvero rifondarla secondo il «sogno di Chiesa espress[o] in Evangelii gaudium». Già il numero di appassionati dello squilibrio di cui ogni parroco della capitale ha ricevuto il consiglio di circondarsi perché lo coadiuvino nel ministero è fortemente allusivo: dodici, come «il piccolo gruppo da cui tutto è partito» (corsivo originale), sebbene tale cifra non vada presa «alla lettera, ma serve per farmi capire» (corsivo mio). In perfetto stile massonico, un discorso in apparenza banale, immotivato, inconsistente contiene in realtà indizi sufficienti per essere compreso dagli iniziati, mentre gli altri si limiteranno ad alzare le braccia sconfortati e ad eseguire obtorto collo gli ordini loro comunicati con leziosa delicatezza dal rivoluzionario gentile che Bergoglio ha scelto come vicario della diocesi capitolina.
Di fatto, l’abbondante ricorso a tipiche perle dello slang ecclesialese (tutti sono chiamati a mettersi in atteggiamento di ascolto; accompagnare la comunità; ascolto contemplativo della realtà, ecc.) non riesce a celare davvero una volontà perentoria che non ammette repliche né titubanze. La cosa è già decisa e ti casca sulla testa in piena estate, mentre tu sei magari in ferie e non ti aspetti certo dai tuoi superiori comunicazioni così importanti sulle strategie pastorali da adottare tra poco, all’inizio del nuovo anno pastorale, visto che a maggio, oltretutto, c’è stato un convegno diocesano dedicato proprio al programma. Dov’è la trasparenza? Dov’è la fiducia nei sacerdoti incaricati di guidare le parrocchie? Dov’è la tanto decantata sinodalità? Questo modo di agire ricorda piuttosto quello dei partiti comunisti: la direzione centrale decide, gli organi periferici eseguono senza discutere. A dar retta ai bene informati, in effetti, il vero redattore della lettera luglienga ai parroci romani risulta essere un rampante vescovo ausiliare che è stato a capo di una fra le parrocchie più rosse della Capitale… Che ci si poteva aspettare? La mentalità è quella.
Quel che più disturba, in tutta la manovra, è la mancanza di una motivazione plausibile. Si direbbe che a Roma, fino a questo momento, nessuno si sia mai dedicato all’ascolto delle persone e che i parroci non abbiano a tal fine collaboratori stabili, se si ingiunge loro categoricamente di trovarli (il processo… che stiamo mettendo in atto… richiede…;l’individuazione di una buona équipe pastorale è una priorità; dovrai con sapiente discernimento andar[e] a scovar[li]; sta[’] spesso con loro, ecc.). Non è forse offensivo nei confronti di chi da tanti anni si impegna in parrocchia con intelligenza e responsabilità? A parte le frequenti sgrammaticature, comunque, il grande assente è il buon senso. Quando, una volta, si presentò da me un giovane padre di famiglia la cui moglie, portandogli via la figlioletta, era scappata con un altro e, per vincere la causa, l’aveva falsamente accusato di aver abusato della bimba, non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello di affidarlo a un cristiano capace di sognare e di contagiare gli altri con i suoi sogni, ma mi preoccupai piuttosto di indicargli un buon avvocato, cioè proprio uno di quei «professionisti competenti e qualificati» che il Vicario di “Francesco” esclude a priori.
Perché? Dov’è la logica in tutto questo? Siccome si fa tutto per un fine, viene il sospetto che, dietro questa imbarazzante parodia, ci sia un disegno preciso, visto che ad ottobre è in agenda un sinodo il cui testo preparatorio tradisce intenzioni rivoluzionarie e che a fine novembre dovrebbe entrare in vigore una nuova edizione del Messale. Chi sono i pittoreschi personaggi evocati dalla lettera, finora tenuti prudentemente ai margini? Estremisti di sinistra? Dal testo traspare che essi vanno reclutati per assumere, in prospettiva, la guida delle parrocchie. Da un lato, i loro compiti – come pure i criteri di selezione («quelli che hanno voglia di incontrare gli altri»; «cristiani che credono nella Risurrezione») – rimangono insanabilmente vaghi («prendersi cura del cammino di tutti, custodendo la direzione comune e animando concretamente le diverse iniziative»); dall’altro, le specificazioni contenute nella seconda parte della missiva fanno inevitabilmente pensare ad una funzione di controllo, verifica e indottrinamento di tutti gli altri operatori pastorali. Questi ultimi vanno evidentemente rieducati, visto che il Pastore deve appellarsi a nuovi collaboratori che «prov[i]no simpatia e non repulsione verso gli altri esseri umani».
Dispersi nella solita melassa appiccicosa, propinati con un tono mellifluamente bonario e suadente, i germi della sovversione sono ben riconoscibili a chi è avvezzo a fiutarli. A Roma non sono nuovi, d’altronde, a tutta una serie di decisioni apparentemente innocue, ma di portata dirompente, come quella di scegliere quale rettore del Seminario Romano un sedicente seguace del beato Charles de Foucauld o quella di porre un diacono permanente a capo di una parrocchia, nella quale si è insediato con moglie e figli. A patrocinare quest’ultima distorsione ritroviamo il ghost writer della lettera, che l’ha giustificata sostenendo di aver in tal modo inteso ripristinare le antiche diaconie… che tuttavia non erano luoghi in cui si amministravano i Sacramenti, bensì strutture di dispensazione della carità. È così che, agli ordini del diacono, c’è un presbitero che assicura le funzioni cultuali e, in qualità di amministratore parrocchiale, fa da prestanome per le esigenze del diritto canonico… Ancora una volta, la stessa illogicità priva di motivo evidente, ma dovuta sicuramente a ragioni non dichiarate. A voi non sembra che vogliano ribaltare la costituzione divina della Chiesa?
Dove deve portare l’«ascolto creativo della realtà e delle storie di vita», sottratto alla potestà e alla competenza dei sacerdoti per essere appaltato ad «esploratori coraggiosi», «entusiasti che credono nella brace che sta sotto la cenere, rabdomanti che trovano falde d’acqua in terreni aridi», il cui ruolo «consiste nell’essere i “custodi del Fuoco”»? Non dovrà servire a sdoganare l’omosessualismo e a svincolare l’applicazione dell’Amoris laetitia dalle resistenze di un clero non ancora del tutto allineato, perché in buona parte wojtyliano e ratzingeriano? Con la dissoluzione della morale va di pari passo quella della fede. Una sola volta, a giochi fatti, è nominato Gesù Cristo, evocato ancora come il Risorto (una volta) e il Signore (due volte), ma sempre in modo funzionale al discorso, piuttosto che come autorità da seguire. La Croce non compare affatto; lo Spirito Santo è invece citato ben cinque volte, ma come fattore di destabilizzazione, contrariamente alla Sua missione ordinatrice. Al contempo si allude con estrema disinvoltura ad una pratica spiritistica, la rabdomanzia, e alla religiosità sciamanica, da cui proviene l’espressione custode del fuoco. Dal riferimento paolino appena accennato (2 Tm 1, 6, non 2, 6) si potrebbe dedurre che tale fuoco sia la grazia che il discepolo deve ravvivare; il contesto suggerisce invece che si tratta del senso del cammino da tener desto (?): della grazia santificante non v’è traccia.
Non sottovalutate simili bizzarrie: neanche una parola è scelta a caso, né si tratta di ritrovati stilistici meramente poetici (che sarebbero del resto fuori luogo), bensì di ben precisi messaggi in codice. Nella simbolica templare e rosacruciana assunta dal rito scozzese, il fuoco è la forza che, bruciando ogni scoria di imperfezione, rinnova la natura per riportarla all’integrità originaria, secondo il motto Igne Natura Renovatur Integra (con cui, in modo mistificatorio, è spiegato l’acronimo I.N.R.I.). Il fuoco, nell’esoterismo massonico, ha altresì la funzione di “liberare” l’uomo per condurlo allo stato di perfezione, in cui è affrancato da leggi, dogmi e convenzioni sociali. Ora, il nome ebraico di Gesù (Yehošuah) – rileva la Cabala – è formato dalle quattro lettere dell’impronunciabile tetragramma divino (YHWH) con l’aggiunta, al centro, della lettera šin (ש), che simboleggia appunto il fuoco. Se il tetragramma designa la realtà stessa dell’Essere, incomprensibile e irraggiungibile, Cristo non è certo una figura storica, ma rappresenta il più alto Io dell’umanità, il “salvatore” immanente all’uomo, ovvero la natura liberatoria della realtà spirituale, come insegna il cabalista Johannes Reuchlin (di cui fu discepolo Melantone, il “teologo” ufficiale di Lutero). Per i più illuminati, Egli non è altro che l’Adam Kadmon, al contempo uomo primordiale e personificazione dell’universo.
Dove deve portare l’«ascolto creativo della realtà e delle storie di vita», sottratto alla potestà e alla competenza dei sacerdoti per essere appaltato ad «esploratori coraggiosi», «entusiasti che credono nella brace che sta sotto la cenere, rabdomanti che trovano falde d’acqua in terreni aridi», il cui ruolo «consiste nell’essere i “custodi del Fuoco”»? Non dovrà servire a sdoganare l’omosessualismo e a svincolare l’applicazione dell’Amoris laetitia dalle resistenze di un clero non ancora del tutto allineato, perché in buona parte wojtyliano e ratzingeriano? Con la dissoluzione della morale va di pari passo quella della fede. Una sola volta, a giochi fatti, è nominato Gesù Cristo, evocato ancora come il Risorto (una volta) e il Signore (due volte), ma sempre in modo funzionale al discorso, piuttosto che come autorità da seguire. La Croce non compare affatto; lo Spirito Santo è invece citato ben cinque volte, ma come fattore di destabilizzazione, contrariamente alla Sua missione ordinatrice. Al contempo si allude con estrema disinvoltura ad una pratica spiritistica, la rabdomanzia, e alla religiosità sciamanica, da cui proviene l’espressione custode del fuoco. Dal riferimento paolino appena accennato (2 Tm 1, 6, non 2, 6) si potrebbe dedurre che tale fuoco sia la grazia che il discepolo deve ravvivare; il contesto suggerisce invece che si tratta del senso del cammino da tener desto (?): della grazia santificante non v’è traccia.
Non sottovalutate simili bizzarrie: neanche una parola è scelta a caso, né si tratta di ritrovati stilistici meramente poetici (che sarebbero del resto fuori luogo), bensì di ben precisi messaggi in codice. Nella simbolica templare e rosacruciana assunta dal rito scozzese, il fuoco è la forza che, bruciando ogni scoria di imperfezione, rinnova la natura per riportarla all’integrità originaria, secondo il motto Igne Natura Renovatur Integra (con cui, in modo mistificatorio, è spiegato l’acronimo I.N.R.I.). Il fuoco, nell’esoterismo massonico, ha altresì la funzione di “liberare” l’uomo per condurlo allo stato di perfezione, in cui è affrancato da leggi, dogmi e convenzioni sociali. Ora, il nome ebraico di Gesù (Yehošuah) – rileva la Cabala – è formato dalle quattro lettere dell’impronunciabile tetragramma divino (YHWH) con l’aggiunta, al centro, della lettera šin (ש), che simboleggia appunto il fuoco. Se il tetragramma designa la realtà stessa dell’Essere, incomprensibile e irraggiungibile, Cristo non è certo una figura storica, ma rappresenta il più alto Io dell’umanità, il “salvatore” immanente all’uomo, ovvero la natura liberatoria della realtà spirituale, come insegna il cabalista Johannes Reuchlin (di cui fu discepolo Melantone, il “teologo” ufficiale di Lutero). Per i più illuminati, Egli non è altro che l’Adam Kadmon, al contempo uomo primordiale e personificazione dell’universo.
Se il metodo mirante a ribaltare l’ordine costituito è tipicamente marxista, la visione soggiacente è dunque di stampo gnostico e cabalistico; l’obiettivo è l’impregnazione delle strutture cattoliche di un culto panteistico – in ultima analisi, satanico – che surrettiziamente è già stato insinuato nella nuova Messa, nel cuore della quale si invoca il Dio dell’universo. In occasione del cinquantenario, dunque, stanno semplicemente portando a termine il lavoro iniziato mezzo secolo fa. Gli odierni Pastori, oltre a lasciarci digiuni di una spiegazione plausibile delle continue innovazioni da loro promosse, si guardano bene – chissà perché – dal definire in modo chiaro l’orizzonte entro il quale si muovono: qual è la visione di fondo a cui si accenna? e la direzione comune? e la posta in gioco? e le cose nuove da sperimentare? Quale fuoco hanno «invocato insieme nella Veglia con il Papa»? Quest’ultimo, come ricorderete, ha imperniato tutta l’omelia della Messa di intronizzazione proprio sul concetto di custodia. Queste note sono allora sintomo di una sindrome paranoica o conclusioni inevitabili di una serie di osservazioni ripetute e convergenti?
La cosa più tragica è che, in realtà, questi presuli così ispirati non ci offrono alcuna visione seria cui riferirci né alcuna direzione sensata da seguire. I chierici da loro “formati” danno in gran parte l’impressione di essere immersi nel nichilismo puro: al di là delle costruzioni puramente verbali con cui li hanno formattati, i loro interessi reali si restringono al cibo, al calcio e alle vacanze, in un insostenibile vuoto esistenziale e intellettuale. I giovani che li frequentano, dietro il palcoscenico dell’attivismo parrocchiale, sprofondano a loro volta nell’angoscia di un tirare a campare privo di senso, prigioniero del materialismo, orbo del minimo spiraglio di trascendenza e di autentico amore, in uno stare insieme compulsivo mascherante spesso il fatto che nessuno si prende davvero cura di nessuno. Per reazione, nel disperato tentativo di strappare al sesso qualche istantanea scintilla di un surrogato di assoluto e di attenzione, si abbandonano alla depravazione in modi e in una misura impensabili. L’odio che covano verso chi avrebbe le risposte che cercano e si rifiuta di fornirle loro è palpabile, almeno da chi non è completamente ottuso e assorbito dai suoi schemi sociologici. È presso qualche appassionato dello squilibrio che dovrebbero trovarle?
Anche le nostre domande si accumulano, ma dobbiamo fermarci qui. Ci verrebbe legittimamente da chiederci quali poteri stian dettando questa agenda dell’assurdo, inesorabilmente attuata con cinica freddezza dietro sorrisi ipocriti e patetici. Il carburante del caterpillar apparentemente inarrestabile proviene, con ogni probabilità, dal salvadanaio di György Schwartz (alias George Soros), il filantropo totalmente sprovvisto di moralità che cominciò a far fortuna, da adolescente, collaborando con i nazisti alla confisca dei beni di altri ebrei come lui; è il candidato al posto di Anticristo che, quale capo-fila del sionismo di sinistra, ha fatto fuori il nostro uomo forte, affiliatosi al sionismo di destra e rimasto vittima, a quanto pare, di una lotta tra pescecani. In conclusione, non sapendo esattamente a quali logge afferiscano i cultori del nulla che attualmente dirigono la Chiesa militante, per avere indicazioni potremmo provare a interrogare gli stregoni dai quali il loro capo si è fatto “benedire”. Così scopriremmo chi è il vero ispiratore dei suoi “sogni” e quale ne è l’obiettivo segreto: costruire la Chiesa gnostica del futuro.
Pubblicato da Elia
Nessun commento:
Posta un commento
Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.